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sabato 26 luglio 2025

Roberto Paura- Della Rivoluzione Francese...

 


ANTEPRIMA
Ci sta un americano, un inglese, un tedesco, un italiano... potrebbe essere l'inizio di una barzelletta, e invece è il contenuto di "Brindisi al 1789", un testo pubblicato nel 1889 per il primo centenario della Rivoluzione francese da Anatole Leroy-Beaulieau, autore oggi dimenticato - insieme al suo scritto - ma che ebbe incarichi rilevanti nella scena culturale della Terza Repubblica. Immaginando un banchetto celebrativo per il primo centenario della Rivoluzione, Leroy-Beaulieau propone una serie di discorsi affidati a personalità di diverse nazioni, ciascuno dei quali offre una diversa interpretazione del 1789 alla luce della propria cultura politica. La Rivoluzione come avvio del Risorgimento per l'Italia, come emancipazione per gli ebrei, come seguito della rivoluzione inglese e americana poi per gli anglosassoni, come prefigurazione dell'"ultima rivoluzione" che avverrà in Russia, e così via.
Di questo testo nulla sapevo finché circa due anni fa Gerardo Fortunato, direttore editoriale de La scuola di Pitagora editrice che si era imbattuto nei miei scritti sulla Rivoluzione francese, mi chiama per propormi di curarne una riedizione. Operazione che può sembrare inattuale, ma che invece rappresenta un'ottima introduzione al dibattito ancora oggi vivissimo sulle diverse interpretazioni della Rivoluzione, come spiego nell'introduzione.
..."Brindisi al 1789" uscirà quest'autunno, un libricino di poco più di cento pagine che non potete perdervi!


sabato 3 maggio 2025

FUTURISMO-Non si ferma-sempre una rivoluzione....

 https://www.ilgiornale.it/news/corsa-futurista-non-si-ferma-non-fu-solo-corrente-artistica-2473117.html

...una nuova mostra futurista (quella alla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma ha chiuso da pochi giorni). Si intitola Mondo futurista in omaggio all'Universo Futurista di Giacomo Balla e a indicare la chiave di lettura dell'Avanguardia più originale del Novecento, da considerarsi in quanto «rivoluzione globale» e non solo corrente artistica. In dialogo efficace con gli spazi del castello, l'esposizione ci fa saltare su una macchina del tempo adeguatamente oliata da Giordano Bruno Guerri, storico e presidente del Vittoriale, e da Matteo Vanzan, storico dell'arte e direttore di MV Arte. «Marinetti per primo parlò di un'arte per tutti, di una cultura da trasferire fuori dai suoi luoghi istituzionali, in modo da donare a ognuno la volontà di pensare, creare, svegliare, rinnovare. La Pop Art, Andy Warhol, le esplorazioni musicali di John Cage, gli happening hanno molti debiti verso di lui. Questa mostra dimostra quanto sia stato importante, innovativo e ancora vivo fra noi il movimento creato dal geniale Filippo Tommaso Marinetti», spiega Guerri.

Ufagra'-Futurista contemporaneo...

lunedì 20 luglio 2009

BEPPE GRILLO L'ASINO ROSSO DEL PD di David Palada

DARIO FRANCESCHINI.jpgASINO.jpgBEPPE GRILLO: L’ASINO ROSSO DEL PD

Sto godendo. Beppe Grillo riceve finalmente la tessera del PD. Godo nel vedere la nomenklatura del partito incazzata e spaventata, smarrita poichè i vertici sanno benissimo che molti iscritti appoggeranno la sua candidatura per la segreteria. Sanno anche che negli ultimi mesi i vari D’Alema, Bersani, Veltroni, Finocchiaro hanno lasciato solo Franceshini durante la campagna elettorale delle europee, sperando nel crollo dell’ex democristiano che, purtroppo per loro, ha tenuto. Bersani si sentiva già il leader indiscusso del partito. Ma cosa ha fatto in questo ultimo mese il futuro virtual-leader? Nulla. E’ passata la legge sulla sicurezza, che sembra scritta da Goebbels, non una manifestazione è stata organizzata dal PD, nè una protesta, niente insomma. Quale unico problema del PD per le sorti dell’Italia? Il tesseramento del comico.
Bersani fa il gioco di Berlusconi: i giornali sono occupati più della tessera di Grillo che delle norme nazi-leghiste passate in parlamento. Se fossi stato Bersani mi sarei legato al portone del palazzo del Quirinale per protesta e avrei urlato a Napolitano di far finta di essersi fratturato una mano pur di non firmare quella legge indecente. No, Bersani va a Repubblica TV e ancora una volta parla del genovese che non può essere iscritto al partito, impaurito dal tribuno Grillo che dice esattamente le cose che tutti gli elettori del centro sinistra pensano da anni.
I vertici del PD non comunicano più. Grillo sì. Poche idee ma precise, coerenti, efficaci e pienamente condivisibili da Di Pietro fino a Niki Vendola.
Berlusconi ha completamente rivoluzionato la comunicazione politica ottenendo grandi successi. Ma questo è accaduto 15 anni fa. Oggi invece il vero unico nuovo comunicatore rivoluzionario è Beppe Grillo che pur non possedendo nè televisioni nè giornali ha creato un movimento trasversale imponente e ben organizzato. Se c’è una cosa che fa incazzare Berlusconi è la presenza di un uomo più giovane, con veri capelli e molto più simpatico e comunicatore di lui. Immagino il premier che ancora si chiede come mai sia possibile che un cazzo di comico riesca ad avere così tanto successo senza essere onnipresente sui media tradizionali. La verità è che Berlusconi non ci capisce una mazza del web, della rete, di Internet. Allora, per rimediare, ci pensa un qualche onorevolino (D’Alia) che prova a zittire la vera informazione che arriva dritta dritta nei nostri computer.
E Bersani e compagni non sono da meno. Hanno perso il contatto con la realtà, anche con quella “virtuale”. Il PD ha il dovere, se vuole fare una grande opposizione, di incanalare il dissenso con semplicità e chiarezza. Per far ciò occorre una persona (o gruppo di persone) che conosca le varie sfaccettature della realtà e della rete, quest’ultima unico mezzo di vera democrazia diretta, partecipata e senza filtri: una politica fatta dai cittadini con consapevolezza e passione (vedi Obama che ha puntato sulla rete come mezzo privilegiato per la comunicazione con i cittadini). Bersani non riesce neanche ad accendere la lavatrice figuriamoci utilizzare un browser! Chiedo ai dirigenti del partito di accettare la candidatura di Grillo: forse è il momento di guardare la crisi in faccia e di capire cosa vogliono i cittadini del centro sinistra in questa Italia distrutta da mafia e mediocrità.
 
