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lunedì 14 luglio 2014

Intervista di Alessia Mocci a Francesca Luzzio ed alla sua raccolta Liceali – L’insegnante va a scuola


“Primo giorno di scuola: incontri, abbracci, sorrisi. Un pullulare di allievi riempie l’androne d’ingresso dell’edificio: alcuni ragazzi riuniti a crocchi discutono, sorridono, raccontano; altri si chiamano ad alta voce, si raggiungono, si abbracciano; altri ancora, a coppie si appartano, come “colombi dal disio chiamati”.”

Il primo giorno di scuola, tra dubbi e gioie, è un evento che segna fortemente ogni anno milioni di giovani in tutto il Mondo. La scuola è, oltre ad un centro educativo e culturale, anche un ritrovo per amicizie durevoli che accompagnano ognuno di noi nel corso della vita.

Ci troviamo di fronte ad un’età importante, nella quale la crescita personale, mentale e fisica, è una costante. Francesca Luzzio nella sua raccolta “Liceali – L’insegnante va a scuola” interpreta il mondo della scuola attraverso gli occhi attenti di un’insegnante sui suoi allievi.

La raccolta, edita nel 2013 da Genesi Editrice nella collana “Le Scommesse”, si interroga su alcune esperienze che interferiscono con la vita e che cambiano fortemente un individuo. Si incontreranno durante la lettura personaggi che cercano di trovare la felicità per la propria vita in una società tragica che trascura il singolo per un’idea di collettività troppo ampia per permettere il benessere di tutti.

Incontreremo l’insegnante, madre e sposa, che si innamora perdutamente di un suo allievo; l’allieva in stato interessante; l’allievo in crisi perché non si capacita della sua propensione sessuale, la giovane che fotografa il suo corpo per sentirsi amata; gli allievi che pensano alla droga come unica soluzione.

L’autrice Francesca Luzzio si è dimostrata molto disponibile nel parlare di se, della sua attitudine poetica e prosastica e del suo “Liceali”. Buona lettura!


A.M.: Ciao Francesca, partiamo dagli inizi della tua carriera. Raccontaci qualcosa di “Cielo grigio”, una tua silloge edita nel 1994.

