Visualizzazione post con etichetta bruno turra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta bruno turra. Mostra tutti i post

mercoledì 19 febbraio 2025

Bruno Vigilio Turra-Sociologo - Futuri Mistici? (Periscopio)

https://asinorossoferrara.blogspot.com/2025/02/bruno-vigilio-turra-sociologo.html

 https://www.periscopionline.it/author/bruno

Conosci te stesso” era la massima riportata sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi: un invito che ha accompagnato lo sviluppo di tutta la filosofia classica, quando essere filosofi significava innanzitutto condurre una vita da uomini, una vita orientata alla saggezza.

Questa filosofia intesa come un modo di vivere, questo esercizio filosofico basato sul distacco da ogni attaccamento particolare, è passata anche nel primo cristianesimo ed è proseguita fino al medioevo arrivando – in ambito cristiano – ad un vertice assoluto con la cosiddetta mistica renana[2].

Alcuni autori suggeriscono che proprio i padri del primo cristianesimo aggiungendo al primo “conosci te stesso” un formidabile “e conoscerai te stesso e Dio”, posero le basi di tutta la mistica occidentale, mistica ancora razionale, cioè intesa come il vertice più alto della conoscenza.

Il verbo conoscere, qui va inteso in senso del tutto particolare: non come un sapere esprimibile nella descrizione di un entità specifica ma come un “genuino essere”, cioè un’esperienza particolare di sé che – nell’antropologia cristiana – coinvolge corpo anima e spirito. Conoscere dunque, come esperienza diretta e non mediata[3] dell’Uno, del Tutto, o, se si preferisce, di quel Dio che rimane inconoscibile per la mente calcolante ma che pure è presente in ogni cosa senza in questa risolversi.

È un esperienza che alcuni mistici hanno descritto come un “nascere a se stessi”, “una ri-generazione”, vissuta al momento come beatitudine, estasi sconvolgente. Tutto questo esprime splendidamente Margherita Porete: in quel capolavoro assoluto che è Lo specchio delle anime semplici ella afferma che “non v’è da guardare a un mondo vero al di fuori di noi e di questo mondo, perché questa luce che è, noi la siamo. Lo siamo sempre, non in un momento particolare, quello ‘mistico’, estatico, che divide, oppone un mondo vero ad uno falso, l’Uno al molteplice, ma sempre. L’Uno è nell’anima”.

Proprio la frase “conosci te stesso e conoscerai te stesso e Dio” assiema alla frase eckartiana “prego Dio che mi liberi da dio” sintetizzano mirabilmente l’idea di una mistica per così dire razionale, assolutamente libera, fondata sul distacco da ogni attaccamento, la cui purezza non è toccata da immagini e rappresentazioni mentali.

......................Continua..... https://www.periscopionline.it/il-futuro-umano-sara-mistico-o-non-sara-300825.html


 

venerdì 14 giugno 2024

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SOCIETA'

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SOCIETA'  
FIERA DI PRiMIERO Belluno VENERDI' 14 06  2024 h 20 30
BRUNO TURRA  SOCIOLOGO
--e altri interventi di esperti vedi locandina

Noto il trentino per la robotica (oltre al futurista Depero), ovvero Rovereto...ora, dopo questo evento in Primiero, almeno relativamente anche noto per l'intelligenza Artificiale....

Roberto Guerra
 

martedì 3 ottobre 2023

Bruno Turra, Intelligenza Artificiale e Nuovo Capitalismo

 

 

di Bruno Turra (Sociologo)

Dove ci sta portando la potenza inarrestabile della Intelligenza Artificiale guidata da un Nuovo Capitalismo? Concentrazione della ricchezza e del potere, iper-controllo sulle persone, manipolazione sistematica tramite l'ingegneria sociale sono rischi che aumentano man mano che, insieme all'integrazione tecnologica digitale, cresce l'isolamento sociale e la paura. Mai come oggi riprende vigore la fatidica domanda: "Che Fare?" (prima che sia davvero troppo tardi).

C'è un processo globale in corso che non sembra in alcun modo arrestabile [Qui il mio precedente intervento su Periscopio]. Si tratta della  crescita esponenziale del numero di oggetti che vengono connessi alla rete internet mediante i più svariati tipi di sensori. Miliardi di questi dispositivi catturano elaborano ed inviano informazioni che vengono raccolte ed elaborate, per essere quindi utilizzate nei modi più diversi ed originali. 

