Gli studi islamici in Spagna erano datati ed importanti per storia e tradizione non solo accademica, ma anche per le radici stesse della cultura iberica. Ben condotti da noti specialisti (tra cui il sacerdote cattolico Don Miguel Asìn Paklacios, che approfondì le influenze della cultura arabo-islamica su quella latina e in particolare sulla Divina Commedia di Dante), tali studi avevano ricevuto dal governo repubblicano un notevole impulso con l'istituzione nel 1932 di due "Escuelas de estudios arabes" a Madrid e Granada (si arriverà al 1974, poi, per riconsacrare al culto islamico la mosche di Cordova, città nodale per la storia del patrimonio intellettuale arabo.spagnolo, oltre che ebraico e latino, e dell'umanità). In questi istituti si svolgeva una propaganda filo-islamica a carattere di alta cultura per intensificare i rapporti ispano-islamici, sulla scorta di secoli di relazioni, favorendo la permanenza nel paese di studenti musulmani. Il governo nazionalista, instauratosi dopo la guerra civile, ha mantenuto tali indirizzi, anzi li ha intensificati, dimostrando subito il suo favore verso i suoi sudditi islamici, che tanto avevano contribuito, a detta del nuovo regime, alla causa della riscossa nazionale. Provvedimenti a loro beneficio sono stati presi, come pure si è provveduto al funzionamento al miglior funzionamento delle suddette "Escuelas", che, durante la guerra civile, avevano dovuto ovviamente sospendere la propria attività. Il movimento filo-islamico spagnolo aveva subito interessato il sensibilissimo settore degli Ahmadiyyah, i quali avevano in progetto di iniziare una propaganda in Spagna, partendo dal centro di Berlino. Nel 1934 due esponenti del centro suddetto, il marvolana Sadt-nd.Din e il dottor Mansur si erano mossi all'opera allo scopo. Anche l'Italia fascista seguiva con interesse gli avvenimenti e i problemi del mondo islamico, anche se già nella seconda metà del XIX secolo il nuovo stato unitario aveva favorito l'orientalistica islamica nelle università. Sia la monarchia che il regime fascista, in seguito, si erano mossi a protezione della politica coloniale e poi dell'Impero dell'Italia. Occasione speciale di tale intervento era la politica italiana in Libia, che rinviava anche alla promozione degli studi islamici soprattutto nell'Istituto Orientale di Napoli per la parte filologica prevalentemente, mentre per le informazioni è importante il nucleo di studiosi che si raccoglie attorno all'Istituto per l'Oriente di Roma. Sul terreno pratico "di fronte agli sconfinamenti ed alle acquiescenze dannose di altri stati- si diceva negli ambienti del fascismo- l'Italia è stata inflessibile ed ha adottato anche estremi rimedi ottenendo risultati che altri non avrebbero neppure sperato" (la politica coloniale del fascismo non fu però così brillante, come il regima voleva far credere: senza la morte prematura di Italo Balbo, nel 1940, le circostanze, forse, avrebbero consentito più felici sviluppi). Il fenomeno senusita, energicamente (e ferocemente) represso, considerando le cose con il senno di poi, aveva cessato di nuocere, ma non aveva mancato di lasciare strascichi storicamente rilevati nel secondo dopo guerra e soprattutto con la rivoluzione di Gheddafi nel 1969. L'Italia fascista, pur non essendo all'altezza di una più compiuta amministrazione dei propri interessi, tuttavia riuscì a disporre provvidenze a favore delle popolazioni libiche, favorendo anche il progresso degli studi superiori islamici a Tripoli. L'Islam dava prova, a parere degli osservatori dell'epoca, della sua affermazione numerica e morale anche in Europa, organizzando a Ginevra un congresso per i suoi seguaci europei. Il 12 settembre 1935, presidente il famoso dirigente siriano Sheik Arslan, presenti 60 delegati, si aprivano le assise dell'Islam europeo. Tale manifestazione assumeva dunque un valore che superava di gran lunga la portata del fatto stesso. Il congresso ginevrino ebbe, infatti, scopi dichiaratamente religiosi, culturali ed economici. Il presidente all'inaugurazione fece un accenno alla debolezza dei musulmani, dovuta al distaccarsi dalle originarie norme coraniche (osservazione che non esauriva il problema, i cui motivi profondi stavano esattamente nel contrario, cioè nel mancato sviluppo sociale e culturale dei popoli musulmani, i quali di fronte all'avanzata dell'Occidente ripiegavano in fughe improbabili in un passato non ripetibile). Il dottor Alì Dhakri bey, tuttavia, in quel consesso, rilevò il trattamento fatto in genere ai musulmani in Europa e proclamò la necessità di intensificare la propaganda per far conoscere l'Islam e migliorare così i rapporti tra musulmani ed europei. Si dimenticò in quell'occasione di porre le basi, si fece notare già in quei giorni, quanto, in realtà, fosse più importante accettare una reciprocità di comportamenti nelle due diverse sfere, islamica ed occidentale (problema ancora irrisolto con notevole nocumento civile e storico). Fu discussa quindi la situazione dei musulmani polacchi, constatando l'atteggiamento favorevole del loro governo alla promozione della libertà degli islamici e del loro culto in Polonia. Il delegato olandese, a sua volta, alacre propagandista, protestò con forza contro la condizione fatta dal suo governo ai correligionari, specialmente nelle popolosissime terre dell'Insulindia. Il delegato svizzero parlò del proprio nucleo, che ancora non poteva dirsi comunità, contando in allora appena di 12 persone. Il delegato inglese, Rankin, facendo la storia della penetrazione musulmana in Gran Bretagna dal 1890 al 1939.-1940, rilevò come l'Islam era stato in costante aumento, non passando settimana che non vi fossero state conversioni (Bernard Show ebbe già a prevedere che l'Europa sarebbe diventata musulmana entro un secolo). Durante i lavori del congresso di Ginevra si fece riferimento all'incomprensione e al'intolleranza cristiana, ma da più parti, esterne al convegno, si ribadiva l'insostenibilità di tale tesi, data invece l'intolleranza islamica nei confronti dei cristiani che vivevano nei loro territori originali. Parlando poi dei luoghi di culto, fu votato un ordine del giorno a favore delle erigende moschee di Varsavia e di Budapest. Seguirono relazioni sugli jugoslavi, nordafricani e la questione palestinese con speciale riguardo in questa a quello che veniva indicato come il dilagare del sionismo. Ci fu anche una relazione italiana che pose in luce i benefici concessi dall'Italia ai sudditi libici. Iniziative per la creazione di Associazioni generali per la difesa dell'Islam fallirono, tuttavia, per la divisione dei delegati. Tale stato di cose era stato deplorato dalla stampa egiziana, mentre fu lodata la fondazione di gruppi giovanili da collegarsi con quelli del Cairo. Sulla crescita dell'Islam in quell fase storica e sull'attualità di quelle considerazioni che intravvedevano tra mille elementi, non solo demografici, la tendenza vistosamente ascensionale della religione di Maometto alla vigilia della guerra del 1939-1945, si deve riflettere. -fine Casalino Pierluigi, 31.12.2014
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occasione dei settant’anni dalla morte di F.T. Marinetti, è uscito in questi
giorni per i tipi di Armando editore Marinetti 70. Sintesi della critica
futurista, raccolta di saggi, articoli e interviste curata da Antonio
Saccoccio e Roberto Guerra.
Il
fondatore del Futurismo continua a essere una delle figure più discusse e
controverse della cultura italiana. In questa pubblicazione alcuni tra i
maggiori studiosi viventi dell’artista esplorano aspetti fondamentali della sua
opera: il culto della modernità, le ricerche poetiche e parolibere, i rapporti
con la politica (nazionalismo, socialismo, anarchismo, fascismo), l’influenza
sulle avanguardie europee, l’attualità delle sue intuizioni nel XXI secolo.
