C he ci sia simpatia, certo è molto bello, ma che questa simpatia si traduca di continuo nella volontà di riabilitarlo come uomo “buono” è davvero curioso! Sarà certamente ingiusto da parte mia, ma ho ormai l’abitudine, quando sento l’espressione «un uomo buono», di tradurla istantaneamente in francese: un bonhomme . Lo si potrebbe considerare un esempio del famoso passaggio dal sublime al ridicolo; a mio avviso, tuttavia, al “buono” nell’accostamento sopraccitato il sublime aderisce così poco che, se qualcuno mi attribuisse un tale predicato, mi sentirei addirittura offeso. E dico questo non dal mio consueto punto di vista filosofico, secondo il quale considero le parole “buono” e “cattivo” come etichette sociali senza alcun significato filosofico e come concetti il cui valore teorico non è più grande di quello dei concetti di “sopra” e “sotto”. Un assolutamente “buono” o “cattivo”, “vero” o “falso”, “bello” o “brutto” esistono tanto poco nella teoria quanto nello spazio esistono u...