Francesca Luzzio: La silloge “Cielo grigio”è del 1994 e nasce da un’ampia selezione di poesie scritte in precedenza.  Avevo undici anni quando composi  la mia prima poesia che cominciava così: “Le prime luci si accendono in città/ le prime lacrime solcano il mio viso/ ...”   e con il suo procedere anaforico insisteva sulla tristezza che allora caratterizzava i miei giorni, intrisi da tanti piccoli problemi, seri allora per me, ossessionanti talvolta. Di indole particolarmente sensibile ho sempre trovato nella scrittura il sistema migliore per comunicare e liberare emozioni, sentimenti, riflessioni nati dalle vicende della mia vita o dall’osservazione della realtà e del contesto sociale in cui vivo, pertanto la pagina bianca è sempre stata la mia migliore amica, quella alla quale comunicare gli strati più profondi del mio sentire.  Dopo  quella prima pubblicazione, che praticamente ha lasciato inedita la maggior parte della produzione adolescenziale, sono seguite con lunghi  intervalli temporali,  le raccolte “Ripercussioni esistenziali” e “Poesie come dialoghi”, caratterizzate in genere  da una costante perorazione della mia  umanità, spesso logorata e resa ottusa dalla banalità del quotidiano, e dalla ricerca di verità nella mia vita e nel contesto socio-politico ed economico in cui vivo ed opero. Insomma i temi proposti sostanzialmente non mutano, né in linea di massima la forma che, pur evolvendosi nel tempo, si è sempre adeguata ad una medietà  linguistico-espressiva, ad una logica strutturazione morfo-sintattica, che ritengo fondamentali affinché i lettori si accostino di nuovo alla poesia.  A tale riguardo  ho scritto  un  articolo, “Dove va oggi la poesia?” per il quale sono stata premiata da “Nuove lettere”, a  Napoli e che funge anche da prefazione ad una antologia che raccoglie i testi prodotti dagli allievi in occasione di un corso di  scrittura creativa,  tenuto  presso il Liceo scientifico S. Cannizzaro di Palermo, scuola nella quale ho insegnato per molti anni della mia carriera di docente. La conclusione a cui pervengo in un profilo saggistico sulla “Funzione del poeta nella letteratura del Novecento ed oltre” sostiene sostanzialmente la stessa tesi: l’urgere di modalità  espressive comprensibili ai più, in maniera tale che il lettore, conclusa la lettura di una poesia, non si chieda cosa significhi. La raccolta di racconti e poesie, “Liceali – L’insegnante va a scuola” si attiene anch’essa a questa medietà  linguistica.  Soprattutto nei racconti, il dialogo dei giovani è spesso costellato di termini tipici del loro slang; l’uso di tale gergo nasce da una esigenza di realismo e sicuramente non costituisce una remora alla comprensione immediata  sia perché è accompagnato da note esplicative, sia perché la  rende più immediata e fruibile ai giovani lettori a cui principalmente i racconti  sono rivolti. Considerato che parlare della mia prima silloge poetica mi ha praticamente indotto a esporre la mia poetica e parte del mio curriculum, aggiungo che sono inserita in parecchie antologie,  ho partecipato a concorsi ( Pr. Poesia: Alda Merini, Giardina, Marineo, Nuove lettere, etc..), ricevendo premi e riconoscimenti e che molti critici si sono interessati della mia produzione letteraria (Franca Alaimo, Giorgio Barberi Squarotti, Enza Conti, Gregorio Napoli, S. Gross-Pietro, etc...). Infine mi pare opportuno rilevare che sono socia dell’Accademia internazionale Il Convivio,  dell’Accademia siciliana di cultura umanistica, etc..., che sono componente del Consiglio direttivo dell’Ottagono letterario (Ascol-Palermo). Come critico letterario collaboro con alcune riviste: Le Muse,  Il Convivio, Il Bandolo, Vernice, Il Salotto degli autori, etc..;  ho partecipato  alla stesura degli studi “Poesia italiana del Novecento “ e “Narrativa italiana del Novecento”, pubblicati dalla rivista didattica “Allegoria”, diretta da R. Luperini (1995).


A.M.:  “Liceali – L’insegnante va a scuola” è una raccolta di esperienze non solo di liceali, come ben sottolinea il titolo, ma anche di genitori adulti. Come ti è venuta l’idea di intraprendere questo viaggio nella decadenza dei comportamenti etici e sociali?

Francesca Luzzio: La scuola non è avulsa dal contesto sociale, pertanto in essa si riversa appieno la decadenza etico-morale che caratterizza i nostri tempi. Io, in qualità di docente, ho vissuto nel contesto scolastico ed ho amato non solo insegnare, ma anche  imparare dagli allievi, nel senso che ho considerato l’ingresso nel loro mondo, nelle loro problematiche la “condicio sine qua non” per  instaurare  anche un valido rapporto culturale. Il sottotitolo del volume, “L’Insegnante va scuola” vuole mettere in evidenza  tale mia disponibilità interiore nel volere comprendere, capire i problemi personali, familiari dei ragazzi, i quali, se talvolta sembrano sordi all’apprendimento, è proprio perché sono coinvolti in situazioni che li estraniano dalla scuola che, nonostante tutto, costretti, frequentano. Orbene, proprio tale conoscenza ha fatto nascere in me la voglia di denunziare,  di documentare l’attuale disagio giovanile, affinché gli stessi adolescenti e  le principali componenti  socio-politiche coinvolti nell’educazione  prendano coscienza dell’urgere di un rinnovamento dei valori che devono costituire le linee-guida del vivere civile. Tali valori, quali il rispetto dei propri  simili, il ripudio di comportamenti che danno accesso al vizio, la presenza operativa dei genitori, etc..., non sono né antichi, né moderni, né legati a questa o quell’altra confessione religiosa, sono di fatto valori su cui si fonda la civiltà e perciò al di là del mutare dei tempi. La volontà di denuncia è più esplicita ed oggettiva nei racconti, invece la seconda sezione, dedicata alla poesia, vede maggiormente coinvolto il mio “io”: la mia partecipazione emotiva nel tentativo di comprendere la realtà giovanile, la consapevolezza malinconica di chi si sente impotente, considerato il poco tempo che ormai mi  restava da dedicare alla scuola.