 
David Palada

 
www.beppegrillo.it


 

mercoledì 15 luglio 2009

PANTEGANE E NUTRIE... DEL PD

GRILLO.jpgFROM IL GIORNALE

Grillo, tutte le sue battute che fanno piangere la sinistra

La domanda ontologica è piuttosto fondata: può diventare leader del Pd uno che considera il Pd medesimo «una nave che affonda con le pantegane che fuggono in cerca della scialuppa»? Il sottile richiamo roditorio è evidentemente riferito a quelli che adesso vorrebbe come compagni di partito, i quali nella retorica grillesca diventano guappi da Muppet Show con i nomi storpiati: oltre all’indimenticabile Valium Prodi, il Pd è un bim bum bam politico ove ammirare le magnifiche entusiasmanti avventure di Topo Gigio Veltroni, Napolitano «Morfeo», Massimo Volpe-nel-deserto D’Alema «servo del padrone di Arcore», e poi Dario Boccon-del-prete Franceschini, Piero «Globulo» Fassino, senza contare il temibile Bersanetor, lo sterminatore dei tassisti. Gente che «non prende voti neanche dai parenti». Luciano Violante diventa «il ministro ombra di Mediaset», e neanche i quadri più innocenti vengono risparmiati dalla furia grillina: come il nuovo sindaco di Firenze, «l’ebetino Rienzi, paladino degli inceneritori». O come il professor Pietro Ichino, liquidato come «Jachino, un incrocio con Japino, quello della Carrà». Più che dirigenti, «rifiuti tossici della sinistra di cui ci libereremo solo con una purga». Parola del candidato Beppe Grillo, che oggi si erge dunque a Guttalax della situazione....

    AZIONE FUTURISTA FERRARA x BEPPE GRILLO...

    FUTURISMO.jpgFROM ESTENSE COM

    Azione Futurista Ferrara con Beppe Grillo

    Già tempo fa con Pannella e anche Di Pietro, i soliti ipocriti cattomunisti del PD, paladini della libertà e della democrazia sempre secondo modelli relativamente stalinisti mai del tutto superati, avevano dimostrato la loro...simpatia per i dissidenti. Ora con Grillo, che con un sol colpo sta facendo saltare il PD il copione si ripete.

    Le famigerate libere Primarie, sempre un simulacro..., sono democraticamente inaccessibili per Grillo. Con razionalizzazioni da manuale della psicopolitica... la sinistra autestinta, oggi, come i dinosauri sopravvissuti in lucertole, sopravvissuta in cattocomunisti (da Roma a Ferrara) rivela ancora una volta il suo Parkinson...sempre più galoppante tra batoste elettorali, sindrome del Cavaliere, Veline e strani coordinatori romani.. tutte realtà incompatibili con gruppi dirigenti bugiardi e come tutti i moralisti provenienti da boy scout e chierichetti anziché dalla rivoluzione della modernità...

    Azione Futurista Ferrara in questo senso è per Beppe Grillo e per l'Antipolitica ...ante litteram di Enrico Berlinguer!


    Roby Guerra futurista

    http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=53129&format=html

    martedì 5 maggio 2009

    FUTURISMO RUSSO

    majakowskij 2.jpg“L’AVANGUARDIA RUSSA NELLA COLLEZIONE COSTAKIS”

    Fino al 2 marzo il Museo Maillon di Parigi ha ospitato la più vasta collezione di opere dell’Avanguardia Russa. Sono state presentate, nell’occasione, circa 200 tele, risalenti ai primi tre decenni del XX secolo: influenze simboliste, cubo-futuriste, “suprematiste”, costruttiviste, ritorno alla figurazione e realismo socialista si alternano e si sono intrecciate, secondo un disegno originale. La raccolta, nel suo complesso, ha compreso 1300 capolavori di una stagione irripetibile dell’arte russa. Acquistata a Mosca negli anni 1950 e 1960 da un collezionista dilettante, ex autista dell’Ambasciata di Grecia nella capitale russa, tali opere costituiscono un patrimonio unico nel suo genere, per l’elevato numero di pittori proibiti, che annovera. Oggi tale incomparabile tesoro è rispettivamente di proprietà della Galleria Tretyakov di Mosca, a seguito di un accordo intercorso tra lo Stato russo e il collezionista, quando quest’ultimo lasciò Mosca per la Grecia, nel 1977, e del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Salonicco. Si tratta di esperienze articolate, che rivelano le mode non solo dell’arte, ma anche culturali della Russia dell’epoca. Malevich, Tatlin e Rodchenko sono alcuni dei protagonisti di quel periodo. Artisti che hanno risentito del vento futurista e del suo rivoluzionario messaggio.

    Casalino Pierluigi, 4.05.2009.

    http://www.youtube.com/watch?v=oUIb0JkYaLA  CLIP MALEVICH

    sabato 25 aprile 2009

    25 APRILE MARINETTI E MAJAKOWSKIJ RIVOLUZIONARI!

    MAJAKOWSKIJ.jpgART NOW. RICORDI Mosca: gli incontri di Strada con i superstiti della mitica avanguardia russa

