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venerdì 10 agosto 2012

Commento allo scritto “Le ecoballe della bioagricoltura” di Giuseppe Gorlani

 
Mi ha stupito leggere l'articolo "Le ecoballe della bioagricoltura" di Riccardo Cascioli, tratto da Il Giornale. Cosa c'entrano tali riflessioni con la "nuova oggettività" alla quale in questo sito si dice di aspirare? Certo, l'"oggettività" impone di registrare tutto, ma poi si deve trarre dall'analisi una sintesi capace di orientare. Lo scritto in questione nega ogni valore all'ambientalismo e all'ecologia, basandosi implicitamente sul presupposto che il sistema sviluppista ed evoluzionista nel quale stiamo vivendo sia l'unico giusto e possibile e che solo esso sia capace di portare l'uomo – ridotto alla mera identificazione nel corpo fisico e nella mente dicotomica – verso il soddisfacimento di tutti i propri bisogni. Secondo chi scrive, ci si trova di fronte all'ennesimo esempio di hybris caratterizzante il mondo moderno, per il quale tutto ciò che è "natura" non si riduce ad altro che a oggetto di asservimento e di sfruttamento. Non vale se poi i risultati disperanti di simile visione sono sotto gli occhi di tutti; l'importante è affermare la supremazia di un uomo monco – che in quanto "monco" non è che bruto tra i bruti –, portando infelicità al pianeta intero, umani compresi.
Se con il termine tradizione intendiamo la trasmissione di valori immutabili, connaturati all'ente umano, consapevole di Essere, non vi è niente di tradizionale nell'articolo di Cascioli. Secondo la tradizione, infatti, l'umanità sta regredendo e decandendo viepiù, non migliorando. Se proprio vogliamo parlare di un "miglioramento" dobbiamo concepirlo nel senso di una sempre maggiore presa di coscienza dell'oscurità e della pochezza (scaturenti da un'ignoranza o mancanza principiale) che ci attanagliano e non già nel fatto, puramente relativo, che l'uomo stia materialmente evolvendo; in altre parole, è la presa di coscienza della pochezza che ci ammorba a suscitare in noi l'aspirazione alla Conoscenza, al Sublime, al Sacro, a Dio o che dir si voglia.
Se non ci rendiamo conto di essere malati, come potremo mai guarire? Coprendo con una patina di superficiale ottimismo la marcescenza di cui siamo infetti, aggiungeremo marcio al marcio, avviandoci verso il più completo annichilimento. Di ciò ci hanno parlato ad abundantiam Evola, Gnon, T. Burckhardt, Coomarswamy e altri grandi pensatori. Quest'ultimo, tra l'altro, nella sua pregevole raccolta di saggi Sapienza orientale e cultura occidentale dedica un saggio a L'illusione dell'alfabetismo. Del resto, basta dare una scorsa veloce al panorama culturale odierno per rendersi conto della vacuità che lo caratterizza. Che se ne fanno allora del saper leggere e scrivere le masse moderne? Alle masse è stato concesso di alfabetizzarsi unicamente per accedere alla neolingua barbarica, oggi imperante, finalizzata all'omologazione di tutte le differenze in nome di un'impossibile uguaglianza degli enti. In realtà, quelli che si avvalgono della cultura per occuparsi delle questioni fondamentali rimangono puntualmente pochi.
L'articolo in questione mi offre pure l'occasione di porre il dito in quella che ritengo una piaga del cosiddetto "tradizionalismo", coincidente, a livello ideologico e politico, con una sedicente "destra": il più totale disinteresse per l'ecologia interna ed esterna. E' senz'altro vero che negli ambiti ecologici prosperano spesso idee antitradizionali e materialistiche aberranti: la negazione tout court dell'antropocentrismo e dello status di prima persona dell'ánthropos, l'appiattimento degli enti a livello biologico, la confusione tra relativo e assoluto, ecc.; ciò tuttavia non giustifica l'atteggiamento di chi fa di ogni erba un fascio. L'assumere posizioni rigide e cieche e il non esercitare la discriminazione sono comportamenti che conducono alla sterile contrapposizione degli estremi.
Personalmente credo invece che il momento attuale sia il più opportuno per imparare ad esercitare il discernimento, riponendo innanzitutto al Centro il senso essenziale del nostro esistere (etim.: uscir fuori dall'Essere); significato che non spinge verso un "diventare" questo o quello, bensì ispira ad illuminarci, a risvegliarci e a reintegrarci nella Coscienza divina onnipervadente, la quale, come insegnano le Upanishad e altri testi sapienziali atemporali, non nasce e non muore.
Senza tale radicale riorientamento, qualsiasi azione non è che un cieco brulichio votato al niente. Scrive Andrea Emo in un suo Quaderno di metafisica: «E che cosa è infine per noi degno, degno di amore di attenzione di intenzione, di volontà? Nessuna cosa, nessun oggetto, poiché le cose e gli oggetti sono transitori, la loro natura è di sfuggire, di sparire, di attirare l'un l'altro e di trasformarsi l'un l'altro. Chi segue questi oggetti con entusiasmo cioè con passione, è trascinato da questo processus in infinitum, è trascinato al suo intenso processus in infinitum cioè alla follia. Quello in cui si deve porre volontà e fede è l'eterno».
A mio modesto modo di vedere, la citazione testé riportata non implica il disprezzo per la natura, intesa quale oggetto, né un'impossibile astrazione da essa, volta ad adharmiche biotecnologie o ad iperboliche "conquiste" scientifiche; essa, piuttosto, evidenzia l'assurdità dell'assolutizzare la "datità" relativa, estrovertendo in toto l'attenzione e proponendo miraggi di progresso irraggiungibili e insensati. Lo si deve sottolineare: l'uomo resterà sempre un alienato sino a che non comprenderà che la natura è la vibrazione, lo spanda, per dirla in sanscrito, dell'Ineffabile. Idea, intelligenza e azione sono un unicum, non realtà separate. Perciò l'ammirazione, la venerazione e la contemplazione della natura, nella sua coincidenza esterno-interno, sono segni di risveglio che non debbono e non possono restare lettera vuota, ma tradursi in stile di vita, in armonia, salute ed equilibrio. Giacchè è soltanto col superamento del dualismo conoscenza-azione, o individuo-mondo, che si può liberare la Via ostruita dall'ignoranza e dall'incoerenza ed emanciparsi dal nichilismo.
Giuseppe Gorlani