A.M.: La maggior parte dei personaggi, siano essi giovani od adulti, interpretano una rovina sociale esasperata da uno stato che, come sostiene Sandro Gros-Pietro nella prefazione, non cerca soluzioni. Dopo quasi un anno dalla pubblicazione di Liceali, vedi la situazione più rosea oppure la società non si è ravveduta? in quest'ultimo caso, ci basterà la speranza per ribaltare la situazione?

Francesca Luzzio: La speranza non bisogna perderla mai, ma è ovvio che non basta per risolvere i problemi. È necessario che la speranza sia accompagnata dalla volontà di voler cambiare.  Progettualità, legislazione adeguata, messa in pratica degli strumenti idonei per realizzare ciò che si vuole conseguire,  sono  elementi fondamentali  perché la società acquisti progressivamente consapevolezza della “deriva” e faccia qualcosa per mutare questa realtà. Dopo quasi un anno dalla pubblicazione del volume, comunque  credo che non sia cambiato nulla, ma non manca una maggiore consapevolezza delle problematiche esistenti  e dell’urgenza della loro soluzione.


A.M.: Una delle parti interessanti della tua pubblicazione è la scelta di commistione tra prosa e poesia. Come nasce quest’idea e qual è il tuo rapporto con la poesia?

Francesca Luzzio: Io sono fondamentalmente una poetessa, ma non disdegno la prosa che consente di espandere nell’oggettività narrativa l’intento comunicativo che comunque perseguo attraverso la scrittura. In questo caso specifico, l’intento di denunziare il disagio giovanile e la volontà di essere aderente alla realtà delle cose, mi ha indotto a considerare la prosa e al suo interno lo stesso slang  giovanile, lo strumento più specificatamente idoneo a rendere quasi tangibile  la concretezza dei problemi. Insomma il libro, come sostiene Sandro Gros Pietro nella prefazione, è una sorta di “double face”, perché interfaccia il racconto in prosa con l’elaborazione metaforica e soggettiva della poesia, alla quale meglio affido il mio sentire, l’affetto sincero e doveroso con il quale cercavo di rapportarmi con gli allievi.


A.M.: Dunque in ogni racconto c’è una sorta di possibile redenzione. Penso a protagonisti in cerca di comprensione come Giulia Lo Cascio, Alice, Giovanni, Mario, Andrea, Luigi, Rita, Mohamed, Giulio, etc.

Francesca Luzzio: In genere chi denuncia crede in una possibilità di riscatto, di redenzione, altrimenti non avrebbe senso farlo. Tutti i protagonisti dei miei racconti sono vittime di disagio educazionale, sia che esso provenga direttamente dalla famiglia, sia che provenga dal più ampio contesto sociale, pertanto perché tale redenzione possa avvenire e  ne derivi un’etica adeguata e consequenziale, occorre di fatto che ci sia un ripensamento critico e morale intorno a ciò che bisogna considerare valore o disvalore. Ad esempio, Giulia, la protagonista del racconto “Mi vendo”, sebbene la madre a costo di sacrifici, cerca di procurarle ciò che le occorre, il desiderio di condurre una vita più agiata  inizialmente la induce a vendere l’immagine del suo bel corpo nudo o in pose sensuali, mandando via smartphone le  sue foto a presunti amici spasimanti, successivamente la fa  divenire vittima di un meccanismo che non riesce più a controllare ed è costretta a prostituirsi “sempre e dovunque”. Talvolta è presente l’azione salvifica del docente, come in “Viaggio d’istruzione a Berlino”, dove la giovane protagonista, Michela, costretta ai mille ruoli che il vivere sociale le impone, si sente “come un gabbiano senz’ali, un corpo che striscia e non sa stare in piedi”. Ma, in genere, l’intervento positivo di qualche professore, poco o nulla riesce a fare di fronte alla fagocitazione di valori  e principi che l’attuale società globalizzata di fatto vive. Tuttavia la denuncia e la speranza non possono e non devono venir meno, se noi adulti vogliamo aiutare i giovani a dirimersi dall’abisso in cui li stiamo facendo cadere.