In maniera un po' semplicistica  e a lume di senso comune, chiamiamo internet delle cose (IoT) il sistema fisico che consente tutto questo, chiamiamo big data la massa di informazioni digitali che vengono raccolte ogni minuto secondo e chiamiamo  (I.A.) l'insieme di algoritmi implementati su reti di calcolatori sempre più potenti che possono consentire la ricerca, l'organizzazione e l'elaborazione automatica di questa enorme e crescente massa di dati.

Trasformare, partendo da sensori installati ovunque, ogni spazio fisico, dall'interno di una casa (demotica), ad un ufficio (smart office), da una fabbrica (industry 4.0) ad una intera città (smart city), in un "ambiente navigabile" nel quale veder tutto ciò che accade; automatizzare grazie all'informazione elaborata i processi della casa, dell'ufficio, della città (e infine del mondo). Portare l'elettronica in ogni oggetto rigido, non solo nelle cose inerti ma anche anche in ogni cosa elastica e malleabile, negli oggetti del mondo vegetale ed animale: tutto questo rappresenta l'orizzonte della rivoluzione digitale in atto.

Tutto questo indica anche una precisa direzione di sviluppo tecnico che porta i sensori sul e dentro il corpo umano, come già fatto con successo per gli animali domestici e da allevamento, attraverso le tecnologie indossabili e la micro sensoristica (nano bot) associata alle bio tecnologie. 

Se tutto questo è centrale a livello tecnologico e scientifico, esso rappresenta anche l'ultimo territorio di conquista del capitalismo; un territorio – quello digitale –  che era ancora quasi sconosciuto e perfettamente vergine solo 20 anni addietro: un territorio che è stato colonizzato con modalità predatorie che ricordano la conquista violenta del west nord americano e di buona parte del mondo da parte delle potenze coloniali occidentali.
Se al centro di quelle conquiste violente vi era la ricerca della ricchezza monetaria, dell'oro e di risorse materiali preziose, l'acquisizione di nuove terre e la ricerca di nuovi mercati, al centro di questa vi è l'informazione.
...............


 

lunedì 12 agosto 2019

Noi Robot eBook Robot Revolution di Bruno Turra

by Zoltan Istvan, Made in Italy, a c. di R . Guerra (Asino Rosso eBook, 2019)

