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giovedì 24 marzo 2022

Il tempo e la memoria: libri Asino Rosso Formato Kindle di Casalino Pierluigi (Autore)

di Roby Guerra

,,,,,"Qui termina il diario di mio padre. Molte altre notizie sulla sua prigionia le fornì a voce in successive occasioni. Non è semplice integrare il racconto, ma il filo sottile che lega episodi e sentimenti resta inalterato. Diverse sono però le memorie vissute da quelle trasmesse. Mi sono limitato a riferirne alcuni aspetti nell'introduzione.  Devo la mia vita a mio padre e mia madre, perché gli eventi della guerra mondiale non li hanno trascinati via come i milioni di persone, che, durante il conflitto, hanno trovato la morte in tutto il mondo. Già in conclusione di queste memorie lo spirito osservatore del genitore sa cogliere i segni degli sviluppi, che di lì a poco avrebbero interessato la scena internazionale. Già, peraltro, di fronte alla ritirata tedesca, davanti all'incalzare dell'Armata Rossa, mio padre e altri come lui si interrogavano sui limiti di tale operazione militare. Ricordo che spesso faceva riferimento a queste considerazioni. E mio padre era persona che vedeva sempre lontano. Fino a oggi, anno 2022, nella guerra attuale russo-ucraina" (Pierluigi Casalino). Il tutto inserito nella cifra geopolitica dell'autore...

Nuovo libro elettronico per il noto geopolitico di Imperia, Pierluigi Casalino. E' la ristampa on line del libro originario del 1996 (ennepilibri), dedicato al padre Michele, i suoi diari al fronte nel 1943-45 (II guerra mondiale), tutt'oggi  (come detto nella sinossi) di sorprendente previsione intuitiva, nell'attuale situazione russo ucraina...  Diari altrettanto di rara commozione.  Per questo libro Casalino fu segnalato intervistato da Il Sole 24 Ore. Nell'odierna edizione eBook, Casalino ha potenziato ulteriormente le sue considerazione geopolitiche, sempre fuori dal coro e originale come nei lavori più recenti, oscillanti anche in ambito futuribile, ad esempio in Oracle Day (bilingue in inglese), Dopo la Primavera Moderna. Islam e Modernità, Dante 700 Dopo Computer e altri...
 

domenica 18 aprile 2021

Il sacco di Roma e la fine del mondo antico. La questione politica e la sua nuova funzione.



Da: Pierluigi Casalino  
"Se Roma cade, chi mai si salverà": queste le parole di San Gerolamo alla notizia, da lui definita "orribile", del sacco di Roma nel 410 ad opera di Alarico. L'eco dell'evento fu vasta e la circostanza venne percepita dai contemporanei, cristiani e pagani, come un qualcosa di eccezionale e devastante. Pur tuttavia la percezione di tutti non fu quella di un segno della fine di Roma, anche perché il mito dell'Urbe continuava e continuerà ad esercitare il suo richiamo per molto tempo ancora. E ciò anche in considerazione del fatto che l'impero romano esisteva ancora, soprattutto, ad oriente e il centro del spirito universale della Città Eterna si stava progressivamente trasferendo alla Chiesa. A dire il vero nessuno pensava di essere davvero al tramonto di un'epoca; in effetti il sacco di Roma si inseriva in più ampio contesto di disordini, materiali e morali, che pochi riuscirono a valutare nella loro vera misura.Una dura crisi economica minacciava il mondo romano nel suo complesso. L'inesorabile scomparsa di una già intensa attività commerciale ed economica provocava il regresso ad un'economia naturale fondata sul baratto e sull'agricoltura. La decadenza della Città e della moneta, la perdita di diretto controllo di diverse province ad occidente, causano a loro volta la disgregazione della vita sociale e il frazionamento dei poteri. La stessa gestione dell'associazione dei barbari alle istituzioni imperiali veniva meno, mentre i funzionari non avevano più alcuna autorità sui cittadini, che si lasciavano condurre passivamente o tentavano di sottrarsi, per quanto possibile, ai loro doveri con la fuga e la ribellione o cercando di ottenere privilegi di ogni genere; la stessa classe senatoria, padrona di terre smisurate in ogni parte dell'Impero, non era più in grado di seguire le attività connesse,  tra indolenza e corruzione. Il declino dello spirito civico produceva ormai conseguenze particolarmente gravi sul reclutamento dell'esercito, ora pressoché formato da mercenari e stranieri, sia dotati della cittadinanza romana, ma non di rado privi di tale diritto. E non è un caso che lo stesso Alarico sia stato preceptor militum nell'esercito romano, ma animato da ambizioni venali. I barbari che premevano ai confini si trovavano di fronte truppe certamente leali, ma senza alcuna convinzione patriottica. D'altronde le forze intellettuali e religiose tendono a spostarsi in Oriente, pur conservando il rispetto per la centralità storica e di civiltà di Roma. Al tempo stesso la regressione economica delle città occidentali neanche consentono un vero movimento culturale, mentre il cristianesimo in espansione è costretto ad un'opera di volgarizzazione, trascurando perciò i motivi e le occasioni di una ricerca originale. La stessa funzione imperiale aveva perso prestigio e autorità. Scegliendo Costantinopoli come seconda metropoli, Costantino, (che a Roma c'era stato probabilmente solo per la battaglia di Ponte Milvio, avendo trascorso molto del suo tempo precedente nella fredda York in Britannia), aveva posto dei limiti preventivi al crollo dell'impero romano: abbandonata alle invasioni e suddivisa in una quantità di regni, Roma è soltanto la capitale incerta della pars occidentalis; la pars orientalis, invece, assicurava la permanenza dell'idea imperiale e tenterà con Giustiniano, di riconquistare l'Occidente a questa idea, finché, dopo il fallimento di questo scopo, si chiuderà in se stessa per coltivare la sua grandezza come in una serra. Periodo di profonde trasformazioni, che coincise con un'epoca di radicale empirismo: i fatti si giustificavano di per sé stessi, e quando apparvero le teorie, più che precedere fanno seguito all'avvenimento; così chi doveva giustificarlo non sempre si preoccupava dell'esistenza storica, non esitando - ove la cosa gli venisse richiesta, a compilare documenti falsi ( il più noto, ma non il solo, la Donazione di Costantino). La redazione di opere e di trattati specificamente politici ebbe inizio soltanto nel IX secolo. Per individuare le idee politiche dell'Alto Medioevo si è innanzi tutto costretti a ricorrere agli atti ufficiali, nonché alle relazioni dei tanti storiografi impegnati a descrivere i fatti e le gesta dei grandi uomini loro contemporanei, spiegandoli, secondo il classico modello storico di Erodoto. Inoltre quegli avvenimenti si svolgevano in un'atmosfera impregnata di cristianesimo, che può qualificarsi ierocratica, se non teocratica. Certamente in Oriente, dove gli imperatori associarono il loro destino a quello della religione ufficiale; ma anche in Occidente, dove la Chiesa soltanto per un breve periodo risentirà del crollo delle istituzioni imperiali, dal momento che quasi subito si adatterà alla nuova situazione, dalla quale trarre profitto e prestigio.L'Imperium era finito e la Chiesa imporrà la sua autorità. I capi barbari non poterono trascurare il fenomeno cristiano, il quale riconosce loro solo un semplice potere di amministrazione. Si assistette, dunque, ad una ridistribuzione delle forze, iniziata tra il V e il VI secolo e a cui seguirà l'avvento di Carlo Magno, instauratore dell'ordine cristiano nella pars occidentalis; dopodiché la Chiesa assumerà l'eredità di Carlo Magno e prenderà la sua rivincita sul potere temporale. Infine si assisterà da parte degli Ottoni alla ricostruzione dell'Impero d'Occidente.
Casalino Pierluigi 