    Lilja: Majakovskij e Marinetti? Due rivoluzionari

    Krucenych e l' età d' oro di manifesti e scandali artistico-letterari

    A Mosca, alla fine degli anni Cinquanta, nell' atmosfera irreale di una destalinizzazione iniziata da uno stalinista non pentito, ma avveduto, capace di capire che per conservare spesso bisogna cambiare, Nikita Chrusciov, in un metaforico «disgelo» che alternava rialzi di temperatura a improvvise ricadute, rendendo il ghiaccio del regime comunista una poltiglia sdrucciolevole, era possibile anche a uno straniero, curioso e avventuroso, prendere contatti con i superstiti della mitica «avanguardia» degli anni Venti, e, se si meritava la loro fiducia, frequentarli. Il più straordinario di costoro era Aleksej Krucenych, un nome che non dice quasi nulla al pubblico generico, al cui orecchio sono pervenuti i giustamente più clamorosi Velemir Chlebnikov o Vladimir Majakovskij, ma, per chi conosca gli annali del Futurismo russo, Krucenych è stato il più emblematico rappresentante della tendenza futurista più estrema e pura, il «linguaggio transmentale» (zaum' ), una sorta di astrattismo verbale in cui costruzioni foniche nuove davano «libertà alla fantasia creativa, senza offenderla con alcunché di concreto», come si legge in una dichiarazione programmatica firmata anche da Krucenych. Per venire al Krucenych anni 50-60, si immagini un vecchio signore, povero e trasandato, ma con un piglio fermo che tradiva l' antico fanatico «avanguardista» rimasto spiritualmente legato all' età d' oro dei manifesti e degli scandali artistico-letterari, ingrigito però da decenni di logorante esistenza sovietica, e ridotto a vivere, come quasi tutti, in una komunalka, cioè in un appartamento collettivo in cui ogni inquilino, singolo o con famiglia, occupava una stanza, mentre cucina e servizio erano in comune per tutti. Era in questa sua stanza che andavo spesso a trovarlo, affascinato dai suoi racconti e dalla sua stessa presenza di testimone di un' epoca leggendaria, oltre che dal desiderio di collezionare i preziosi testi del Futurismo russo, che solo da lui si potevano trovare. La sua stanza, in realtà, era un antro cartaceo, interamente e caoticamente foderata di libri. Si camminava su fogli affastellati di carta, un tempo parti di qualche edizione, mentre gli armadi e un baule traboccavano di pubblicazioni, manoscritti, lettere, fotografie che avrebbero fatto ricco e felice qualsiasi archivio: erano infatti materiali riferentesi a Marina Cvetaeva, Anna Achmatova, Boris Pasternak, oltre che al Futurismo russo, documenti che poi, alla morte di Krucenych, nel 1968, passarono tutti, credo, a un archivio letterario. Un letto, una branda, era l' unico oggetto non libresco, anche se sotto si intravvedevano distese di carte. Da questo «deposito», Krucenych prendeva ogni tanto, secondo un suo estro, un' edizione preziosa dell' avanguardia e me la donava (in verità in cambio di libri occidentali d' arte, ma certo non equivalenti), permettendomi di completare la mia raccolta dei manifesti futuristi russi, resi ancora più preziosi da certe sue annotazioni. Ma era lui stesso, il futurista invecchiato e sopravvissuto, anzi ancora straordinariamente vivo, ad essere il reperto archeologico più eccezionale di quel «museo», lui con le sue manie alimentari, le sue scatole di dolci al miele che mi offriva e, nella cucina frequentata dalle sciamannate coabitanti delle altre stanze, le pappe fatte con le farine più strane che mi offriva di dividere con lui, senza che io osassi accettare l' invito. E poi i suoi ricordi e la sua recitazione del verso «transmentale» più famoso, il suo «insensato» Dyr bul scil, espressione che sulle sue labbra aveva qualcosa di sciamanico. Con Lilja Brik gli incontri furono, invece, occasionali, provocati da un mio articolo in cui analizzavo in modo nuovo, fuori delle leggende del «realismo socialista» sovietico, i rapporti fra Majakovskij e Gor' kij. Fu lei a invitarmi nella sua casa che mostrava i segni sia della sua vita capricciosa di donna di vari mariti e amanti, tra i quali ultimi il più illustre era stato Vladimir Majakovskij, sia di un certo benessere «piccolo borghese» sovietico. C' era una nota di cinismo candido e perverso nel suo modo di parlare e ricordare. Durante una delle mie visite portai il discorso su un episodio della vita di Majakovskij che mi incuriosiva: l' incontro fra lui e Marinetti, a Parigi nel giugno 1925. Già il viaggio di Marinetti in Russia alla vigilia della Prima guerra mondiale era stato un episodio assai significativo nella storia dei «due» Futurismi: italiano e russo. La Brik si divertì quando le dissi che in un raro manifestino futurista, intitolato Marinetti in Russia, che avevo trovato a Milano, si leggevano frasi come questa: «Marinetti ha voluto dimostrare che anche nel bere gli italiani sanno essere, quando occorre, primi, e tranquillamente ha vuotate, l' una dopo l' altra, quattro bottiglie di champagne. Dopo di che riprese a declamare». Forse era una smargiassata, ma curiosa per la gara nazionalistica su un terreno, quello del bere, sul quale i russi non scherzano. A Parigi, nel libretto d' appunti di Majakovskij, Marinetti scrisse: «À mon cher Mayakovsky et la grande Russie énergique et optimiste touts mes souhaits futuristes». E nella pagina seguente: «Au grand esprit novateur qui anime la Russie: que' il ne s' arrête pas! Notre âme futuriste italienne ne s' arrêtera pas!». Citò queste parole Vasilij Katanjan, l' allora consorte di Lilja, cronista attento della vita di Majakovskij. Io azzardai che Marinetti era diventato fascista, così come Majakovskij comunista (anche se non iscritto) e che questo doveva significare qualcosa per il Futurismo, anzi per i «due» futurismi. La Brik replicò semplicemente: «Erano due rivoluzionari». Avrei voluto aggiungere che l' atto rivoluzionario estremo Majakovskij lo aveva compiuto con un suicidio (1930) che aveva sconvolto tutti e ancor oggi chiede di essere capito. Anche in questo, il Futurismo russo fu davvero diverso da quello italiano. Diversa, per tragica grandezza, fu la storia dei due Paesi, nel secolo scorso, anche nel rapporto fra arte e rivoluzione.

    Strada Vittorio

    Pagina 34
    (13 agosto 2007) - Corriere della Sera

    http://archiviostorico.corriere.it/2007/agosto/13/Lilja_Majakovskij_Marinetti_Due_rivoluzionari_co_9_070813079.shtml

    http://www.youtube.com/watch?v=hEOpjdiXVbE filmato

    giovedì 26 marzo 2009

    FERRARA POLITIK - BRUTTI MA BUONI da UN UOMO LIBERO!

