sabato 8 giugno 2013

AGIRE IN CONFLITTO. Per un Futurismo di Lotta... by Marcello Francolini

 Boccioni.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Agire in conflitto: è questo
uno dei presupposti per la costruzione di CorpoComune; è anche il modo per noi
di imporre nelle nostre azioni il fare dell’opposizione che si basa sulla
metafisica dell’attuale.



Una metafisica dell’attuale
perché dobbiamo rapportarci a quella che è la realtà e a quella che è la
finzione, che si manifestano mai nello stesso modo e mai coerentemente, sia
nelle forme che nei contenuti, e mai semplicemente come puro dato di fatto.



La storicità delle nostre
azioni pone le nostre idee sul piano dell’interpretazione che solo nella
conflittualità trova la sua espressione più significativa.



Solo la conflittualità rende
l’azione sentimentale (direi umana); in caso contrario parleremmo di un’azione
ideologica pre-stabilita.



Definiamo metafisica
dell’attuale e non della tragedia perché noi siamo interessati all’idea del
conflitto che porta con se la tragedia ma in egual misura la commedia (si
potrebbe scambiare questo accento come espressione melodrammatica ma in quel
caso la nostra rivendicazione di italianità ci porta a confrontarci anche con
tale ipotesi).



CorpoComune per noi è
un’ipotesi di confronto ed anche un’ipotesi di lavoro: riflettere su che cos’è
una metafisica dell’attuale.



La prima azione di
CorpoComune si è esplicata come fatto politico con il manifesto elettorale Vota
Corpo Comune durante le elezioni amministrative di Salerno.



Per noi il fare artistico non
è un momento soggettivo che esprime l’individualità dell’artista ma bensì una
azione politica (ecco perché il manifesto Vota Corpo Comune) nell’ambito della
dimensione effimera e sentimentale della socialità dell’uomo.

 

Futurologia: Ramez Naan e la scienza che salva il mondo by Estropico blog

 

 
 
"Vi ricordate Ramez Naan? E' l'autore di More Than Human, dal quale Estropico ha pubblicato Allungamento della vita e sovrappopolazione e che recentemente si e' anche dato alla fantascienza. Ora e' tornato alla narrativa con The Infinite Resource. The Power of Ideas on a Finite Planet.

Traduco liberamente/riassumo dalla pagina di Amazon:

Questo libro contiene un piano per salvare il mondo. Naam non minimizza le sfide che dovremo confrontare, ma allo stesso tempo non si lascia andare al catastrofismo. La ricetta di Naam e' quella dell'innovazione: le risorse piu' importanti non sono il petrolio, o l'oro, o l'acqua, ma le nostre idee. In questo libro Naam mostra come mettere il turbo all'innovazione, cambiando le regole dell'economia per evitare le potenziali catastrofi e diffondere il benessere a tutti gli abitanti del pianeta.

Ray Kurzweil: Naam dimostra come l'innovazione sia l'unica forza in grado di farci superare le sfide globali."
 
 

Storia medioeriental e: La Siria che non c'è più

 

In Medio Oriente si sente ovunque l'eco della tragedia siriana.  Viaggiare in diventa sempre più difficile e doloroso. La situazione, e non da ora, minaccia di devastare e deformare il volto di questi Paesi. Aleppo resta nella mia memoria. Una città di cui mi parlava sempre mio nonno materno, Pelle Lorenzo, nativo di Laigueglia in provincia di Savona e  Cap Horner di lungo corso, scomparso nel 1970. Un  tempo ad Aleppo tutti vivevano fianco a fianco, arabi e curdi, cristiani e musulmani, ebrei e armeni: era un universo cosmopolita e tollerante. Ora è un inferno senza ragione e senza pietà, dove s'intrecciano interessi interni ed internazionali, la cui regia porta a capitali lontane e vicine. La guerra civile siriana e quella irakena si confondono. La Siria è già un ex Siria e nessuno si aspetta più nulla. Da Paese più aperto della regione, la Siria è diventata una Jugoslavia araba. Insieme scompaiono passato, presente e futuro. Un dramma per il mondo e la sua civiltà. Oltre i monumenti islamici, sono a rischio le vestigia cristiane, ebraiche e di ogni altra cultura o eredità intellettuale, da secoli rappresentate in Siria da segni e da tradizioni che fanno parte della storia del Vicino Oriente. Le ricorrenti furie iconoclaste che si abbattono su questo tesoro di città che è Aleppo, e che sono solo una parte delle gesta offensive e disperate che uccidono la Siria, ci impongono una riflessione amara sul destino di una società che va scomparendo in un conflitto più grande di lei. Il ponte di Deir er Zor sull'Eufrate non esiste più: era la testimonianza di un'epoca in cui influenze diverse convivevano armonicamente nel mosaico mediorientale. Realizzato nel 1927 dai francesi era il simbolo dell'unità nazionale ed era anche raffigurato sulle banconote siriane.
Casalino Pierluigi, 2.06.2013 

Storia di Ferrara moderna: Arte e Bottega (Este Edition)

Questa ricerca, condotta da Giulia Aguzzoni e Angela Ghinato, ricostruisce la storia dei mestieri, dell’artigianato nel Ferrarese dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, con particolare riferimento alla costituzione negli anni Cinquanta della Confartigianato e del suo successivo e odierno ruolo. Arte e Bottega affronta lo studio e l’analisi della storia locale ed è la chiave per comprendere la storia generale, fornisce inoltre un piccolo ma significativo contributo alla ricostruzione della storia della nostra città e del nostro territorio nelle sue trasformazioni economiche, sociali e politiche e nello stesso tempo può suscitare nelle nuove generazioni il desiderio di conoscere e di avvicinare il mondo dell’artigianato.

http://www.este-edition.com/prodotti.php?idProd=536

Arte contemporanea: MLB home gallery porta Ferrara in Europa

Alla MLB home gallery di Corso Ercole d’Este 3, la casa-galleria di Maria Livia Brunelli, fervono i preparativi per la partecipazione a Scope, la fiera d’arte contemporanea che ha luogo a Basilea dall’11 al 16 giugno nei giorni di Art Basel. E’ la prima volta che una galleria ferrarese è presente a Basilea durante Art Basel, la fiera d’arte contemporanea più importante del mondo.