domenica 2 giugno 2019

Testi e parole nell'arte contemporanea. Il Caso Boetti.



Da: Pierluigi Casalino  
Qual'è il ruolo delle parole, dei testi, nell'arte del nostro tempo? Dipinta o scolpita, la parola si è ritagliata un posto nelle arti visive nei modi più vari, da quello proprio di un elemento decorativo a quello di segno posto al servizio di un 
Significato complesso. Una piccola tavola bianca si presenta all'inizio della stagione poveristica di Boetti ed ha un titolo evocativo: "I vedenti" (1967). Non siamo in grado di chiamarla pittura, scultura o altro ancora: della prima ha la bidimensiolita', della seconda ha il volume. E in più, Boetti prevede che stia a terra, come un'installazione di foggia minimalista, dalla forma solida regolare, senza piedistallo. Le dimensioni sono contenute, ma non le ambizioni. "I Vedenti" vale come definizione delli sguardo artistico e insieme come avvertimento. L'oggetto che ci sta di fronte non coincide con l'opera, non più di quanto la carta o l'inchiostro tipografico esauriscano il senso della poesia o del romanzo che stiamo leggendo. L'oggetto concreto è qui un semplice supporto dell'"idea", come la chiama Boetti. "I Vedenti" si gioca su un'inversione sensoriale. Con la scritta incisa, Boetti si rivolge a coloro che vedono. Tuttavia questa stessa scritta imita o meglio reinventa l'alfabeto Braille per non vedenti. La vista di cui parliamo coincide dunque con la cecità? In un certo senso, si. Coincide con la vista interiore di chi, privo fi occhi, ricorre alle dita per "leggere" il mondo, ed esplora il mondo in mondi più accorti e penetranti. La riflessione boettiana sul rapporto tra vista e tratto rinvia a pittori come Rembrandt o Picasso, l'uno e l'altro pronti a riconoscere che la vista di cui si avvale l'artista deve oltrepassare il senso ottico comune, ed equivale al tatto del non vedente appunto, adatto alle tenebre non meno che alla luce. Nella tradizione del Novecento, che Apollinare aveva chiamato orfica, dal nome del mitico poeta greco Orfeo, aveva inoltre insistito sul primato dello sguardo interiore. Nei Vedenti, Boetti si dichiara erede di Klee, Duchamp e Picabia. Questa interpretazione sarebbe troppo letteraria se non ci riferissimo alle caratteristiche concrete dell'opera. "I Vedenti" è monocromo bianco, la cui superficie in gesso è trapassata da Boetti in un mondo che richiama i Buchi di Fontana e, al pari dei Buchi, sperimenta territori intermedi tra pittura e scultura. Per concludere sul caso di Boetti, occorre riflettere su "I Vedenti" in modo ampio e generale sull'importanza che testi e parole assumono nell'arte. Sembra un paradosso: ciò che è testuale si installa nei domini dell'iconico o figurativo. Perché? Le origini di tutto ciò risalgono all'arte francese di fine Ottocento, se non addirittura alla generazione romantica. E' con i simbolisti e Nabis che l'interesse per il tratto idrografico o, come si dice al tempo, "geroglifico" di quadri e sculture diviene preminente. Abbiamo qui un duplice interesse: uno misticofilosofico e l'altro ornamentale. Si suppone che i contenuti debbano essere misterici e profondi, solo per iniziati. Così una stella sta per la santità e la sapienza. Una spirale, invece, per l'eternità. Ma il paesaggio può trasformarsi anche in arabesco, dunque in un alfabeto di forme, senza far riferimento ad apparenze naturali studiate sul motivo. Molte le motivazioni che fanno rifiutare l'approccio naturalistico e taluni ritengono che con l'impressionismo si sia concesso troppo alla sola sensazione, e che occorra tornare a un'arte di pensiero. Altri riscoprono tradizioni perdute, tardoantiche e medievali e maturano l'esigenza di stili ieratici, grafici, consoni al rituale. Unae composizione di Klee del 1918 (Una volta che al grigio della notte) si inscrive legittimamente nella tradizione simbolista, di cui rappresenta un esito estremo e astratto geometrico. L'immagine costituisce un autoritratto "en travesti". Nel tracciare le parole di una poesia che lui stesso ha scritto, Klee si propone come mistico amanuense di un'epoca di tradizione. Commenta la guerra indirettamente come un'insensatezza da cui fuggire, per ritirarsi nel silenzio dei chiostri dell'art pour l'art. Si potrebbero considerare altre opere, fino a teorizzare, nella prospettiva, che ci troviamo davanti ad un ironico rifiuto della finzione o ad una messa a nudo dell'artificio. 
Casalino Pierluigi 

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lunedì 1 aprile 2019

Cicerin e il declino della politica estera della prima Russia sovietica.