All’interno
del volume contributi critici di: Gino Agnese, Giovanni Antonucci, Francesca
Barbi Marinetti, Günter Berghaus, Pierfranco Bruni, Riccardo Campa, Giancarlo Carpi,
Patrizio Ceccagnoli, Simona Cigliana, Vitaldo Conte, Enrico Crispolti, Giorgio
Di Genova, Massimo Duranti, Roberto Guerra, Giordano Bruno Guerri, Miroslava
Hajek, Massimo Prampolini, Antonio Saccoccio, Luigi Tallarico, Paolo Valesio.
Il
volume è inserito nella collana "Avanguardia 21".
Ferrara non solo città d'arte e turismo, anche - in pieno Centro Storico, uno dei San Silvestro e Capodanni più ammalianti d'Italia e non solo, giustamente di grande audience da - ormai- parecchi anni. Dal sito ufficiale del Grande Evento un incipit significativo e il programma VERSO IL THE BEST 2015 (NDR)
Da diversi anni ormai, la città di Ferrara festeggia il Natale e
l’arrivo dell’anno nuovo con un programma, ricco di eventi e iniziative.
Anche nell’edizione di quest’anno, la sedicesima, il Castello Estense
sarà il protagonista assoluto della lunga Notte di San Silvestro. Il
2015 sarà accolto dallo straordinario e famoso show piromusicale:
splendidi fuochi pirotecnici lanciati da fossato, torri e balconate
alternati da incredibili cascate illuminanti e vortici di luce colorata
avvolgeranno il monumento simbolo di Ferrara, accompagnati da una
“colonna sonora” inedita grazie alla preziosa partecipazione di
importanti artisti del panorama musicale italiano. Capodanno a Ferrara: atmosfere magiche, melodie accattivanti,
immagini suggestive, colori inconfondibili ti aspettano per regalare
emozioni indimenticabili. ProgrammaLocation: Piazza Castello e Largo Castello
ore 21.30 ›› Aspettando Capodanno, spettacolo musicale in compagnia di tanti artisti ore 23.55 ›› Count Down ore 24 ›› Straordinario Show Piromusicale a seguire ›› musica, animazione e… tante sorprese per continuare a festeggiare insieme fino all’alba! Per tutta la Notte di San Silvestro, il Villaggio Natalizio e della Solidarietà rimarrà aperto.
INTERVISTA PER BEPPE
SALVIA a Mauro Biuzzi nel 30° ANNIVERSARIO della morte (1985-2015)
Dicembre
2014
D1-Mauro Biuzzi,Beppe Salvia, alla ricerca di un grande poeta “perduto”?
R1-Mauro BiuzziEcco,
qui ti vorrei rispondere anche alla terza domanda, immettendo i due contenuti
in una risposta a senso unico: il modo in cui Beppe ci indicò il nostro destino
e la nostra inerzia nel capire e cambiare, il suo vaticinio incompreso...
"una fila di bottoni sul panciotto è tale. un cielo è un cielo. disinteressati
alla fuga prospettica." (idea cinese,
1987). Ho sempre sostenuto che Beppe non fu profeta ma oggi preciso che
certamente fu Vate.
A proposito della "finziocrazia" dominante, devo
premettere che questa mia "anti-prospettiva di verità e di amore" per
Beppe è costata dieci anni fa la vergognosa esclusione dei miei due scritti su
di lui (Manifesto di Piazza Pio XI
del 1990 e La Leggenda Aurea del
2005) dalle sue bibliografie ufficiali, pubblicate nei vari volumi che uscirono
nel ventennale della morte. Libri nei quali peraltro stava scritto a proposito della
rivista Braci, alla cui fondazione
partecipammo a vent'anni: "I giovani poeti negli anni Ottanta si
incontrarono nell'ambiente universitario della Facoltà di Lettere, o ancor
prima, sono legati da rapporti di amicizia che risalgono all'adolescenza o alla
scuola, come quello fra Claudio Damiani e Giuseppe Salvatori, fra Beppe Salvia
e Mauro Biuzzi." (F. Giacomozzi, Campo
di battaglia, 2005). E pure scrivevano che Beppe mi aveva chiesto di lavorare
alla copertina, alle immagini e all'impaginazione del suo primo libro, Elemosine Eleusine, lavoro inedito
poiché interrotto dal suo suicidio.
Ecco, da allora non mi stanco di ripetere,
senza alcun pudore nichilista, che il suicidio di Beppe è la pietra di inciampo
di tutte le analisi letterarie su di lui, che non riescono in alcun modo a
valutare questa morte cristologicamente, ovvero in maniera consequenziale alla
sua vita poetica, al nostro Urbi et Orbi.
Ecco, romanamente. Antropologicamente. Nemmeno ci provano a farlo, queste
analisi pseudo-testuali, chiuse come sono nei linguaggi di genere, nella resa
al nichilismo linguistico, al porno per
il porno. Analisi "esistenziali" che invece si producono ormai a iosa nei mercati dove si mitizzano, a
distanza di sicurezza, la morte di Pasolini o di Modigliani o di Rimbaud o di
Anna Frank.
Questo capita perché il suicidio di Beppe è ancora un gesto di
vitalità insostenibile per l'esangue e pavida generazione terminale a cui
appartenne: inarrivabile, incomprensibile. E anche perché quel suicidio fu un
suo inequivocabile e precoce sottrarsi a quel mercato delle pulci nel quale si
sarebbe trasformata, dagli anni novanta, la catena che alimenta la cultura in
Italia e nel mondo, a seguito dello sterminio sistematico dei pochi grandi
predatori a favore della proliferazione dei tanti piccoli specialisti. Negli
anni ottanta non bastava più non partecipare, come Beppe fece, a quel triste
dopolavoro detto, con umorismo involontario, "Festival dei Poeti".
Ecco,
va detto chiaramente che per non cibarsi a vita nella ciotola del canile della Casa delle Letterature, Beppe dovette
prevedere il suicidio. Annunciato, per l'esattezza, nel suo ultimo
travestimento, il servo corvino del conte Mario: "Il valletto si era
suicidato." (Un uomo buono le sue
dolci colpe, 1985).A
trent'anni dalla sua morte, se facendo zapping ci si sofferma sulle chiacchiere
rosa o anche solo sulle facce rosa dei "giovani" manager cresciuti a
tartine, dai bar dei musei fino ai ghetti dorati delle tv tematiche, il suo
suicidio diventa precisa chiave stilistica o di poetica, come il seppuku dei Samurai che nel 1945 non
accettarono la resa del Giappone e un Ordine che non fosse fondato
sull'Immortalità del corpo. "un cielo è un cielo" significa che non
si diventa uomini passando la vita a lucidare i pantaloni alle letture
pubbliche o a consumare le suole sui red
carpet delle Expò Universali. Bensì che si deve "redimere la terra e
fondare le città" (Benito Mussolini, Pino Pascali e Pier Paolo Pasolini su
Sabaudia).
Ritardare ancora questa interpretazione integrale e dissidente del
caso di Beppe, magari con un mea culpa
o un'abiura, è a mio avviso un atto di alto tradimento del patrimonio culturale
italiano, del quale Beppe è l'espressione più recente. Interpretazione che se
ancora omessa omertosamente merita la degradazione sul campo per quelli che,
come me, vi furono testimoni.
"Non è semplice chiedere questo; è
come sedurre il destino, ma nell'opera è l'opera. Il merito e il valore ce ne
disinteressiamo." (Il lume accanto
allo scrittoio, 1980). E insieme: "Se contro il suicidio l'Eterno non avesse elevato la
sua legge." (W. Shakespeare, Amleto,
1600). Il vaticinio di Beppe, come una maledizione, si è puntualmente
realizzato se si guarda alla definitiva sterilità creativa alla quale ha
condotto il cosiddetto "sistema della cultura" dominato dal Mercato
(dove l'opera non è altro che un equivalente del suo valore di scambio
corrente), nel quadro della generale recessione della civiltà occidentale
dominata dalla cultura finanziaria: lo sviluppo senza progresso.