A.M.: Leggendo i racconti e sapendo che ti occupi di insegnamento al liceo, penso venga istantaneo chiedersi: in quale percentuale, le storie che narri, corrispondono alla realtà?

Francesca Luzzio: Alcune  storie che narro non sono vere, sono  vicende realmente vissute da alcuni miei allievi, altre  verosimili, insomma sono vicende possibili nel contesto storico e socio-culturale in cui in atto viviamo ed operiamo.


A.M.: Tra i tuoi lettori, hai notato sostanziali preferenze di un racconto particolare?

Francesca Luzzio: Un racconto molto amato è “Italiano non Italiano”. Le ragioni sono da cercarsi nel rilievo che in esso viene dato ad alcune problematiche  che io mi limito ad elencare:  il problema dell’immigrazione; il razzismo che vige ancora in larghi strati sociali, pur non mancando una percentuale minima di persone votata al bene e al rispetto indiscriminato nei confronti del prossimo; l’insufficienza della legislazione italiana a proposito dei figli d’immigrati, nati in Italia; infine l’ironia rassegnata, ma anche per questo ancora più incisiva, con cui si conclude il racconto.


A.M.: Com’è il tuo rapporto con il mondo virtuale?

Francesca Luzzio: Il mio rapporto con il mondo virtuale è mediocre, nel senso che non ho un’adeguata competenza tecnica che mi consenta di sfruttare al massimo le sue potenzialità. Comunque ciò non mi ha impedito di essere su molti siti e blog, quali Literaty, La recherche, Letteratura e cultura, etc ... e di collaborare con interviste on-line, quale Euterpe. Non solo, penso che il web offra una grande possibilità di conoscere e farsi conoscere.


A.M.: Salutaci con una citazione…

Francesca Luzzio: “Homo sum, humani  nihil a me alienum puto” (Terenzio, Il punitore di se stesso)


A.M.: Francesca, ti ringrazio per le tue parole, sono piene di speranza ma non solo, di attivismo per migliorare un Mondo ingiallito dalla corruzione. Solo con la cultura e con il rispetto della Natura possiamo educare ad una società più onesta.


Written by Alessia Mocci
Addetta Stampa
(alessia.mocci@hotmail.it)


Info
https://www.facebook.com/francesca.luzzio
http://www.ibs.it/code/9788874144051/luzzio-francesca/liceali-insegnante-scuola.html


Fonte
http://oubliettemagazine.com/2014/07/07/intervista-di-alessia-mocci-a-francesca-luzzio-ed-alla-sua-raccolta-liceali-linsegnante-va-a-scuola/

--   Cordiali saluti  Alessia Mocci  http://oubliettemagazine.com/

mercoledì 9 luglio 2014

Intervista di Alessia Mocci alla scrittrice sarda Annalisa Soddu, autrice di Festa sotto le stelle

*di Alessia Mocci

Annalisa Soddu nasce in Sardegna nella Nuoro conosciuta come patria di scrittori di fama internazionale, Grazia Deledda e Salvatore Satta.
L'autrice, sin da adolescente, riconosce una passione letteraria incentrata sulla comprensione delle proprie emozioni proprie con le dovute corrispondenze in riferimento all'esterno ed al sociale.
Una musa letteraria che si congela nel 1995, anno in cui Annalisa sente il bisogno di lasciare al solo pensiero la possibilità di scrivere. Sono anni che trascorrono senza gettare sul foglio un unico verso, sono anni in cui la Soddu elabora una poetica mentale apparsa da tre anni.
Nel 2011, infatti, Annalisa decide di far ingresso nel mondo virtuale e dunque delle immense possibilità di comunicazione artistica ed universale.
Ho incontrato Annalisa Soddu per un'intervista di cui consiglio la piacevole lettura per poter conoscere meglio un'autrice poliedrica che spazia dalla poesia ("Interni") al racconto per bambini ("Festa sotto le stelle"). Buona lettura!