Da: Pierluigi Casalino 
Se le dimissioni ufficiali di Cicerin dalla carica di commissario del popolo agli Esteri della Russia sovietica avvennero nel 1930, il suo declino politico cominciò a manifestarsi sensibilmente fin dal 1927. Circostanza, quest'ultima, che fu ricordata anche dal suo successore Andrei Gromyko, in un articolo commemorativo a 90 anni dalla nascita dello stesso Cicerin. A provocare la sconfitta della linea di Cicerin fu in realtà la medesima ragione che portò all'accantonamento dei tentativi di creare una presenza attiva dell'Urss sul piano internazionale. Il ritorno ad ruolo di alto profilo da parte di Mosca nell'arena mondiale era concetto connaturato all'idea di Cicerin, il quale già dalle prime giornate della Russia sovietica si adoperò per un impegno diretto dei russi a fianco delle potenze europee. Ciò implicava rischi di coinvolgimento nelle tensioni del sistema di Versailles, altrettanto forti di quelli impliciti nella svolta che Bucharin voleva imprimere all'azione politica del Komintern.  Cicerin, in realtà,  aveva sostenuto la scelta dei patti bilaterali soprattutto nei riguardi della Polonia e dei paesi baltici, considerati la miglior risposta alle aspirazioni egemoniche polacche in quell'area, solo fino a quando la diplomazia sovietica avesse continuato a promuovere una politica di alleanze con la Germania e la Francia. Ma senza questa prospettiva di inserimento in un sistema diplomatico continentale, la tradizionale politica sovietica verso la Polonia avrebbe perso gran parte della sua ragion d'essere. Esaminando la ragnatela diplomatica degli inizi del 1927, Cicerin invitò a tener presente che, se il trattato sovieticolituano aveva provocato una rottura della barriera baltica, l'Inghilterra aveva avuto modo di rispondere al passo sovietico, ispirando contro la Lituania socialdemocratica un colpo di stato conservatore e recuperando così ls propria libertà di manovra. Bucharin era convinto che anche i tedeschi fossero corresponsabili del colpo di stato in Lituania e si espresse duramente contro Berlino. Cicerin reagì aspramente a questa posizione di Bucharin, definendola irresponsabile in una sua nota inviata a Stalin e a Rykov da Wiesbaden il 18 febbraio 1927. Contemporaneamente, Cicerin criticò la linea di condotta cauta e moderata di Litvinov nei confronti del governo conservatore inglese. Del resto ogni tentativo di ritoccare Rapallo era agli occhi di Cicerin imperdonabile, nonostante che si apprendesse che a Locarno la Germania si sarebbe impegnata a consentire il transito di truppe francesi sul proprio territorio, per correre in aiuto alla Cecoslovacchia e alla Polonia in caso di conflitto con la Russia sovietica. Cicerin, inoltre, vedeva nell'atteggiamento inglese una prima tappa dell'attacco di Londra contro l'Urss. Litvinov non era in perfetta sintonia con Cicerin su tale questione, percependo come più pericolose per la sicurezza sovietica le aspirazioni revisionistiche dell'imperialismo tedesco ad Est rispetto alle generiche nuove proteste inglesi. Del resto, senza un esplicita scelta britannica su un fronte antisovietico, non era pensabile di temere, secondo Cicerin, un rischio inglese a breve per la sicurezza russa. Diplomatico tradizionale, erede di una nobile famiglia di diplomatici zaristi, Cicerin portò avanti una linea di grande apertura al dialogo. Il ripiegamento in se stessa della Russia sovietica negli anni dell'isolamento del "socialismo in un solo Paese", non furono certamente determinati per il declino di Cicerin al comando della politica estera sovietica.Già nel 1927 prima del manifestarsi dei sintomi del male che lo porteranno alla morte nel 1930 e alla sua successione nella persona di Litvinov, la posizione di Cicerin appariva infatti indebolita. L'intuizione di Cicerin fu quella tuttavia di più lunga prospettiva, quella che sarà concretizzata con la guerra fredda,  dopo il secondo conflitto mondiale. Il timore di un'ostilita occidentale era percepita da Cicerin fin dai giorni della Rivoluzione e la guerra con la Germania rappresenterà solo una parentesi. Una Germania, il cui pericolo, aldilà di Rapallo, era invece percepito da Litvinov, che non sentiva di dover seguire Stalin nel suo abbraccio del 1939 con Hitler, desiderando una Grande Alleanza contro il nazismo.
Casalino Pierluigi.

giovedì 8 novembre 2018

Le difficoltà della democrazia


Da: Pierluigi Casalino  
Quando si parla di democrazia, in genere, ci si riferisce a Democrazia in America di Alexis de Tocqueville, un classico a cui si ispira ogni studioso per fare un'analisi politica compiuta. L'attualità di questo insuperato capolavoro si manifesta soprattutto ai giorni nostri, in un momento di crisi della democrazia rappresentativa tradizionale. Per affrontare questo argomento occorre in primo luogo muovere proprio dal concetto di politica e non da quello stesso di democrazia. Muovere, cioè, da quegli studi della classe politica di cui fu maestro l'autore italiano Gaetano Mosca. Per tornare alle difficoltà della moderna democrazia, che, peraltro, riesce sempre vincente nei confronti del dispotismo più o meno mascherato di molti stati odierni, va detto esplicitamente che le molte sfide congiunturali che pongono alla democrazia quesiti quasi irrisolvibili, che rendono imprevedibile il futuro percorso del miglior sistema politico umano. La ricerca del benessere sociale, che Dante spesso identificava nella felicità mentale, non sempre rientra nei modelli della democrazia perseguiti da forze non di norma così sensibili al problema. L'affermarsi di teorie di democrazia diretta, ispirata impropriamente a quella greca, sposta verso spinte demagogiche e velleitarie, confonde il piano della democrazia e rischia di aprire la strada a forme totalitarie plebiscitarie di segno pericoloso. Il momento storico in cui viviamo, almeno in Occidente, è attraversato da demoni dell'intolleranza democratica che nulla di buono fanno presagire per l'immediato futuro. Anche da queste considerazioni si desume lo stato cagionevole di salute della democrazia contemporanea. A questo punto ci soccorre ancora il genio drammatico di Tocqueville: servono valori che parlino all'uomo e non ai militanti di partito. Si tratta di quell'accordo involontario, che trae le origini nel comune senso del dialogo e del reciproco accettarsi come persone, che rinsalda la società. In altri termini affidare una rilevanza pubblica alla religione- non settaria- che doni al corpo sociale i valori consolidati della convivenza. In questo modo si risolvono le difficoltà della democrazia. Casalino Pierluigi.



mercoledì 31 ottobre 2018

Il mondo di Roma imperiale come modello per una moderna integrazione.

