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domenica 21 febbraio 2016

E' scomparso il grande Umberto Eco, semiotico e scrittore postmoderno doc

*Nota di R. Guerra: al di là del saluto/ricordo affettuoso di seguito di Vittorio Feltri, un poco troppo alla rovescia ideologico pur brillante (bellissimo il titolo però...) ,  con Eco scompare uno dei pochi veri intellettuali italiani capaci di captare il futuro e  - a ben vedere - trascendente qualsivoglia zavorra politichese...  Oltre Eco, mere contingenze certe sinergie a volte discutibili con certa già  fu sinistra:  Eco come ricercatore scientifico  ha importato e reinventato e divulgato la nascente Linguistica dei segni e poi semiologia o semiotica....  Il solo "Apocalittici e Integrati"  resta tutt'oggi una password per un futuribile nobile e virtuoso evoluto,  la fine del novecento ideologico stesso  tutto italiota; ulteriormente "La Struttura Assente"... già decenni fa  illustrava la fine di qualsiasi riduzionismo conoscitivo e metapolitico, la complessità come nuovo scenario e mappa polare di riferimento e  "navigatore" per googlare con cognizione di casa e e effetto e  oltre...  i territori ignoti o in riformattazione del nostro tempo.   Tutta la sua opera ha consegnato al museo della televisione naturale, troppo facili persuasori occulti, liberato la nuova cultura mediatica e pop  da analisi adorniane (ancora dominanti in Italia ) non banali ma inflazionistiche e ridondanti, molto altro dopo la Televisione e gli stessi cartoni animati.  Feltri stesso ad esempio esagera, Eco non  demolì  Mike Bongiorno, al contrario  lo incoronò come esempio di televisione nuova e propulsiva; un saggio di Eco sui Puffi, poi, resta memorabile, sembrava una dissertazione sulla teoria delle stringhe, pardon striscie, un universo parallelo di alieni puffi reali!  Come scrittore, poi, Eco  con Il Nome della Rosa e non solo,  il vero vertice del Fantastico italiano e di ulteriore altitudine mondiale:  altro che noirismo o  fantastorico all'italiana,  Eco poetico  prima del grandissimo transumanista Dan Brown,  dopo Calvino in Italia e non solo, Umberto Eco  il vero principe fantacosmico felice, altro che imperatori veggenti nostalgici degli zar o wuminghiani autoimplosi in fantasmi. E già da domani, il nome .. Umberto Eco  è il Segno della Rosa nella storia della comunicazione e  della cultura rivoluzionaria contemporanea!

