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venerdì 14 maggio 2010

Ferrara Il sindaco sbatte la porta... del Museo della Shoah da Paolo Giardini

  Polemiche nuove e vecchie maniere

“Se il sindaco e il direttore generale non vanno d’accordo, non se ne va Tagliani, se ne va Finardi”.

Così il sindaco ha prospettato alla stampa la sua sbrigativa chiave di lettura della vicenda scaturita dall’uscita di Piero Stefani dal Meis sbattendo la porta.

Che questa sia una regola vigente a Ferrara è noto, confermata anni fa da un famoso disaccordo fra sindaco e direttore generale finito a quel modo, ma ha un difetto non lieve: se quello dei due che ha torto marcio è il più alto in grado si può esser certi che il futuro sarà guastato dagli errori della parte vincente.

E’ più che ragionevole che il sindaco non abbia potuto dirimere le divergenze di vedute fra Stefani e Calimani in una controversia resa manifesta a cose fatte, con posizioni divenute inconciliabili. Per questo motivo si può comprenderne l’insofferenza per la lettera aperta a lui indirizzata, firmata da 74 esponenti della Cultura, che solidarizzano con Stefani lamentando la carenza del Comune per la sua responsabilità nei confronti della città. Tuttavia c’è un altrettanto ragionevole dubbio che il contrasto fra le due personalità non sia banalmente confinabile ai soli problemi personali, perché anche senza essere intellettuali, o coltissimi come il prof. Stefani, è stato fin troppo evidente notare che qualcosa “traggiava” nell’affollatissima conferenza del 18 Aprile al Teatro Comunale coordinata dal Presidente Meis Calimani.

Ciò che “traggiava” troppo rumorosamente erano le parole conclusive del Calimani, che con molta determinazione chiedeva ai suoi prestigiosi ospiti idee su come impostare il futuro museo dell’ebraismo e della Shoah. Idee – precisava con enfasi – che non avrebbe smesso in futuro di sollecitare con insistenza. La calda umanità del Calimani faceva sicuramente presa sul pubblico. Almeno per quella parte di pubblico ignara che era già stato stilato il bando di concorso internazionale per il progetto del museo. Per chi invece sapeva del bando praticamente emesso, era una dichiarazione di guerra sulla validità dei contenuti del bando. Ma allora perché emetterlo?

Dov’è il doveroso rispetto per il tanto lavoro fatto e, soprattutto, per il tantissimo lavoro altrui richiesto dalla gara d’appalto ritenuta inutile? Dov’è la serietà e la professionalità?

A quella conferenza c’erano Tagliani, Maisto e altri amministratori, usciti sorridenti e soddisfatti. Giustamente sorridenti. Apprendendo che il bando in corso d’emissione valeva come i bond argentini, la constatazione di un episodio di responsabilità pubblica Conacompatibile (prima si mette in servizio l’ospedale lontano dalla città dopo averlo fatto e rifatto per vent’anni, poi forse si faranno strade, circonvallazione cittadina, metropolitane) è sempre una consolante rassicurazione.


Paolo Giardini

www.progettoperferrara.org

 

martedì 11 maggio 2010

Ferara Le dimissioni di Piero Stefani Museo della Shoah

bandiera-israeliana.jpgda Piero Stefani blog

Perché mi sono dimesso da direttore scientifico della Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

L’atto di rassegnare volontariamente le dimissioni da una carica si presenta, per definizione, tanto come ammissione di fallimento quanto come libera scelta di far prevalere la dignità della causa rispetto a una situazione giudicata non conforme ai compiti affidati all’istituzione in cui si opera. La scelta di dimettersi è, quindi, sia denuncia sia ammissione della propria incapacità di modificare la realtà in cui si opera.

Nella «Proposta storico-scientifica», ora allegata al bando internazionale di progettazione del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah,  si afferma che l’ingente impresa di costruzione del MEIS può aver successo solo se si attua una sinergia tra tre componenti: a) l’alta qualità del progetto architettonico; b) la solidità e l’originalità del progetto museale; c) l’organico inserimento del sito del futuro museo in una dimensione urbanistica. La realizzazione del museo esige quindi una collaborazione permanente tra la Fondazione MEIS e varie altre istituzioni, a iniziare dalla Direzione Regionale del MiBAC (stazione appaltante del bando di progettazione). Tutti i soggetti sono chiamati a cooperare per una causa comune. L’attuale linea di condotta del MEIS non si muove però in questa direzione. La Fondazione,  a causa di una gestione «padronale» e «impaziente» del suo Presidente, si è infatti finora presentata soprattutto come soggetto che pretende di ricevere servigi da parte degli enti pubblici, quasi che il MEIS fosse l’unico punto di riferimento del futuro museo.

Da questa impostazione consegue che le attività volte a cooperare in modo paritetico con altri enti (anche non istituzionali, cfr. per es. il corso di aggiornamento organizzato in collaborazione con l’ISCO di Ferrara) sono state sottovalutate (o a volte addirittura ostacolate), mentre sono state esaltate alcune iniziative autoreferenziali del MEIS, specie quando ponevano al loro centro la figura del Presidente in base alla massima «le MEIS c’est moi». Sotto questa ottica è eloquente il confronto tra l’enorme sforzo (anche finanziario) esercitato dal MEIS per organizzare la «Festa del libro ebraico in Italia» e il blando – o addirittura nullo – impegno a tutt’oggi da esso riservato alla diffusione del bando di progettazione del museo. È peraltro evidente che il futuro del MEIS dipende, in modo determinante, dalla presenza  di un progetto architettonico di livello internazionale.

La «Festa del Libro ebraico» è stata senza dubbio un successo superiore alle aspettative di molti (compreso il sottoscritto). Tuttavia non si può tacere – oltre la presenza di vaste zone d’ombra (cfr. l’intera sezione degli «incontri con l’autore») – il debole collegamento complessivo tra essa e il progetto museale. Né è secondario chiedersi se la Festa giustificasse l’esborso di 250.000 € di denaro pubblico (non è stata cercata alcuna sponsorizzazione).

La gestione «padronale» da parte del Presidente ha dato luogo a una serie di sistematici declassamenti  di altri ruoli previsti nella Fondazione, ivi compreso quello del direttore scientifico. Inoltre nel modo di agire del Presidente si sono registrate ripetute scorrettezze nella sostanza e forse anche nella forma. Tra esse va registrato l’atto che mi ha indotto a rassegnare le dimissioni nel febbraio scorso (a norma di contratto 90 giorni prima della scadenza). Si è trattato della proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. In violazione a una esplicita clausola prevista dal contratto, non solo mi è stata negata la collaborazione di esperti in museologia e storia indispensabili per dettagliare il progetto museale, ma non è stata presa neppure in seria considerazione la bozza di progetto messa all’odg  del CdA (palesemente non letta né dal Presidente, né da altri membri del CdA). La conclusione è semplice: non sono stato posto nelle condizioni di lavorare in modo conforme ai molti e impegnativi compiti affidati al direttore scientifico...

continua

http://pierostefani.myblog.it/archive/2010/05/08/perche-mi-sono-dimesso-da-direttore-scientifico-della-fondaz.html