 

Da: Pierluigi Casalino
L'impero romano costituì una vastissima area territoriale e giuridico politica che andava dalla penisola iberica al Caucaso, dalle isole britanniche alle regioni germanico - slave, dall'Africa settentrionale ai Balcani, alla Grecia, all'Asia minore, al Medio Oriente fino ai confini dell'estremo Oriente.A contatto con realtà etniche e di culto rappresento' un modello di integrazione straordinario, oltre che un potente elemento di unificazione e di attrazione sopratutto per le classi dirigenti provinciali e nella dimensione della vita urbana. E ciò anche grazie alla sua capacità di adeguarsi alle tradizioni locali e di assorbirle nella logica della romanità, facendole addirittura proprie. La concessione della cittadinanza romana, pur ponendo in risalto l'amministrazione imperiale e la sua burocrazia e le sue leggi, evidenzio' un unicum di grandissimo rilievo civile e sociale. Una dimensione che non manco' di esercitare il proprio influsso sui popoli limitrofi. Il lascito di Roma eterna resta tuttora un elemento inprescindibile  nella storia della civiltà umana.
Casalino Pierluigi.

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sabato 20 gennaio 2018

LA SVEZIA SI PREPARA ALLA GUERRA, RUSSIA, CINA, COREA DEL NORD E DINTORNI

Stanca delle provocazioni militari russe, la Svezia si prepara alla guerra con Mosca e a tale riguardo ha avviato una campagna di massa di educazione bellica e alla sicurezza collettiva in vista di un possibile conflitto con il potente vicino. Analoghe preoccupazioni si stanno levando in Gran Bretagna, in Polonia, negli Stati Baltici. La Russia non è più comunista, ma una anomala nostalgia di Stalin, che non sembra investire, peraltro la visione ideologica del Paese, se non per evocarne l'atmosfera patriottica (si ricordi che il 26 dicembre scorso l'ambasciatore russo in Sudafrica ha voluto, via twitter, ricordare al mondo la vittoria zarista contro Napoleone nel 1812, al fine di invitare a non sottovalutare l'orgoglio nazionale russo) e la determinazione a recuperare un ruolo di superpotenza planetaria.Jet russi sembrano violare gli spazi aerei di molti paesi e la circostanza non depone bene sul futuro delle relazioni internazionali. A ciò si aggiunga il doppio gioco di Putin a proposito della questione coreana e dell'altrettanto insidiosa della Cina, che, in una riaffermazione del primato del Partito Comunista alla guida della società cinese, indica nell'abbandono del romanticismo rivoluzionario e della leadership del partito di Lenin e di Stalin il crollo dell'URSS. Una presa di posizione dunque contro il cosiddetto nihilismo storico che mina le basi dello spirito di corpo che tiene insieme la Cina postmaoista. Anche per tale ragione, in riferimento della crisi coreana, Pechino sembra segretamente non voler delegittimare il regime di Pyongyang per evitare che il venir meno del senso di appartenenza della famiglia di Kim alla conservazione del partito comunista niordcoreano, metta in discussione il potere in Cina. In tale ottica il ritrovarsi tattico di Cina e Russia a sostegno di Kim fa il paio con le manovre militari cinesi e russe in ogni parte del globo finalizzate ad avvertire l'Occidente e i suoi alleati che la partita sul dominio mondiale è ancora aperta.
Casalino Pierluigi

sabato 30 dicembre 2017

SPIE E GUERRA NEI MODELLI TEORICO PRATICI DALL'ARTHASASTRA DI KAUTILYA ALLA COREA DEL NORD

Le dottrine improntate al realismo politico più spregiudicato risalgono a tempi remoti e trovano nell'antica India, più ancora che nell'antica Cina, modelli di speciale riferimento, la cui eredità si ritrova nei moderni sistemi di potere di dispotismo orientale e del loro controllo sociale, tramite soprattutto lo spionaggio e il controspionaggio
. Dalla Russia asiatica alla Cina confuciomarxianocapitalista alla Corea del Nord di Kim piccolo despota rosso dalle mire universaltotalitarie di stampo veterostaliniano condito nella salsa delle teorie della guerra del Celeste Impero. Putin offre il dialogo all'America sulla questione nordcoreana e poi con la Cina, dopo che lo hanno a suo tempo Pakistan ed Iran aggira l'embargo ONU per aiutare Pyongyang. Sull'incertezza della politica di Trump. assai poco credibile, non essendo nemmeno lontana parente di quella di Reagan e di Nixon, formati alla scuola del realismo di Henry Kissinger, nulla da aggiungere, ma la potenza americana si fonda su interessi e strategie che accomunano opinione pubblica ed istituzioni: aspetto mai da sottovalutare. Il patriottismo targato USA è un collante che va oltre il contingente. Tuttavia se Kissinger ha letto il Principe di Macchiavelli, nulla può contro chi è imbevuto delle idee del politologo classico indù Kautilya. Basta leggersi l'Arthasastra per comprendere come la spietata condotta del re di quell'antico trattato di politica (in cui si intravede Candragupta Maurya, sovrano Nanda coevo dei regni indogrechi lasciati da Alessandro il Grande nel subcontinente indiano) sia stata travasata sia nei metodi dell'India moderna (Pakistan e Bangladesh compresi), della Cina comunista, della Russia sia pre-sovietica che sovietica che post-sovietica. Ci si chiede allora se o giochi di guerra nordcoreani non siano soltanto un rischio calcolato o qualcosa di più di una semplice sfida retorica. Presto ne sapremo molto, molto di più comunque.
Casalino Pierluigi

lunedì 25 dicembre 2017

LA FINE DELLA CULTURA, RESA ORMAI OGGETTO DI MERCATO

L'anno che sta per trascorrere vedrà tristemente il mercato dei video giochi imporsi su quello dei libri, con un regresso pauroso della cifra intellettuale dell'umanità, ma anche con una perdita netta della fantasia creativa e del senso critico. Un disastro, dunque, di proporzioni apocalittiche per il lascito culturale degli umani, la cui capacità espressiva si traduce in una pericolosa picchiata i cui termini afasici sembrano destinati ad ampliarsi nel nome del dio quattrino e della strumentalizzazione delle menti. E tutto ciò allo scopo di una vergognosa resa del sapere e parimenti della sapientia cordis. Oni pur minimo e timido tentativo di controtendenza viene stoppato dall'incredibile legge del profitto e delle sue demoniache conseguenze sulla creatività non solo artistica, ma anche scientifica, oltre che di ingegno e di umanità. Il futurismo privilegiava l'intelligenza e l'originalità del progetto innovativo e mirava ad un uomo nuovo la cui luce intellettiva avrebbe aperto i nuovi orizzonti di un tempo liberato dagli oscurantismi dell'ignoranza. I video giochi appartengono ad mondo impazzito che stordisce la mente attraverso il pernicioso lavorio di idee distorte ed impazzite. Una via aperta verso una dittatura sullo spirito e sulla coscienza.
Casalino Pierluigi