Maria Livia Brunelli porterà a Basilea gli artisti ferraresi Andrea Amaducci, Maurizio Camerani, Marcello Carrà e Ketty Tagliatti, oltre a Stefano Bombardieri, artista conosciuto in città, anche se bresciano, per gli animali disseminati nel centro storico in occasione di “The faunal countdown” qualche anno fa.

Spiega la gallerista: “abbiamo invitato alcuni nostri artisti a riflettere sul tema della crisi dell’Europa attuale, perchè siamo convinti che oggi l’arte debba sollecitare in primo luogo riflessioni sul particolare momento storico in cui stiamo vivendo, che personalmente mi ricorda tanto la decadenza dell’Impero romano. Penso che l’occasione di essere al centro dell’Europa con sette artisti che hanno tanto da dire, in particolare quest’anno, sia preziosa. Se è vero che gli artisti hanno le antenne per capire dove sta andando il futuro, è per me un impegno in primo luogo etico proporgli di riflettere sull’Europa attuale, sulla sua crisi di identità e su che speranze vedono o auspicano per il futuro del nostro continente. In Italia siamo molto sfiduciati ma anche molto consapevoli che se l’Europa non punta su arte e turismo, non saremo competitivi con il resto del mondo per i decenni a venire”.... C

 http://www.estense.com/?p=306943

Storia medioerientale: La Siria che non c'è più

 

In Medio Oriente si sente ovunque l'eco della tragedia siriana.  Viaggiare in diventa sempre più difficile e doloroso. La situazione, e non da ora, minaccia di devastare e deformare il volto di questi Paesi. Aleppo resta nella mia memoria. Una città di cui mi parlava sempre mio nonno materno, Pelle Lorenzo, nativo di Laigueglia in provincia di Savona e  Cap Horner di lungo corso, scomparso nel 1970. Un  tempo ad Aleppo tutti vivevano fianco a fianco, arabi e curdi, cristiani e musulmani, ebrei e armeni: era un universo cosmopolita e tollerante. Ora è un inferno senza ragione e senza pietà, dove s'intrecciano interessi interni ed internazionali, la cui regia porta a capitali lontane e vicine. La guerra civile siriana e quella irakena si confondono. La Siria è già un ex Siria e nessuno si aspetta più nulla. Da Paese più aperto della regione, la Siria è diventata una Jugoslavia araba. Insieme scompaiono passato, presente e futuro. Un dramma per il mondo e la sua civiltà. Oltre i monumenti islamici, sono a rischio le vestigia cristiane, ebraiche e di ogni altra cultura o eredità intellettuale, da secoli rappresentate in Siria da segni e da tradizioni che fanno parte della storia del Vicino Oriente. Le ricorrenti furie iconoclaste che si abbattono su questo tesoro di città che è Aleppo, e che sono solo una parte delle gesta offensive e disperate che uccidono la Siria, ci impongono una riflessione amara sul destino di una società che va scomparendo in un conflitto più grande di lei. Il ponte di Deir er Zor sull'Eufrate non esiste più: era la testimonianza di un'epoca in cui influenze diverse convivevano armonicamente nel mosaico mediorientale. Realizzato nel 1927 dai francesi era il simbolo dell'unità nazionale ed era anche raffigurato sulle banconote siriane.
Casalino Pierluigi, 2.06.2013 

venerdì 7 giugno 2013

Arte e scienza: Tonino Casula VIDEOnews



 

nuovo cortronico in formato 2d e in formato stereo

 

tonino casula

ATTENTI AL CANE

 

musica

hagen bleeck

 

attenti alcane 3d 1

formato stereo (anaglyph red cyan)

 

attenti alcane mono 6

formato mono

*

http://www.toninocasula.net/

 

 ____________________________________________________

La visione stereo richiede l'uso di occhiali anaglifi rosso/ciano.

 
occhiali.piccoli 

 

 

 

 

__________________________________________________________

 

Se lo ritieni interessante, spedisci questo messaggio ad un'altra persona

 

Questa comunicazione ha carattere culturale e non è da considerare spamming.

In ottemperanza del D.L. 196/2003 riguardante il trattamento di dati personali, è possibile modificare o cancellare i dati presenti nel mio archivio inviando una email all' indirizzo toninocasula@libero.itcon oggetto "cancella".

 

Nessun virus nel messaggio.
Controllato da AVG - www.avg.com
Versione: 2013.0.2904 / Database dei virus: 3184/6373 - Data di rilascio: 31/05/2013

Futurologia: con Lo Sguardo 2.0 di Miche langelo Antonioni, F errara torna città d 'arte e in Serie A

 
 

****VIDEO

Primaveraboom, almeno per pulsionale qualità dell'evento, ottimizzatosplendidamente dai curatori (grande e aggiornato... allestimento erara concettualità pluridimensionale) per Michelangelo Antonioni,celebration, il compleanno virtuale 100 (1912...2012). Certamente lagemma d'oro di un continuum di iniziative tributo che hannorecentemente caratterizzato, Ferrara, una volta tanto all'altezza della suaImmagine, da qualche tempo in declino.

Inauguratalo scorso 10 marzo, sipario questo weekend, per la  grande mostra anche digitalededicata a uno dei grandi nomi del cinema italiano del XX secolo,presso un'altra gemma naturale della città estense, il Palazzo dei Diamanti...nel viale più bello d'Europa di Biagio Rossetti e la Ferrara Renaissance memoria (Via Ercole d'Este).