martedì 24 luglio 2012

Le ecoballe della bioagricoltura...+video


Tra le tante favole nate dall'ideologia ecologista, una delle più pericolose è quella che riguarda l'agricoltura, visto che ci va di mezzo un bisogno primario come quello dell'alimentazione. Si racconta dunque che c'era una volta un'agricoltura bella, efficiente, rispettosa dei cicli della natura in cui tutti erano felici mentre ora l'avvento dell'industrializzazione ha distrutto questa armonia, avvelenando i terreni con pesticidi e ogni sorta di veleni chimici, inquinando l'aria con i mezzi meccanici, con agricoltori dediti soltanto allo sfruttamento selvaggio dei terreni e alla tortura degli animali.
E il futuro si prospetterebbe ancora peggiore con l'avvento degli Organismi geneticamente modificati. Un campionario di queste idee si può trovare nel volume-inchiesta di Davide Ciccarese, appena uscito, che già dal titolo (Il libro nero dell'agricoltura, Editrice Ponte alle Grazie, pagg. 268, euro 14) evoca efferati crimini contro l'umanità.Secondo Ciccarese, ai tempi della bella agricoltura - di cui trova ancora qualche traccia - c'era una sicurezza alimentare che nasceva da un clima perfetto, sempre uguale (grandinate e caldo fuori stagione, che rovinano i raccolti, sono descritti come una novità dovuta agli attuali cambiamenti climatici), le piante non venivano attaccate da parassiti, il lavoro dei campi donava «la giovinezza di chi ha un'età indefinita» (qualsiasi cosa voglia dire), tra il padrone e il salariato non c'era alcuna differenza, e soprattutto a fare la differenza era la felicità dei contadini, il cui segreto era «vivere dello stretto necessario sapendo sfruttare al meglio ogni risorsa disponibile».C'è da chiedersi se un mondo come quello descritto sia mai esistito. E la risposta è un secco no. La civiltà tanto vagheggiata non aveva nulla di idilliaco, era un'agricoltura che ancora cento anni fa non riusciva a nutrire quel miliardo e mezzo di persone che abitavano il mondo malgrado in questa attività fosse impegnata gran parte della popolazione. Ecco come lo storico Piero Melograni sintetizza questa realtà: «Nelle civiltà agricole una percentuale elevatissima della popolazione conviveva con l'assillante problema di sfamarsi. Per sfamarsi, fino a pochi decenni or sono, questa umanità doveva zappare, scavare con le vanghe, trasportare pesi sulle spalle, mietere coi falcetti e trebbiare coi bastoni. La condizione della stragrande maggioranza degli individui finiva per rassomigliare a quella degli animali. In quasi tutte le abitazioni mancava l'illuminazione artificiale. Mancavano i vetri alle finestre. L'acqua doveva essere trasportata manualmente e spesso era inquinata. Mancavano le calzature. Mancava il mobilio e pochi possedevano un vero letto. La promiscuità con gli animali costituiva spesso la regola». Per non parlare poi dell'alfabetizzazione: nel 1861 il 75% degli italiani non sapeva né leggere né scrivere, i bambini non si mandavano a scuola ma dovevano lavorare duro nei campi - quelli che sopravvivevano, perché la mortalità infantile era altissima - per aiutare la famiglia a vivere. In un secolo di rivoluzione tecnologica, le cose sono cambiate: in Europa l'aspettativa di vita è raddoppiata, la fame è praticamente scomparsa, la fatica fisica si è enormemente ridotta, le masse hanno imparato a leggere e a scrivere, la mortalità infantile tende allo zero. Anche l'ambiente ci ha guadagnato, perché l'agricoltura intensiva ha voluto dire produrre molto di più con meno terreno: in Italia, dal 1961 al 2000 la superficie agricola totale è scesa da 26,5 a 19,6 milioni di ettari, ben sette milioni di ettari guadagnati che hanno permesso l'aumento della superficie forestale a livelli anche superiori rispetto alla situazione pre-industriale.E a livello mondiale grazie alla tanto demonizzata Rivoluzione Verde, che ha introdotto nuove varietà geneticamente selezionate e l'uso di fertilizzanti, si è potuto sfamare una popolazione che in un secolo è quadruplicata, evitando carestie ed epidemie che fino a un secolo fa erano la regola. Certo, i problemi dell'alimentazione non sono tutti risolti, ci sono quasi un miliardo di persone nel mondo che sono sottonutrite, ma il problema non è più la disponibilità assoluta di cibo. Anzi, è proprio questa nuova ideologia che avanza che rischia di farci ripiombare nei «bei tempi andati»: l'ossessione della riconversione all'agricoltura biologica, dei prodotti a km zero, il mito dell'autosufficienza alimentare (ognuno produce per sé), la demonizzazione degli Ogm, l'uso dei prodotti agricoli per produrre carburanti, sta già producendo gravi distorsioni. Perché significa meno produttività (il biologico rende il 50% rispetto all'agricoltura convenzionale), prezzi più alti e crisi alimentari nei paesi poveri. E questo senza migliorare qualità e salubrità dei cibi.Ci può essere e c'è un uso spregiudicato dei mezzi tecnici che danneggia l'ambiente e alla lunga anche le persone, ma la soluzione non è ritornare a un mondo che non è mai esistito. Si deve invece andare, come ci dice Giuseppe Bertoni, docente alla facoltà di Agraria dell'Università Cattolica di Piacenza, «verso tecniche soft che implicano minori lavorazioni dei terreni, irrigazione senza spreco d'acqua, minore uso di concimi, diserbanti, antiparassitari». E per questo è necessario anche l'apporto delle biotecnologie.