A.M.: Ciao Annalisa, il tuo curriculum letterario mi ha raccontato qualcosa in più di te a livello personale, ed è proprio una domanda personale che vorrei farti per rompere il ghiaccio: perché hai deciso di non scrivere più nel 1995?
Annalisa Soddu: Ciao Alessia. Grazie di questa intervista, prima di tutto. Non è stata una decisione. All'improvviso la mia musa è scomparsa ed io non ho più avuto l'ispirazione. In realtà, poiché prima ad ispirarmi erano i miei tormenti interiori, quando ho iniziato ad affrontare me stessa, non ho più trovato su che scrivere. Ho iniziato un lungo percorso maturativo che mi ha portato finalmente a far emergere il mio vero carattere.

A.M.:  Tre anni fa, apri un blog ed in te si smuove qualcosa. Quali opportunità ti ha dato il mondo virtuale?
Annalisa Soddu:  Inizialmente avevo un primo blog dove scrivevo in modo anonimo, che mi consentiva di sfogare emozioni e sentimenti senza essere riconosciuta, dato il lavoro delicato che faccio. Poi dal blog sono passata ai social, che trovo divertentissimi e mi hanno fatto conoscere persone straordinarie. Inoltre sulla rete faccio acquisti, mi aggiorno, mi informo... Potrei paragonare i vantaggi che mi ha dato il mondo virtuale a quelli dell'auto, la lavatrice, la lavastoviglie... Un grosso risparmio di tempo, insomma!

A.M.:  Il tuo primo libro "Il fuoco di Lorenzo" nasce proprio dall'apertura del blog. Ci puoi raccontare la consecutio che ti ha portato dal blog alla pubblicazione?
Annalisa Soddu: Un'amica, la prof. Irene Giordano, che conobbi al mare, apprezzò il mio modo di scrivere su facebook e mi invitò a farlo sul serio. Provai allora a fare un'autopubblicazione dei racconti del blog e così nacque "Il fuoco di Lorenzo" (dal titolo apparentemente demenziale ed insensato della storia per me più drammatica), che raccoglie brevi ritratti di persone affette da disturbi psichici.

A.M.: La tua seconda pubblicazione, "Interni", è una raccolta di trenta liriche che comprende il periodo nel quale frequentavi l'università? Vorrei chiederti se ancora riesci a percepire quelle emozioni che, anni fa, ti avevano ispirato nella scrittura.
Annalisa Soddu: "Interni", TraccePerLaMeta Editore, parla proprio di me, come si comprende dal titolo. Ci sono le poesie del passato, molto sofferte ed incentrate sui miei tormenti, e quelle nate dopo la ripresa della scrittura, che rappresentano uno sguardo sul mondo degli altri, soprattutto coloro che sarebbe più comodo non vedere e non sentire. Quando rileggo le poesie di allora provo sempre un senso di sofferenza misto a nostalgia, ora invece scrivo con meno dolore e con più rabbia per il senso d'impotenza che mi assale quando vedo le storture sociali.

A.M.: Nel 2013, decidi di puntare anche sull'ebook, infatti pubblichi con Aletti Editore "Festa sotto le stelle". Il tuo stile cambia come l'oggetto del tuo interesse: spiegaci la tua scelta di pubblicare narrativa per ragazzi?
Annalisa Soddu: "Festa sotto le stelle", Aletti editore, è su carta ed in ebook. Rappresenta la restituzione di un percorso autoeducativo, iniziato quando la collega di Cagliari, dottoressa Anna Maria Anedda, mi insegnò con l'esempio il suo grande amore per gli animali e che è sfociato in questo libretto per ragazzi e per adulti nel quale cerco di combattere la triste piaga dell'abbandono attraverso la storia di una cagnolina randagia e del suo amichetto Salvatore.

A.M.:  Il racconto è correlato di illustrazioni e copertina disegnate da un talento in erba: Alfonso Capo. Ci racconti com'è nata questa particolare collaborazione?
Annalisa Soddu: Sapevo del talento di Alfonso Capo perché abita nel mio palazzo. Inizialmente chiesi alla madre di illustrare lei il libro, essendo bravissima, ma Alfonso espresse il desiderio di poterlo fare ed io ne fui felicissima! Sono convinta che i disegni di Alfonso, in quanto bambino, all'epoca di sette anni e mezzo, "parlino" al cuore dei bambini molto di più dei disegni di un adulto! Alfonso ha fatto dei disegni coloratissimi ed intensi e soprattutto faccio notare che gli animali in essi raffigurati... sorridono!

