LO SPIRITO DEL NILO: UNGARETTI E L’EGITTO
Giuseppe Ungaretti, giornalista e poeta, nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1988 e si spegne a Milano nel 1970. Di origini lucchesi, è uno dei più grandi intellettuali italiani del XX secolo. Parlando di se dice:”la mia educazione fu francese, la mia lingua italiana; in fondo l’Egitto mi ha lasciato soprattutto il senso dello spazio, dell’infinito, del deserto” Vive a lungo a Parigi, a contatto con la più vivida civiltà poetica europea (Apollinaire, Claudet, Gide, Valeri, Picasso), studia alla Sorbona; quindi partecipa alla prima guerra mondiale in Italia (Carso) e in Francia (Champagne), e, al termine, del conflitto, a tutti i movimenti letterari in Italia, in particolare all’ermetismo. Dopo numerose esperienze all’estero, Ungaretti torna in Italia nel 1942. La sua opera, intrisa d’avanguardia, interpreta da un lato un’inedita cultura nomade, quasi gitana, e dall’altro una “vague” impressionista singolarissima,esprimendo qualche legame con la lirica leopardiana. Pervaso da un acuto senso della pausa e del silenzio, Ungaretti manifesta la sua emotività stupita, attraverso sensazioni intense che emergono dalle nascoste radici dell’essere e che rappresentano tutta la sua anima di “poète maudit”, alla ricerca di un misterioso riscatto. Una poesia, quella di Ungaretti, che mira all’essenziale, scavata nell’anima, a penetrare nelle linee maestre delle cose. Ed è proprio quest’arte, tra simbolismo e postsimbolismo francese, non legata a versi, rime e metriche, ma libera, spezzata, generata da un continuo colloquio con se stesso, che fa di Ungaretti il protagonista di un’autentica rivoluzione espressiva. Una rivoluzione che risente certamente di una chiara influenza futurista. Come non è estranea all’apertura intellettuale e allo slancio avveniristico del giovane poeta l’irripetibile stagione egiziana. L’Egitto è allora un ambiente “internazionale e cosmopolita”, ricca di elevata seduzione creativa. Ma l’Egitto influenza questo figlio di Alessandria per il suo paesaggio, per “quell’ottica del deserto” (Ungaretti la chiamerà “miraggio” nei suoi versi), in cui, specie di notte, entrano i silenzi del deserto, le grida sparse di animali, i latrati dei cani. Il deserto sconfinato e simile al “niente”, ogni creatura, dall’animale all’albero, all’oasi, all’uomo, si staglia in una luce speciale che lo enuclea dal contesto intorno. Di qui l’essenzialità dell’invenzione ungarettiana che ben si coniuga con l’Alessandria nativa, mare e sabbia, in un vortice di divenire in cui tutto finisce e rinasce. Nello scenario di un paese, l’Egitto a cavallo del XIX e del XX secolo, che vive in un’atmosfera già per vocazione, orientata all’avanguardia. Lo spirito del Nilo, uno dei fiumi del poeta, continuerà a soffiare nella sua arte fino al suo ultimo giorno.
Casalino Pierluigi, 9.02.2011.