Se in prospettiva di lungo periodo questa appare una tendenza quasi certa che obbliga a riflettere seriamente sul futuro del pianeta e dell'uomo, nel breve periodo restano ampi margini di incertezza e quindi di manovra. Già adesso segni evidenti di questi processi si mostrano con sempre maggiore chiarezza; espulsioni di quote crescenti di lavoratori dai processi produttivi contrattualmente protetti e precarizzazione sistematica del lavoro a causa dell'automazione sempre più spinta che si insedia proprio in quei luoghi (fabbriche e pubblica amministrazione) dove più sicuro era stato il possesso del "posto". 
Diminuzione delle pratiche di delocalizzazione poiché i computer e le macchine automatiche rendono più economica la produzione anche rispetto ai costi già bassi che possono essere strappati nei paesi più poveri e meno tutelati sindacalmente. 
I segni di questa sostituzione sono osservabili dappertutto ma stranamente passano sottotraccia: distributori automatici di cibi preconfezionati e biglietti, bancomat che consentono di svolgere molte operazioni, prenotazioni on line, macchine automatiche per fotografie, distributori automatici di benzina, sportelli autostradali intelligenti, sono solo alcuni degli esempi che abbiamo quotidianamente sotto agli occhi ma ai quali non pensiamo in termini di perdita di posti di lavoro e di sostituzione e spiazzamento del lavoro umano con quello delle macchine. 
Tutto questo avviene tramite le tecnologie ma non esclusivamente a causa di esse: le regole di funzionamento del capitalismo finanziario imperante entro cui tutto questo si realizza sono state infatti prima motivate culturalmente e quindi imposte politicamente dai governi dominanti che hanno sposato e sostenuto un'ideologia liberista privilegiando specifici soggetti a svantaggio di altri e affermandola ormai come un fatto naturale incontrovertibile, necessario e sufficiente.
Comunque sia sempre più persone sono costrette seriamente a riflettere sul loro futuro in termini di possibilità occupazionale, di possibilità di lavoro. Automazione e digitalizzazione stanno infatti aggredendo il lavoro di quella gigantesca classe media entro la quale sono confluiti nel dopoguerra operai ed impiegati di ogni settore. Paradossalmente sono proprio quei lavori di concetto che nella vecchia società industriale sembravano difficili e per i quali era indispensabile un lungo percorso di apprendimento (quelli del mitico "posto fisso", i lavori di concetto tipici del terziario, per i quali era indispensabile l'ambitissimo "pezzo di carta", le occupazioni impiegatizie entro le fabbriche e le Amministrazioni) quelli attualmente più facili da sostituire; sembrano invece ancora poco minacciati i lavori basati sull'interazione umana diretta, sulla artigianalità e la sapienza dei gesti (per lungo tempo poco valorizzati nell'epoca industriale) poiché proprio essi sono per le macchine attuali più difficili da replicare. 
E' vero che tutto ciò che si può descrivere attraverso una procedura può essere industrializzato e tutto ciò che è industrializzato può essere tranquillamente automatizzato e digitalizzato; è anche vero però che il processo si presenta oggi più veloce e virulento in certi settori ed investe in forma differente, differenti lavori e professioni.
Almeno nel breve periodo molte persone dovranno dunque riflettere con non pochi timori su domande che riguardano il lavoro: in quali ambiti digitalizzazione e automazione espelleranno più lavoratori? Quali lavori e professioni saranno più minacciati di sostituzione? Che nuovi lavori si potranno inventare per vivere?
Allo stesso modo politici e decisori dovranno interrogarsi circa l'impatto sociale ed economico delle tecnologie; quale potrà essere il nuovo significato del lavoro in un economia di abbondanza di beni e servizi? Sono accettabili le enormi differenze generate da un sistema che premia enormemente pochissime persone? E' possibile rinunciare al lavoro come meccanismo retributivo quasi esclusivo senza pregiudicare l'equilibrio sociale e l'identità delle persone? Quali dispositivi sociali dovranno essere pensati per regolare i comportamenti delle persone mantenendo un regime di libertà diffusa? Quali settori privilegiare in termini di priorità e di investimenti?
Quasi 20 anni fece scalpore la notizia che Deep Blue, il supercomputer Ibm, riuscì nell'impresa di sconfiggere Kasparov, il campione del mondo di scacchi; meno scalpore ha fatto invece la notizia più recente che dei giocatori dilettanti di scacchi lavorando insieme ad un normale computer, sono stati capaci di battere sia grandi maestri umani che macchine specializzate nel gioco estremamente potenti, lasciando intravvedere una possibile via per uscire dallo stallo: quella appunto della collaborazione uomo macchina, strategia capace di allontanare i due estremi dello scontro luddista basato sulla paura e della schiavitù tecnologica fondata sull'ignavia.
Questa collaborazione con le macchine intelligenti spinge, lavorativamente parlando, ad abbandonare ogni compito routinario e strutturato per sposare la logica della creatività e dell'innovazione, dell'imprenditorialità e della originalità. Intuire, escogitare, fare domande intelligenti, subodorare, influenzare, pensare fuori dagli schemi, combinare e ricombinare, rimescolare, interpretare dati, imparare ad imparare, flessibilizzare, discernere informazioni, riconoscere pattern, comunicare in modo complesso, comprendere empaticamente, diventano tutte capacità importanti per vivere bene in un ambiente intelligente che favorisce l'auto-organizzazione e l'auto-apprendimento basato sulla tecnologia. 
Più lavoro fuori dalle routine e dalle fabbriche, diversa educazione, differente idea di lavoro, decentralizzazione della produzione e co-produzione, invenzione di nuove forme d'impresa e di nuovi lavori sembrano poter scaturire da uno stato di complementarietà positiva con le macchine intelligenti; forse, la possibilità di creare quel valore che non appare oggi nel Pil attraverso le infinite pratiche di economia condivisa e informale che già oggi danno senso e scopo alla vita di milioni di persone. 
In attesa ovviamente di ripensare seriamente l'intera economia e il posto del lavoro nella civiltà del futuro.

domenica 25 novembre 2018

La Big Data society di Bruno Turra (Asino Rosso eBook) by Meteo Web

 

La Big Data society di Bruno Turra


*recensione di Roberto Guerra


On line del sociologo Bruno Turra, "Un altro mondo-universo è possibile" (Asino Rosso eBook, Ferrara, 2018): l'autore analizza con raro equilibrio umanista, scientifico e non ideologico, il contemporaneo caotico e potenzialmente rivoluzionario "computer world" nel suo divenire postmoderno e postumano.