    BLADE RUNNER.jpgDA ESTENSE COM QUOTIDIANO ON LINE DI FERRARA
     

    Brutti ma buoni

    Buongiorno Direttore,
    oggi (giovedì), sono a Ferrara, di ritorno da Cuneo e in partenza per Pordenone. Il mio lavoro, come ormai i suoi lettore sanno, mi consente di conoscere tanta gente, di rubare ai miei interlocutori perle di saggezza, di guardare, ogni volta che torno, la mia Ferrara, da punti di vista che non conoscevo. Martedì a Borgo San Dalmazzo, platea di un anfiteatro naturale dove a 180° le Alpi ancora tutte innevate fanno da spettatori di palco e loggione, incontro una collega (in azienda siamo oltre 5.000) natia di Santa Maria Maddalena; qui, a due passi da casa mia. La prima cosa che mi viene da chiederle è: “come mai sei arrivata qui”? Mi aspettavo una risposta tipo: “mio marito è di Cuneo”, oppure “ ho seguito negli studi mio figlio”, o ancora e più semplicemente “mi piace la montagna”. Senza alzare gli occhi da tutte le enormi pentole che stava lavando nella cucina della scuola materana, con un timbro di voce che mi ha lasciato senza fiato e senza parole, ha prontamente ribattuto: “avevamo fame”. Due parole che a me, come migliaia di miei concittadini e milioni di italiani fanno paura. Non le vogliamo sentire, le vogliamo evitare… non esistono. Così come per i politici, che non le nominano mai, perché fanno perdere voti. Nel tragitto verso Cuneo, con ancora quella frase sibillina nelle orecchie, vedo manifesti di candidati che sorridono e slogan che al 99% ricordano Obama. Tutti uguali, tutti decisamente “stupidi” per chi “ha fame”. Arrivo in albergo e sul letto, come benvenuto, mi trovo un sacchettino di “Brutti ma buoni”, dolci caratteristici della città, ottimi per me che sono goloso, un insulto per chi, qualche ora dopo, sotto le finestre dell’Hotel, stava rovistando in un cestino dell’immondizia. E qui mi fermo, perché altrimenti diventa il libro Cuore. Ieri sera arrivo a Ferrara con ancora qualche dolcetto sul sedile dell’auto e come per incanto, all’imbocco della città, cominciano ad apparirmi i manifesti dei “brutti ma buoni”, tutti sorridenti, tutti con lo slogan di Obama, tutti uguali a quelli di Cuneo. Prima penso: “ma allora, quelli di Cuneo potrebbero venire a fare il sindaco qui e questi potrebbero andare a Cuneo”? – “Allora anche a Cuneo hanno gli stessi problemi di Ferrara”? Premetto: “i brutti ma buoni” ferraresi li conosco quasi tutti e vi garantisco che le foto sono tutte truccate o vecchie di almeno un decennio, ma, riprendendo il nome dei dolcetti e ricordandomi della lettere apparse in questi giorni su estense.com circa gli slogan elettorali, pur dopo 500 chilometri, comincio a sorridere, dimenticandomi della mia collega di B.S. Dalmazzo. C’è uno che si crede il novello Nerone e vuole ridare fuoco a Ferrara. Qualche minuto fa ho cercato su internet qualcosa che mi ragguagliasse circa il precedente incendio della città. Niente. Forse allora parla dei fuochi d’artificio del Castello l’ultimo dell’anno o vuole “accalappiare” quei piromani che qualche anno fa “appiccavano” auto e motorini. E ride. Un altro che forse sta facendosi un pokerino, vista la tipica frase da casinò, quando in mano hai almeno “una coppia di donne”. Spero non intenda continuare a giocare con i soldi dei Ferraresi. E ride. Poi c’è quel tipo che ci rende edotti sulle sue attività oniriche. Sui prossimi manifesti vorrei che ci desse 6 numeri da giocare al Superenalotto. E ride. Quella che purtroppo mette il dito nella piaga, ricordando quanto fossero brutti i suoi due probabili predecessori. Almeno rammentasse anche che erano “brutti ma buoni”. E ride. Senza volerne a nessuno e scusandomi se dimentico qualche concittadino candidato (quest’anno ci potremmo fare due squadre di calcio), ricordo quello che era partito tutto sorridente e baldanzoso e piano piano rattristisce e forse si rende conto che non è l’unico a presentarsi a sindaco. In compenso ci ricorda che Ferrara è piena di buche. Questo a dire la verità ride un po’ meno. E finisco con il paladino dei ferraresi, l’uomo dalle crociate condominiali. In via del Salice rischiano di crepare di tumore e lui sui suoi manifesti ride. E ride. “Ma cazzo c’hanno da ridere”!!!! Un augurio a tutti loro. Sono giorni di gloria, di enfasi, di strette di mano, di cene e di gaudio. Poi quasi tutti torneranno nell’anonimato, qualcuno dovrà cercarsi da lavorare, la maggior parte di loro prenderà lo stipendio dal partito o arrafferà su qualche posto in consigli d’amministrazione delle municipalizzate, ma spero che mai e poi mai, debba un giorno incontrarli… a Cuneo.
    Mi consenta infine di scusarmi per questa semi seria (nella seconda parte) mia lettera settimanale.
    Cordialmente.


    Roberto Gorgati… candidato per la “lista che non c’è”

     http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=49185&format=html

    http://www.youtube.com/watch?v=pxRKFp5xA3I FILMATO


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    mercoledì 11 marzo 2009

    BLOGGER E POLITICI...


    blogger.jpgQuesto articolo è tratto da www.webnews.it. L’Asino Rosso lo ripropone in versione integrale.
    A cura di David Palada (david.palada@libero.it)
     

     

    Un’utile iniziativa: politici e blogger a confronto
    di Giacomo Dotta 

     

     

    La libertà della rete passa per il dialogo tra chi usa la rete e chi deve legiferare a proposito delle regole che la governano. Per questo motivo è oltremodo interessante il dibattito organizzato da Alessandro Gilioli mettendo attorno ad un tavolo l’on.Cassinelli, l’on.Di Pietro ed una serie di personaggi da tempo occupatisi della questione.
    Si è trattato di uno dei primi incontri tra due sfere che si guardano abbastanza in cagnesco, politici e blogger. A rendere più distesa l’atmosfera, il fatto che nessuno dei presenti abbia difeso il bavaglio D’Alia: anzi, pur facendo parte della maggioranza che in Senato ha approvato il decreto sicurezza, Cassinelli ha spiegato come la sua idea vada in tutt’altra direzione ed escluda l’oscuramento di interi siti […]
    Di Pietro ha rintracciato le origini dell’emendamento D’Alia nell’ignoranza dei parlamentari sul tema di Internet:”E conoscendo poco o per nulla il Web, hanno approvato una legge che probabilmente non hanno neppure capito” […]
    I blogger hanno lamentato una tendenza repressiva della politica, citando anche le recenti proposte di Barbareschi e Carlucci; i politici hanno respinto l’accusa sostenendo che però la Rete non è un porto franco al di fuori della legge […]
    Allo stato dei fatti la situazione è ferma qui. “Ferma” è però il termine sbagliato, visto che trattasi di un Wiki, in continua attività, che porterà «entro l’estate» alla definizione dell’emendamento che dovrà modificare le disposizioni in materia di sicurezza pubblica.
     