A.M.: "Festa sotto le stelle" racconta la storia di una cagnolina randagia di quartiere, per l'appunto Festa. Un pretesto artistico per sensibilizzare i giovani all'amore verso gli animali e verso le altre specie. Ritieni che il senso della natura e, dunque della vita, sia stato oscurato negli ultimi 50 anni?
Annalisa Soddu:  Ritengo che stiamo cadendo in picchiata verso il fondo dell'abisso per quanto riguarda il rispetto di sè, degli altri, della natura e degli animali. Solo l'educazione potrà farci risalire. Per fortuna ci sono anche tanti visionari che lottano per migliorare la società.

A.M.:  Nascere in Sardegna e vivere in Campania. Come vivi questa dualità culturale? Ha inciso sul tuo stile o sui tuoi argomenti?
Annalisa Soddu: Vivere in Campania è stata una scelta legata alla necessità di lavorare; è vero che ho sposato un campano, ma prima vivevamo in Sardegna. Poi le possibilità di lavorare lì sono scomparse, purtroppo, e ci siamo trasferiti. Per alcuni aspetti il carattere solare ed aperto dei campani ha contribuito molto alla mia evoluzione interiore. Nel mio profondo, però, continuo ad essere sarda d.o.c.

A.M.: Una curiosità: anche tua madre è una scrittrice, ritieni che la tua passione sia stata un po' trasmessa da questa figura amante della letteratura e delle tradizioni?
Annalisa Soddu: Per la verità, tra gli antenati di mamma c'è anche un poeta. Questo gene "malsano" spero continui a trasmettersi alla mia discendenza perché trovo la poesia un'arte che come poche è in grado di comunicare emozioni. Mia madre poi è per me un ideale irraggiungibile, tanto la ritengo brava e colta. Ha pubblicato per ora solo un libro, "Ricordi di Sardegna: Orune nel cuore e nella storia", TraccePerLaMeta Editore, ma ha scritto tante altre cose che a me piacciono molto e forse pubblicherà.

A.M.: Hai ricevuto diversi premi letterari da quando il tuo Io si è espresso sul web. Quale, fra i premi che hai vinto, ha un valore maggiore per te?
Annalisa Soddu: Sono i riconoscimenti alla poesia "A mio padre malato". Leggetela e saprete perché.

A.M.: Salutaci con una citazione…
Annalisa Soddu: Penso che ti sorprenderò: l'autore è un mistico, il fondatore della fede baha'ì, noto come Bahà'u'llàh, che scrisse:
"...ogni mattina sorga migliore della sera che l'ha preceduta e ogni giorno più ricco del suo ieri."
E qualche riga dopo:
"Non ci si deve gloriare di amare la propria patria, piuttosto di amare il mondo intero. La terra è un solo paese e l'umanità i suoi cittadini".
A queste frasi cerco di ispirare tutta la mia vita.

A.M.: Grazie Annalisa, hai chiuso una splendida intervista con una citazione che condivido e che spero sia condivisa da sempre più persone nel Mondo.

Written by Alessia Mocci
Addetta Stampa

Info

Fonte

martedì 1 novembre 2011

Intervista a Graziano Cecchini ed alle sue Azioni Futuriste *di ALESSIA MOCCI

  *FROM Mondo Libero e Oubliette Magazine

cecchini

 

di Alessia Mocci
graziano cecchiniGraziano Cecchini (1953) è un artista dell’avanguardia futurista. È diventato noto con le sue azioni futuriste conosciute in tutto il Mondo per la bizzarria e la creatività. Insieme all’artista Maurizio Ganzaroli ed al poeta Roby Guerra è ricercatore per i Laboratori Transumanisti.
Le Azioni Futuriste di Graziano sono, per ora, otto:

  1. Ha colorato di rosso la Fontana di Trevi
  2. Ha lanciato 500.000 palline colorate da Trinità dei Monti sulla scalinata di Piazza di Spagna
  3. Ha organizzato a Castel Sant’Angelo un lancio di palloni dedicato alla popolazione birmana.
  4. Ha allestito un pullman rosso con a bordo una mostra fotografica itinerante per una campagna a favore dei diritti della Birmania, Tibet.
  5. 1 maggio 2010, ha realizzato a Roma durante il concerto in Piazza San Giovanni la performance Artisti per Strada
  6. 31 gennaio 2011 ha tentato di introdursi nella casa del Grande Fratello, fermato dagli agenti
  7. 5 maggio 2011 ha dipinto di bianco, rosso e verde l’acqua della Fontana delle Naiadi a Roma
  8. 12 maggio 2011 ha dipinto di bianco il muro dei mercato coperto di Latina e su quella tela ha dipinto un Cristo sostenuto dalla torre comunale di Latina e da due prostitute.