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/lagricoltura-ambientalista-coltiva-pericolose-ecoballe.html

mercoledì 16 maggio 2012

DEMOCRAZIA DIRETTA E STATO SOCIALE


 
DEMOCRAZIA DIRETTA E STATO SOCIALE

un binomio indissolubile

di Gianfredo Ruggiero

  
Fin dalla sua comparsa sulla terra l'uomo si è caratterizzato, al pari di molte altre specie animali, come essere sociale. Come persona individuale, ma propensa ad associarsi per condividere e sviluppare con altri i comuni interessi e per meglio tutelare e difendere le proprie conquiste lavorative e sociali.
Escludendo le società collettivistiche dove tutto e messo in comune e l'individualità annullata, possiamo affermare che le associazioni  o microcomunità - da quella base rappresentata dalla famiglia unita da vincoli di amore e di sangue a quelle in ambito lavorativo come i sindacati e le associazioni di categoria - rappresentano le cellule del tessuto connettivo di una moderna, pluralista e ordinata società.
Questa premessa è necessaria per comprendere lo spirito e le finalità della Democrazia Diretta che si collocano all'interno di un ampio e articolato processo teso al superamento del modello liberal-capitalista e al ridimensionamento del ruolo dei partiti finalmente ricondotti nell'alveolo istituzionale.
Dimentichiamoci, per il momento, dell'attuale sistema e pensiamo ad un qualunque lavoratore, operaio, impiegato o professionista, inserito in un sistema a Democrazia Diretta. Questi è chiamato ad eleggere, su base territoriale, secondo il principio delle primarie e senza il filtro dei partiti, il rappresentante della categoria di appartenenza.
Il nostro lavoratore sarà motivato ad andare a votare e lo farà con la massima attenzione e competenza affinché gli interessi della sua categoria siano ampiamente tutelati.
Lo stesso vale per le altre espressioni significative della società. Medici e insegnanti, sindacati e industriali, uomini di scienza e di cultura, casalinghe, sportivi, pensionati e immigrati...ogni realtà importante del Paese avrà il suo rappresentante in Parlamento che, di fatto, sarà lo specchio della società.
I parlamentari risponderanno direttamente e senza il filtro dei partiti agli elettori da cui hanno ricevuto il mandato e non avranno bisogno, come avviene ora, di crearsi le clientele per assicurarsi la rielezione. E' sufficiente lavorare bene, nell'interesse della categoria di appartenenza e di quello supremo della Nazione. Non ci saranno più le tangenti ai partiti e le mazzette ai politici.
Il Parlamento sarà composto da tecnici qualificati e da persone competenti. Non avremo più il tuttologo, il politico che un giorno fa il Ministro della Sanità e il giorno dopo il Ministro dei trasporti, bensì un medico a capo della Sanità, un ingegnere al dicastero dei Trasporti e un magistrato al Ministero della Giustizia.
Al vertice dello Stato vedremo, anch'esso eletto direttamente dal Popolo e con il meccanismo delle primarie, un Presidente della Repubblica con funzioni di Primo Ministro svolgere il delicato compito di governo della Nazione e di garante della pace sociale, in grado di intervenire con autorevolezza e senso dello Stato quando interessi di categoria o di parte, pur legittimi, sono in contrasto con quello generale. I principi guida saranno l'interesse nazionale e l'autosufficienza, soprattutto in campo alimentare ed energetico (basta mortificare la nostra agricoltura per importare le arance dalla Spagna e i pomodori dalla Cina, abbandonare le centrali idroelettriche per importare la corrente da Francia e Svizzera…).
A livello locale prevarranno le liste civiche che si confronteranno sulla base di programmi concreti sfrondati da demagogie e interessi di partito.
Con l'avvento della Democrazia Diretta i partiti continueranno ad esistere, ma saranno ricondotti nel loro ruolo essenziale d'indirizzo e di garanti delle libertà, senza ingerenze nella società civile e sconfinamenti nella gestione della cosa pubblica. Usufruiranno di finanziamenti statali, ma saranno tenuti alla compilazione della denuncia dei redditi sottoposta al vaglio della Guardia di Finanza. Sarà inoltre introdotta l'incompatibilità tra una qualunque carica di governo o istituzionale e cariche di partito: chi decide di servire la Patria lo deve fare senza alcun condizionamento o interesse di parte.