*fonte Il Giornale   Vittorio Feltri

Eco, un intellettuale sempre organico (ma solo a se stesso)
La livella arriva per tutti e non ha risparmiato neppure Umberto Eco, morto in casa propria a 84 anni, dopo aver inanellato una serie impressionante di successi editoriali che lo hanno reso famoso nel mondo. Il suo romanzone Il nome della rosa è stato tradotto in un centinaio di lingue e ha venduto 12 milioni (14 secondo qualcuno) di copie, quante ne bastano per arricchire un autore.Se si aggiunge la diffusione notevole di altre sue opere, ad esempio Il pendolo di Foucault, si arriva a una montagna di volumi. Non vogliamo fare i conti in tasca a Eco, ma solo ricordare che egli è stato un intellettuale importante per la cultura italiana del dopoguerra. Non piaceva a chiunque lo avesse letto, ma ciò è normale.
Come sempre, anche nel suo caso era ed è la politica a dividere il pubblico tra estimatori e detrattori. Le mode culturali contribuiscono in modo decisivo ad innalzare un uomo ai vertici della considerazione popolare o a farlo sprofondare negli abissi del disprezzo. Umberto è stato bravissimo nella scelta di campo utile a portarlo sull'Olimpo. Pur essendo stato cattolico all'inizio della carriera, non ha esitato a diventare miscredente e a schierarsi a sinistra in tempi in cui i cristiani erano democristiani, cioè gentucola conformista, mentre i laici erano comunisti e quindi degni della massima stima.
Non affermiamo che Umberto sia saltato da una sponda all'altra per opportunismo. Probabilmente si è limitato a seguire la propria indole di uomo del giorno. Ma il sospetto rimane, visto che il passaggio da qui a là gli ha giovato parecchio in termini di consenso e di incasso. I laici progressisti negli ultimi 60 anni hanno goduto di grandi agevolazioni: porte aperte, buona stampa, elogi sperticati della corporazione dei cosiddetti intelligenti. Giuseppe Berto, grande scrittore che negli anni Sessanta vinse per sbaglio il Campiello con il Male oscuro, romanzo contro la psicoanalisi, fu dimenticato (e schifato) in fretta, perché genericamente di destra, ossia ostile alle ideologie correnti e di maggior presa nel periodo in cui i suoi libri erano in commercio. Quando tirò prematuramente le cuoia non fu celebrato adeguatamente. Lo stesso dicasi per Giuseppe Prezzolini, snobbato poiché conservatore dichiarato. Vabbè, niente di nuovo né di sensazionale.
Eco, a differenza di costoro, condannati al silenzio e all'oblio, seppe inserirsi nel filone giusto riuscendo a suscitare l'attenzione e l'approvazione nei contemporanei affascinati dall'eurocomunismo inventato da Luigi Berlinguer, una teoria fantasiosa eppure in grado di sedurre circa la metà della beota popolazione italiana. Fu bravo a intuire la strada da percorrere per giungere in vetta al gradimento dei cittadini sedicenti illuminati. Ciò non toglie alcun merito allo scrittore alessandrino, anzi accresce la misura della sua abilità di intellettuale (quasi) organico.
Umberto non è mai stato contestato da nessuno che avesse i titoli per farlo. Lui stesso a un certo punto confessò che Il nome della rosa, nonostante il boom delle vendite (qualcosa di straordinario) era il suo peggior romanzo. Non saprei dire se avesse ragione o torto; sta di fatto che questo era il suo pensiero, almeno quello manifestato con stupefacente franchezza (a cui sarei portato a non credere). Eco, coerentemente con le posizioni acquisite negli anni della maturità, ha collaborato con l'Espresso e la Repubblica, sui quali ha scritto articoli memorabili, che hanno immancabilmente fatto scalpore.
Egli assurse ancor giovane (relativamente) al ruolo di maître à penser, ascoltato e lodato dai compagni di ogni risma. Bisogna dargli atto che non è mai stato banale nelle sue osservazioni. Filosofo, semiologo, linguista e professore universitario, egli fu protagonista di un episodio storico. Dopo aver collaborato assiduamente con Lascia o raddoppia?, il primo programma televisivo della Rai d'antan, Umberto scrisse un saggio clamoroso in cui faceva a pezzi il conduttore della trasmissione: Mike Bongiorno. Un'impennata che rivelava appieno la personalità dello scrittore scomparso, uno che faceva e disfaceva con sorridente e irridente disinvoltura.
Ebbi anch'io con lui un garbato scontro. Io sostenni che la destra si era impoverita perché tutti gli intellettuali destrorsi, dal 25 aprile 1945 in poi, si erano trasferiti armi e bagagli nella sinistra, cambiando bandiera senza battere ciglio. Era la verità. Ma Eco mi rispose che i voltagabbana non erano tali in quanto non fascisti, bensì esponenti della destra storica. E avevano semplicemente mutato idea. La sua mi parve una stupidaggine. Ma lui era lui e io ero io. Una replica alla marchese del Grillo. Niente di serio.Vittorio Feltri



venerdì 20 giugno 2014

Milano, Festival della Comunicazione, con Umberto Eco

Giovedì 26 giugno alle ore 11.30, presso la sede di produzione RAI – Sala delle Conferenze (corso Sempione 27, Milano), alla conferenza stampa di presentazione della prima edizione del Festival della Comunicazione.

La manifestazione, ideata e diretta da Rosangela Bonsignorio e Danco Singer, si terrà a Camogli da venerdì 12 a domenica 14 settembre 2014 e indagherà attraverso gli interventi di oltre 60 intellettuali italiani un tema fondamentale per il sapere contemporaneo: la comunicazione. A dare il via ai lavori (tavole rotonde, workshop, dialoghi con la rete, spettacoli, eventi, escursioni) sarà la lezione inaugurale di Umberto Eco.

Il festival è promosso da: Comune di Camogli, Regione Liguria, Encyclomedia Publishers; in collaborazione con: Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, Ente Parco di Portofino, Area marina protetta.