Offensiva recessiva
che non a caso ha portato alla fame la nostra terra d'origine universale, la
Grecia. Spinto al suicidio centinaia di piccoli imprenditori, discendenti di quegli
umanisti fiorentini che hanno inventato l'impresa, in Italia (in origine fu
Raul Gardini, 1993). Ha condotto allo sterminio e alla macelleria
gangsteristica l'idea stessa di unità delle civiltà mediterranee tanto cara a
Carl Gustav Jung e alla nozione di "inconscio collettivo", che
secondo lui era nato dalle profondità di questo caldo mare interno, dal quale
infatti rinacque Venere secondo Botticelli. Ha stuprato la Venere Urania della
nostra tradizione: ibernandola nella Paolina Borghese secondo Canova,indemoniandola a Parigi secondo Modigliani
(per colpa delle Damigelle di Avignone
secondo Picasso), divizzandola a Roma grazie all'uso di Fontana di Trevi come un
bidè postmodern italoamericano,
secondo Fellini, il Toulouse-Lautrec
de noantri.
Da lì alla Moana secondo Schicchi il passo è breve, ma andava stoppato.
Ed io l'ho fatto. E solo grazie a Beppe. In breve, dunque, nell'occasione di
questo trentennale della morte di Beppe Salvia posso dare la notizia che i
disastri prodotti dall'attuale "degrado finziocratico mondiale" si
erano manifestati per la prima volta, ben peggio di un virus Ebola, a danno di
un piccolo gruppo di giovani sodali italiani che non distinguevano tra vita ed
arte, e le cui alterne vicende si conclusero impietosamente col suicidio di
Beppe, al quartiere Aurelio di Roma, nel 1985.
Noi siamo stati infatti l'ultimo
gruppo di giovani che poterono legare la propria formazione ai luoghi e alle
strade della città di Roma (prima della globalizzazione, dei non-luoghi, del
territorio e di Internet, che ha spostato nei social network tutte le
relazioni). Giovani che, con un biglietto di sola andata, si innalzarono dalle
nuove periferie fino alle piazze monumentali, prima che Roma tornasse ad essere
la sede della solita corte barocca che la occupa da oltre due millenni, un
cartellone pubblicitario al Circo Massimo sotto il quale mendicanti di tutte le
razze litigano per strapparsi un posto riscaldato dai riflettori, una nuova
frontiera amalfitana zeppa di camerieri al solito servizio delle botteghe del
Gran Tour, del Premio Oscar, del Papa straniero e dei figliastri del Marchese
del Grillo. Cristo è sempre fermo a Fiumicino, dalla madre di Agostino.
D2- Mauro, più nello specifico, secondo te,
quale la cifra letteraria del poeta?
R2-Mauro Biuzzi La
cifra di Beppe è lo zero e la sua lettera è la X, in modo che se sovrapponi
questi due segni di stasi viene fuori il logo della ruota, del movimento. Se
poi ruoti questo logo di novanta gradi ti diventa una croce solare, il simbolo
cristiano dell'Ordine Nuovo, il cui contenuto tradizionale e sacrificale si
addice a Beppe (cfr. Il portatore di
fuoco), a me stesso e perfino alla sottocultura punk che frequentavamo con
spensierata leggerezza alla fine degli anni settanta. Ma questo accostamento
blasfemo lo faccio anche con la speranza di far venire le coliche agli esegeti
di Beppe, mercanti nel suo tempio e mendicanti fuori.
Nel 1990 questa cifra,
vagamente riferibile ad un manifesto del gruppo Ordine Nuovo, la misi anche
sulla copertina di un numero della mia rivista Arca.Propaganda contenente il
succitato Manifesto di Piazza Pio XI,
dedicato al quinto anniversario della morte di Beppe
(http://www.beppesalvia.it/Biuzzisalvia/01.html). E fui perciò apostrofato come
fascista (quando ancora l'antisemitismo non era diventato un prodotto buono a
far alzare l'audience nei salotti tv,
vedi Augias vs Buttafuoco) da qualche anima bella della mejo gioventù liberale
romana, a corto di argomenti. Antesignani della "casta", come li
definii per primo nel 2005 (cfr. La
Leggenda Aurea). Fascista a me, "antipolitico" per antonomasia,
con un nonno anarchico che ha fondato il Partito d'Azione e una zia che ha
ricevuto la Croce di Ferro per meriti nella Resistenza.
D3-
Biuzzi, la poesia-vita oggi ancora possibile nel degrado finziocratico
mondiale?
R3- Mauro BiuzziHo
impostato questa terza risposta in apertura d'intervista. Semplificando, ho
detto che il suicidio di Beppe è stato la formalizzazione vitale e mortale
della sua resistenza al degrado di cui parli. Così come il martirio è stato,
nella cultura cristiana che precedette la secolarizzazione, il gradino più alto
di una serie di azioni politico-culturali consequenziali. Che quello di Beppe
sia stato un modello di anti-sistema lo dimostra anche il fatto che in questi
trent'anni quasi tutti gli scrittori più importanti tra i fondatori della
rivista Braci non hanno pubblicato
altro libro di poesie che quello di esordio, sospendendo da allora la loro
attivitàeditoriale
(per esempio Gino Scartaghiande, Giuliano Goroni, Paolo Del Colle, Giselda
Pontesilli).
Caso più unico che
raro nella cultura iper-alfabetizzante del novecento e in controtendenza
rispetto alla conseguente ri-produttività
conigliesca tipica della cultura-mercato degli ultimi trent'anni. Chi più chi
meno, in Braci ci si liberò a
fatica, soprattutto grazie a Beppe, dal prototipo di "intellettuale del
'900" che, fino al 1968, aveva contribuito
a costruire le egemonie culturali logocentriche delle masse logorroiche, sul
modello e i valori purofilosofici
dell'Illuminismo e dei Diritti umani.
La nostra mission era fare fuori il vampiro di professione, il famigerato
"intellettuale organico al partito di massa", il collaborazionista
cattocomunista, soggetto che oggi si è mutato in un esercito di vedettes, opinionisti tv ed esperti di
marketing col solo obiettivo di far vincere il proprio padrone di turno
(partito o editore o produttore), si tratti di vendere cultura, programmi
politici, format televisivi, armi, alimenti, appartamenti, infrastrutture, sesso,
gossip, titoli di borsa, abbigliamento, diritti umani, viaggi, farmaci e altro Varietà.
Insomma, una cavalletta geo-politica, esperta di import/export di Democrazia
ovvero di Desiderio.
Sarei tentato di dire che in Braci si affermò l'idea che l'unica forma culturale che poteva
opporsi a questo Pensiero Unico del mondialismo mercantile di massa, che aliena
ed affama tutto il pianeta, era quella di un Ecumene di memoria
classico-cristiana. Personalmente la conferma mi venne dall'osservazione
dell'America Latina negli ultimi anni del '900, da quel rinascimento
bolivariano che ebbe la sua eccellenza nel nazionalismo sociale del presidente
venezuelano Hugo Chavez, nel suo tentativo di unificazione delle nazioni
autoctone del settentrione sudamericano, nella sua teoria di un socialismo del
cuore nazionale e popolare.
D'altronde nello scenario di quei conflitti tra
realtà nazionali e neo-imperialismo coloniale si erano già formate la figura e
il metodo dell'unico uomo che riuscì a unificare il nostro paese, Giuseppe
Garibaldi, modello di stratega italiano mai più eguagliato nella nostra storia
nazionale e bollato dal Marx londinese alla stregua di un buffone. Altro che il
Che Guevara dei sessantottini borghesi, altro che Cuba libre... Sotto quella bandiera, nel mio piccolo detti l'ultima
spallata mediatica alla Repubblica delle Tangenti, tentando l'impresa di una
politica carismatica e terapeutica nelle elezioni politiche italiane del 1992,
quando con grande successo di pubblico portai nell'ultima campagna elettorale
della Prima Repubblica il Partito
dell'Amore fondato con l'amica Moana Pozzi, con una teoria politica
cristiano-dionisiaca e filo-mediterranea (anti-atlantista e anti-europeista).