Graziano è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune domande sulla sua idea di arte e sulle sue azioni artistiche. Buona lettura!
A.M.: Essere un artista passivo ed un artista attivista. Qual è la differenza fondamentale?
Graziano Cecchini: Semplice: conformarsi alle regole di mercato e di potere, o no.
Un aspetto delle mie provocazioni è anche questo, non uniformarmi all’estetica semplice richiesta da alcuni galleristi in prospettiva di una altrettanto semplice vendita, e non appiattirmi alle regole delle lobby e delle amicizie politiche per poter lavorare sponsorizzato dalle istituzioni.
Per essere un artista attivo, e per me l’Arte può essere solo un’azione attiva, si deve essere libero, ci si deve poter concentrare unicamente sul messaggio e sulle linee, e non sulle quotazioni e sulla convenienza. Solo un’Arte libera può sopravvivere nel tempo, le altre sono solo mode passeggere.
A.M.: Le tue operazione artistiche hanno sempre voluto documentare gravi problemi italiani. Ci fai qualche esempio?

Graziano Cecchini: Come premessa fammi puntualizzare solo una cosa: il Futurismo ha sempre una forte spinta e ricaduta sociale e queste ovviamente non mancano alle mie azioni.

Nel 2007 a Fontana di Trevi per esempio, ho denunciato gli sperperi veltroniani della neonata (era alla sua seconda edizione) Festa del Cinema di Roma: sperperi equivalenti a 18-20 milioni di euro, fatti in nome di un tappeto rosso fine a se stesso.

Oggi continuo a ribellarmi all’idea di buttare al vento somme del genere per una “festa” autoreferenziale come quella che continua ad essere la Festa del Cinema di Roma, inutile e di scarsa utilità all’economia della capitale, visto che, nel frattempo, si rinuncia a tavolino a salvare la nostra vera industria cinematografica: Cinecittà.

Si lasciano morire maestranze ed esperienze senza prezzo in nome della ribalta di qualche minuto e della sopravvivenza di buchi neri come la Fondazione Cinema per Roma, creata da Veltroni ma foraggiata anche dal Sindaco attuale.

Ma oltre agli sperperi ho denunciato la precarietà, la mancanza di un futuro reale e di qualità per le generazioni a venire, la sicurezza delle nostre città… il rosso l’ho usato come segnale di pericolo, allarme.

Purtroppo i media raramente hanno ripreso i messaggi sociali delle mie performance, ma per fortuna Internet funziona ancora in questo senso e chi ha voluto capire lo ha potuto fare. Ovviamente si deve voler approfondire l’argomento, ma io mi sono sempre fidato e affidato alla curiosità della gente che ha ancora un cervello e rimango ottimista: so che chi vuole, riesce a sapere.