Ufficio Stampa Delos
____________________

Delos
di Annalisa Fattori e Paola Nobile
via San Simpliciano 6, 20121 Milano
T

delos@delosrp.it - www.delosrp.it

mercoledì 24 ottobre 2012

L'Aquila post-sisma: Scienziati non Aruspici.. by Alessio Brugnoli (Il Canto Oscuro)

Scienziati, non aruspici



Nel Trecento, Carlo, duca di Calabria e primogenito del re Roberto D'Angiò, consegnò all'Inquisizione l'astrologo Cecco d'Ascoli a causa di un oroscopo negativo sulla figlia Giovanna, futura regina di Napoli. Detto fra noi, sospetto che più che un oroscopo, sarebbe bastato un poco di buon senso e di psicologia per capire di che pasta fosse fatta Giovanna.
In ogni modo, l'Inquisizione bruciò a fuoco lento il povere Cecco, a causa della superstizione. Dopo circa settecento anni, non è che le cose siano cambiate molto.
In Italia si condannano scienziati, a causa della loro onestà intellettuale, perchè non azzardano previsioni infondate.
A tal senso, do visibilità ad un intervento di Roby Guerra (da eccolanotiziaquotidiana)

C.  Il Canto Oscuro

 

giovedì 3 maggio 2012

Giovanni Damiano: Sul "nuovo realismo" da Nuova Oggettività magazine

 
Sul “nuovo realismo”.
Brevissime note a margine
 
 
LaNuova Oggettivitàrispondeva, nell’immediato primo dopoguerra, all’esigenza di un ritornoall’ordine (espressione il cui conio è probabilmente da addebitare ad Albert Gleizes), ossia di una riconquista della forma dopo i fasti decostruttivisti delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento. A farsi carico di un nuovo inizio dellaforma sarà soprattutto l’ala classicista della Neue Sachlichkeit (corrente che conterà, tra gl’altri, pittori come Kanoldt, Mense eSchrimpf e che conoscerà la sua stagione più vivace tra il 1918 e il 1921), costituitasi a Monaco intorno alla galleriaNeue Kunst e influenzata dall’esperienza italiana di Valori plastici, la rivista romana fondata da Broglio nel ‘18 e che proprio Hans Goltz, il proprietario della Neue Kunst, provvederà a diffondere nel mondo tedesco. Ora, se è vero che il particolare clima monacense sicuramente aveva giocato un ruolo di primo piano nella nascita del gruppo ‘nazareno’ della Nuova Oggettività (ad esempio, Elena Pontiggia rimanda alle radici classiciste della Monaco ottocentesca, culla dei Deutsch-Römer e del monumentalismo ‘dorico’ di Leo von Klenze), è altrettanto certo che tutto ciò rientrava in un movimento di respiro europeo di risposta alle avanguardie artistiche, tendente a ri-creare una classicità moderna (sempre Pontiggia), che in Germania avrà come suo esito ultimo l’arte nazionalsocialista (il cui focolaio sarà, ancora una volta, Monaco).
Analogo significato, a mio parere, riveste il recentissimo testo di Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012). Anche qui troviamo una reazione, in senso ‘oggettivante’, al decostruttivismo/costruzionismo, questa volta post-moderno, esemplificato, per Ferraris, dalla triade d’oltralpe Lyotard-Derrida-Foucault, da Rorty, e in Italiadal ‘pensiero debole’ alla Vattimo, il cui Addio alla verità è un chiaro bersaglio polemico (ma si potrebbero fare anche i nomi di Hobsbawm, Anderson, eccetera, per andare oltre l’ambito strettamente filosofico).
Le tesi di Ferraris (non isolate nel panorama filosofico italiano contemporaneo; penso ad es. al lavoro di Franca D’Agostini, Introduzione alla verità o a Per la verità di Diego Marconi) possono essere facilmente riassunte: ciò che va sottoposto a critica (quindi decostruito; Ferraris sa che la filosofia non avrebbe senso senza passione ‘decostruttiva’, ma sa anche che, se si riduce integralmente a gioco decostruttivo, la filosofia diventa un orpello inutile, una scienza sterile destinata all’insignificanza) sono “i due dogmi del postmoderno: che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile” (p. XI), oltre che intrinsecamente violenta e intollerante (il che conduce a quello che chiamo nichilismo emancipativo; in breve, l’esito nichilistico del pensiero debole – la dissoluzione del concetto stesso di verità - rispondea esigenze ‘democratico-progressive’ completamente antitetiche ad es. a quel lascito nietzscheano aristocratico-selettivo, che pure ha giocato un ruolo primario nella genesi del postmoderno).
Ora, schematizzando all’estremo e al di là delle stesse tesi di Ferraris, della verità semplicemente non possiamo disfarci, dalla verità non possiamo in ogni caso prendere congedo, e questo prescindendo da qualsivoglia posizione filosofica, sia essa ad es. differenzialista o meno. La verità, insomma, è ineliminabile, con buona pace di chiunque sostenga il contrario. Pertanto, è in errore anche Nietzsche, quando nel Crepuscolo degli idoli esulta al tramonto del “mondo vero” (il “baccanale degli spiriti liberi”).
Discorso diverso per quanto riguarda il problema della realtà. Premetto che le evidenti preoccupazioni ideologiche di Ferraris alla base del suo ‘nuovo realismo’ sono del tutto inconsistenti quando non mistificanti. Giusto un paio di esempi: secondo il filosofo torinese il postmoderno sarebbe nato da condivisibili prospettive emancipative poi fatalmente tracimate nel ‘populismo mediatico’, il che ricorda la favola del comunismo buono nelle intenzioni ma cattivo nelle realizzazioni[Nota a piè di pagina]; invece di denunciare l’artificio dell’economia ‘di carta’ che sta letteralmente divorando l’economia reale, Ferraris finisce, inoltre, per attardarsi sull’antiberlusconismo (il riferimento al ‘populismo mediatico’ è, al riguardo, trasparente).Per incidens, definire “mirabile analisi” (p. 70) quella di un testo mediocre come Orientalismo di Said è l’ennesimo pegno pagato al conformismo intellettuale e al decostruzionismo ‘buono’[Nota a piè di pagina]. ....  continua N.O.