Eforse dalla stagione d'oro (anni 70/80/ 90) delle grandi mostre chefurono, era Franco Farina, Art Director, con l'anteprima “epocale” prima di un certo Andy Warhol (lateralmente Ferrara anchecapitale video), sempre esaltando il Palazzo dei Diamanti stesso,Ferrara non si segnalava con altrettanta persuasione e meraviglia. 

LoSguardo di Michelangelo. Antonioni e le Arti”, logo-omaggio ancheall'ultima opera ad futurum, letteralmente biocinematografica delgrande Regista ferrarese..., come potenza iconografica e operad'arte in sé aperta al futuro (grazie al “nuovo” stesso medium asuo tempo freddo e meccanico- ma dapprima bianconero poi a colori,sempre più singolari e tecnologici, quasi senzienti) forse hasuperato gli stessi vertici dei grandi eventi appunto passati di unSalvador Dalì, Fontana, la Civiltà ebraica o Pompei (quest'ultimacurata anche da Gae Aulenti) ecc.

Vada sé a merito dei curatori stessi del Palazzo dei Diamanti ecc.,come accennato una scansione costante, anzi in progress e via viasempre a spirale del genio di Antonioni con un menu dislocato nellevarie Stanze d'arte, sempre “totale”, sinergico, quasi un googleglass o pre realtà aumentata con un supermix cronotemporale edinamicamente storico tra fotografie dai film, documenti infiniti,canovacci, libri dedica o critici, articoli della stampa nazionale einternazionale, quadri ...acquerelli. bozzetti dei film ocomplementari (sublime la serie visual de Le Montagne Incantate di Antonionistesso), numerose lettere cartoline di corrispondenza tra il registae quasi una epoca intera della cultura non solo cinematografica delXX secolo: dai registi alle attrici, ecc. da Tonino Guerra a WimWenders a Monica Vitti, Natascia Kinsky, Maria Schneider, SophieMarceau,Umberto Eco, Lucia Bosè, Einaudi l'editore, Giorgio Bocca vsle censure maoiste, Pollock, Rotko, FuturBalla (Giacomo Balla),video e instalazzioni tributi. ecc. ecc. Quasi un nanomuseo dalfuturo del cinema.

Equintessenza, in ogni stanza e secondo combinatorie appuntoazzecatissime, uno o più schermi LCD o in HD con la proiezione inparastreaming dei capolavori del maestro: da Zabrisky Point aL'Eclisse a Il Grido a Blow Up, a Professione Reporter, ai filmgiovanili, rarità anche dall'Istituto Luce, persino i provini di una stessaincantevole Monica Vitti giovanissima, anche Ferrara tra un film el'altro come giardino scenografico live, Il Deserto Rosso.. ecc.

Ulteriormente,per la cifra globale se non memetica sia tecnologica in chiaveestetica sia pulsionale e sempre in aperture, logiche del senso e deifile inconsci in mutazione come chip che si autorganizzano, multiparallele, Antonioni e le sue opere, mentre oggi si celebraovunque anche il funerale del Novecento, trascende eccome ilcosiddetto novecento ideologico e- gira e rigira e specularmente auna dimensione,esita per il nostro tempo come un genio del fareparola e storia e bellezza con le immagini e viceversa, raro sistemaoperativo per le generazioni digitali contemporanee. MichelangeloAntonioni ha giratoi suoi film in poetica simbiosi con il girotondo del pianeta Terra...

 

*RobyGuerra

 

 

INFO:

http://www.palazzodiamanti.it/1076

http://it.wikipedia.org/wiki/Michelangelo_Antonioni

Arte contemporanea: dimostrazione della scuola di danza di luisa tagliani- gym&tonic 8 giugno

 

sabato 8 giugno 2013 al Teatro di S.Maria Maddalena si svolgeranno le 
dimostrazioni delle lezioni "a porte aperte" della Scuola di Danza Classica e 
Moderna di Luisa Tagliani "Ensemble Danza Estense"- Gym&Tonic con la 
partecipazione anche delle piccoline del gruppo dell'Ist. S.Vincenzo.
 I vari gruppi della scuola dalla Pre-Propedeutica all'ottavo Accademico si 
susseguiranno a partire dalle ore 14 fino alle 18e 30. h 14 I Accademico, 
h14e30 II III IV e V Accademico, h 15e30 Moderno, h 16 le Piccoline h 17 le 
Grandi.
 Invece, la sera alle 21 ci sarà lo spettacolo della Gym&Tonic Hip Hop School 
di Giulio Villani con la partecipazione delle Grandi della Scuola di Luisa 
Tagliani, assistenti Mariaelena Boccafogli, Alessia Giuliani Bolognini, Elena 
Botton, Vanessa Gallinaro, Eleonora Gallini, Luisa Giusti, Federica Manzoli e 
Giulia Pennini.
http://ricerca.gelocal.it/lanuovaferrara/archivio/lanuovaferrara/2010/09/07/UT1PO_UT103.html
 

 

Futurologia: con Lo Sguardo 2.0 di Michelangelo Antonioni, Ferrara torna città d'arte e in Serie A *VIDEO

 