Il Parlamento sarà, come ora, costituito da due rami, ma con composizione e compiti diversi: la Camera dei Deputati, espressione della società civile, si occuperà delle questioni sociali e il Senato della Repubblica, espressione della politica, avrà compiti di indirizzo e di politica estera. Le leggi dovranno passare al vaglio di entrambe le Camere ed essere approvate dal Capo dello Stato, previa verifica da parte della Corte Costituzionale.
Di provenienza politica saranno i presidenti delle Regioni (le provincie saranno soppresse) e il Presidente della Repubblica. Nel Consiglio Direttivo delle Regioni siederanno, con pari potere, i politici e le rappresentanze sindacali interne e delle associazioni degli utenti.
La concertazione tra le parti sociali, che oggi avviene all'esterno delle Istituzione con la saltuaria e pavida intermediazione del Governo, domani avverrà direttamente in Parlamento dove il confronto coinvolgerà non solo le parti in causa, ma anche le altre realtà a cui oggi è negata voce. Non avranno più senso gli scioperi, il diritto sarà comunque garantito, ed i ricatti tipo Fiat: finanziamenti statali in cambio della promessa del mantenimento dei posti di lavoro.
La nuova Costituzione si armonizzerà in un rinnovato Stato Sociale con il ripristino di tutte le conquiste sociali oggi sacrificate sull'altare del libero mercato e della globalizzazione economica e si completerà con la Socializzazione delle Imprese (ingresso nel Consiglio di Amministrazione delle grandi aziende della rappresentanza sindacale interna e suddivisione degli utili d'impresa tra gli azionisti e i lavoratori) e con il diritto alla proprietà della prima casa attraverso l'Istituto del Mutuo Sociale finanziato e gestito direttamente dalle Regioni senza alcuna finalità di lucro.
La sovranità monetaria sarà ristabilita con il ritorno allo Stato della Banca d'Italia, ora in mani private, e conseguente superamento del "signoraggio bancario" causa primaria dell'enorme e inestinguibile debito pubblico(1).
Il ridimensionamento del potere bancario, il superamento della dipendenza economica dai mercati internazionali e dei vincoli europei saranno i primi obiettivi del nuovo governo nazionale, come pure la chiusura di tutte le basi NATO e americane presenti sul nostro territorio, fermo restando gli accordi di alleanza che dovranno essere ridefiniti a partire dalla nostra partecipazioni alle guerre "umanitarie".
I settori strategici (energia, sicurezza, sanità, istruzione e trasporti) e i servizi pubblici locali devono essere sottratti alle logiche del mercato e del profitto per essere gestiti direttamente dallo Stato, con uomini dello Stato motivati e ben pagati e non dai partiti come avviene attualmente. Da questa riorganizzazione anche il nostro disastrato ambiente ne trarrà giovamento.
Sono certo che queste proposte faranno saltare sulla sedia (o meglio... sulla poltrona) i politici di mestiere e quanti in questo sistema ci sguazzano. Lotteranno con i denti e con le unghie per mantenere i loro privilegi e le accuse di attentato alla democrazia e di ritorno al Fascismo si sprecheranno, come pure i tentativi di bollare le nostre idee come demagogiche e irrealizzabili.
In effetti, come avrete compreso, non si tratta di semplici riforme, bensì di una rivoluzione, prima culturale e di pensiero e poi politica.
La spinta deve venire dal basso, da un serrato e approfondito dibattito ed i promotori non possono che essere i circoli culturali, le associazioni di qualunque tipo e persone estranee ai partiti.
Le rivoluzioni nascono dal malcontento popolare, ma rimangono sterili o sfociano nel terrorismo se alla loro testa non si pone una Elite costituita da uomini puri che sappiano trovare, forte del consenso popolare, le giuste strategie.
Questa è la strada da perseguire. Senza ricorrere alla violenza o farsi tentare dalle scorciatoie militaristiche, non lo vogliamo e non ne abbiamo bisogno perché la nostra forza è nelle ...idee.
Gianfredo Ruggiero, Presidente Circolo Culturale Excalibur - Varese (Italia)


