Stefano Vaj in IL FONDO - anno III - n. 135 / 7 febbraio 2011


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anno III - n. 135 / 7 febbraio 2011


in questo numero articoli di


Arba, Angela Azzaro, Graziella Balestrieri,
Mario Bernardi Guardi, Ivo Germano, Mario Grossi,
Miro Renzaglia,
Angelo Spaziano,
Stefano Vaj, Federico Zamboni

 

nell'edicola di via
www.mirorenzaglia.org


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PROSPETTIVE INDOEUROPEE
Stefano Vaj

Guardiamoci negli occhi. Noi siamo Iperborei [...]
Di là dal Nord, dai Ghiacci, dalla morte – la nostra vita, la nostra felicità

Friedrich Nietzsche

 

In uno dei suoi insegnamenti più importanti, Giorgio Locchi ci aiuta a pensare sino in fondo le intuizioni nietzschane riguardo al tempo della storia. Non più un fisso segmento su una linea che punta in qualche direzione, non più un tratto irrimediabilmente sbarrato alle nostre spalle su una strada cxhe staremmo percorrendo.

Per la sensibilità postmoderna, tali immagini sono false psicologicamente, filosoficamente, empiricamente. Se il passato è ciò che è esistito, non esiste più; se non esiste più, non esiste: se non esiste, non è qualcosa di cui si possa parlare. Il passato non è invece altro che una dimensione del presente, in particolare quella delle radici e della memoria, alla stessa stregua dell’attualità (dimensione dell’impegno) e dell’avvenire (dimensione del destino e del progetto); e ci parla attraverso l’immagine che ci diamo di esso attraverso i documenti, le vestigia, le testimonianze che abitano il nostro tempo.
Così come ogni altra, tale dimensione si espande. Si espande banalmente nei tempi a noi più vicini,  con l’accumularsi di nuovi eventi, di nuovi ricordi. E si espande anche nella sua estremità più lontana, mano mano che il nostro sguardo, attraverso un’indagine critica sempre più interdisciplinare, si allunga ad epoche sempre più remote e si allarga a particolari ed aspetti sempre nuovi.
Ma soprattutto viene interamente ridefinito ad ogni istante a partire dalla particolare prospettiva di ciascun presente, non solo e necessariamente attraverso la chiave della revisione («chi controlla il presente controlla il passato, chi controlla il passato controlla il futuro», potremmo dire parafrasando Orwell), ma non fosse altro che per le diverse orecchie che ascoltano una musica pure in divenire, i diversi occhi che rileggono il libro dei simboli e ne traggono premonizioni e moniti e sfide per ciò che ancora ha da essere. Anche in campo storico, quindi, “la verità non è qualcosa che esista e che si debba trovare, scoprire, ma qualcosa che si deve creare e che dà il nome ad un processo o meglio a una volontà di dominio che in sé non ha fine” (Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza, §552). Visione della storia questa che è anche un progetto di Erlösung dal provvidenzialismo monoteista: «Redimere nell’uomo il passato e ricreare ogni ‘fu’ finché la volontà dica: ‘Così volli! Così vorrò’. Questo ho chiamato redenzione, solo questo ho insegnato loro a chiamare redenzione» (Così parlo Zarathustra,”Delle tavole antiche e delle nuove”).
Gli indoeuropei, come nuovo passato che continua a spalancarcisi di fronte, e che alcuni scelgono di rivendicare come proprio retaggio, ci corrono perciò incontro dal nostro avvenire. Lo fanno come origine ultima di questa medesima sensibilità che giunge a consapevole maturazione con Nietzsche, Gentile, Heidegger, Spengler e la cui essenziale inevitabilità europea, “esperiale”, a partire da Eraclito, mette bene in luce Severino, ed ancor più il suo allievo Emanuele Lago in La volontà di potenza e il passato (Bompiani, Milano 2005). E lo fanno in particolare sotto un quadruplice sigillo solstiziale................


 CONTINUA
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