Primavera boom, almeno per pulsionale qualità dell'evento, ottimizzato splendidamente dai curatori (grande e aggiornato... allestimento e rara concettualità pluridimensionale) per Michelangelo Antonioni, celebration, il compleanno virtuale 100 (1912...2012). Certamente la gemma d'oro di un continuum di iniziative tributo che hanno recentemente caratterizzato, Ferrara, una volta tanto all'altezza della sua Immagine, da qualche tempo in declino.
Inaugurata lo scorso 10 marzo, sipario questo weekend, per la  grande mostra anche digitale dedicata a uno dei grandi nomi del cinema italiano del XX secolo, presso un'altra gemma naturale della città estense, il Palazzo dei Diamanti... nel viale più bello d'Europa di Biagio Rossetti e la Ferrara Renaissance memoria (Via Ercole d'Este).
E forse dalla stagione d'oro (anni 70/80/ 90) delle grandi mostre che furono, era Franco Farina, Art Director, con l'anteprima "epocale" prima di un certo Andy Warhol (lateralmente Ferrara anche capitale video), sempre esaltando il Palazzo dei Diamanti stesso, Ferrara non si segnalava con altrettanta persuasione e meraviglia. 
"Lo Sguardo di Michelangelo. Antonioni e le Arti", logo-omaggio anche all'ultima opera ad futurum, letteralmente biocinematografica del grande Regista ferrarese..., come potenza iconografica e opera d'arte in sé aperta al futuro (grazie al "nuovo" stesso medium a suo tempo freddo e meccanico- ma dapprima bianconero poi a colori, sempre più singolari e tecnologici, quasi senzienti) forse ha superato gli stessi vertici dei grandi eventi appunto passati di un Salvador Dalì, Fontana, la Civiltà ebraica o Pompei (quest'ultima curata anche da Gae Aulenti) ecc.
Va da sé a merito dei curatori stessi del Palazzo dei Diamanti ecc., come accennato una scansione costante, anzi in progress e via via sempre a spirale del genio di Antonioni con un menu dislocato nelle varie Stanze d'arte, sempre "totale", sinergico, quasi un google glass o pre realtà aumentata con un supermix cronotemporale e dinamicamente storico tra fotografie dai film, documenti infiniti, canovacci, libri dedica o critici, articoli della stampa nazionale e internazionale, quadri ...acquerelli. bozzetti dei film o complementari (sublime la serie visual de Le Montagne Incantate di Antonioni stesso), numerose lettere cartoline di corrispondenza tra il regista e quasi una epoca intera della cultura non solo cinematografica del XX secolo: dai registi alle attrici, ecc. da Tonino Guerra a Wim Wenders a Monica Vitti, Natascia Kinsky, Maria Schneider, Sophie Marceau,Umberto Eco, Lucia Bosè, Einaudi l'editore, Giorgio Bocca vs le censure maoiste, Pollock, Rotko, FuturBalla (Giacomo Balla), video e instalazzioni tributi. ecc. ecc. Quasi un nanomuseo dal futuro del cinema.
E quintessenza, in ogni stanza e secondo combinatorie appunto azzecatissime, uno o più schermi LCD o in HD con la proiezione in parastreaming dei capolavori del maestro: da Zabrisky Point a L'Eclisse a Il Grido a Blow Up, a Professione Reporter, ai film giovanili, rarità anche dall'Istituto Luce, persino i provini di una stessa incantevole Monica Vitti giovanissima, anche Ferrara tra un film e l'altro come giardino scenografico live, Il Deserto Rosso.. ecc.
Ulteriormente, per la cifra globale se non memetica sia tecnologica in chiave estetica sia pulsionale e sempre in aperture, logiche del senso e dei file inconsci in mutazione come chip che si autorganizzano, multiparallele, Antonioni e le sue opere, mentre oggi si celebra ovunque anche il funerale del Novecento, trascende eccome il cosiddetto novecento ideologico e- gira e rigira e specularmente a una dimensione,esita per il nostro tempo come un genio del fare parola e storia e bellezza con le immagini e viceversa, raro sistema operativo per le generazioni digitali contemporanee. Michelangelo Antonioni ha girato i suoi film in poetica simbiosi con il girotondo del pianeta Terra...
 
*RobyGuerra
 
 
INFO:

Letteratura Neonoir: M.A. Pinna: recensioni "Lo Strazio" e Mr. Yod non può morire

maria-antonietta-pinna.jpg

** Mr. Yod non può morire (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2012)

Recensione di Cinzia Baldini

 

 

E se un giorno il Padreterno si stancasse di vivere e provasse il desiderio di morire? Di condividere, quindi, il medesimo destino di quell’umanità che lui avrebbe creato "a sua immagine e somiglianza?"

 

Con un ragionamento, che un matematico definirebbe per assurdo ma che in realtà è assolutamente razionale, dal tono ironico e per alcuni versi anche comico, tale situazione l’ha ricreata la promettente autrice Maria Antonietta Pinna nelle pagine del testo teatrale che porta la sua firma: MISTER YOD NON PUO’ MORIRE.

 

"Vi ho convocato qui per dirvi che ho preso una decisione… 

 

non è facile per me dirvi quello che sto per dirvi,

 

sempre che riesca a dirvelo…

 

Non mi ricordo più quanti anni ho, sono stufo.

 

Yod di qua, Yod di la, Yod fai questo, fai quest’altro,

 

chi mi cerca a destra, chi a sinistra,

 

appelli, richieste, suppliche! Basta faxarmi,

 

telefonarmi, scrivermi, citofonarmi, basta pubblicità!

 

Sono stufo! Fuori servizio, chiaro?

 

E non mi riferisco solo a voi ma a tutti gli altri, a tutti!

 

Quello che nessuno ha capito è che voglio essere lasciato in

 

pace. In una parola aggiustatevi! Ne ho le tasche piene!" 

 

Nei tre atti in cui è suddivisa la sceneggiatura assistiamo proprio al maturare del proposito da parte di Dio di farla finita, di essere "falciato" dalla Nera Signora, dalla ricerca quasi disperata dei mezzi con cui attuare l’insano progetto ed infine, quasi a tempo scaduto, il drammatico ripensamento.

 

MISTER YOD NON PUO’ MORIRE è  un testo scritto in modo interessante e attuale la cui logica ineccepibile mette in discussione certezze sedimentate ormai da secoli. E un’autrice così dotata, Maria Antonietta Pinna, da essere riuscita a far calzare perfettamente e senza strappi la razionalità umana a quella divina del supremo ispiratore delle tre più grandi religioni monoteiste attuali.