Così sono riuscito di nuovo a far manifestare Venere in Italia, Venere in carne
e ossa, davanti all'Altare della Patria a Roma (http://www.partitodellamore.it/diva_patria/amministrative/003/i01.html).
STOP. Fine dei giochi. Se per Beppe, se per me per un altro verso, è stato
possibile fare cose ormai ritenute impossibili, così sarà possibile ancora per
altri, anche in questo momento.
D4- Mauro
Biuzzi, per l'anniversario del 2015, progetti in preparazione?
R4- Mauro BiuzziPer il sito che ho dedicato a
Beppe (http://www.beppesalvia.it/su_salvia/index.html) ho realizzato nel 2010
un documento audiovisivo in sedici episodi dal titolo Testamento, l'arte di morire all'Aurelio. Con mezzi digitali, la
cui novità, povertà e immediatezza mi garantivano di non cadere nel recinto di
genere, tentai la lettura microcosmica e macrocosmica della poesia e del poeta,
del luogo e del genio, del bottone e del cielo.
Testimonianza opposta alla
vincente teoria dei non-luoghi, sulla quale si fonda lo sterminio nichilistico
delle origini culturali delle popolazioni che il mondialismo rende funzionale
alla deportazione di masse aviotrasportate sullo scacchiere delle nuove
colonizzazioni, Testamento
semplicemente documenta la mortedel
Gran Tour e l'inizio di un vero pellegrinaggio, di un giro delle sette chiese
nei luoghi poetici e urbani della passione terrena mia e di Beppe. In tal modo
superando e ricentrando anche i modi della deriva situazionista, a suo modo
interstiziale e decadente, territoriale e retro-avanguardistica insomma.
Su quell'epigrafe
monumentale di due ore e mezzo, si basò la tesi di laurea in Storia della
Comunicazione di Giovanna Buco su Beppe
(https://www.yumpu.com/it/document/view/15712257/universita-degli-studi-della-tuscia-facolta-di-lingue-beppe-salvia).
L'audiovisivo che girammo in digitale era destinato alla sola visione nel web,
dove continua a poter essere visto nella totale promiscuità che vige in quei
nuovi sotterranei dell'immaginario del terzo millennio, sfuggendo così alle
camere ardenti culturali alle quali Beppe si era già sottratto keatsianamente.
Mi è stato chiesto di creare,
con la proiezione di Testamento, una
serata celebrativa del trentennale della morte di Beppe nel più importante
cineclub storico di Roma, spazio collocato al confine tiberino dell'Aurelio, dove
ad un giovane volenteroso nei primi anni settanta bastavano poche fermate del
bus 98 per poter scoprire grandi maestri di tutto il mondo (Michael Snow, Peter Kubelka, Steve Dwoskin, Stan
Brakhage,GregoryMarkopoulos, Mario Schifano). Sto valutando la possibilità
di farlo senza snaturarne l'estetica e l'etica, insomma la forma complessa ma
perfettamente compiuta di quel mio modesto contributo, a fronte della grandezza
del tema.
Messaggio di fine anno del presidente della UILS, Antonino Gasparo
Il
presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollecitato le
forze politiche e sociali, maggioranza e opposizione, a prendere atto
della grave situazione in cui si trova il Paese. Chiede più coesione,
per compiere scelte idonee urgenti, per risolvere la precarietà
occupazionale e produttiva, in modo di riacquistare la fiducia dei
mercati, come lo era negli anni ottanta.
L’appello
è rivolto a tutti i ceti sociali affinché si sottopongano ai necessari
sacrifici economici, anche se pesanti, al fine di uscire dalla crisi che
sta travolgendo il Paese in modo irreversibile. La UILS condivide
l’invito e le preoccupazioni del presidente della Repubblica. La UILS
considera il presidente della Repubblica come il capo di una grande
famiglia cosi come di e sempre definito Sandro Pertini in avvenimento
quando si trovava insieme ai lavoratori sia in Italia sia all’estero e
gli riconosce il saggio dovere di indicare ai membri della famiglia la
strategia per evitare di cadere in disperate situazioni. Questo sarebbe
il dovere morale di ogni padre responsabile che ama la famiglia,
disposto anche a donare piacevolmente la propria vita pur di salvare il
benessere, l’onore e il prestigio famigliare. La UILS ritiene che il
presidente della Repubblica dovrebbe prendere una esemplare iniziativa
riducendo il suo emolumento a euro 3.000 mensili. Tale esempio sarebbe
considerato dalla collettività un gesto d’amore verso il paese.
Sicuramente sarebbe gradito da tutti i cittadini e tutti seguirebbero il
suo assennato esempio nel sopportare i sacrifici imposti dai governi.
Per leggere l'articolo integrale e per conoscere le proposte della UILSclicca qui.
La scuola veicolo di cultura
tra la tradizione e la classicità del moderno da Dante a Pascoli: due
Anniversari da non dimenticare
Il Sindacato Libero Scrittori Italiani lancia il
ruolo della classicità nella contemporaneità delle culture./Pascoli a 160 anni
dalla nascita nell’Anno di Dante e il ruolo della scuola nel Progetto del
Sindacato Libero Scrittori Italiani./Francesco
Mercadante e Pierfranco Bruni: “La scuola veicolo di cultura tra la
tradizione e la classicità del moderno per il 2015, un invito per rileggere la
civiltà dell’umanesimo dei linguaggi in un confronto tra i saperi profondi” -
Giovanni Pascoli/Anniversari/sindacatoliberoscrittoritaliani/Dopo
il Centenario della morte - 1912 celebrato con incontri e un convegno
internazionale si ricorda e si celebra Giovanni Pascoli a 160 anni dalla
nascita (1855). Un avvenimento che si lega alla rilettura della letteratura
italiana e non solo del Novecento e permetterà un confronto a tutto tondo, soprattutto
nei Licei, su Pascoli e il mondo classico perché alla luce di questo
anniversario si propone una rilettura degli scritti pascoliani su Dante di cui
si celebrano i 750 anni dalla nascita.
Su entrambi, Pascoli e Dante, il Sindacato Libero
Scrittori e la Fuis
hanno lavorato e continuano in un progetto che li vedrà impegnati per tutto il
2015 e l’obiettivo è quello di aprire due finestre sul mondo della cultura: la
scuola di ogni ordine e grado e un confronto molto aperto e serrato con il
mondo scientifico. Metodologia didattica e funzione storico – bibliografica –
scientifica sono i due percorsi che il SLSI – FUIS si sono proposti per un
dialogo soprattutto con le nuove generazioni.
Il Pascoli celebrato tra il 2012 e 2013, nel
Centenario della morte, con le diverse edizioni del saggio di Pierfranco Bruni
e Marilena Cavallo, “Il mare di Calipso” (Pellegrini), ha avuto un riscontro
straordinario sia in Italia che in molte realtà culturali di Paesi esteri. Con
il ricordare Pascoli non si vuole ripartire dal Centenario, ma l’obiettivo è
quello di portare nella dialettica culturale gli studi di Pascoli dedicati a
Dante. Un Pascoli non conosciuto, quello che ha affrontato, studiato Dante
pubblicando dei saggi che oggi risultano di grande interesse perché scavano in
una chiave di lettura completamente originale.
Francesco Mercadante,
Presidente del SLSI, ha dichiarato che “Stiamo portando avanti un lavoro che
lascerà il segno e il nostro compito è sempre più quello di aprire confronti
all’interno di una cultura che resta profondamente legata alla tradizione, ma
si ritrova a fare i conti con un dibattito contemporaneo che è sempre privo di
riferimenti o di elementi culturali leggeri. Noi vogliamo partire dai
riferimenti forti e profondi per discutere”.