Così l'incipit dell'autore stesso:

"Molte sono le etichette che vengono usate per evocare sinteticamente la natura della società nella quale viviamo e cercare di catturarne lo spirito sfuggente. Società dell'informazione, società post-industriale (D.Bell, A.Touraine), società del rischio (U.Beck, 1986), società digitale, network society; società a capitalismo avanzato, post-moderna (J.F.Lyotard), liquida (Z.Bauman), post-materiale; società della paura, del benessere, del consumo, società dei controlli (M.Power), società aperta (K.Popper), della comunicazione, dei servizi e del terziario avanzato; società multietnica, multiculturale, opulenta (J.K.Galbraith), società tecnologica ".

Un estratto dal Capitolo "Onde anomale nel mare dei Big Data"

Tutti sono convinti di vivere nella società dell'informazione, pochi riescono a coglierne le caratteristiche profonde, pochissimi sono in grado di capire fino a che punto potrà spingersi il processo di informatizzazione e quali conseguenze potrà comportare per la società e la cultura del futuro. 
Fatto è che, parlando di informazione, quasi tutti pensano ai contenuti che vengono trasmessi dai vecchi e dai nuovi media, pochi riflettono sugli scopi che gli attori sociali perseguono nel produrli e nel diffonderli, e ancor meno pensano ai significati che essi veicolano e generano nell'interazione con i fruitori. 
Certo è che viviamo immersi in un mare di informazioni e che la soglia da superare per catturare l'attenzione delle persone diventa sempre più alta proprio perché ognuno elabora meccanismi di selezione e di difesa indispensabili per dare senso al proprio ambiente di vita. Vivere in questo ambiente ci mette di fronte per esperienza diretta al rumore e all'ambiguità caratteristica della società dell'informazione; ci rende consapevoli nostro malgrado dei limiti che abbiamo come sistemi biologici di elaborazione di informazione nell'affrontare questa complessità caratteristica dei nuovi ambienti di vita. 
In tale situazione possiamo pensare il mondo come un'enorme biblioteca, un archivio che si autoalimenta per le azioni stesse dei suoi utilizzatori, un deposito culturale che contiene in forma digitale infinite informazioni che nessuno potrà mai attingere e dominare completamente. Contrariamente all'inquietante biblioteca fisica di Borges la digitalizzazione consente a tutti e ad ognuno di essere sia produttori che consumatori in un processo che ne fa aumentare esponenzialmente l'ampiezza. In linea di principio la mega biblioteca digitale che si alimenta è un prodotto collettivo su scala planetaria, un potenziale bene comune di cui allo stato attuale si ignorano ancora i limiti e i reali utilizzi. E' un bene utilizzabile allo stesso modo del linguaggio che ognuno di noi impara quando viene al mondo.
Questa prospettiva rappresenta tuttavia solo una piccola parte del problema e, a ben vedere, neppure la più importante. Accanto e dietro a questi flussi di informazioni palesi (almeno potenzialmente) esistono giganteschi depositi di informazioni incorporate nei manufatti, nelle tecnologie, nelle organizzazioni, nelle istituzioni, nei reperti storici ed archeologici, nelle istituzioni deputate alla scienza e alla conoscenza, nelle grandi burocrazie. 
Soprattutto esistono e crescono esponenzialmente le informazioni che noi stessi produciamo senza averne precisa coscienza: ogni interazione che abbiamo con qualsiasi dispositivo digitale, ogni clic sulla tastiera del pc, ogni uso della carta di credito, ogni fotografia o videoclip, è informazione che viene restituita al sistema tecnologico:
in internet nulla va perduto e si sta creando dunque un enorme deposito dinamico di informazioni che continua a crescere e a svilupparsi in seguito alle azioni quotidiane svolte da miliardi di persone, milioni di aziende e Amministrazioni, decine di miliardi di dispositivi connessi nel cosiddetto internet delle cose (Iot) che è in grado di raccogliere informazioni in modo automatico.
(…..)

Bruno V. Turra*: Sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese d ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione.  A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all'innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.  Cura da anni il blog Valutazione e un blog su Ferrara Italia.  Tra diverse pubbllcazioni, ricordiamo alcuni saggi sociofuturibili in AA.VV., Futurist Renaissance  (Hyperion edizioni, 2018) e AA.VV., Futurologia della vita quotidiana, Transhumanist age (eBook, Asino Rosso, 2017), con diversi  futurologi italiani.
  