 

La narrazione ha una costruzione strategica con richiami ad argomentazioni teologico/filosofiche e i personaggi selezionati per accompagnare, nei tre atti, lo sviluppo dell’autodistruzione portata avanti da Dio, sono, per il simbolismo che racchiudono, come le guide scelte da Dante per la sua commedia. Ed anche il lavoro di Maria Antonietta Pinna potrebbe essere proprio una "Divina Tragedia" avendo le caratteristiche di un dramma teatrale vero e proprio.

 

Il "deus ex machina" della questione sarà proprio l’uomo comune che riuscendo là dove Paracelso e Don Abbondio hanno fallito, si proporrà quale alter ego a Yod/Dio e con la sua logica razionale, semplice e disarmante, sintesi di quella eterna -molto più complicata perché costituita dall’essenza originaria dei concetti stessi- lo porterà a rivedere i funerei propositi.

 

Quando nel primo atto, Mister Yod tenta di mettere al corrente la sua assurda famiglia sulla decisione presa, e assistiamo a dialoghi insensati, monologhi senza capo né coda, rinfacci e accuse meschine, la prima sensazione, "a pelle", che ci assale è di ansia, impotenza, con un forte senso di soffocamento e irrimediabilità per una situazione talmente deteriorata da essere, ormai, fuori controllo.

 

È il problema dell’incapacità di comunicare che, presentandosi sulla scena quasi in sordina, assume via via contorni netti e definiti fino a risaltare chiaro in tutta la sua drammaticità.

 

La difficoltà di rapportarsi l’un l’altro, di costruire serie e proficue relazioni sociali non è solo una questione di "salto generazionale" in quanto, se è vero che esiste tra generazioni diverse, è innegabile, che sussiste anche tra i vari sessi più o meno coetanei o tra familiari che condividono lo stesso tetto.

 

La depressione, l’apatia, l’ipocondria, il rinchiudersi in un mondo proprio, il non riconoscersi anche se si sono condivisi sentimenti profondi quale l’amore materno o quello coniugale, altro non sono che manifestazioni del "male di vivere", tematica nota e conosciuta benissimo dalla società contemporanea.

 

Ben presto, un ormai amareggiato Mister Yod si accorge che a nulla serve abbandonare lo snaturato "nido" familiare e cercare di ritrovare il proprio io, la propria individualità, le caratteristiche della propria personalità, tra le formule segrete, gli alambicchi o i simbolismi esoterici del laboratorio medico di Paracelso, come accade nel secondo atto.

 

Stanco e disilluso il Nostro Protagonista cerca, nella terza parte, il conforto della religione impersonata suo malgrado, dal misero e codardo Don Abbondio. Errore madornale di valutazione da parte dell’Eterno, perché persino nella dottrina che dovrebbe essere sua diretta emanazione, non riconosce nessuna qualità, tantomeno si capacita di dover accettare bovinamente, solo "per fede", come vorrebbe il rappresentante della Chiesa, concetti che suonano ipocriti, falsi e banali persino alle Sue divine orecchie.

 

L’unico merito da ascrivere al pavido Don Abbondio è quello di aver messo l’immenso Mister Yod davanti al suo umile ritratto: l’uomo. L’Uomo Qualunque, quello che si incontra tutti i giorni per strada e di cui non resta memoria, "polvere alla polvere". Dio vi si rispecchia ma ciò che l’uomo –creato dall’Onnipotente e, mini creatore a sua volta, del mito di un Dio artefice della sua creazione- gli mostra, lo sconvolge ancora di più. L’uomo qualunque, senza tanti complimenti, lo mette davanti al fatto compiuto: latente, all’interno della Sua eterna coscienza c’è il male. Quindi se da Lui tutto è stato creato e tutto torna, anche a Lui che è Il Bene è da imputare la creazione della sofferenza, del dolore, delle iniquità, della negazione della vita per eccellenza: la guerra.

 

L’amara presa di coscienza, come un tarlo, inizia a divorare Yod dall’interno, ad acuire la sua crisi esistenziale, ad intaccare la sua immortalità e quindi ad avvicinarlo a quella dipartita, così a lungo agognata, indifeso, come tutte le altre Sue creature.

 

Più Dio riflette sul senso della morte, più essa si rafforza e si prepara a ghermirlo, più il sibilo della falce si avvicina, più Yod ci ripensa e non vuole morire. Ora che la sua mente super razionale è in comunione con quella degli uomini, si confonde, si perde nell’incapacità di comprendere perché la vita debba finire. Anzi perché l’esistenza debba essere un lungo cammino di espiazione verso il nulla della morte dove persino lui stesso, essenza creatrice per eccellenza, viene dimenticato, annullato dalla potenza del non essere…

 

"…ma adesso

 

che sono debole, vecchio, stanco, ammalato, solo, ridotto ad

 

un’idea dimenticata nel fondo d’ottuse coscienze, non voglio

 

più morire, non so perché, ma non voglio, io che sapevo, che

 

potevo tutto, non voglio, non voglio, non voglio morire...

 

(Si accascia al suolo mentre la sua voce

 

diventa il gorgoglio d’un agonizzante)."

 

SIPARIO!

 http://www.art-litteram.com/index.php?option=com_content&task=view&id=657&Itemid=22

http://controsensocomune.blogspot.com

 

  

giovedì 6 giugno 2013

Netpolitica: Beppe Grillo linka la Rai!