mercoledì 20 dicembre 2017

IL RITORNO DI ANTONIO GRAMSCI

E' ormai un fatto acquisito. Antonio Gramsci, insieme a Croce e Gentile, è la figura più importante del panorama intellettuale italiano del XX secolo. Non solo: Gramsci è l'autore italiano più conosciuto e tradotto nel mondo, ovviamente dopo Dante Alighieri. Antonio Gramsci sta godendo di una fortuna straordinaria e sulla scorta di ciò cresce il numero delle edizioni delle sue opere in una sempre maggiore interpretazione critica. E ben si può dire anche che gli scritti gramsciani sono entrati in circolo in un periodo diverso da quello in cui l'autore le compose. Ed è ormai dato per scontato che Gramsci viene identificato come un classico e soprattutto come uno dei vertici del pensiero e della letteratura del Bel Paese, nonostante le proposizioni ideologiche: eppure anche queste si manifestano come un patrimonio culturale italiano di rara qualità espressiva, oltre che di ricchezza semantica. Dunque Gramsci oggi viene studiato e decifrato come uno dei grandi classici della lingua italiana. Non mancano in lui suggestioni e intuizioni, infatti, che ne fanno uno dei pilastri della nostra storia culturale e politica. Insomma un Gramsci, che entrando nell'Enciclopedia Italiana, al quale restituisce ciò che gli era dovuto.
Casalino Pierluigi

domenica 19 novembre 2017

LA QUESTIONE DI FIUME, UNA MEMORIA DA NON CANCELLARE MAI DALLA NOSTRA STORIA

Il Patto di Londra non aveva menzionato Fiume tra i territori a noi promessi e la Yugoslavia ne pretese l'annessione, anche se la città aveva, dal 3 ottobre 1918, manifestato la sua volontà di unirsi all'Italia. La Yugoslavia trovò dei validi sostenitori nel presidente degli Stati Uniti Wilson e nella Francia che era contraria al fatto che l'Italia avesse il predominio sul mar Adriatico. I nazionalisti italiani furono profondamente colpiti dalla questione di Fiume e, tra l'11 e il 12 settembre 1919, Gabriele D'Annunzio a capo di un gruppo di volontari, con la cosiddetta marcia di Ronchi entrò in Fiume, allontanò le truppe alleate che che l'avevano occupata e proclamò un governo provvisorio. alla vicenda, poi detta avventura fiumana. ho dedicato alcuni articoli su Asino Rosso e su Comunicati.net. L questione fiumana venne regolata da due trattati. Il trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, stipulato da Giolitti, prevedeva che Fiume venisse riconosciuta come stato indipendente e che l'Italia avrebbe ceduto la Dalmazia , a parte Zara, alla Yugoslavia. M i legionari fiumani non accettarono i termini del trattato, il governo italiano bloccò la città e, nella notte di Natale del 1920, Fiume venne occupata militarmente. Infine, con il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924, stipulato da Mussolini., Fiume venne annessa all'Italia. La Dalmazia, a parte Zara, restò alla Yugoslavia. L'avventura fiumana, da parte sua, ebbe vasta eco nel mondo come uno straordinario momento di partecipazione e di pluralismo libertario internazionale e non solo italiano.
Casalino Pierluigi

domenica 27 agosto 2017

INDIA E PAKISTAN E ALTRO. I RESTI DEL RAJ BRITANNICO

Il 15 agosto 1947, tra massacri, emigrazioni di massa e retorica, ci fu la spartizione del Raj britannico ovvero del diamante dell'Impero di Sua Maestà. Il subcontinente e tutta la sua storia millenaria furono divisi con le conseguenze di guerre, povertà e profughi, oltre che di ulteriori divisioni e tensioni. Se è vero che i conflitti combattuti in 70 anni sono stati vinti dall'India, è anche vero che tale situazione, intrecciata nel contesto delle più grandi rivalità internazionali, non ha prodotto alcun progresso verso la definitiva pacificazione dell'area. Oggi addirittura gli opposti estremismi indù e islamico sono molto vicini al potere nei due Stati dell'ex vasto Indostan come lo chiamava mio nonno materno, che mi ha lasciato in ricordo dei suoi viaggi nel Golfo del Bengala una splendida e storica grammatica di urdu, la lingua ufficiale dell'odierno Pakistan e lingua franca dell'intero subcontinente, dato che, trattandosi della più parlata nella zona, si scrive in caratteri arabi in Pakistan e in caratteri devanagari (moderni derivati dell'ario-vedico e del sanscrito) in India. Il divide et impera inglese, pur di non lasciare una sola potenza emergente post-coloniale nonostante le sue , creò comunque problemi a catena tra un'iniziale India filosovietica e anticinese ed un Pakistan filocinese e filoamericano. Oggi qualche mutamento è in atto, ma i due schieramenti, coinvolti anche nella palude afghana e in una folle gara missilistico-nucleare, restano due punti caldissimi dello scacchiere mondiale e non meno pericolosi dall'incontrollabile Corea del Nord.
Casalino Pierluigi

venerdì 19 maggio 2017

MODI', L'ARTISTA MALEDETTO. A GENOVA RITORNA IL PITTORE ITALIANO PIU' CONTESO NELLE ASTE INTERNAZIONALI (E PIU' A RISCHIO AUTENTICITA')



Fu solo il giorno dei suo funerali che iniziò  a chiamarsi Amedeo Modigliani. Cioè uno dei pittori più costosi al mondo di sempre: nel 2015 il suo Nu couché fu battuto da Christie's a 170,4 milioni di dollari. Fino al 24 gennaio 1920, il genio creativo livornese era uno dei tanti maudit, "maledetti", artisti che vagavano nel quartiere parigino di Montparnasse, ridotti quasi a mendicarie: offrivano opere in cambio di una minestra o di una bevuta, bizzarri, stravaganti e puzzolenti. A 35 anni una meningite e il deperimento organico per gli eccessi e le droghe, lo stroncarono poco dopo aver ottenuto la sua unica personale. Guascone (e in Francia anche per questo suo atteggiamento abbastanza di casa era simpatico e al tempo stesso criticato) e collerico, di cultura e intelligenza viva, sensibile e charmant, era dotato, tuttavia, di un rigore che non gli fece mai dipingere quei paesaggi che avrebbe potuuto vendere con facilità:"il paesaggio non vive" era solito dire. Al funerale c'erano tutti:Pablo Picasso, il detrattore che in pubblico usò una tela di Modì per dipingervi sopra una sua opera; Chaim Soutine, compagno di ubriacature e di fame vera, ebreo russo maltrattato fin da bambino e sempre sporco; Susanne Valadon, sarta, cameriera, acrobata, modella, compagna del musicista folle Erik Satie, nonché pittrice dotata; e gli altri, che pagarono le esequie con una colletta, raccolta dal bellissimo Moise Kisling, noto per le "libertà" che si prendeva con le sue modelle. Erano i protagonisti di una Parigi irripetibile, splendida e crudele, innocente, feroce e innovativa, insieme agli intellettuali e agli amici che Modì disegnava e dipingeva con occhi vuoti e corpi distesi, colli infiniti e visi esangui, mani in grembo e capelli rossi, creando un universo "fenomenico" inscalfibile nel tempo. Lo si ammira a Genova nella suggestiva mostra Modigliani, che presenta (ed allinea) 30 dipinti e altrettanti disegni di grande attrattiva.
Casalino Pierluigi