    (a cura di David Palada)

     

    www.webnews.it

     

    Il video della conferenza è disponibile su:
    http://blog.webnews.it/05/03/2009/unutile-iniziativa-politici-e-blogger-a-confronto/

     

    sabato 7 marzo 2009

    WEB-IL GIOCATORE TOTALE

    blogger.jpgFormarsi per la tecnologia

    Il fascino del giocatore totale

    di Livio Milanesio


    Specializzati o eclettici, i creativi digitali del futuro devono avere una formazione talmente completa da sembrare contraddittoria. E in alcuni casi imprevedibile

    La mia generazione, l’attuale tardo-giovane nata negli anni Sessanta, ha vissuto il mondo diviso in due. Bianchi-Rossi, Rossi-Neri, Nord-Sud, Buoni-Cattivi, Indiani-Cowboy. Era quel modo di immaginare il mondo secondo monopòli contrapposti, verità inconciliabili e antitetiche per cui era naturale costruire confini invalicabili. Una filosofia di vita nella quale il Muro di Berlino ha rappresentato la massima espressione e simbolo. Un “o con noi o contro di noi” che si rifletteva in quasi tutte le vicende della vita quotidiana (nella mia scuola superiore la rivalità grafici-fotografi si risolveva in un’epica battaglia a gavettoni l’ultimo giorno di scuola prima della pausa natalizia).

    Persino una delle più frequentate arene del pensiero filosofico italiano, il calcio, è stata influenzata da un dualismo all’apparenza inconciliabile: da una parte Helenio Herrera, dall’altra Johan Cruijff. Ma che cosa c’entrano il maestro del catenaccio e il profeta del calcio totale in un articolo che dovrebbe parlare di innovazione e tecnologia? Per me, che ho fatto parte di quella generazione bipolare, i due maestri del calcio hanno un valore paradigmatico insostituibile quando penso al mio lavoro di insegnante nelle scuole per i creativi digitali del futuro.


    Libero o indipendente?

    Non sono un esperto di tattica calcistica ma credo sia il caso di chiarire le due posizioni, almeno come le ho capite io, prima di infilarsi nello spinoso tema della formazione dei professionisti del digitale del futuro. Helenio Herrera, classe 1910, è l’allenatore argentino che ha portato al successo internazionale il modulo del catenaccio tra gli anni Sessanta e Settanta. Il catenaccio è una disposizione tattica sul campo che cerca di vincere la partita impedendo all’avversario di segnare. Ogni giocatore ha un ruolo definito il cui compito è quello di presidiare la zona del campo di competenza. Un gioco di tattica, che ricorda lo stile del campione di tennis Bjorn Borg. Appostato a fondo campo aspettava che l’avversario facesse un passo falso.

    Un gioco concreto, adatto ad artigiani del pallone saggi e posati, rispettosi dello schieramento e del proprio ruolo. Come nella Prima Guerra Mondiale delle trincee del Nord Europa, i due eserciti letteralmente piantati su un fazzoletto di terra si fronteggiano aspettando che l’altro prenda l’iniziativa ed esaurisca le risorse su difese invalicabili. Una guerra di attesa, nella quale vince chi ha pazienza e costanza. Quando questo tipo di gioco si diffuse non fu certo lo spettacolo a trarne vantaggio. Ma erano gli anni Sessanta. Gli anni più spettacolari che l’umanità avesse fino ad allora vissuto. E se in Italia, patria del catenaccio, il mister Fabbri costringeva il calciatore beat Gigi Meroni a tagliarsi i capelli per poter accedere alla nazionale, nel nord dell’Europa, a pochi passi da quelle trincee che avevano inchiodato la generazione dei nonni, i capelli lunghi si portavano eccome.

    Imprevedibili, scatenati e soprattutto insofferenti i giocatori di alcune squadre del Nord, come l’Aiax, stavano covando una nuova idea di giocatore. Erano i profeti del calcio totale. E Hendrik Johannes Cruijff, classe 1947 ne era il simbolo. Era gente che trovavi in qualunque parte del campo, difensori sotto rete, bomber all’inseguimento di un contropiede avversario. Giocatori addestrati a correre, a ricoprire qualunque ruolo il momento avesse richiesto. Per questo venne chiamato calcio totale.

    Il modulo flessibile

    E io, quando mi trovo a dover ricominciare l’anno con nuovi e vecchi studenti, mi chiedo: catenaccio o calcio totale? Devo spingere i designer del prossimo futuro verso la specializzazione del ruolo, l’approfondimento, la rigida separazione in competenze oppure devo spingerli a correre per il campo, ad affrontare qualunque sfida con mezzi anche approssimativi contando sulla capacità di improvvisazione? Aiutarli a sviluppare una sensibilità che spazia in tutti i campi (o su tutto il campo) scatenando la curiosità in ogni parte della catena produttiva o la passione per la verticalità della preparazione, a quel modo un po’ ossessivo di dedicarsi ad un angolo di mondo che poi riflette tutto il resto?

    Insomma se si vuol diventare un web designer è ugualmente fondamentale conoscere il design e Photoshop, l’interazione e l’Html, la strategia e la sociologia, la letteratura e l’arte del tag, la filosofia e il Seo (inteso come Serach Engine Optimization)? Un’attitudine onnivora (e un po’ bulimica) che spinge a pattinare senza sosta sulla superficie, senza mai raggiungere l’eccellenza in alcuna materia se non quella della consapevolezza di progetto. O forse è meglio sviluppare a fondo la propria competenza, la techné, e lasciare ad altri il compito di contribuire con le proprie definite competenze al completamento dell’opera? La specializzazione paga. Il miglior programmatore Java sulla piazza, ha la possibilità di determinare il suo ruolo professionale, può essere paragonato, quindi può competere e vincere. Può vendere bene i tuoi servigi, può definire le sue responsabilità, il suo potere. Lo specializzato per un’azienda è oro. È garanzia di una qualità prevedibile, gestibile e continuativa. Come Borg da fondo campo.

    Certo era più facile qualche tempo fa, quando ideazione e realizzazione erano forzatamente separate: il grafico dal tipografo, l’editore dall’autore, il compositore dall’orchestra. Ora è un po’ diverso. Nel tempo del personal computer e della rete, la separazione tra ideazione, produzione e persino diffusione si è sfumata. I prodotti di comunicazione digitale implicano spesso interazione, il che significa una solida conoscenza, da parte del designer, del comportamento, delle abitudini, del linguaggio del proprio target. Un occhio che non è solo più spunto estetico ma anche sensibilità sociologica, linguistica, di umana interazione. Psicologia, sociologia, storia, arte, cronaca, non possono più essere materie sconosciute. Se il successo dei Balletti Russi all’inizio del ventesimo secolo fu frutto in eguale misura del genio creativo del ballerino Nizinskij e del genio organizzatore dell’impresario Diaghilev, nel mondo digitale ci si chiede di essere ballerini e impresari allo stesso momento.