martedì 1 maggio 2012

Giovanni Damiano Nuova Oggettività e-o New Realism


Sul “nuovo realismo”.
Brevissime note a margine
La Nuova Oggettività rispondeva, nell’immediato primo dopoguerra, all’esigenza di un ritorno all’ordine (espressione il cui conio è probabilmente da addebitare ad Albert Gleizes), ossia di una riconquista della forma dopo i fasti decostruttivisti delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento. A farsi carico di un nuovo inizio della forma sarà soprattutto l’ala classicista della Neue Sachlichkeit (corrente che conterà, tra gl’altri, pittori come Kanoldt, Mense e Schrimpf e che conoscerà la sua stagione più vivace tra il 1918 e il 1921), costituitasi a Monaco intorno alla galleria Neue Kunst e influenzata dall’esperienza italiana di Valori plastici, la rivista romana fondata da Broglio nel ‘18 e che proprio Hans Goltz, il proprietario della Neue Kunst, provvederà a diffondere nel mondo tedesco. Ora, se è vero che il particolare clima monacense sicuramente aveva giocato un ruolo di primo piano nella nascita del gruppo ‘nazareno’ della Nuova Oggettività (ad esempio, Elena Pontiggia rimanda alle radici classiciste della Monaco ottocentesca, culla dei Deutsch-Römer e del monumentalismo ‘dorico’ di Leo von Klenze), è altrettanto certo che tutto ciò rientrava in un movimento di respiro europeo di risposta alle avanguardie artistiche, tendente a ri-creare una classicità moderna (sempre Pontiggia), che in Germania avrà come suo esito ultimo l’arte nazionalsocialista (il cui focolaio sarà, ancora una volta, Monaco).
Analogo significato, a mio parere, riveste il recentissimo testo di Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012). Anche qui troviamo una reazione, in senso ‘oggettivante’, al decostruttivismo/costruzionismo, questa volta post-moderno, esemplificato, per Ferraris, dalla triade d’oltralpe Lyotard-Derrida-Foucault, da Rorty, e in Italia dal ‘pensiero debole’ alla Vattimo, il cui Addio alla verità è un chiaro bersaglio polemico (ma si potrebbero fare anche i nomi di Hobsbawm, Anderson, eccetera, per andare oltre l’ambito strettamente filosofico).
Le tesi di Ferraris (non isolate nel panorama filosofico italiano contemporaneo; penso ad es. al lavoro di Franca D’Agostini, Introduzione alla verità o a Per la verità di Diego Marconi) possono essere facilmente riassunte: ciò che va sottoposto a critica (quindi decostruito; Ferraris sa che la filosofia non avrebbe senso senza passione ‘decostruttiva’, ma sa anche che, se si riduce integralmente a gioco decostruttivo, la filosofia diventa un orpello inutile, una scienza sterile destinata all’insignificanza) sono “i due dogmi del postmoderno: che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile” (p. XI), oltre che intrinsecamente violenta e intollerante (il che conduce a quello che chiamo nichilismo emancipativo; in breve, l’esito nichilistico del pensiero debole – la dissoluzione del concetto stesso di verità - risponde a esigenze ‘democratico-progressive’ completamente antitetiche ad es. a quel lascito nietzscheano aristocratico-selettivo, che pure ha giocato un ruolo primario nella genesi del postmoderno).
Ora, schematizzando all’estremo e al di là delle stesse tesi di Ferraris, della verità semplicemente non possiamo disfarci, dalla verità non possiamo in ogni caso prendere congedo, e questo prescindendo da qualsivoglia posizione filosofica, sia essa ad es. differenzialista o meno. La verità, insomma, è ineliminabile, con buona pace di chiunque sostenga il contrario. Pertanto, è in errore anche Nietzsche, quando nel Crepuscolo degli idoli esulta al tramonto del “mondo vero” (il “baccanale degli spiriti liberi”).