domenica 2 aprile 2017

IL DECLINO DELL'ARABISMO DOPO LE CROCIATE

Benché gli Arabi avessero la meglio nella lotta con i latini dopo le Crociate, tuttavia il loro declino era segnato. Dalle steppe dell'Asia Centrale i mongoli muovevano premendo e minacciando sempre di più. Con un capo guerriero, che resterà celebre nella storia, Gengis Khan, essi arrivarono a invadere ed impadronirsi della Cina, dell'India, della Persia e di tutte le terre della media Asia fino all'Iraq. Nel 1258 Baghdad cadeva e l'ultimo degli Abassidi poneva termine all'ormai passato splendore della sua dinastia e al califfato. altri sovrani assumeranno quel titolo, ma non per questo risorgerà il vero Califfato, se si eccettuano gli attuali impostori fanatici. L'invasione mongola aveva un carattere diverso da quello dei selgiucidi turchi: senza eccessivo fanatismo, non potendo imporre una propria civiltà, permise invece la sopravvivenza di quella dei dominati e cercò di assimilarla. Ad ogni modo il fulcro del dar-el-islam si spostò verso l'Egitto e la Spagna. Con questi decisivi avvenimenti si chiude il settimo secolo dell'Egira. Il secolo successivo trova il mondo arabo spettatore passivo dello scontro fra barbari invasori. i mongoli che rapidamente declinano e i turchi ottomani che dal centro asiatico avanzano decisamente. nel Nono secolo la potenza araba finisce. I guerrieri turchi arrivano al Bosforo e nel 1453 Bisanzio cade e con essa la larva dell'Impero Latino d'Oriente.
Casalino Pierluigi


venerdì 3 marzo 2017

CONSIDERAZIONI SULLA DIREZIONE DELLA PREGHIERA NELLISLAM



Per comprendere a pieno il discorso della Qibla, Una direzione è la Qibla, in particolare verso la Mecca, in cui si trova la Ka'ba, santuario millenario annesso all'Islam nell'anno 8 dell'Egira (630), quando Maometto riconquistò la sua città natale. Aldilà degli obiettivi spirituali (meditazione) e pratici (disciplina), la Qibla fornisce una direzione cosmica alla preghiera musulmana, consentendo ad essa di entrare in orbita con l'universo, con il cielo. Per i musulmani la Ka'ba non è sempre stata la direzione sacra. Incoraggiati dal loro Profeta, per mesi si svolsero verso un santuario straniero, Gerusalemme. Nell'infanzia di Maometto, infatti, la Ka'ba era il centro dei culti pagani. In seguito, dopo essere stato visitato dall'arcangelo Gabriele e aver ricevuto le prime rivelazioni, Maometto, naturalmente, si volse spontaneamente in direzione della Ka'ba per compiere la sua strana ed originale preghiera insieme alla moglie Khadija. Quando la Mecca si mostrò ostile, disprezzando il suo messaggio inedito, persistendo nell'idolatria ancestrale, , Maometto si adoperò per cercare il divino altrove. Considerato che gli Arabi continuavano ad essere pagani, Maometto si rivolse a Gerusalemme, come segno della sua scelta monoteista vicina al lascito giudaico-cristiano. Dietro a questa scelta si celò, quello che è stato definito dagli studiosi, il genio dell'Islam. Maometto liberò l'Islam dal sincretismo pagano delle credenze arabe tradizionali, per creare specificamente arabo, nuovo e rivoluzionario. La Ka'aba era la direzione degli idolatri, Gerusalemme quella dei veri credenti. Ebrei e cristiani dunque sembrarono a Maometto alleati naturali della causa islamica per logica e coerenza spirituale. La comunità ebraica non accettò alcuna strumentalizzazione della fede biblica a vantaggio del nuovo credo, mentre Mentre i Cristiani, altro popolo del Libro, assumevano il volto magnanimo. Il Profeta rinunciò poi a Gerusalemme come Ka'aba solo dopo aver perso fiducia negli Ebrei, trovando più comprensivo e magnanimo il comportamento cristiano, in particolare del leggendario Negus d'Etiopia, che ospitò i musulmani perseguitati dalla Mecca. Tutti gli orientalisti si sono occupati della questione, riassumendo per grandi linee il contesto internazionale in cui Maometto iniziò a predicare e in particolare le opposte forze che si fronteggiavano sul terreno della religione. Gli Arabi invidiavano Ebrei e Cristiani, perché avevano un'identità, mentre per gli Arabi tale identità non c'era, almeno nominalmente.
Casalino Pierluigi.
































martedì 10 gennaio 2017

LA STELLA SBIADITA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA

Il XX secolo, oltre ad essere stato definito IL SECOLO BREVE, è stato sicuramente anche IL SECOLO AMERICANO. E ciò non solo perché l'America ha vinto le due guerre mondiali che hanno rivoluzionato il mondo, ridefinendo gli assetti mondiali e conferendo agli Stati Uniti un ruolo globale che mai nessuno aveva avuto nella storia. Il riferimento ai valori americani in termini politici e culturali o american way of life, cioè lo stile di vita americano, è diventato egemone, soppiantando quello francese e britannico, affermatisi durante la grande epoca dei nazionalismi. Tale punto di riferimento si è affermato soprattutto all'indomani della seconda guerra mondiale, dopo l'evidente tramonto dell'Europa, suscitando grandi passioni ideali e morali, aspirazioni e non di rado una spinta innovativa ed uno spirito imitativo. Per decenni l'America è stata modello ed esempio di democrazia politica, di rispetto della libertà e dei diritti individuali, di capacità di sviluppo economico e tecnologico, pure attraverso strumenti altrettanto formidabili come il cinema e la musica, che hanno imposto un loro ruolo mondiale non solo di dimensione culturale. Buona parte del costume americano è diventato quello di tutto il mondo. L'idea di Occidente è stata identificata con l'America, dimenticando l'originale intuito del Vecchio Continente, per secoli maestro di civiltà. Nel 1945 l'allora Segretario di Stato Bryan diceva che l'America giungerà alla piena lucentezza nel giorno in cui tutti sapranno che essa colloca i diritti umani al primo posto, confondendo così il bene umano con quello americano. Già Prezzolini aveva individuato nell'America una delle grandi forze del mondo attuale. La determinazione della leadership americana di perseguire tali fini è proseguita in tutto il XX secolo, anche se l'idealismo americano si è andato rivelando come un idealismo diverso da quello europeo. Difficile oggi esprimersi sul futuro americano, dopo una campagna elettorale piuttosto inferiore alla cifra idealista classica che contraddistingue quel confronto e ancora non si sa se il vincitore sarà in grado di esprimere veramente gli umori profondi, le capacità e le prospettive della Repubblica Stellata.
Casalino Pierluigi