    L’arancione nel Subbuteo

    Un ruolo totale dotato di un certo fascino di onnipotenza: il gioco imprevedibile dei capelloni del calcio totale che faceva sognare. Gli omini arancioni del Subbuteo che rappresentavano l’Olanda di Rinus Michel nella quale militavano Neeskens, Rensenbrink e Krol ce li si doveva giocare a testa o croce con enorme disappunto di chi perdeva. Eravamo convinti che Cruijff, in porta, avrebbe potuto competere con Zoff, Yashin e gli altri miti con i guanti. Per alcuni autori che si sono occupati dell’atto creativo (Csikszentmihalyi, Sutton, Gladwell e anche Rodari) la sorpresa, il pensiero che sbanda per strade inaspettate è l’essenza dell’invenzione creativa. Per uno specializzato, profondamente addentro la materia, è più difficile violare l’ortodossia del pensiero. La consapevolezza dell’errore è talmente presente che prendere strade irresponsabili è più difficile. E qui sta il fascino del giocatore totale.

    D’altra parte, l’Olanda è stata una squadra che ha vinto meno, molto meno di quello che il mito che la circonda potrebbe far presupporre. Un rating di successo molto minore rispetto alle più sagge squadre dedite al catenaccio. Quelli del catenaccio sono gente solida che porta a casa il risultato e non importa se è un insipido uno a zero. Focalizzati sull’obiettivo in genere non lo mancano. Gli altri, i capelloni, sono spesso dispersivi, sognatori, scarsamente concreti. Corrono, è vero. Quasi tutti hanno il senso del gioco, la visione globale del campo, dei compagni. Sono presenti, consapevoli. Ma a volte si innamorano del gioco e dimenticano la porta. E a volte ho il sospetto che per giocare così liberi sia necessario il talento di Cruijff.


    Il professionista ibrido

    Certo i tempi sono cambiati, il muro di Berlino è caduto, il derby non è più una questione di vita o di morte, la sfumatura è diventato colore alla moda, i conservatori vanno in discoteca, i progressisti collezionano libri antichi e maglioni di cachemere, Maria de Filippi va al Festival di San Remo (e lo vince). Nessuno applica più il catenaccio puro o il calcio totale totale. Siamo in un’epoca di mediazione (che qualcuno chiama compromesso) e allora si può immaginare di formare un professionista ibrido. Un professionista specializzato ma curioso e irrequieto. In grado di ragionare in termini tecnologici e sociologici insieme. Un professionista con un’enorme necessità di formazione continua, di confronto, di informazione. La tecnica ma anche l’attitudine alla curiosità. Una attitudine che si coltiva anche con incontri con persone che fanno un mestiere diverso, ma che condividono lo stesso amore per la soluzione efficace e innovativa. Incontri che sono il tocco di imprevedibilità che spiazza, che sovverte, che ti fa trovare dalla parte sbagliata del campo con la palla tra i piedi.

    Architetti, musicisti, scrittori, ricercatori e scienziati con il gusto creativo. Un allenamento al dribbling creativo il cui avversario è un campione di pensiero. Naturalmente il termine “incontri” non implica solamente la compresenza fisica in uno stesso luogo. Vuol dire anche leggere. È una tecnica didattica che implica necessariamente una certa dose di imprevisto: l’incalcolabile impatto che un incontro possa incidere più o meno profondamente sulla nostra vicenda. Un imprevisto che spesso le scuole fanno fatica ad includere nella loro offerta formativa.

    Insomma, anche l’anno prossimo, preparando le mie lezioni avrò ancora di fronte a me Herrera e Cruijff. Palla al centro e vediamo che cosa succederà.


    Livio Milanesio ha passato i suoi primi quarant'anni tra teatro, cinema d'animazione e digital design, come testimonia il suo sito personale. Art director presso Domino, si occupa di web, unusual marketing e scrittura. Collabora con Nova24, il supplemento tecnologico de Il Sole 24 Ore, e con diverse altre riviste e pubblicazioni. Insegna all'Istituto Europeo di Design e alla scuola Holden di tecniche della narrazione

    (a cura David Palada)

    In Rete:

    www.liviomilanese.it

    http://www.codiceinternet.it/profiles/blogs/2179374:BlogPost:28689

    http://www.youtube.com/watch?v=dsU3B0W3TMs FILMATO

    giovedì 5 marzo 2009

    NO GURE ZONE

    BILL GATES.jpgQuesto articolo è tratto da www.apogeonline.com. L’Asino Rosso lo ripropone in versione parziale per motivi di spazio.
    A cura di David Palada (david.palada@libero.it)



    No-Guru Zone
    Il problema non è internet, il problema siamo noi
    di Roberto Venturini

    Dalla preistoria a oggi, per ragionare sull’impatto di internet e razionalizzare come sia complicato censurare la rete senza contemporaneamente cambiare le persone
    A più riprese, negli ultimi tempi, si è riparlato di censurare internet, alla ricerca di una rapida e popolare (si fa per dire) soluzione a problemi che sono in realtà ben più di fondo. Internet, non c’è dubbio, è un bel grattacapo per chiunque debba governare. E non voglio fare del facile populismo, parlando di regimi antilibertari: l’affermazione vale anche per il più illuminato dei governanti, quello più in buona fede.