Note.
 (1)  La Banca d'Italia, ora filiale della Banca Centrale Europea anch'essa privata, stampa le banconote che poi vengono prestate allo Stato al suo valore nominale a cui sono aggiunti gli interessi e le spese di stampa, pur cui una banconota da 500 euro che a Bankitalia costa solo 30 centesimi noi la paghiamo, attraverso i titoli di debito pubblico, 500 euro + stampa e gli interessi che si moltiplicano ogni anno. Di questo perverso meccanismo, nell'era dell'informazione e a dispetto della tanto decantata democrazia e libertà, in televisione e sui giornali non si fa neppure cenno.

L'articolo può essere liberamente riprodotto, è sufficente citare l'autore e la fonte.






excaliburitalia.wordpress.com

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lunedì 23 aprile 2012

CONFESSIONI DI UN NOSTALGICO


 





*il fascismo culturale come futuristica sociale?


CONFESSIONI DI UN NOSTALGICO
di Gianfredo Ruggiero
Ebbene si, lo confesso: sono un nostalgico.
Rimpiango quel periodo della nostra storia recente quando i nostri nonni potevano lasciare la porta aperta e dormire con le finestre spalancate. Ora, invece, siamo costretti a barricarci in casa con allarmi e porte blindate.
Allora si poteva passeggiare fino a notte fonda senza temere nulla e non c'erano, come adesso, telecamere ad ogni angolo di strada, carabinieri, polizia, vigili e vigilantes.
Per ritirare la pensione la nonna non aveva bisogno della scorta armata, bastava il nipotino.
Le piazze e le strade erano dei cittadini e non delle prostitute, degli spacciatori o dei balordi d'ogni specie ed etnia.
Il pugno duro del regime e la piena occupazione, che tolse manovalanza alla criminalità, costrinse la Mafia a traslocare in America dove, non a caso, trovò terreno fertile per prosperare e prepararsi a tornare in Patria con i liberatori americani.
Per punire i delinquenti allora bastavano poche carceri perché la giustizia ordinaria funzionava davvero(1). Ora invece le prigioni scoppiano, anche a causa della delinquenza immigrata, della lentezza della giustizia che trattiene in carcere imputati ancora in attesa di giudizio(2), e alla politicizzazione e smania di protagonismo di parte della Magistratura a cui è concessa assoluta libertà e totale impunità, anche quando commette gravi errori.
I dipendenti statali, è vero, erano privilegiati, ma sentivano la responsabilità del ruolo svolto e rispondevano col massimo impegno e se meritevoli facevano carriera. Provate ora ad andare in un qualsiasi ufficio pubblico e vi accorgerete come lo Stato non faccia differenza tra un dipendente coscienzioso ed uno lavativo.
I giovani venivano educati al senso civico(3), all'amor di Patria, al rispetto per il prossimo e al cameratismo. Sapevano cos'era il sacrificio e lo sport era il loro principale svago. Ora invece…lasciamo perdere.
Le famiglie - e per famiglie intendo quelle vere e non i surrogati gay - facevano figli perché lo Stato le sosteneva con Istituiti, molti dei quali poi abrogati, come l'Opera Nazionale Maternità e Infanzia, gli assegni familiari e l'esonero dal pagamento delle tasse per le famiglie numerose e indigenti, le case popolari, le colonie per i figli degli operai, ecc.(4).
Le famiglie povere facevano sacrifici per istruire i loro figli, ma avevano la certezza che una volta conquistato (si, conquistato perché allora si studiava sul serio) il tanto agognato "pezzo di carta" i loro figlioli avevano un futuro certo e ben retribuito e se non avevano voglia di studiare un posto da muratore, operaio o contadino per loro si trovava. Per questi lavori ora ci sono gli immigrati.
I treni popolari hanno permesso ai meno abbienti di conoscere l'Italia e i dopolavoro di dare svago e istruzione agli operai.
In ogni città sorgevano le colonie elioterapiche per la cura di malattie croniche, come la tubercolosi e la TBC, allora molto diffuse.
Il sostegno del Governo per il rilancio dell'economia, l'enorme piano di opere pubbliche, i nuovi servizi e le bonifiche integrali del Regime hanno permesso di estendere a tutta l'Italia la piena occupazione e, di conseguenza, a ridurre il fenomeno emigratorio (prima dell'avvento del Fascismo la fame e la mancanza di lavoro costringeva le nostre braccia ad emigrare in paesi dove gli italiani venivano spesso sfruttati e mal tollerati).
Un operaio con il suo lavoro e con l'aiuto della moglie che praticava una sana economia domestica riusciva a mantenere una famiglia, spesso numerosa, e a mettere da parte qualche soldo per poi, una volta andato in pensione, grazie alla liquidazione (istituita in quegli anni), riscattare la casa in affitto e vivere serenamente la sua vecchiaia. Adesso, a parte i ricchi e chi eredita la casa dei nonni, quale famiglia è in grado di comprarsi un pur modesto appartamento in periferia? E la pensione? Per i giovani di oggi una chimera.