****VIDEO

Nonostante le discussioni delle ultime ore, la spartizione delle poltrone delle Commissioni, ha rispettato le previsioni. La presidenza del Copasir va al senatore leghista Giacomo Stucchi. Il Movimento 5 Stelle, come secondo i piani, si aggiudica la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai. A Sinistra Ecologia e Libertà invece, finisce la Giunta per le elezioni che spetta a Dario Stefano.
Nelle ultime ore erano circolate notizie contrastanti sul fatto che fosse avvenuto effettivamente un accordo tra Pd e Pdl, soprattutto per quanto riguardava la vicenda Copasir, la presidenza più contesa. “Ho chiesto conto degli articoli di stampa su un accordo Pd-Pdl sulla presidenza del Copasir”, aveva detto il capogruppo di Sel alla Camera Gennaro Migliore, “e i capigruppo alla Camera del Pd Speranza e del Pdl Brunetta mi hanno detto che non c’è nessun accordo. Come capogruppo di Sel, ho ripetuto l’invito a votare la persona più competente per la guida del Copasir, Claudio Fava, già nominato miglior europarlamentare per il suo lavoro di inchiesta sulle ‘extraordinary renditions“. Migliore continuava a sostenere la candidatura del collega fino a poco prima del voto, chiedendo agli eletti 5 Stelle di sostenerlo: “Li ho invitati a convergere sulla candidatura Fava, si domandino perchè c’è tutta questa opposizione della maggioranza sulla sua candidatura”.
La vicenda Copasir resta il capitolo più contrastato. Il senatore leghista Giacomo Stucchi ora presidente del Comitato di controllo dei servizi di informazione ha dichiarato: “Sono stato eletto presidente con una elezione che ha testimoniato in un clima collaborativo la volontà di far cadere la scelta su una persona comunque esperta e collaudata”. Il senatore ha ricordato di aver presieduto in passato altre commissioni nonchè di aver contribuito a redigere proprio la legge istitutiva della Commissione: “Nel mio discorso di insediamento ho esposto la volontà di procedere a scelte al massimo condivise e nello stesso tempo ho chiesto la collaborazione di tutti, senza preclusioni di nessuno”. La prima riunione del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti si terrà martedì prossimo e Stucchi ricorda che “dovremo lavorare su tematiche complesse e ora bisogna preoccuparsi di portare a casa i risultati” e in particolare all’odg della riunione di martedì ci saranno 3 argomenti: il rendiconto sull’attività svolta fino al dicembre scorso, aspetti economici legati al funzionamento del Comitato e un documento di rilevanza esterna. A chi gli chiede che impronta darà al suo ruolo, Stucchi ha replicato: “Sarò un presidente di garanzia che opererà per giungere a decisioni condivise”.
Sul piede di guerra restano i 5 Stelle. “La vicenda Copasir è vergognosa”, ha dichirato Riccardo Nuti, nuovo capogruppo alla Camera, “stamane in riunione dei capigruppo ho detto chiaramente a tutti che la verità è che la maggioranza si è scelta il presidente di una commissione importantissima e che per legge dovrebbe andare all’opposizione”. Gridano all’ipocrisia dai banchi grillini: “Al Pd, che parlava di prassi, ho ricordato che nelle precedenti legislature mai ci si sarebbe sognato di non dare la presidenza al più grande gruppo di opposizione anziché a coloro che sono sempre stati alleati del Pdl”... C
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/06/m5s-roberto-fico-e-presidente-della-vigilanza-rai/618288/
 

Paradossologia: Piero Sansonetti... la sinistra è di destra? *by Fondo Magazine

QUALE FUTURO?
Piero Sansonetti 


 
 
(PIERO SANSONETTI, estratto)
 
La sinistra si trova in una selva oscura, senza bussola, e deve trovare la via d’uscita. Le abitudini che ha preso nell’ultimo ventennio la spingono a cercare un aiuto che venga da fuori. Il vecchio vizio: Stalin, l’armata rossa, la Resistenza, Moro, le brigate rosse, Craxi, Blair, i giudici e infine Monti. Se non supera questo riflesso condizionato, se non rinuncia al Deus ex macchina, è spacciata. Morirà.
È immaginabile un Occidente – o comunque un’Europa ‒ senza sinistra, interamente piegato sul liberismo, privo di conflitti consistenti, guidato da una oligarchia incontrastata? Diciamo che è difficile immaginare una simile “stasi” in una situazione di pieno funzionamento della democrazia. La democrazia è un meccanismo che rifiuta l’assenza di conflitti e che comunque produce idee e alternative. Sono cose che stanno nel suo Dna e sono ineliminabili.
L’impressione però è che l’Europa sia entrata in una fase della sua storia nella quale la democrazia è sospesa. Da una parte la velocità imprevista della globalizzazione, dall’altra la quasi scomparsa delle funzioni degli stati nazionali hanno provocato un divorzio talmente rapido tra sovranità popolare e potere di decisione da provocare un vero e proprio collasso della democrazia. È saltato il percorso tradizionale che conduceva dal meccanismo elettorale al potere di Stato, perché è saltato il potere di Stato ed è uscita di scena la politica (esautorata dalla globalizzazione e delegittimata dall’attacco concentrico delle borghesie e della macchina dell’informazione). Con la democrazia in mora, per la prima volta nella storia recente, la scomparsa della sinistra dalla scena è una eventualità tutt’altro che impossibile. La sinistra non sempre produce democrazia ma la sinistra non può vivere senza democrazia.
Perciò è inutile sperare ancora una volta in un aiuto esterno, e cioè nella certezza che siccome in politica non esiste il vuoto, comunque vada una sinistra esisterà sempre. Non è così: il rischio scomparsa è consistente. E la possibilità di evitarlo non è nelle mani del destino ma solo ed esclusivamente nelle mani della sinistra stessa.
Cosa si può fare? Innanzitutto bisogna cercare di individuare gli elementi essenziali che negli ultimi due decenni hanno “tarpato le ali”. Credo che uno di questi sia stato la divisione. E cioè l’accettazione, da parte di tutti i gruppi dirigenti della sinistra, dell’idea che è bene che le sinistre siano due. La sinistra radicale e la sinistra moderata. E che di volta in volta queste due sinistre possano allearsi o invece combattersi. Sulla base di che cosa? Di due visioni diverse del mondo, della società e dell’economia. L’idea che ha prevalso è che questa diversità era la ricchezza della sinistra. Perché le permetteva di tenere al suo interno, pur nella sua articolazione partitica, “pezzi” di società molto diversi.
La convinzione che l’Italia avesse bisogno di due sinistre, naturalmente, ha sempre avuto una motivazione, per così dire, “storica”. Visto che è dal 1956 che le sinistre in Italia sono due e molto importanti. La sinistra comunista, rappresentata per mezzo secolo dal più forte partito comunista di tutto il mondo libero; e la sinistra socialista, più vicina alla sinistra europea, molto attiva ma sempre con la “zavorra”, come si è visto, della sua scarsa forza elettorale. Lo schema delle due sinistre, che ha dominato l’ultimo ventennio, è in gran parte eredità della vecchia diarchia di comunisti e socialisti. Solo che la divisione ha perso la sua forza di origine. Nel senso che la ragione della divisione tra socialisti e comunisti era evidentissima, sin dall’atto di nascita di questa divisione, e si chiamava Urss, Mosca, comunismo reale, culto della libertà. I socialisti non accettavano la dipendenza del Pci da un mondo illiberale che aveva portato all’invasione dell’Ungheria. E infatti la rottura tra Pci e Psi nacque in quei giorni, mentre i carrarmati russi occupavano Budapest per stroncare una ribellione operaia liberale, arrestavano il presidente Imre Nagy, comunista dissidente, e lo impiccavano. La concezione totalitaria della politica che era molto forte nel Pci, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta, era un motivo assai robusto di divisione in due della sinistra. E a rappresentare le due sinistre c’erano due parole fortissime e piene di contenuti, e di storia, e di teorie politiche: riformista e rivoluzionario.
La divisione in due della sinistra, successiva alla caduta del muro di Berlino nell’1989, francamente, è stata assai più fragile. In gran parte era una contrapposizione di nomi, di parole, di bandiere, di gruppi dirigenti. Naturalmente questo non vuol dire che non ci fosse anche una sostanziosa differenza di linee politiche. Chiaro che c’era e che c’è ancora, e riguarda essenzialmente il giudizio che si dà sul liberismo. Ma una differenza di linee politiche si affronta con gli strumenti della politica, e non può essere messa sullo stesso piano della vecchia incompatibilità ideologica, insuperabile, che c’era tra Pci e Psi.... C
http://www.mirorenzaglia.org/2013/05/piero-sansonetti-la-sinistra-e-di-destra/