    Tecnologia con l’anima
    Se ci pensiamo un attimo, la reale potenza di Internet è di essere una tecnologia con un’anima. Tutte o quasi le tecnologie del XX secolo e buona parte dei secoli precedenti si sono concentrate sul fronte dell’avere: hanno reso più facile ed economico produrre beni e servizi, aumentare il nostro tenore di vita materiale. Internet invece è forse la seconda tecnologia nella storia dell’uomo che ha cambiato a livello di massa il modo di essere. Se mi permettete un’analisi superficiale e di parte (e più in là diventerò anche impopolare, ve lo dico subito), è dai tempi preistorici che non si vedeva una rivoluzione così. La prima “tecnologia”, quella del racconto orale attorno al fuoco, per la prima volta diede all’umanità la possibilità di comunicare many-to-many, di esprimersi, di fare “content generation” autogestita.
    Fino a quando la popolazione umana restò confinata a poche migliaia di persone sul pianeta, la tecnologia si rivelò perfettamente adeguata. Al crescere della numerosità dell’umanità, rivelò però un suo forte limite: l’incapacità di raggiungere efficacemente percentuali rilevanti del mercato in tempi rapidi. Tutte le tecnologie che seguirono - dalla scrittura alla stampa, alla radio, alla televisione… - si sono rivelate progressivamente più efficienti allo scopo di allargare il pubblico e di raggiungerlo in tempi via via più brevi. Questo richiese però un pesante compromesso: l’innalzamento delle barriere all’entrata del mezzo.
    Scrivere non era da tutti e non lo è stato per eoni. Le macchine da stampa, le stazioni radio e ancora peggio quelle televisive non erano di certo alla portata del signor Rossi qualunque, che avesse qualcosa da dire al mondo. Se un libro, un pamphlet poteva essere stampato con un ragionevole sacrificio economico, se i samizdat fotocopiati potevano raggiungere popolazioni più o meno numerose, l’emittenza tecnologica ha per anni imposto un modello chiaro, da uno a molti (senza fare battute politiche, of course). La rivoluzione di Internet, delle sue tecnologie, dei suoi modelli e modi di esprimersi è che si tratta di un mondo a basse o nulle barriere di ingresso. Oggi fare un blog richiede skill tecnologici poco superiori al saper usare la tastiera di una macchina da scrivere. I costi di una propria operazione di comunicazione tecnologica possono essere bassissimi, specialmente se qualcuno ci mette a disposizione un computer.
    Senza sforzo, senza complicazioni, possiamo mettere nel mare magnum della Rete il nostro messaggio - e una vasta parte dell’umanità può facilmente leggerlo (Google permettendo). Chiunque può quindi dire facilmente qualsiasi cosa a (e di) chiunque - in tempi immediati e su scale cosmiche, di milioni e milioni di persone. Un evento di comunicazione che una volta era riservato esclusivamente a governi, chiese o grandi aziende.

    Il vaso di Pandora
    A questo punto c’è poco da stupirsi se escono robe strane o cose brutte: in questo strumento gli esseri umani portano quello che hanno dentro di sé. Il problema dunque non è il mezzo o lo strumento: il vero problema è l’essere umano e la funzione dei governi e delle leggi. È consenso quasi universale che alla persona non debba essere consentito di esprimere in pubblico tutto, ma proprio tutto, quello che gli passa per la testa - e di qui la presenza di leggi (in alcuni posti più blande, vedi il Primo Emendamento, in altre più rigide - come certi paesi arabi o la grande Cina). Si tratta, in fondo, di un principio che tende a proteggere la comunità dalla circolazione di idee sgradevoli o pericolose. Il problema irrisolto è dove si debba mettere il limite. E chi lo possa mettere. Dato che poi si tratta spesso di convenzioni sociali che variano nel tempo.
    Una volta in Italia si adottava come parametro il “comune senso del pudore” come limite alla “libertà di manifestazione del pensiero” costituzionalmente sancita. Ma le cose cambiano. Quello che oggi è un apprezzato contributo educativo sulla sessualità giovanile, cinquant’anni fa sarebbe stato visto come istigazione a delinquere; e molti di noi - oggi libertari - fossero nati qualche decennio prima l’avrebbero stigmatizzato come eccessivo e immorale. Per i tempi, lo standard di oggi sarebbe stato sbagliato, mentre ora è giusto. Così come una volta le guerre erano tutte giuste e glorificate e oggi sono tutte sbagliate e godono di cattiva stampa.
    Dov’è il limite? Assumendo che non possa e non debba essere un’autorità religiosa a stabilire il limite per tutti, chi può farlo in maniera laica? Si può stabilire una regola universale che freni gli eccessi user generated? O dovremo andare sempre e comunque caso per caso, con giudizi inevitabilmente soggettivi?

    Il terribile paradosso
    Il paradosso, insomma, è che non si può fare un liberi tutti e permettere che circoli per la società qualsiasi idea e qualsiasi comunicazione, che sia su Internet o su altri mezzi; a me, ad esempio, darebbe un certo fastidio trovare in libera distribuzione moduli di iscrizione ai corsi di addestramento per terroristi islamici, magari pubblicizzati con artistici banner su Repubblica. Non si può ammettere tutto, ma chi decide che cosa è ammesso e che cosa no? Chi stabilisce se Scientology è una setta pericolosa o un rispettabilissimo gruppo di persone socialmente utili? E chi trova una regola per cui si vietino i siti pro-anoressia basandosi su un principio generale che non sia un semplice “lo so, lo sento che è sbagliato”?
    Credo che anche il più attivo tra noi anticensori consideri inaccettabile la propaganda dell’antisemitismo, della violenza sessuale, dell’uso di droghe. E su questo fronte Facebook ci ha deluso, non stroncando immediatamente i gruppi promafia, ma risultando rapido ed efficiente nel sopprimere le immagini di mamme che allattavano. Penso siamo quasi tutti d’accordo che calunnia e diffamazione debbano essere castigati, per evitare che lo spargere falsità diventi un comune strumento di politica e di business. Ma il confine tra diffamazione, satira e libertà di espressione non c’è supercomputer che lo sappia tracciare in modo oggettivo.

    La rete cambia con le persone
    Un gran problema - forse uno dei più grossi, dal punto di vista sociologico-etico-filosofico, quello che ci troviamo ad affrontare. E mi sa che lo stiamo globalmente affrontando nel modo sbagliato. Se pur può essere opportuno limitare il diritto di parola, si tratta di un’operazione contingente: lavoriamo su un sintomo o uno strumento, ma non andiamo alle cause. Se censuriamo Internet e basta, l’essere umano che sfoga in rete le sue tremende zozzerie non cambierà: forse farà meno proseliti il suo gruppo di nazisti apocalittici, ma resterà con il suo inferno dentro e lo cercherà di propagare in altri modi.
    Ma, si sa, lavorare sugli esseri umani, sulla cultura, sull’educazione non è di moda, è complesso, costoso e non sembra portare voti in una società dove quello che porta consenso è proporre la castrazione chimica e promettere che quest’anno potremo tranquillamente cambiare auto e comprarci una Tv nuova. In un sistema dove promettere di lavorare politicamente per renderci esseri umani migliori è un suicidio politico, credo proprio che lavoreremo sempre sui sintomi, lasciando irrisolte le cause e irrisolti i problemi di una società in cui sempre di più tutto è lecito pur di aumentare la propria capacità di acquisire nuovi beni, con quella roba che una volta si chiamava “etica” sempre più percepita come un hobby stravagante e tutto sommato inutile.