Info 




Mail priva di virus. www.avg.com

giovedì 14 dicembre 2017

Demografia-Democrazia e Scienza *di Bruno V. Turra


Demografia, migrazioni, accoglienza: alcune riflessioni politically (in)correct

/04 Dic 2017

 
Secondo i dati Istat (aggiornati al 31 dicembre 2016) la popolazione residente in Italia è di 60.589.445 persone, di cui 5.026.153 di cittadinanza straniera, pari all'8,3% del totale. Tra questi, i cittadini non comunitari regolarmente presenti in Italia sono 3.931.133, il 78% del totale di stranieri censiti. Mediamente pertanto, 1 cittadino su 12 è straniero, un rapporto però che è estremamente variabile in funzione dei territori che si prendono in considerazione: notoriamente la popolazione straniera si concentra nel Centro-Nord, che ospita quasi l'84% del totale, mentre il Sud ospita un assai modesto 11% e le Isole circa il 5%.
A Milano, Brescia e Prato per esempio, la percentuale sfiora il 19% mentre a Palermo è inferiore al 4%; quote appena superiori si riscontrano a Bari, Catania e Foggia (4%); a Trento la percentuale è dell'11%, mentre a Ferrara si assesta intorno al 10%; a Monfalcone arriva quasi al 21% (dati Istat 2017).
Il tasso di crescita del numero di stranieri residenti in Italia appare in tutta evidenza se si confrontano i dati dei censimenti a partire dal 1961, anno in cui ne furono registrati 62.780; nel censimento del 1971 erano 121.116 e nel 1981 ammontavano a 210.937. Nel censimento del 2001 si registravano già 1.334.889 presenze straniere mentre, nell'ultimo censimento del 2011, il numero era salito a 4.027627 (Fonte: Italia in cifre 2016, Istat). In sintesi il numero di stranieri nel nostro Paese risulta quintuplicato in meno di 20 anni: si tratta della crescita relativa più marcata registrata tra i paesi europei per i quali sono disponibili i dati.
Dal lato degli ingressi, ad alimentare il numero degli stranieri in Italia concorrono non solo le migrazioni dall'estero (il saldo migratorio annuale è positivo con oltre 200 mila stranieri), ma anche i tanti nati nel nostro Paese da genitori entrambi stranieri, le cosiddette seconde generazioni. Dal 2008 le nascite da coppie non italiane sono più di 70 mila all'anno, nonostante una lieve diminuzione tra il 2013 e il 2014. Dal lato delle uscite, oltre alla mortalità e alla cancellazione per l'estero o per altre cause, si registra un numero crescente di persone che ogni anno da straniere diventano italiane (178 mila nel 2015, più di 200.000 nel 2016 per un totale di oltre 1.150.000 persone che hanno ottenuto cittadinanza italiana).
E' noto che la popolazione straniera residente in Italia presenta una struttura demografica molto diversa dalla popolazione di cittadinanza italiana: per quest'ultima l'indice di vecchiaia (ossia il rapporto tra popolazione ultra sessantacinquenne e popolazione con meno di 15 anni) è il più alto d'Europa con 176 anziani ogni 100 ragazzi, mentre per la popolazione straniera è di 15 anziani ogni 100 ragazzi, il valore più basso dell'Unione. La popolazione straniera è molto giovane (età media sotto i 34 anni), anche se con notevoli differenze tra i diversi gruppi. In generale, la quota di ragazzi (0-14 anni) fra gli stranieri è superiore di 5 punti percentuali a quella che si riscontra fra gli italiani nella stessa fascia d'età. La classe di età tra 15 e 39 anni pesa per il 45% sul totale della popolazione straniera, mentre in quella italiana pesa per poco più del 26%. Al contrario le persone con 65 anni e più fra gli stranieri hanno un'incidenza di poco superiore al 3%, mentre nella popolazione italiana si avvicinano al 24%.
La composizione per genere della popolazione straniera in Italia è mediamente equilibrata (51,4% femmine). Secondo il rapporto Istat sui cittadini non comunitari questo equilibrio nasconde però situazioni molto differenti fra le diverse origini: alcune nazionalità, come quella ucraina, sono sbilanciate al femminile, mentre fra gli originari del Bangladesh, per esempio, si registra una prevalenza maschile. Per diversi gruppi l'equilibrio tra i sessi è stata una condizione raggiunta nel tempo, come nel caso dei marocchini per i quali si registrava in passato un più netto squilibrio a favore dei maschi.