domenica 1 gennaio 2017

Il 2017 e il debito tedesco (e quello italiano)

Casalino Pierluigi

Quando si leggono libri come BREVE STORIA DEL DEBITO TEDESCO DA BISMARCK A MERKEL dell'ambasciatore Sergio Romano o LE LEZIONI DI POLITICA SOCIALE di Luigi Einaudi o ancora IL PENSIERO ECONOMICO di Luigi Sturzo, ma anche LE VICENDE DEL MARCO TEDESCO di Costantino Bresciani-Turroni, si comprende quanto tali letture contribuiscano a farci comprendere, come cittadini italiani ed europei il nocciolo di una questione tanto complessa quanto poco conosciuta. Il coraggio delle scelte nel nome della verità passa attraverso questo canale culturale, anzi di cultura economica, che attraversa la storia d'Europa e del mondo. I tedeschi, in primo luogo, ci domandiamo, hanno onorato i loro debiti? Hanno le carte in regola per imporre  agli altri la politica di austerità? Dobbiamo veramente, al riguardo, rendere omaggio alla lezione di uno studioso come Guido Roberto Vitale che sembra utile riproporre all'attenzione della pubblica opinione. Siamo di fronte, infatti, ad una sfida determinante per il destino del Vecchio Continente e della Germania. La storia tedesca degli ultimi trent'anni, da Khol alla Merkel, è la vicenda di leader che hanno volutamente rimettere la Germania al centro dell'azione politica dell'Europa, da quando nel 1990 ci fu la riunificazione tedesca. Sovviene che Margaret Thtcher temeva una riunificazione tedesca in sé, ma preferiva una riunificazione tedesca nel segno europeo, trattandosi di una ricomposizione dell'Est comunista con l'Ovest liberale dell'Europa. La contraddizione nata allora è ancora bloccata, dunque, e di qui nascono molti dei problemi in atto. La Germania è ancora in attesa di essere europea? Non è chiaro però se si debba gettare la croce addosso solo a Berlino. Per quel che concerne la Germania, si dovrebbe ripartire dal trattato di Versailles, nel bene e nel male, e di vedere se la Germania sia all'altezza della leadership che desidera assumere. A Versailles fu imposto alla Germania sconfitta, dopo la Grande Guerra, di "riparare i danni arrecati"; in seguito si arrivò alla terribile deviazione nazista con Hitler che non pagò più i debiti e ancora al 1953, quando alla conferenza di Londra sull'argomento, fu accordato alla Germania (Occidentale) la possibilità di rimborsare a rate più del 50% del suo debito, compreso quello più recente dei danni provocati dalla Seconda Guerra Mondiale. E' vero, come è vero, tuttavia, che occorre riconsiderare le decisioni di Versailles, da cui parte questa storia difficile da decifrare in termini corretti. L'eccesso delle ragioni punitive di Versailles è un dato di fatto: tesi che venne abbracciata da Keynes, che fece riferimento alla pericolosità di tali provvedimenti esagerati, suggerendo una via d'uscita da quel contenzioso insidioso tra creditori e debitori con un grande prestito internazionale, magari pure con il contributo degli Stati Uniti d'America, per finanziare la ricostruzione dell'Europa, e si spinse a dire che vale la pena di "correre il rischio", anche di fronte alle obiezioni che i singoli Stati europei avrebbero utilizzato tali somme per le loro "meschine politiche nazionali". Viene di usare Keynes come metafora dei nostri giorni, per dirla con Sergio Romano, E sempre Keynes avrebbe, infatti, avuto meno dubbi, su quella sua proposta, se un simile prestito oggi, mutatis mutandis, fosse stato europeo e gestito dalla Commissione di Bruxelles, ripartito secondo i criteri che sono già in vigore per la ripartizione dei fondi europei e garantito dall'intera Unione. In tal caso, e forse solo in tal caso, Angela Merkel e il suo cerbero ministro Wolfgand Schauble vedrebbero in una proposta del genere la mutualizzazione del debito tedesco (si, proprio quello di cui mai si parla), bestia nera della Repubblica Federale e dei tedeschi di ogni epoca, dopo la crisi finanziaria di Weimar. E fa bene Sergio Romano a porsi un interrogativo cruciale su una questione così tribolata: un interrogativo comprensibile per le ragioni profonde che sono alla base del disegno europeo, anche se lo stesso Romano esprime sufficiente realismo da non farsi troppe illusioni in materia. Una tematica che il 2017 dovrà risolvere per per venire a capo del caso italiano, di cui forse si parla eccessivamente al pari di quello tedesco del 1919. E il problema del maxidebito italiano, non diversamente da quello tedesco, va risolto nel pieno di una battaglia di solidarietà europea, ridando credibilità al nostro patrimonio di idealità, di esperienza e di capacità inventive che tutti ci invidiano, nonostante tutto. Si tratta di un compito che la politica italiana, distratta da polemiche particolaristiche e sterili, dioverà saper assumersi per non suscitare una spirale senza ritorno di rigetto popolare, con effetti più negativi sulla tenuta della nostra democrazia.