    Roberto Venturini è Digital Strategic Planner del gruppo Leo Burnett, giornalista e blogger. Tra i pionieri dell'Internet Marketing Italiano, padre di due figli, un blog e cinque gatti.
    In Rete: robertoventurini.blogspot.com

    A CURA DAVID PALADA

    http://robertoventurini.blogspot.com

    http://www.youtube.com/watch?v=Sm_z_3Gzbi8

    mercoledì 14 gennaio 2009

    FERRARA-PALAZZO DEGLI SPECCHI 20 ANNI! ABBATTIAMOLO!

     palazzo specchi.jpg

    2009: PRIMO VENTENNIO.... DEL PALAZZO DEGLI SPECCHI

    Chi scrive è stato tra i primi a proporre di abbattere il Palazzo degli Specchi, simbolo clamoroso di certa mediocrità politica ferrarese; poi, lo stesso Roberto Pazzi; infine, questa soluzione provocatoria lanciata dal mondo dell’arte sembrava aver fatto breccia a livello istituzionale.  Ora pare che al contrario lo si voglia restaurare per questioni economiche. Dubitiamo siano questi i veri motivi: in ogni caso, è tempo di farla finita con lo scandalo del Palazzo degli Specchi.

    Neppure forse sono più interessanti le motivazioni politiche - ben identificabili: semplicemente, tiriamo il sipario con un bel botto istituzionalmente autorizzato, ovvio. Ferrara città d’arte e del futuro, almeno su questo deve voltare pagina. Di più, propongo al Comune una proposta che in un sol colpo trasformerebbe uno scandalo pluridecennale in un evento artistico di risonanza nazionale.

    Dopo le anteprime degli ultimi anni, chi scrive, notoriamente futurista, organizzerà finalmente in data live, il prossimo 20 2 il centenario della più grande avanguardia italiana- che sarà celebrato in tutto il mondo- con altri amici futuristi di Ferrara e no. Quindi perchè non programmare istituzionalmente proprio per il 20 febbraio l’abbattimento del Palazzo degli Specchi come Centenario del Futurismo a Ferrara?

    Chi scrive e altri amici futuristi (e tutti gli artisti di Ferrara che vorranno) saremmo ben lieti di premere il fatidico pulsante, immaginiamo vrtualmente (lo farà qualche artificiere autorizzato, ovvio) magari dopo la lettura di qualche nostro manifesto di Marinetti o Majakowskij!). Il Palazzo degli Specchi boom boom a costo zero per il Comune come evento «storico» futurista, un’ottima soluzione finale, anche molto divertente!  

    ROBERTO GUERRA

    www.myspace.com/futurismo2009

    http://futurguerra.blogspot.com/

    venerdì 9 gennaio 2009

    VIVA MAJAKOWKSKIJ

     MAJAKOWSKY8.jpg

    20 2 2009- finalmente il futurismo celebrato e rinormalizzato (ma solo in apparenza, scommettiamo?), sottratto definitivamente alla vergognosa rimozione con cui molta intellighenzia ideologica e i loro fedeli alla linea storici dell'arte passeranno alla storia, sicuramente, futuramente... Eventi centenari ovunque anche in Italia. Eppure, forse per fortuna, se da un lato ben vengano tutte le celebrazioni (dal Mart a La Spezia... dal Centre Pompidou al Tiffany Art Club di Ferrara), dall'altro una nuova clamorosa omissione caratterizza il fenomeno.

    Pare che certo futurismo russo, certo costruttivismo, certo suprematismo, certo cubofuturismo (lo si chiami come conviene...ma la matrice resta il futurismo): Majakowskij, Tatlin e tanti altri, non siano mai esistiti. Persino il GRANDE Mart e il celebre e pur geniale curatore Ester Coen, sembrano preda del sortilegio.

    Tale lapsus freudiano alla rovescia è il ridicolo rovescio della medaglia di certa solita criptica d'arte: querelle, per la cronaca, già risolta proprio dai futuristi e da tutte le avanguardie (ma anche da un certo Oscar Wilde... nel celebre Il Critico come Artista) quando, al passo con la scienza, osarono rivendicare all'artista il ruolo di scienziato... in una civiltà basata sulla conoscenza e anche sull'immaginazione moderne, i primi – per così dire- referenti in questioni d'arte; il critico o lo storico importanti, ma appunto da sguardi relativamente secondari (salvo appunto con il metodo suggerito da Wilde...da Marinetti.... da Kandinsky.... da Majakowskij).

    Purtroppo, come noto, ha prevalso nuovamente nel secondo novecento, il primato del Critico o dello Storico- al passo con certa schizofrenia sociale dominante intuita da Orwell, sull'artista, con certi bei risultati di certa arte contemporanea involuta a mera mistificazione e pseudomodernità.

    Qualcuno si farebbe operare persino d'appendicite da uno storico della Medicina anziché da un Chirurgo? Ebbene nella cosiddetta arte contemporanea (in buona parte almeno), l'andazzo invece è proprio questo, mistificando persino l'estremo tentativo (così equivocato... guarda guarda, soprattutto dai nemici del futurismo e del modernismo, spesso pesudomarxisti..) di risistemare le cose tentato dal grande Andy Warhol, capace lui, sì, di trasformare la Merda in Opera d'arte, ma non gli Storici in Cervelli pensanti!

    Perciò, in tal senso, non sorprende l'assenza diciamo di un Majakowskij nelle celebrazioni del primo centenario futurista. Sarebbe stato, il grande Poeta della Rivoluzione, il primo invitato da Marinetti in persona! Majakowsky e Marinetti, gli inventori geniali insuperati della cultura moderna tecnoscientifica rivoluzionaria (dove fascio, falce e martello erano solo la Merda politica che furono obbligati a usare per sperimentare certo futurismo sociale... (le paleodemocrazie e lo zar dell'epoca erano cadaveri, inutilizzabili persino come concime!). Majakoskij: che come testamento poetico sognò di essere risvegliato un giorno dagli scienziati del futuro!

    Appunto, scienziati... non storici ancora prescientifici ... nell'era di Internet e del futurismo cibernetico.

    Dal punto di vista "accademico", in effetti la Grande Mostra del 1986 a Venezia, con una visione planetaria del Futurismo (quindi anche il Futurismo russo...), è stata il vero Centenario!!!

    Roberto Guerra

    http://lav0cefuturista.splinder.com

    http://archiviostorico.corriere.it/2007/agosto/13/Lilja_Majakovskij_Marinetti_Due_rivoluzionari_co_9_070813079.shtml

    The Best Post

    CALCIO ROBOT E SAPIENS-Partita...Zero! VIDEO