Le Fabbriche per produrre bene e a costi contenuti non avevano bisogno del lavoro precario e della mano d'opera extracomunitaria di oggi. Anzi, sia imprenditori che operai avevano uno stimolo in più per dare il meglio di sé: fare grande l'Azienda per fare grande l'Italia.
Le più grandi Aziende italiane sono nate, o si sono consolidate, proprio in quegli anni grazie alla diffusa libertà d'Impresa assicurata dal Governo (si soppresse la libertà politica per esaltare le libertà civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe) ed al controllo statale sul sistema bancario sottratto al potere dell'alta finanza e posto al servizio dell'economia, ma soprattutto grazie alla fiducia nelle Istituzioni e all'amor di Patria, quello vero non quello estemporaneo e patetico della nazionale di calcio o del 150° anniversario.
Si producevano di tutto, in Italia e con lavoratori italiani e l'agricoltura ci assicurava l'autosufficienza alimentare.
Ricordate la tanto sbeffeggiata campagna per il grano? E' servita a ridurre la nostra dipendenza dall'estero(5), a dare lavoro ai nostri contadini e a risanare terre incolte. Adesso, in nome del libero mercato, importiamo di tutto, perfino i pomodori dalla Cina, gli agrumi da Israele e le verdure dalla Spagna e, nel contempo, distruggiamo le nostre arance pur essendo le migliori del mondo e multiamo gli allevatori che producono latte per poi importalo dalla Francia.
Si costruivano autostrade, ferrovie, acquedotti - come quello pugliese, il più grande d'Europa - e intere città rispettando tempi e costi, si bonificavano paludi e s'istituivano parchi nazionali.
L'Italia era un immenso cantiere, dalla Sicilia alle Alpi, e i servizi pubblici funzionava (i treni arrivavano veramente in orario). Ora per togliere la spazzatura dalle strade di Napoli è dovuto intervenire l'esercito. In compenso costruiamo ospedali e strutture pubbliche a costi esorbitanti per poi abbandonarli, come ci documenta quotidianamente "striscia la notizia".
Per un semplice raccordo autostradale ci voglio decenni e i nostri pendolari  sono ammassati in vagoni fatiscenti o costretti ad alzarsi all'alba per prevenire il traffico.
Con lo slogan "nulla si distrugge" fu avviata, nel 1939, una capillare raccolta differenziata porta a porta per il riciclaggio dei rifiuti.
Il terremoto dell'Aquila ha distrutto tutti gli edifici, tranne quelli costruiti in epoca fascista, un caso?
Le Università sfornavano fior di laureati che sarebbero diventati capitani d'industria, economisti affermati, scienziati di alto livello o uomini di Stato. I grandi statisti del dopoguerra, i Moro, i De Gasperi, i Berlinguer e lo stesso Presidente Napolitano si sono moralmente formati come politici integerrimi proprio durante gli anni del Fascismo. Oggi non esistono più statisti, ma solo politicanti che badano ai loro interessi personali e di parte e solo di riflesso a quelli nazionali.
I conti pubblici erano in ordine. Il 1° Aprile del 1924, dopo soli 18 mesi di governo, senza imporre nuove tasse o incrementare quelle esistenti e senza deprimere l'economia il Ministro delle Finanze De Stefani poté annunciare il raggiungimento del pareggio di bilancio.
La crisi finanziaria di Wall Street del '29, che – come oggi - mise in ginocchio tutte le economie occidentali, fu assorbita senza grossi traumi grazie al vasto piano di opere pubbliche varato dal Governo e allo Stato Sociale istituito dal Fascismo.
Dal 1992 è in atto la vendita (o meglio la svendita) dei beni dello Stato. Beni immobili, demaniali, Aziende e partecipazioni azionari. Ma questi beni quando sono stati creati se non in buona parte durante il fatidico ventennio?
L'attenzione del fascismo alla cultura non fu da meno. Istituti come l'Accademia d'Italia, l'Enciclopedia Italiana, i littoriali della Cultura, l'Istituto Nazionale di Cultura, la Biennale di Venezia, la Mostra Internazionale del Cinema (la prima al mondo, istituita nel '32), divennero subito palestre per le migliori menti e permisero a intellettuali, artisti e uomini di cultura dell'epoca di affermarsi e di proseguire la loro attività anche dopo il Fascismo.
In quegli anni si aprono biblioteche pubbliche, teatri e cinematografi in ogni città e si assiste ad un fiorire di riviste e giornali.
La radio fa la sua prima apparizione come pure le prime trasmissioni televisive. Cinecittà apre i battenti.
Nell'arte, nel costume e nella comunicazione il futurismo, uno dei pilastri della cultura fascista,  svecchiò l'Italietta borghese e bigotta.