A.M.: Quali sono i fondamenti dell’attuale avanguardia futurista?
Graziano Cecchini: Quelli di sempre: Pensiero, AZIONE e velocità, accompagnati da un sano senso critico che non fa accettare passivamente la realtà e dalla voglia di reagire di fronte all’ottusità e incompetenza di chi purtroppo si trova ad amministrare il nostro Paese e le nostre città. Futurismo è azione ma anche reazione.
Quello che invece è mutato nel tempo è la velocità che si è andata ad evolvere grazie alla tecnica e alla tecnologia degli ultimi decenni. Allora si parlava di velocità meccanica, oggi si fanno i conti con la velocità della luce, del bit, del gigabite.
A.M.: L’azione con la quadricromia. Perché?
Graziano Cecchini: Perché il colore è vita, è forza, è libertà. Le palline di Trinità dei Monti, la mia seconda performance, erano la naturale evoluzione dell’immagine precedente. L’acqua rossa di Fontana di Trevi, anch’essa in movimento fino a quando non hanno spento e svuotato la fontana, ha ceduto il passo alla quadricromia in movimento, e quindi velocità, delle palline. Se a questo unisci anche il suono delle palline lungo la scalinata di Piazza di Spagna, ecco che ottieni un nuovo manifesto “vivente” e contemporaneo del Futurismo del terzo millennio: colore, movimento, suono e velocità. Anche l’azione di Trinità dei Monti conservava in sé un messaggio sociale, in particolare quello della sicurezza delle nostre città, ma diciamo che è stato anche un vezzo artistico: fondere insieme in una sola immagine più principi fondanti del Futurismo.
Inoltre non dimentichiamoci che nella società moderna serve colore: colore nelle menti, nelle città, nelle azioni e più in generale nella vita.
A.M.: Quanto può essere dannoso esporre il proprio pensiero?
Graziano Cecchini: Diciamo che, se ragionassi come molti “impiegati dell’arte”, dovrei rispondere molto dannoso… nonostante io, fuori dall’Italia, sia inserito tra i maggiori artisti europei e mondiali e Fontana di Trevi sia considerata come l’opera d’arte contemporanea di maggior rilievo a livello europeo, nonostante la casa editrice Taschen abbia aspettato il mio materiale per editare il suo primo catalogo di Urban Art e il New York Times mi dedichi una pagina sull’arte, a Roma e in Italia lavorare con le Istituzioni mi è pressoché impossibile.
Ma, visto che io non sono e non sarò mai un artista legato a lobby politiche e di potere, posso tranquillamente rispondere che non è dannoso per niente, anzi. Il mio pensiero rimane la benzina del mio motore e non mi è possibile pensare di creare una qualsiasi opera senza attingere dalla forza che le mie idee mi infondono.
A.M.: In attivo si registrano otto azioni futuriste a tuo nome. Qual è l’azione che ti ha comportato maggior impegno?
Graziano Cecchini: In un certo senso tutte. Ognuna di loro aveva un motivo particolare, un messaggio preciso e difficoltà tecniche da affrontare.
Forse però dovrei dire Fontana di Trevi.
Non per la difficoltà logistica, dopotutto Trinità dei Monti o The Rock a Piazzale Michelangelo (ottobre 2010) sono state più impegnative da quel punto di vista, a causa della quantità e della difficoltà di manovra, ma per il punto di non ritorno che avrei segnato nel mio percorso artistico.
Ho sempre saputo che dopo l’immagine di Fontana di Trevi rossa non sarei potuto più tornare indietro e lavorare alla mia arte senza occhi puntati su me e la mia produzione.
Inoltre per realizzare Fontana di Trevi ho dovuto rispolverare le mie conoscenze chimiche e idrauliche, verificare lo stato di abbandono della fontana e considerare le incrostazioni calcaree sul travertino che non permisero al colore (assolutamente naturale e non anilina come i “tecnici” del sindaco dissero) di non intaccare in nessun modo la struttura.
Insomma, per ogni azione mi tocca riaprire libri e rimettermi a studiare!
A.M.: Quando il futurismo si farà sentire fuori dall’Italia?
Graziano Cecchini: La domanda giusta sarebbe: quando il Futurismo si farà sentire, davvero, in Italia?
Negli Stati Uniti, uno dei più grandi centri di ricerca si chiama “Io, noi, Boccioni” e qui in Italia invece si sente parlare del Futurismo solo da un paio di anni, dal centenario. Forse ancora oggi il Futurismo è scomodo e pochi sono pronti ad accoglierlo con tutta la sua forza. L’Italia è ancora troppo provinciale per capire davvero il Futurismo.
A.M.: Ringrazio profondamente Graziano per la sua disponibilità ma, soprattutto per la sua sincerità.
 
http://www.mondoliberonline.it/intervista-graziano-cecchini-azioni-futuriste/12982/
 
Sito:
http://www.futurzig.it/it/  
 
http://www.futurismocarbonaro.it
 
Fonte:
http://oubliettemagazine.com/2011/10/31/intervista-di-alessia-mocci-a-graziano-cecchini-ed-alle-sue-azioni-futuriste/