I 160 anni dalla nascita di Pascoli (nel 2015) sono
un elemento per ritornare su un Pascoli che, come ha affermato Pierfranco
Bruni, Vicepresidente del SLSI, e coautore del saggio su Pascoli, “è
completamente fuori dalla visione schematica del ‘filosofo’ del fanciullino,
sul quale bisognerebbe ritornare proprio per alcuni elementi di grande
interpretazione del mondo orientale, e poi perché è necessario, proprio nel
2015, leggere Dante, del quale mi occupo in una stretta relazione con il
pensiero del Novecento, anche attraverso gli scritti di Pascoli che hanno una loro
profonda venatura metaforica. Questo perché ormai il SLSI si è aperto
completamente ad un confronto con i giovani e con le realtà scolastiche, e con una
nuova classe docente e dirigenziale, attraverso studi che riguardano anche la
tipologia delle Antologie e dei testi di letteratura adottati nelle scuole. Il
Sindacato Libero Scrittori ha anche il diritto e il dovere di salvaguardare la
libertà delle culture”.
Pascoli, una nuova discussione nell’anno di Dante,
abbraccia sostanzialmente tutta la storia della letteratura italiana dal
Medioevo al primo Novecento.
In Francia i musulmani erano concentrati nel 1939-1940 oltre metà a Parigi ove, ascendevano a circa 60 mila ed avevano una bella moschea, inaugurata solennemente al termine del primo conflitto mondiale e costruita con i contributi governativi. Nel 1926 era stata anche fondata presso di essa l'Istituto musulmano, nel quale si tenevano corsi di lingue e di religione. Nel 1934 era stato pure inaugurato un grande ospedale, costato 25 milioni, e la municipalità di Parigi aveva ceduto il terreno per un cimitero, mentre erano stati già costruiti edifici moderni particolarmente ad uso dei numerosi marocchini, tunisini ed algerini, ospiti della capitale, anche in ragione dei contatti della Francia con le sue colonie. Era esponente della comunità musulmana nordafricana il noto sidi Kaddur ben Gabrit, presidente della Société des Habous des Lieux Saints de l'Islam, costituitasi nel 1917. In Germania sorgeva una moschea a Berlino, ove si pubblicava l'organo panislamico al-Ittihad al Islam. Nella capitale tedesca vi era anche un'associazione della quale era presidente il convertito dottor Hamid Marcus e segretario l'imam indiano dottor S.M. Adbullah. Un altro gruppo islamico esisteva a Vienna, in Austria, ove aveva sede una forte associazione islamica. A Praga un altro organismo musulmano raggruppava elementi anche stranieri convertiti ed aveva esponenti hag Mohammed Abdallah Briskius e fraulein Azizah Illinger. Nell'Europa centro.orientale vi era un'altra moschea in costruzione a Varsavia ed un'altra a Budapest. In Jugoslavia i musulmani erano compatti, ma non godevano della piena libertà religiosa e questo dava luogo a lamentele. Tuttavia essi hanno a disposizione centinaia di moschee, scuole elementari, istituti superiori, tribunali e altre istituzioni ed erano anche rappresentati nella pubblica amministrazione. Nel governo jugoslavo si annoveravano 30 deputati e senatori. Hanno diversi giornali e riviste, oltre che tipografie, soprattutto in Bosnia. Serajevo era il centro dell'Islam slavo con oltre il 50% della popolazione e 100 moschee. La maggior parte di tali organi era in territorio croato e anche bulgaro. Forte l'Islam albanese, con il centro culturale di Tirana. Anche in Grecia, in quel periodo, si stava costruendo una grande moschea. -8 , continua. Casalino Pierluigi, 31.12.2014
Passando alle Americhe, nel 139-1940 le statistiche relative alla diffusione dell'Islam offrivano i seguenti dati: Canada 0,006%, USA 0,14%, Guyana olandese 25%, Guyana britannica 68%, Guyana francese 6%, Brasile 0, 06 %, Venezuela, Colombia e Argentina insieme 0,1%. In altri termini i musulmani costituivano dunque lo 0,10% della popolazione del Nord America e lo 0,12% del Sud e del Centro America. Non era priva, però, di interesse qualche notizia circa il rapido sviluppo dell'Islam in quelle terre. Quanto al Brasile, si faceva notare la costituzione nel 1934 dell'Associazione della Gioventù musulmana" con programma culturale e religioso, e l'esistenza in Brasile di colonie siriane e libanesi,composte anche di cattolici peraltro. Le associazioni arabe erano, tuttavia, ben organizzate. Nel 1939-1940, negli USA su 175 mila musulmani ben 75 mila erano convertiti americani. Non si contavano le moschee e le associazioni islamiche, in continua espansione in tutto il Paese.La propaganda era attiva ovunque, specialmente nei grandi centri e si registrava anche una nazione islamica nera se pure in formazione. Negli USA le conversioni avvenivano al ritmo di 15 mila all'anno, secondo stime locali. Oltre ai musulmani tradizionali, sunniti e shiiti, tra i neri fiorivano le sette eterodosse dei Bahai e degli Ahmaddiyyah, Si aveva notizia anche del "The Moorish Holy Science Temple, associazione dei neri massonici. Riguardo all'Oceania la statistica del tempo offriva una cifra apparentemente esigua rispetto a quanto avvenuto in modo impressionante dalla metà del XX secolo ad oggi. Non è un caso, comunque, che già da allora (1939-1940) si segnalava un movimento sensibile di crescita dell'Islam: il proselitismo era attivissimo nelle isole Gilbert, nelle Ebridi, nella Nuova Caledonia e qualche traccia si coglieva in Australia e New Zealand. Per l'Europa e i paesi sovietici, i dati disponibili erano i seguenti: Inghilterra 0,1%, Francia 0,3%, Finlandia 0,2%, Germania 0,3%, Albania 57%, Jugoslavia 12%, Bulgaria 15%, Ungheria 15%, Grecia 2%, Romania 1%, Polonia 0,4%, Lituani 0,1%, Russia sovietica e tutto il resto dell'URSS 0,3%, Crimea 56%, Kazan 65%, Isole italiane dell'Egeo 10%, altri paesi percentuali non pervenute al tempo. In complesso i musulmani in Europa rappresentavano in totale l'1,1% della popolazione residente. Circa gli sviluppi dell'espansionismo islamico, in ogni caso percepito in ascesa, occorre dire che nel Regno Unito esisteva la "British Moslem Society", centro Londra, della quale fu presidente Lord Headly, morto nel 1936, I musulmani inglesi erano ancora a livello di 5 mila, la maggior parte a Londra e diversi erano di famiglie ragguardevoli. Fra di essi avevano grande influenza le correnti Ahmadiyyah e questo appunto aveva fatto sì che , alla morte di Lord Headly, il suo successore Omar Stewart Rankin, essendosi opposto a tale corrente, aveva dovuto rassegnare le dimissioni. Il Rankin era divenuto a sua volta presidente della nuova Associazione musulmana sunnita della Gran Bretagna per la diffusione dell'Islamismo secondo gli insegnamenti di el-Azhar. Di questa nuova associazione era segretario un egiziano e contava subito di 150 membri, tolti alla società rivale. A questo movimento ortodosso aderiva l'Istituto musulmano del professor el-Mawgi, ove si insegna la lingua araba. Oltre alla moschea degli Ahmadi di Woking, ve ne era un'altra indiana nel East End. 7- continua. Casalino Pierluigi, 31.12.2014