La minigonna, quella di Mary Quant degli anni sessanta, la vediamo proprio in quegli anni, nei saggi ginnici delle studentesse fasciste.
In campo architettonico un nuovo stile, il razionalismo italiano di Piacentini e Terragni, ha saputo conciliare la tradizione romana con il modernismo più avanzato.
L'Italia primeggiava in tutti i campi, nella scienza con Enrico Fermi e suoi avanzatissimi studi sull'energia nucleare, nella tecnica con Guglielmo Marconi inventore del telegrafo, nell'aeronautica con Italo Balbo. Umberto Nobile, con i suoi dirigibili, fu il primo al mondo a raggiungere il  Polo Nord.
Perfino nello sport la nuova Italia s'impose vincendo in continuazione olimpiadi e mondiali di calcio(6).
In soli 15 anni il nostro Paese, arretrato sotto ogni punto di vista, si trasforma in uno Stato moderno ed all'avanguardia mondiale nel campo sociale, tecnico ed economico.
Ora invece siamo un paese super indebitato e succube dei mercati, con una disoccupazione crescente e una immigrazione senza freno, una economia depressa e una pressione fiscale asfissiante, giovani senza futuro e politici affamati, delinquenza dilagante e mafie radicate, Stato sociale distrutto e diritti dei lavoratori cancellati: questa è l'Italia nata dalla resistenza.
Non tenere conto di quanto di positivo fu realizzato durante il Fascismo in un momento drammatico e senza futuro come quello attuale non è solo da stolti presuntuosi, è da criminali.
Qui non si tratta di riscrivere la storia, ma di studiarla per trarne benefici, tenendo ben presente che l'alternativa non è tra libertà e dittatura, come vorrebbero farci credere i nostri politici e i tanti che in questo sistema ci sguazzano, ma tra una democrazia fallimentare ed una che funziona, tra un sistema basato sul potere assoluto e soffocante dei partiti e un rinnovato Stato Sociale a Democrazia Diretta.
Il Fascismo che voglio ricordare non è quello della guerra persa o della lotta fratricida che hanno portato in sé morte e distruzione, questo lo sappiamo già, ci viene rammentato con ossessione da oltre sessant'anni, quello che voglio ricordare è il Fascismo sociale che ha modernizzato un Paese arretrato.
Un Paese, l'italietta giolittiana, privo di servizi pubblici. L'istruzione era un privilegio di pochi e la sanità esclusivamente privata.
Un Paese dove vigeva il lavoro minorile e costringeva le sue braccia ad emigrare, dove – come nel resto del mondo – gli operai non avevano né pensione, né liquidazione e se si ammalavano si dovevano arrangiare. Questa era l'Italia prefascista e che ora sta velocemente ritornando.
E' vero il fascismo si affermò anche con i manganelli e l'olio di ricino (i social-comunisti che negli anni precedenti hanno terrorizzato l'Italia  non erano certo da meno e a differenza dei fascisti usavano roncole e pistole(7)), ma quale rivoluzione avvenne senza un minimo di violenza? Pensiamo alla madre di tutte le rivoluzioni, quella francese, da cui nacquero le attuali democrazie capitaliste, cosa fu se non un'immensa carneficina? Pensiamo alla rivoluzione bolscevica con il suo corollario d'orrori, per non parlare delle stragi partigiane che hanno accompagnato la lotta di "liberazione" e le nefandezze dei Savoia nel sud d'Italia in epoca risorgimentale.
Il Fascismo fu una dittatura? Anche questo è vero, ma che razza di dittatore fu mai questo Mussolini se per rimanere al potere non ebbe bisogno di campi di concentramento, fosse comuni e deportazioni  di massa?
Che invece di fucilare i suoi oppositori, come facevano i suoi colleghi Hitler e Stalin, li mandava al confino trovandogli casa e passandogli un vitalizio? E permetteva a Gramsci, uno dei pochissimi avversari incarcerati, di scrivere i suoi libri contro il regime e di assisterlo, quando si ammalò, in una clinica privata a spese dello Stato?
Gli si rinfaccia di essere entrato in guerra (poteva forse restarne fuori?(8)), ma adesso, dopo quasi settant'anni, siamo forse in pace?  Non vi è angolo del mondo senza guerre, ingiustizie, fame e miseria. Grazie anche alle ingerenze "umanitarie" dell'occidente e alle multinazionali degli armamenti che non lavorano certo per la pace.
Mussolini fece molti errori, come l'anacronistica guerra coloniale, le vergognose leggi razziale e la guerra persa a fianco di un alleato che non volle scaricare quando le vicende belliche volsero al peggio, ma pagò. Pagò con la vita e con lo scempio del suo corpo.
Quanti dei responsabili dello sfacelo in cui si trova oggi l'Italia stanno pagando per la loro incapacità e bramosia di potere?
E ora che le vestali dell'antifascismo si scatenino pure!
Gianfredo Ruggiero, Presidente del Circolo culturale Excalibur