Tutti, italiani e stranieri regolarmente residenti, vivono in un bellissimo paese, caratterizzato però da una disoccupazione media superiore all'11%, da una disoccupazione giovanile che viaggia da tempo tra il 35 e il 40%, dal drammatico ridimensionamento dello Stato sociale, da una corruzione diffusa e dalla forte presenza di organizzazioni di stampo mafioso fortemente radicate e inserite nei circuiti istituzionali. L'Italia, inoltre, è caratterizzata da una pressione fiscale esagerata sulle imprese (68% dei profitti secondo i dati Cgia Mestre), con oltre 9 milioni di italiani a rischio povertà che non ce la fanno più (fonte: AdnKronos); un paese dal quale emigrano (fuggono) italiani con un'incidenza che, secondo l'Ocse porta l'Italia all'ottavo posto mondiale nei paesi di provenienza delle nuove migrazioni (subito dopo il Messico e davanti a Vietnam e Afghanistan) con cifre che vengono stimate mediamente superiori ai 200.000 casi (fonte: Il Sole24ore, 6 luglio 2017). Un paese dal quale moltissimi giovani spesso preparati e formati emigrano in nazioni che consentano loro di mettere a frutto i propri talenti (Regno Unito e Germania in primis) e, infine, un posto nel quale sembra non si riesca a incidere su privilegi scandalosi: pensioni d'oro, baby pensioni, buonuscite faraoniche, falsi invalidi e falsi ammalati.
E' all'interno di questo quadro generale estremamente complesso che va collocato il flusso migratorio della rotta mediterranea: quello dei barconi e delle ong, quello più drammatico e assai verosimilmente quello più fuori controllo; quello più attenzionato dai media che qui trovano una miniera dalla quale estrarre di volta in volta notizie strappalacrime di bimbi spiaggiati o violenze perpetrate sulle donne, prevaricazioni sui migranti o violenze gratuite sui residenti italiani, torbide storie di sesso e corruzione, equamente distribuite tra stampa di destra e sinistra, ma comunque ottime per attrarre l'attenzione, aizzare gli animi, commuovere o indignare e, naturalmente, vendere. Quel flusso che è ormai diventato per molti cittadini sinonimo di ogni tipo di migrazione, che è invece cosa molto più vasta e complessa e che alimenta il gigantesco business dell'accoglienza.
Il sito Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati) segnala che gli arrivi via mare regolarmente registrati in Italia sono stati nel corso del 2017 (al 31 novembre) oltre 121.000, che si aggiungono ai 181.486 del 2016, ai 154.000 del 2015 e ai 170.000 dei 2014 e ai 40.000 del 2013, per un totale di oltre 650.000 persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi cinque anni. Il dato ovviamente non tiene conto nè dei flussi che arrivano via mare senza essere intercettati (di cui nulla si può sapere) nè dei flussi che passano per altre possibili rotte indirette (di cui poco si dice e si parla). La medesima fonte, liberamente consultabile e costantemente aggiornata, mostra che i paesi di origine sono soprattutto quelli dell'Africa nera subsahariana, zona dalla quale proviene oltre il 75% degli sbarchi dell'ultimo anno. Il medesimo sito offre anche una rappresentazione sintetica per genere (novembre 2017): da qui si apprende che tra gli arrivati via mare in Italia il 74,5% sono maschi mentre solamente 11% sono femmine, essendo il rimanente 14,5% rappresentato da minori. Questi ultimi sono spesso di età compresa tra i 14 e i 18 anni e in grandissima maggioranza maschi, seppure con forti variazioni relative agli stati di provenienza. In tale situazione è ragionevole pensare che una quota almeno pari ad 85% degli sbarchi totali registrati sia rappresentata da maschi giovani e giovanissimi di età compresa tra i 14 e 30 anni.
A sostegno di tale stima nel rapporto Istat già menzionato, pubblicato il 17 ottobre di quest'anno, s legge: "la composizione di genere dei richiedenti asilo è particolarmente squilibrata, nell'88,4% dei casi si tratta di uomini. La quota di donne più elevata, poco meno del 24%, si registra per la Nigeria, scende al 12% per la costa d'Avorio e si colloca sotto il 3% per tutte le principali collettività arrivate in Italia in cerca di protezione. I minori rappresentano il 3,2% dei flussi in ingresso per queste motivazioni".