sabato 31 dicembre 2016

IL MESSAGGIO DI AUGUSTE COMTE

Casalino Pierluigi

Certamente Auguste Comte era un uomo "positivo" come ben si ricorda dai ricordi della filosofia liceale. Un uomo con i piedi per terra, proiettato sull'avvenire con intuizioni di grande respiro, attualissime. Più di due secoli fa Comte aveva affrontato il dilemma della Francia di questi ultimi anni, tanto più pressante dopo l'ondata di attentati che ha toccato anche altri paesi d'Europa. E cioè se si possa vivere solo di laicismo o se una religione, alla fine, sia necessaria per strutturare una società. Il pensatore francese dell'Ottocento diede le sue risposte: quello che i suoi discepoli chiamavano "il pontefice di una religione senza divinità e trascendenze. Aveva fiducia nel futuro rivoluzionario della scienza, ma riteneva che quest'ultima da sola non fosse sufficiente a tenere insieme una società, ma che ci volesse una religione, se pur senza il soprannaturale, né dogmi, una religione "leggera". In questo senso, paradossalmente, apprezzava l'Islam, che giudicava "semplice" e dal punto di vista teorico trampolino ideale verso una religione "positivista". non credo che oggi potrebbe ritrovarsi nel fanatismo politico di questa fede, tuttavia. Comte fu l'unico a comprendere che "la religione è un'attività meramente sociale, basata sulla fissazione di riti e di cerimonie". Fu il riferimento della scuola pubblica in Francia, il cui fondatore, Jules Ferry, ebbe ammirazione per lui, così come l'ebbe lo statista George Clemenceau, che nel positivismo trovarono le radice di una certa Francia repubblicana, laica e razionale. Senza contare che l'anticolonialismo di Comte (che fu tra i rari intellettuali ad opporsi all'occupazione dell'Algeria) e le sue critiche al razzismo lo hanno fatto apprezzare anche dalla sinistra. Particolare era comunque Auguste Compte, perché era uomo travagliato e probabilmente non così totalmente positivo: amava la lingua italiana, che giudicava come la lingua dell'amore. Leggeva Petrarca e Dante, adorava l'opera italiana e adorava Donizzetti, specialmente, tutti elementi che portavano un briciolo di serenità nella sua esistenza difficile.

giovedì 29 dicembre 2016

IL PENSIERO POLITICO GRECO DOPO ALESSANDRO MAGNO

Alessandro Magno morì nel 323 a.C. e Aristotele (photo...) , suo maestro, l'anno dopo. Il compito di tracciare il corso del pensiero politico greco divenne, a partire da quella data, molto più difficile, e il materiale più frammentato. non ci furono solo filosofi politici che emergessero, e nessuna grande opera politica è giunta fino a noi. Non c'è quindi da stupirsi se a molti studiosi è parso che l'argomento fosse esaurito e il pensiero politico giunto al termine. Le conquiste di Alessandro avevano cambiato il mondo; la città greca pareva un'anticaglia, insignificante per dimensioni e potere in confronto con gli eserciti macedoni, impotente ed anzi inutile nella sua funzione tradizionale di arbitra della morale e delle consuetudini sociali. I filosofi che la pensavano diversamente dovevano avere la testa nelle nuvole, e i politici nascondevano il capo nella sabbia. La fine della libertà greca era già avvenuta quando Filippo il Macedone riportò la vittoria di Cheronea nel 338 a. C. Ma codeste sono le osservazioni di uno storico che conosce gli eventi successivi. nel 338 a.C. il tentativo compiuto da Filippo per dare un assetto generale alla situazione greca a molti non parve segnare la fine della Città-Stato, più di quanto non l'avesse segnato l'assetto del Gran Re di Persia cinquant'anni prima. Anche le conquiste di Alessandro, per quanto sbalorditive, non rivelarono sul momento quello che sarebbe accaduto più tardi. L'uomo medio, come l'oratore Eschine, non avrebbe potuto prevedere i cambiamenti che i prossimi cinquant'anni avrebbero via via portato. La distruzione di Tebe, Atene ridotta suddita della Macedonia, e soprattutto il drammatico tracollo dell'impero persiano, tutte queste cose Eschine le sapeva e lo sbigottivano, ma non vi era alcun segno di mutamento nel modo di vivere, né era diminuita l'importanza della polis. Inoltre, sebbene la madrepatria greca fosse stata umiliata dal Macedone, molte città greche dell'Asia minore salutavano Alessandro come un liberatore dal loro secolare nemico orientale. A prima vista il trionfo del filo-ellenico Alessandro, allievo di Aristotele e imbevuto dei miti omerici, sul re straniero Dario sembrava, come un tempo, la vittoria greca a Maratona, il successo, un nuovo successo del sistema di vita democratico greco su quello dispotico persiano, se pur fondato sulle armi macedoni. Un successo che esportò il modello greco fino ai confini della Cina, con il crearsi persino di regni indo-grechi. I cambiamenti, in realtà, sulla spinta dell'universalismo alessandrino, si produssero lentamente e condussero sulla base del detto universalismo ad una mescolanze delle razze e al lancio di un grande avvenire sulla scorta di un grande passato.
Casalino Pierluigi

domenica 11 dicembre 2016

IL FUTURO DEL PAESE NELLE MANI DELLA POLITICA

Gli studi sul futuro e sulle sue previsioni non sono mai stati molto diffusi ed apprezzati. Ciò nondimeno la necessità di guardare al domani e di pensare ad una politica sociale che regga le incertezze congiunturali: circostanza che è sempre stata sottovalutata anche in anni di vacche grasse e sempre a causa della miopia della classe politica nel suo complesso, incapace di creare una rete di protezione sociale credibile ed efficace, come avviene in altri paesi europei, in primo luogo la Francia, esempio di generosità senza pari da parte di quello stato. Si sente dunque l'esigenza di riorganizzare il futuro, senza più seguire l'onda delle diverse emozioni propagandistiche legate al chiasso del momento: una strada che si è fatta in salita fin dai primi anni Novanta del secolo scorso, quando i soloni del Legislativo si sono inventati la privatizzazione del pubblico impiego, condannandone ancor di più il funzionamento. La caduta di Renzi ha sicuramente molti padri, ma il più importante di essi è la rabbia di gran parte degli italiani di fronte ad una non comprensibile politica di austerità, inaugurata dal maldestro governo Monti-Fornero e non troppo modificata dai successivi, sempre sotto la spada di Damocle dell'austerità, rimedio peggiore del danno. Un'austerità che non ha impedito il taglio dei privilegi degli alti vertici, ma che si è abbattuta solo sui redditi medio-bassi. In un'Italia in cui troppe storie sembrano condannate a iniziare e finire nella cattiva politica è cosa originale e grottesca. Se la politica tornerà a saper fare l'analisi del rischio e a dire all'Europa che le premesse di Maastricht non sono sostenibili senza adeguati e coerenti ritocchi, il futuro del Paese tornerà saldamente nelle mani della politica.
Casalino Pierluigi, 11.12.2016