Discorso diverso per quanto riguarda il problema della realtà. Premetto che le evidenti preoccupazioni ideologiche di Ferraris alla base del suo ‘nuovo realismo’ sono del tutto inconsistenti quando non mistificanti. Giusto un paio di esempi: secondo il filosofo torinese il postmoderno sarebbe nato da condivisibili prospettive emancipative poi fatalmente tracimate nel ‘populismo mediatico’, il che ricorda la favola del comunismo buono nelle intenzioni ma cattivo nelle realizzazioni[Nota a piè di pagina]; invece di denunciare l’artificio dell’economia ‘di carta’ che sta letteralmente divorando l’economia reale, Ferraris finisce, inoltre, per attardarsi sull’antiberlusconismo (il riferimento al ‘populismo mediatico’ è, al riguardo, trasparente). Per incidens, definire “mirabile analisi” (p. 70) quella di un testo mediocre come Orientalismo di Said è l’ennesimo pegno pagato al conformismo intellettuale e al decostruzionismo ‘buono’[Nota a piè di pagina].
Detto questo, la tesi centrale di Ferraris è che ontologia ed epistemologia non coincidono; in altre parole, l’equipollenza essere-sapere è fallace. Per cui, non sarebbe vero che qualsiasi cosa per esistere deve comunque rientrare nei nostri schemi concettuali, cioè dev’essere in qualche modo ‘saputa’ e quindi costruita dal soggetto conoscente. Al contrario, quello che Ferraris chiama l’inemendabilità del reale mostrerebbe la resistenza dello stesso reale alle nostre pretese conoscitive, il fatto, cioè, che “posso sapere (o ignorare) tutto quello che voglio, il mondo resta quello che è” (p. 46), per cui una cosa esisterebbe a prescindere dal nostro sapere, così da evitare che i nostri schemi concettuali finiscano per prevalere, sempre e comunque, sul mondo esterno.
L’approccio epistemologico decostruttivo/costruttivo, ossia quello che dissolve il reale in quanto lo piega ai nostri schemi concettuali e ai nostri apparati percettivi, per poi costruirlo/manipolarlo a piacimento (riconducendo in tal modo integralmente l’ontologia nell’alveo dell’epistemologia), nella genealogia, seppur sintetica, delineata da Ferraris, prenderebbe le mosse dalla gnoseologia kantiana (anche se è possibile andare a ritroso sino a Cartesio, con la costellazione’ dubbio iperbolico/solipsismo del cogito/problematicità delle idee avventizie).
Ferraris parte dall’asserto kantiano “le intuizioni senza concetti sono cieche”, per affermare che per Kant “fossero necessari concetti per avere una qualsiasi esperienza” (p. 34). Da qui si darà “avvio a un processo che conduce a un costruzionismo assoluto” (ibid.), attraverso la radicalizzazione della gnoseologia kantiana, che porterà a una confusione senza residui tra ontologia ed epistemologia grazie all’abolizione del noumeno. Tappa ulteriore di questo processo sarà poi il primato delle interpretazioni sui fatti, il nietzscheano “non ci sono fatti, solo interpretazioni” (dai Frammenti postumi), ma qui, a mio parere, gioca la costitutiva ambivalenza di Nietzsche, perché ad es. la fedeltà alla terra sembra invece rimandare a uno sfondo oggettivistico. Infine, è in pieno Novecento che il postmoderno giungerà a compimento, grazie agli autori segnalati in precedenza.
Giovanni Damiano

giovedì 27 ottobre 2011

Convegno sulle vittime del Terrorismo: Sgarbi attacca i mandanti morali e intellettuali dell'omicidio Calabresi