Politologia: Quando la Russia era l'URSS

 

A  metà degli anni Settanta nella serie delle sue essenziali e suggestive narrazioni dedicate alle vite di uomini illustri o Paesi lontani, Enzo Biagi, giornalista ora scomparso, pubblicò "LA RUSSIA VISTA DA VICINO", libro illuminante sulla società sovietica brezneviana, che stava vivendo una stagione di stalinismo senza lacrime, dopo l'effimera e tormentata primavera krusceviana. "Quando dico che vado in URSS", Biagi precisava, "non posso che dire vado in Russia". L'URSS non era dunque altro che la Russia e come sempre non era tutta feste e caviale, nonostante le trionfalistiche gesta dei cosmonauti e delle sonde spaziali verso la Luna, Venere e Marte. Esce in questi giorni un interessante saggio destinato ad evocare proprio quelle atmosfere, 1961-1964, L'Unione Sovietica che ho conosciuto" dell'ex comunista e funzionario di partito Camillo Ferrari ed edito da De Ferrari, Genova, al prezzo di 14 euro. La Russia sovietica del disgelo e dell'impresa di Yuri Gagarin, del confronto con l'Occidente e del crescente dissenso ideologico e geopolitica con la Cina di Mao, emerge dalla viva ricostruzione di Ferrari, che anticipa quei segnali di progressiva disaffezione al sistema e il manifestarsi delle contraddizioni e delle disillusioni che ne portarono al crollo nel 1989-1991. La condivisione degli ideali comunisti non impedì a Ferrari di cogliere i limiti di un mondo che, proprio all'inizio del lungo inverno brezneviano, stava mostrando sempre di più il carattere russo che non comunista. Il Marx sovietico parlava un linguaggio grande russo e stentava a stare al passo con una realtà internazionale che andava complicandosi, mettendo in crisi il modello uscito da Yalta, con l'irrompere di nuovi ed imprevedibili protagonisti. La scena interna ed esterna alla Russia recepiva gli echi di un mutamento d'accento degli equilibri scaturiti dalla seconda Guerra Mondiale. La stessa successiva esperienza gorbacioviana porrà in luce la progressione di tale processo, con la disintegrazione del socialismo reale. Le sensazioni e le atmosfere della Russia di Kruscev e di Breznev, attraverso gli occhi e il racconto di Ferrari ci riportano indietro nel tempo, ma parimenti ci consentono di leggere le vicende di quei giorni non solo alla luce delle considerazioni dell'epoca, ma anche dell'attualità.
Casalino Pierluigi, 6.06.2013 

Letteratura italiana: intervista a Silvia Schino x "Kira" (La Carmelina edizioni)

*
 
ROMA_FERRARA_BARI

Silvia Schino, "Kira" (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2013)  Sulla scia del celebre romanzo di Bulgakov e di certa etologia culturale, ma in chiave- vedi intervista - non intellettuale, ma poetico-esistenziale, affascinante esordio letterario per la giovanissima nuova autrice di Bari. Di non frequente acume psicologico, inoltre,  in questa intervista, una sua ampificazione sul complesso incontro uomo-natura-animale e distruttività umana, dall'autrice rapidamente analizzato con - appunto-  parole "culturalmente" scorrette.
 
 cover Silvia Schino Kira (La Carmelina)
1. Kira è il tuo esordio letterario... una "anticipazione" più approfondita?
R - Si, Kira per me è un esordio. Ho voluto cimentarmi per la prima volta nella scrittura poiché ritengo che scrivere sia un bel modo per sfogarsi e per aprire la mente. Ho subito una grande assenza dovuta alla perdita della mia fedele amica a quattro zampe, (e chi ha amato veramente un cane saprà di che genere di dolore parlo.) E' un dolore che lascia un grande vuoto e una nostalgia che hai paura a condividere con altri per quanto possa sembrarti intima. Così l'unico modo per liberarmi l'ho trovato nella scrittura. Mi sono resa conto che più scrivevo, più raccontavo di Kira e dei miei ricordi vissuti con lei, più arrivavo a conoscere meglio me stessa. Non mi ritengo assolutamente una scrittrice, infatti il libro "Kira" nasce esclusivamente da una necessità personale nel far rivivere vecchi ricordi.
 