Simile al fenomeno indiano degli intoccabili è quello della conversione e dell'elevazione religioso-sociale dei negri pagani dell'Africa Occidentale, si diceva nel 1939-1940. Meno organizzati degli indiani, si sottolineava, apparivano ugualmente disposti a cambiare credo e fede, poiché sentivano, a dire di chi li frequentava, i limiti dei loro culti, desiderando di promuoversi socialmente, oltre che, bisognava riconoscerlo, economicamente. Il negro, si faceva allora presente, poteva trovare tali aspirazioni largamente e facilmente nell'Islam (il caso della conversione all'Islam wahhabita- saudita- del Gabon alla fine del XX secolo, ne è stata una riconferma in seguito), che quindi incontrava un terreno ben disposto alla sua propaganda. Esso Islam, infatti, sembrava (e sembra ancora con i mezzi finanziari che oggi ha a disposizione) un livello civile ed una credenza religiosa effettivamente superiore al primitivo animismo e soprattutto avvinceva con la sua larga accondiscendente legge morale piuttosto assolutoria e comunque percepita dalle popolazioni negre semplice o rudimentale. Per di più la società islamica nella sua solidale coesione sociale sembrava, peraltro, garantire al neo-convertito quell'aiuto di cui ha bisogno. Inoltre la già citata facilità del dogma, la scarsezza e semplicità degli obblighi religiosi, l'assenza di misteri che conturbino la mente e il fondamentale concetto di uguaglianza che si manifestava (e tuttora si manifesta) nell'uso del comune copricapo, portato tanto dal sovrano che dal più umile fellah. Tutte considerazioni che spiegavano (e continuano a spiegare) il successo della marcia trionfale e conquistatrice dell'Islam. I missionari cattolici, infatti, affermavano (e in genere lo affermano ancora ai giorni nostri) che i musulmani riuscivano assai prima di loro a formare dei propagandisti fra i convertiti, di quello che essi non ottenevano (o non ottengono) per istruire dei semplici catecumeni. Nel Nyassa, in dieci anni, la penetrazione musulmana, si notava, era stata generale e generalizzata, se non addirittura irrefrenabile e travolgente: erano già presenti in ogni villaggio con la loro capanna-moschea. Nei possedimenti francesi, che costituivano tanta parte del Nord e dell'Occidente dell'Africa, l'Islam trovava in ogni caso un ottimo alleato nella politica francese, protettrice ad oltranza dell'Islam, anche a fini di tutela degli interessi coloniali. Altri mezzi della diffusione era segnalata la propaganda spicciola dei commercianti musulmani, che da centri costieri si spargevano nell'interno e risalivano i fiumi, spingendosi fino al Ciad, dall'altro lato era l'azione di carattere apparentemente ascetico dei marabutti o capi religiosi, che tenevano a far setta e ve ne erano stati e ve ne sono tuttora, che hanno un seguito anche di varie migliaia di fedeli. Inoltre l'Islam aveva, come riferivano sempre i missionari cattolici e cristiani in genere, le sue forme strategiche d'azione: ad esempio era riuscito a convertire gli Hussa nigeriani, nella zona di Kanu, il quali trovandosi a controllare geograficamente le vie della Guinea al Ciad, avevano cominciato a svolgere una lenta penetrante opera di accerchiamento dei negri delle foreste del Niger e del retroterra guineiano. I notabili musulmani avevano creato un vero impero e condizionavano le sorti dei commerci e dei traffici in concorrenza con i negri cristiani del sud, in questo, si ribadiva, con l'aiuto o complicità degli inglesi, in ossequio alla loro tradizionale politica del divide et impera. Quanto, poi, al Sudan francese, in particolare, colpì la pubblica opinione francese e non solo francese, la relazione del vescovo missionario Monsignor Molin, Vicario Apostolico di Bamako (oggi Mali), apparsa sulla Croix di Parigi il 23 marzo 1932 - che fu a suo tempo riprodotta e riportata su vari organi scientifici, oltre che missionari. L'interesse del documento, di grande attualità ancora ai nostri giorni, trascendeva l'importanza contingente e del territorio al quale si riferiva, per la capacità di analisi e di prospettiva. A proposito dei mezzi sussidiari di propaganda, il prelato francese scriveva: "...gli agenti della propaganda musulmana sono numerosi; sono funzionari indigeni, soprattutto interpreti, intermediari necessari fra i negri e il personale francese dell'amministrazione coloniale, il quali riservano ogni favore ai loro correligionari,....rappresentanti di ditte commerciali europee, i quali nei villaggi dove si stabiliscono per l'acquisto di prodotti locali, fondano spesso accanto al loro negozio una scuola coranica...Ma in ispecie voglio nominare quei parassiti odiosi rappresentati dai marabutti...profittatori senza scrupoli della credulità popolare dei neri, essi incutono terrore con il loro atteggiamento deciso e violento, con il loro sguardo minaccioso...si mostrano religiosi...inoltre essi lusingano il loro (dei negri) spirito di indipendenza e predicando la liberazione dei negri da parte dell'Islam...Ciò che fa loro (ai neri) preferire così l'Islam alla religione cattolica, quando la conoscono poco, non è la fede in Maometto, ma è il fatto che l'Islam non chiede loro nessuno sforzo, nessun catechismo da imparare, nessuna morale fastidiosa e soprattutto nessun ostacolo da superare, prospettando come desiderabile e raggiungibile la poligamia. I neri, continua Molin, sono tutti convinti che il cattolicesimo è la vera strada di Dio (diceva un catechista indigeno), ciò che impedisce loro di seguire la strada è il fatto che hanno e vogliono prendere parecchie mogli. Anche però fra i negri molto dipende dall'indole della razza o da un vario complesso di circostanze interne ed esterne". Ad esempio, nel Congo belga, si raccontava, gli indigeni erano refrattari al fenomeno musulmano e fioriscono, invece e vi sono d'altra parte ben organizzate ed attive le missioni cattoliche. 6-continua Casalino Pierluigi, 31.12.2014
Come prevedibile da troppi indizi, Matteo Renzi, pur sempre meno caro agli elettori che lo premiarono alle Primarie (la rottamazione si sta rivelando un riformismo appena un poco Craxiano e nulla più) sul piano mediatico centra un nuovo bersaglio, poi come spesso... di mezzo c'è il mare (tra vecchio PD, i sindacati, la casta Pubblica, vero serbatoio di voti ecc. anche i suoi limiti purtroppo ormai visibili).
Mica ha torto Matteo quando in questi giorni prende finalmente di mira la PA e annuncia "a casa i fannullonii!".
Tuttavia se il disorso non fa una piega, è assai più complesso di qualche anche affascinante spot alla Toscani... Dati ufficiali recenti rivelano ad esempio (o meglio confermano quel che si sa da decenni...: nel Trentino il costo virtuale per la PA è circa 7 euro per italiano, nelle Isole e al Sud, oscilla sui 100 euro e oltre! ERGO se da Roma in su certo fantozzismo ben noto è quasi solo fisiologico, da Roma in giù il Rasoio di Occam sarebbe necessario.
Da Roma in su semmai andrebbe applicato ai Vertici dissipatori e privilegiati (e troppe unità umane ) non certo alla base (salvo casi fisiologici), anche se prima o poi anche nelle aree dal cartellino soddisfacente, troppe unità umane comunque superflue dovranno pur essere dislocate altrove.