 

Roma, giovedì 27 ottobre 2011


La polemica di Vittorio Sgarbi sui mandanti «morali» dell’omicidio Calabresi al convegno sulle vittime del terrorismo


«Per la morte di Pinelli responsabilità morali non solo di Sofri, ma anche di quegli intellettuali vigliacchi che firmarono il manifesto contro il Commissario Calabresi»

 

 

ROMA 

«Se quella di Adriano Sofri per la morte del Commissario Luigi Calabresi è una responsabilità morale, è pur sempre una responsabilità. Un poliziotto è stato ucciso. Tuttavia, se è vero che Sofri ha ordinato quell’omicidio, non possiamo dimenticare che dietro quella morte c’è un elenco di 800 uomini di pensiero, intellettuali, che vanno da Umberto Eco a Giorgio Bocca, da Eugenio Scalfari a Bernardo Bertolucci, da Vittorio Ripa di Meana a Camilla Cederna, firmatari di un appello contro Calabresi ritenenuto responsabile della morte dall’anarchico Pinelli.

L’odio contro Calabresi, che questi intellettuali vigliaccchi hanno alimentato, ha portato alla sua morte. Nulla è peggio di un intellettuale. L’intellettuale, salvo che non abbia un pensiero forte e autonomo, è uno che si fortifica con il pensiero degli altri. Quindi firmano appelli. E nel 1972 crearonO il mostro Calabresi. Mi chiedo allora: è colpevole solo chi ha compiuto l’atto fanatico finale o la cultura che lo ha legittimato ?»E’ stato questo l’interrogativo posto da Vittorio Sgarbi nei giorni scorsi a Salerno al convegno internazionale sul terrorismo politico, al quale hanno preso parte numerosi familiari delle vittime oltre a numerosi esponenti politici e istituzionali, alcuni provenienti da altri paesi europei.

Adesso le parole del critico d’arte e sindaco di Salemi riaccendono il dibattito su quegli anni.

«Abbiamo-ha aggiunto Vittorio Sgarbi - un assassino-eroe, Adriano Sofri, che viene sui nostri giornali guardato come un intellettuale di grande spessore. Viene osservato con grande rispetto sia a sinistra sia a destra. Da alcuni è considerato innocente, ma è stato condannato per avere ucciso il Commissario di Polizia Luigi Calabresi. Nella sua figura vi è una profonda contraddizione: Sofri è un terrorista, un assassino o un uomo di pensiero ?

Uno che è un assassino acclarato, dopo diversi gradi di giudizio, e che scrive anche sulla prima pagina di "Repubblica", considerato un maître à peinser, un grande intellettuale, è dunque un omicida o un intellettuale ? Vittorio Sgarbi, rivolto agli oltre 200 studenti provenienti da tutta Italia, ha concluso il suo intervento con queste parole:

«ll terrorismo è stato ed è una grande tragedia, perché la vittima del terrorismo non è in guerra contro nessuno: è questa la differenza tra chi si esalta per l’ideologia e chi patisce per l’ideologia. La vittima non è un nemico ma uno che patisce un ‘ideologia sbagliata. Il terrorismo non è solo l ‘azione criminale di violenti e basta; è la conseguenza di una ideologia malata.

 

 

Credo che il male si batte con la ragione e con un'altra cosa: l’autonomia di pensiero. Usate la vostra testa ogni volta, non fatevi prendere da appelli da contagi o dal fatto che lo fanno tutti. Io per tutta la vita ho cercato di fare il bastian contrario, per carattere, forse per instinto, e perché non mi piacciono le verità confezionate dagli altri. Mantenete la vostra autonomia, guardate le cose con i vostri occhi. E se in questi giorni vi fa pena guardare le immagini di Gheddafi e del suo corpo lacerato, è giusto che vi faccia pena, perché dietro ogni criminale vi è innanzitutto un uomo»

l’Ufficio Stampa

 

331-1708195,380-5475045 (Nino Ippolito)

 

ufficiostampasgarbi@email.it

 

ufficiostampa@tim.eu.blackberry.com

 

*from Wikpedia

http://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_Calabresi#L.27appello_pubblicato_su_L.27Espresso


Blog che riporta l'elenco completo dei firmatari dell'Appello del settimanale l'Espresso con la cronologia e la scansione integrale degli articoli del giugno 1971


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