Note.
(1)  Per non inquinare la giustizia civile furono istituiti i tribunali speciali che giudicavano i reati connessi alla politica e contro lo Stato. Vigeva la pena di Morte è vero, ma come deterrente. Infatti fu applicata in pochissimi casi e per reati particolarmente efferati (a differenza della democratica America  e della comunista Cina che ancora oggi mandano sulla sedia elettrica o impiccano decine di condannati a morte).
(2)  Circa il 40% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, metà della quale poi risulta innocente.
(3)  L'educazione civica era materia di studio.
(4)  Michele Giovanni Bontempo "Lo Stato Sociale nel Ventennio", ed. I libri del Borghese, Roma 2010.
(5)  L'importazione del grano, principalmente dall'Argentina, fu ridotta del 75%.  Nel 1922 i braccianti erano oltre 2 milioni: nei primi anni del '40 il loro numero si ridusse a soli 700 mila, gli altri erano divenuti proprietari, mezzadri o compartecipi di piccole o grandi aziende. Nella sola Sicilia i proprietari terrieri passarono dai 54 mila a 223 mila.             
(6)  Secondo posto alle olimpiadi americane di Los Angeles del '32, duplice vittoria ai mondiali di calcio del '32 e del '34. Primo Carnera è campione mondiale dei pesi massini nel '33, Gino Bartali in quegli anni vince due giri d'Italia  nel 1936 e nel 1937 e un Tour De France nel 1938.
(7)  Durante il famigerato "biennio rosso" 1919-22 la sinistra massimalista mise a ferro e fuoco l'Italia con occupazioni di fabbriche e scioperi selvaggi, di aggressioni e violenze a carico dei soldati che tornavano dal fronte a cui la polizia e l'esercito rispondevano con altrettanto durezza e i padroni con le serrate. Il Fascismo si affermò anche come risposta dei ceti medi e popolari stanchi delle violenze dei social-comunisti e delle imposizioni dalle leghe rosse e bianche nelle campagne.
(8)  L'Italia non poteva rimanere fuori da un conflitto di dimensioni mondiali e che si sarebbe sviluppato nel Mediterraneo. Mussolini entrò in guerra un anno dopo in quanto perfettamente conscio dell'impreparazione militare dell'Italia e dell'assoluta inaffidabilità dei vertici militari ed in particolare di quelli della Regia Marina legati ai circoli massonici inglesi. Quando si decise a compiere il passo la Germania era vittoriosa su tutti i fronti, aveva occupato gran parte dell'Europa e si apprestava ad invadere l'Inghilterra. Con chi avrebbe dovuto allearsi l'Italia in quelle circostanze, con la parte soccombente per essere a sua volta occupata dai tedeschi?



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