Ferrara anche in questo senso, come nella fu Regione Rossa, spicca... Si pensi soltanto ai troppi Dirigenti pubblici, Ferrara Arte e Ferrara musica incluse...eccetera... Info ulteriori
Nel 1939 l'Islam in Africa contava in media il 37% della popolazione, con forti disparità da zona a zona: infatti a nord e a nordest raggiungeva l'82%, nell'est l'8%, nell'ovest il 32%, al centro il 4% e nel sud soltanto il 2%, con le seguenti suddivisioni in agglomerati musulmani per percentuali: Marocco francese e spagnolo il 97% della popolazione, Algeria l'82% della popolazione, Tunisia il 93%, Egitto il 91%, Libia italiana il 94%, Sudan anglo-egiziano il 66% , Rio de Oro il 99%, Africa Occidentale francese il 60%, Africa Equatoriale francese il 99%, Somalia francese il 99%, Somalia britannica il 100%, Africa Orientale italiana il 37%, Gambia il 50%, Togo anglo-francese il 10% circa, la Guinea portoghese il 20%, la Sierra Leone il 30%, la Nigeria del Nord e quella del Sud il 78%, il Camerun anglo-francese il 25%, il Congo belga lo 0,2%, l'Africa Orientale britannica il 30%, Nyassaland l'11%, Fernando Po il 4%, Isole Riunione etc. francesi il 3%, Isole Maurizio etc. britanniche il 12%, Mozambico il 4%, L'Unione Sud-Africana il 2%. Dalle cifre suesposte appare chiaramente come il paese islamico dell'Africa era l'Egitto, seguito dalle due Nigerie, e dai territori francesi del nord e ovest. Nel Nord-Africa si notava, specialmente in Algeria, un risveglio islamico con l'effetto di sorgere di varie associazioni per riorganizzazione la base musulmana dal punto di vista religioso-sociale-politico. Fra i gruppi di più recente formazione si distingueva l'"Associazione degli Ulema" (una sorta di iniziativa ante-litteram di reislamizzare l'Islam - come si assisterà negli anni Novanta in Algeria con le cruente vicende che si ricordano- e di esportarlo con qualsiasi mezzo, secondo le osservazioni di molti), che puntava a "mettere in grado l'Islam, che ha diffuso le luci della civiltà all'Occidente, che era nelle tenebre, di diventare la fiaccola dell'umanità". Una riprova di un atteggiamento mentale, anche in quelle zone, dove i musulmani erano comunque in stragrande maggioranza, inteso a non abbandonare lo spirito espansionista ed aggressivo, dimostrando con periodici ritorni al persistere della tendenza missionaria e caratterizzata da un frenetico proselitismo. Il concetto panislamico abbinandosi anche quello politico nazionalista e internazionale islamico nel senso panarabo era molto sentito e manteneva vivo il fermento contro la Potenza coloniale dominante, la Francia. Se pur comprensibile, tale radicato modo di pensare non deponeva, a detta di chi studiava quei fenomeni, a favore di una rinnovata capacità di esprimere modernità e fantasia politica, continuando a guardare nostalgicamente al passato, senza aprirsi a prospettive nuove di trasformazione della società. Dopo la caduta dell'Impero Ottomano, la Turchia aveva assunto un carattere laico, disinteressandosi del problema religioso (oggi si assiste al fenomeno opposto con prospettive al momento imprevedibili) ed in parte opponendosi a manifestazioni di culto ed anche di antiche tradizioni. Tuttavia, già dopo la morte di Kemal Ataturk, il creatore della moderna Turchia, il governo di quel paese aveva vagliato progressivamente la sua funzione di grande potenza musulmana. Di fatto, peraltro, il quegli anni, era divenuto il centro propulsore dell'Islam mondiale, il cui fulcro morale era appunto l'ambiente cairino della celebre moschea e università di el-Azhar, autentico centro universale della cultura e della formazione islamica, nel cui seno si mirava a creare un movimento nettamente anti-occidentale e anti-cristiano. Non vi era un problema (e come sembra anche adesso) che interessasse tutto il mondo musulmano che non venisse discusso. ogni popolo, razza o stirpe musulmana vi era e (vi e) è rappresentata fra le migliaia di studenti e frequentatori. In questo ambiente, ostile ad ogni influenza occidentale e moderna, laica e riformista, si stava consolidando un'atmosfera propizia al fanatismo. Tale tendenza era sicuramente intesa, come spesso qualche attento analista del tempo faceva notare, a gettare le basi di un sistema pan-islamico o di fratellanza islamica, rigettando anche ogni modifica dottrinale: tra le diverse iniziative a difesa della purezza dottrinale si generavano movimenti internazionali volti a ripristinare il Califfato. In Egito la corrente dei "Giovani Musulmani" aveva lo scopo di diffondere instancabilmente il Corano e nel 1928 fu deciso di fondare scuole a scopo di combattere i missionari cristiani, concetto ribadito nel Congresso del 1930. Fino al 1940 era stato presidente di questo movimento era il dottor Abl-el-Hamid bey, noto per il suo passato politico ostile all'Occidente. L'azione missionaria si muoveva dall'Egitto verso la Cina, il Giappone e anche verso l'Etiopia. In Egitto le conversioni all'Islam da altre religioni si moltiplicavano e persino l'atteggiamento strettamente osservante del nuovo giovane kedivè Faruq, che godeva simpatie nei circoli dell'Islam ultra-ortodosso, faceva pensare ad una candidatura di tale personaggio al Califfato. Casalino Pierluigi, 30.12.2014
"Muore l’anno. E nulla ha ancora increspato il silenzio che trasporta
chissà dove la compianta Cassa di Risparmio di Ferrara. Neanche un
brusio di fondo: il silenzio è l’insostenibile colonna sonora del
disarmo della banca salvadanaio dei ferraresi"
Così l'incipoit di un intervento particolarmente brillante di Stefano Scansani su La Nuova Ferrara di cui è direttore, dedicato alla Storia Infinita e la Parabola sempre più defaultiana della Carife, l'ex banca del Partito... a Ferrara. Dopo l'ennesimo flop, post commissariamento degli ultimi giorni per un suo rilancio decente.
A parte una analisi globale tempestiva e molto verosimile, Scansiani ha - ci pare - certamente alzato il tiro evidenziando certa ferraresità negativa vertistica (per modi dire) dei Resti della Banca attuale che si riflette eccome nella questione, tra silenzio e omertà, alla faccia di chi già ne ha pagato le conseguenze e pare destinato in caso di defualt ufficiale a subirne ancora, ovvero tanti azionisti ferraresi stessi.
Va da sè: noi aggiungiamo alcune considerazioni peraltro anche più o meno tacite nella bella e pungente analisi di Scansani.
In ogni caso per certa Dirigenza pluriennale che ha evidentemente pilotato la Carife come fosse una diigenza nell'era informatica della Finanza... immunità e prescrizioni diversamente legali?
I link storici tutt'altro fantapolitici tra la Carife e il Partito, idem destinati soltanto a foraggiare complottismi innocui? Anche per la Carife, certa magistratura continuerù a giocare a golf con gli amici di D'Alema ecc.?
Visto l'andazzo anche elettorale, la probabile fine post commissariamento della Carife, in assenza di salvatori improbabili, è quasi vincere, purtroppo, un gratta e vinci truccato. Altra perla della Ferrara cattocomunista e della Finanza Rossa!
Nell'ebook La Grande Guerra futurista... Italo Balbo Trasvolatore, anche Sandro Giovaninnini, il celebre poeta filsoofo di Pesaro, da decenni protagonista della cultura italiana antagonista e politicamente scorretta. Promotore del Movimento Nuova Oggettività e membro de La Scuola Romana di Filosofia Politica, nata come dipartimento (con il compianto Gian Franco Lami) dell'Uni, La Sapienza di Roma. Anche neofuturista promotore del cosiddetto URFUTURISMO, l'ala letteraria del futurismo contemporaneo. Non ultimo recente curatore dei libri d'arte Tavolette per Heliopolis edizioni e autore del saggio rivoluzionario culturalmente parlando ..."... come Vacuità e Destino (NovAntico edizioni) Ecco (estratto) il testo di Sandro Giovaninni specifico su Italo Balbo Italo Balbo trasvolatore, eroe del volo o propaganda fascista? Italo Balbo rappresenta paradossalmente una figura non rarissima per quella specifica temperie epocale. Incredibilmente potrei citare a riprova decine di figure inassimilabili agli standard odierni, che escludono ferreamente, ad esempio, che oggi un famoso professore universitario possa essere anche più che un eccellente pilota, od un trasvolatore primario delle Ande anche un raffinato scrittore e disegnatore. Vittorio Beonio Brocchieri iniziatore della disciplina della filosofia politica a Pavia ed Antonio Locatelli, anche Podestà di Bergamo, tre medaglie d’Oro e quindi il più decorato in assoluto della storia d’Italia, dalla fondazione. Due soli esempi, dei dieci o venti che potrei fare, a sfatare un luogo comune che, nella spaventosa pochezza dei nostri attuali tempi, regge ed assimila il bla-bla del treno di casa, ormai comune a quasi tutti, incolti ovviamente e massivamente ormai anche cosiddetti colti. In tal modo si rovescia la domanda e ci si potrebbe chiedere: perché alcune temperie spirituali favoriscano una fuoriuscita dagli schemi ed altre invece ti affossino dentro i medesimi? Perché, a fortiori, nelle epoche che sembrano facilitare la mobilità fisica e mentale, imperi invece una sostanziale e spaventosa medietudine? E perché in tali epoche quasi solo l’anticonformista da salotto impazzi opponendosi occhiutamente alla beceraggine diffusa ed alla disinformazione orchestrata? E perché una normalità eminente sia oggi il massimo dell’anticonformismo? Italo Balbo quindi come una sorta di potente cartina di tornasole, protocollo di un’usualità indicibile, ininvestigabile, ma se utilizzata, diagnostica.