Questa composizione di genere fortemente polarizzata è decisamente allarmante per un paese caratterizzato da una forte carenza di posti di lavoro. Ed è inquietante per una certa cultura che negli ultimi decenni ha fatto della parità di genere una bandiera, costretta oggi a confrontarsi con realtà culturali assolutamente diverse, spesso caratterizzate da un rapporto maschile-femminile assai lontano dallo stereotipo (apparentemente) dominante in occidente.
Tenuto poi conto che, secondo i dati del Ministero dell'Interno, i dinieghi alla richiesta di asilo sono stati il 58% nel 2015 e il 60% nel 2016 e che la proporzione di rifugiati riconosciuti come tali è molto bassa (mediamente 5% ai quali vanno aggiunte le richieste sussidiarie ed umanitarie accettate) ci si devono porre molte domande sul senso e la qualità di quella che viene definita 'accoglienza'; nonché sulle motivazioni, sulle risorse, sulle aspettative che spingono e sulle modalità che muovono così tanti giovani ad assumersi il rischio e il costo (dai 1.000 ai 3.000 euro secondo alcune stime) di un viaggio così lungo e pericoloso; un viaggio semplicemente impensabile senza la presenza di informazioni, persone, organizzazioni, reti di collusione e di corruzione, capaci di costruire una solida domanda e quindi un florido mercato.
Di cosa dovrebbero dunque vivere e cosa dovrebbero fare mezzo milione di giovani maschi approdati sulle coste italiane senza compagne, senza famiglia, senza competenze e con poche risorse relazionali in loco che ne facilitino l'inserimento? In che modo dovrebbero regolare la naturale esuberanza giovanile? Che vita dovrebbero condurre una volta usciti dal circuito della prima accoglienza? In che modo dovrebbero guadagnarsi da vivere senza scivolare loro malgrado nella delinquenza o dipendere dai sussidi pubblici o dalla possibile carità dei privati?
Più in generale che l'intero sistema dell'integrazione non funzioni così bene come alcuni professano, trapela dalla composizione della popolazione carceraria: piaccia o meno, i dati mostrano che la percentuale di detenuti stranieri nelle carceri italiane è del 27% (ed è quasi esclusivamente composta da maschi) vale a dire 3,5 volte maggiore di quanto ci si aspetterebbe se i crimini che causano la detenzione fossero equamente distribuiti tra popolazione residente italiana e straniera. Inoltre, piaccia o meno, i dati confermano che le piazze dello spaccio e della prostituzione in molte città italiane sono ormai in mano a specifiche etnie arrivate negli ultimi anni e (purtroppo) non di rado attraverso i percorsi della cosiddetta 'accoglienza'. Accoglienza che, lo dice il nome stesso, non può essere imposta con la forza senza che si trasformi in qualcos'altro.
Poiché tuttavia, grande è il timore di superare i limiti violentemente imposti dal pensiero unico politicamente corretto ed è oggettivamente molto difficile cercare di comprendere il fenomeno migratorio affrontandolo francamente e da diverse prospettive, resta più che mai vivo il pregiudizio rancoroso su cui si reggono le argomentazioni delle opposte fazioni dei contrari e dei sostenitori dell'accoglienza obbligatoria, e più in generale, dei tanti che non vogliono neppure tentare di capire la realtà. Una situazione che rende più difficile ogni tentativo di trovare (doverose) soluzioni innovative (che pure esistono) e di intervenire con successo in un sistema globale che produce sempre più emarginati (di tutte le razze e nazioni) e li mette in competizione tra di loro. Una situazione non propriamente ottimale anche in vista della campagna per le prossime elezioni dove il tema migrazione, c'è da scommetterci, sarà usato da destra e da sinistra come una clava per conquistare consensi.
Fonti
Ministero dell'Interno. Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione
Report Istat cittadini non comunitari 2015-2017
Istat Popolazione in Italia
Sito Unhcr – (flussi migratori nel Mediterraneo)
Ministero della Giustizia – Popolazione carceraria in Italia
Il Sole 24ore – (Italiani ch emigrano all'estero)
La Stampa – (Stime deI costi dei viaggi)