Italo Balbo squadrista, solo un demone del regime cosiddetto? - Italo Balbo nasce come ardito e si mantiene credibilmente come tale. Quindi al 90% (…anche se non si può dire…) naturaliter fascista (il 10% residuavano, forse, in qualità di Arditi del Popolo). Un daimon certamente, ma - mi ripeto - considerandolo nella sua normalità… Anche molti che non prendevano la tessera del PNF, magari erano più fascisti degli iscritti. Mio Padre, ad esempio, ufficiale pilota pluridecorato, non fu mandato in Spagna su sua pressante richiesta e con suo grandissimo rammarico, dall’Africa Orientale Italiana ove era il subalterno con più ore di volo bellico, perché non si era voluto iscrivere al Partito Nazionale Fascista, pur essendo persino l’aiutante di volo - sostituto - del Viceré. In questo la burocrazia rimane sempre tale e sempre sconnessamente efficiente. Ma gli arditi sono altrettanto sempre delle figure estranee alla e dalle burocrazie…
Sono
stati numerosi e lusinghieri gli apprezzamenti pervenuti da tutta
Italia all'ufficio stampa dell'artista Mimmo Centonze da parte di
prestigiose personalità del mondo dell'arte e della cultura tra cui
critici e storici dell'arte, giornalisti e collezionisti d'arte che
hanno voluto complimentarsi con l'artista per la grande mostra
"Capannoni nel capannone", appena inaugurata a Matera.
LA NOTIZIA
MATERA - Il 2014 è stato l'anno di chiusura di una mostra del tutto speciale ed "unica" nel mondo dell'arte della Città dei Sassi, un evento che ha partecipato attivamente alla candidatura di Matera quale "Capitale Europea della Cultura 2019" - di cui ha avuto il patrocinio. Stiamo parlando di "Capannoni nel capannone", la mostra personale dell'artista Mimmo Centonze promossa dalla Soprintendenza per i Beni Storici ed Artistici della Basilicata e curata dalla Dott.ssa Marta Ragozzino.
Unica sotto vari punti di vist
a, a cominciare dalla straordinaria durata dell'esposizione. Sono stati infatti ben nove i mesi di apertura al pubblico
(dal 18 ottobre 2013 fino al 6 luglio 2014), una cifra davvero
ragguardevole considerando la durata media di una mostra, di circa un
mese per una mostra in una galleria d'arte fino ad arrivare ai circa sei
mesi di una rassegna di grandissimo rilevo come la Biennale di Venezia,
alla quale Centonze ha già partecipato esponendo nel Padiglione Italia
di Venezia nell'edizione del 2011 curata da Vittorio Sgarbi.
Per la prima volta nella storia della Città di Matera, inoltre, è stata realizzata una rilevante esposizione monografica suddivisa in due eccezionali e contrapposte sedi espositive, tra l'altro mai prima d'ora abbinate. La prima sezione della mos
tra è stata visitabile in una sala del Museo di Palazzo Lanfranchi e ha raccolto una selezione dei primissimi lavori del 2008, di piccole e medie dimensioni:
raffinati dipinti di interni industriali bagnati da una luce
seicentesca dal sapore quasi fiammingo, caratterizzati da una
rappresentazione realistica impostata su delicati toni di grigio. Una
mostra intima, 'da camera', in confronto a quella di impostazione più
grandiosa e 'sinfonica' presentata nella seconda sede della mostra, il Laboratorio di Restauro, l'imponente capannone di restauro della Soprintendenzaprogettato dall'architetto Vincenzo Baldoni inaugurato come spazio espositivo proprio in occasione della mostra su Centonze,
ubicato nella zona industriale della città proprio a pochi passi dallo
studio dell'artista nel quale hanno preso vita i dipinti sui capannoni.
Da qui il tema della mostra, "Capannoni nel capannone". In questa sede,
una sorta
di cattedrale post-industriale a tre navate dove i capannoni dipinti
dall'artista sono stati finalmente 'restituiti' al luogo ideale dove
sono nati, sono stati presentati i grandi teleri dedicati al tema dei capannoni, opere di grandi dimensioni e dalla forte intensità emotiva, di
impatto drammatico e dalla stesura inquieta e densa di tensione, che
disorientano e attraggono il visitatore come la luce sul fondo di una
caverna.
Un mostra unica anche per le eccezionali proporzioni degli spazi espositivi,per l'originalissimo allestimento e per il numero di opere esposte,provenienti da collezioni italiane pubbliche e private. Un grande entusiasmo ha colto di sorpresa il
pubblico presente all'inaugurazione della mostra di Mimmo Centonze
quando, al taglio del nastro, ha potuto finalmente apprezzare il sorprendente allestimento delle grandi opere esposte nel grandioso spazio del Laboratorio di Restauro della Soprintendenza, che accoglie perfettamente le opere dell'artista. Un immenso capannone di 1000 metri quadri, una sorta di
cattedrale post-industriale a tre navate, nel quale i capannoni di
Centonze sono stati calati dal soffitto come delle grandi quinte
teatrali che sembravano scendere e risalire per mezzo di funi di acciaio
ancorate al pavimento. L'allestimen
to delle circa 60 opere (delle più di 70 opere in totaleconsiderando
quelle esposte nell'altra sede della mostra, in una sala del Museo di
Palazzo Lanfranchi) è stato posto su più binari visivi e ha fatto sì che
il visitatore della mostra sia stato rapito da un affascinante
rincorrersi del fronte e del retro delle opere, sospese nello spazio del
capannone in un disarmante e sincero svelarsi dei supporti sui quali
sono state dipinte: tela, cartone, tavola e ferro.
Mimmo Centonze ha dichiarato: "Sono il primo ad essere rimasto stupefatto da questa mostra. Non credevo si realizzasse davvero in quanto, a tre settimane dall'inaugurazione, il
grande capannone del Laboratorio di Restauro della Soprintendenza
sembrava proprio uno dei miei capannoni: pieno di oggetti abbandonati,
fotocopiatrici rotte e vecchi armadi dissestati. Ma poi il miracolo. Il
Soprintendente Marta Ragozzino, insieme all'efficientissima
squadra di lavoro della Soprintendenza, mette in moto un potente
meccanismo inarrestabile che infine riesce a compiere il tutto. Lo dico
sinceramente: sono sbalordito. E sono andato anche oltre, per
ovvie ragioni inevitabilmente legate alla mia città, le esperienze fatte
finora: questa idea di esporre i miei dipinti sui capannoni in un
capannone reale, a pochi passi di distanza dal mio studio dove sono nate
queste opere, è stata un'esperienza unica e forse irripetibile".
In occasione della fine dell'anno 2014 pubblichiamo, qui di seguito, il video integrale di "Capanne, capannine e capannoni", l'affascinante spettacolo inedito scritto e interpretato dallo scatenatissimoscrittore e giornalista di Rai 1 Guido Barlozzetti realizzato in occasione della mostra "Capannoni nel Capannone" e rappresentato in prima assoluta il 17 aprile 2014 durante l'apertura dell'esposizione.
MATERA - "Capanne, capannine e capannoni", lo spettacolo scritto e interpretato dallo scatenatissimo scrittore e giornalista di Rai 1 Guido Barlozzettipresentato
in prima assoluta giovedì 17 aprile 2014 a Matera, presso il
Laboratorio di Restauro della Soprintendenza, una delle due sedi di
"Capannoni nel capannone", la mostra personale dell'artista Mimmo
Centonze promossa dalla Soprintendenza per i Beni Storici ed Artistici
della Basilicata, curata dalla Dott.ssa Marta Ragozzino.