2. Una sorta , quindi, di diario minimo esistenziale attraverso la metafora uomo-natura e i migliori amici dell'uomo nello specifico?
R - Esattamente, "Kira" è un racconto sotto forma di diario. In questo libro faccio leva sui miei ricordi e tramite questi arrivo a descrivere la vita della mia cagnolina. Un cane di razza Cavalier Spaniel che riempirà le nostre giornate per ben 14 meravigliosi anni. Sono stati anni di convivenza, condivisione, conoscenza e approfondimento del rapporto dipendente e amorevole che può venirsi a creare tra un essere umano e un essere animale. Rapporto, quello tra uomo e animale, che porta a scoprire il vero amore, quello più semplice, più incondizionato, quell'amore senza termini di paragoni. In queste pagine nello specifico parlo di un cane, ma è chiaro che chi è in grado di amare gli animali, potrà ritrovare questo genere di amore ovunque e in chiunque.
 
3. Un romanzo quasi etologico (Lorenz ecc.) il tuo?
R - Non potrei dichiararlo tale. Lorenz è stato un grande studioso del comportamento animale e l'etologia è un'importante scienza che studia tale comportamento. Il mio libro non ha nulla a che vedere con una disciplina scientifica. In queste pagine troverete piuttosto un messaggio di rispetto e devozione tra due mondi così diversi tra loro, mondo umano e mondo animale. "Kira" lo definirei a tutti gli effetti un romanzo d'amore, in questo caso un amore tra una persona e un cane.
 
4. Tu sei anche specializzata in criminologia... l'etologia e l' avvicinarsi al mondo degli animali con più rispetto e sensibilità secondo te è un antivirus all'aggressività o distruttività contemporanea?
R - Proprio studiando criminologia ho dovuto fare i conti con realtà agghiaccianti e credo sia sbagliatissimo affermare che solo perchè una persona ami gli animali non sia capace di fare del male alla gente. Adesso dirò qualcosa che credo andrà controcorrente. Solitamente si dice che tutti coloro che amano gli animali siano più sensibili rispetto ad altre persone. C'è anche chi afferma che chi ama gli animali non potrà mai fare del male ad una persona. Sinceramente non credo molto in questo concetto. Non credo che amare gli animali ci renda più sensibili e buoni. Basta pensare a ciò che è stato capace di fare Adolf Hitler, lo stesso Hitler che era riconosciuto come vegetariano, sostenitore della natura e grande animalista. E di casi simili purtroppo ce ne sono tanti. Amare un cane non rende la persona che lo ama più buona o più sensibile. C'è gente che può amare un cane e ferire una persona, c'è gente che può amare molto un cane e amare meno le persone. Trovo però assolutamente veritiero il concetto opposto, ovvero chi è capace di fare del male ad un animale potrà farlo con facilità anche ad un proprio simile. Dunque amare gli animali non credo riesca a renderci più sensibili, piuttosto riesce a trasformarci in gente più viva. Se amiamo gli animali siamo portati ad essere più attenti a ciò che ci è intorno, siamo più svegli, più attivi. Amare gli animali significa possedere qualcosa in più, un valore aggiunto che non può che far bene, qualcosa che potrebbe persino trasformarci in persone migliori. Ho sempre creduto che gli animali avessero un'anima e specialmente ho sempre ritenuto che riescano ad avere un'anima migliore di tante altre di noi esseri umani. Uno spirito che ha a che fare con nobiltà, finezza, genuinità. Caratteristiche che all'uomo spesso vengono meno. Sprono chiunque a provare ad amare o quanto meno rispettare due occhi diversi dai nostri che ci guardano. Sono occhi che appartengono al mondo animale e fissandoli noteremo che non sono tanto differenti dai nostri occhi umani. Gli animali hanno la stessa capacità di percepire dolore e amore, la stessa capacità di emozionarsi. Portare loro rispetto è il minimo che possiamo fare e di questo noi potremo solo trarre giovamento. Che questo possa essere un antivirus contro l'aggressività lo spero.

 
*a c. di R. Guerra
 

Ecopolitica a Ferrara: fanfaroni e fanfaronate

 

Le fanfaronate dei fanfaroni


Non casca il mondo se icittadini ignorano che le centrali elettriche “turbogas” nonpossono esser usate come biciclette condotte secondo i gusti delciclista. È necessaria solo agli addetti ai lavori la consapevolezzache le turbogas debbono erogare cospicue potenze minime (anche il 60%della potenza massima), al di sotto delle quali è impossibilerispettare i valori limite di emissione di NOx e di CO e restareentro la convenienza economica. È ovvio quindi che il ferraresemedio sia all’oscuro delle limitazioni dei due mastodontici gruppi(400+400 MW) della turbogas SEF che il Comune ha autorizzato entro ilpetrolchimico (in pratica a km 0 da Ferrara), per le quali nonpossano assolutamente funzionare col solo carico del petrolchimico,che abbisogna di 2-3 decine di MW elettrici. Ma casca l’asino seignora quel dettaglio tecnico anche chi ha consentito, favorito emagnificato, la furbata di privare il petrolchimico di autonomiaenergetica in cambio della turbogas. Non gliel’ha ordinato ildottore, all’amministrazione, di vivere culturalmente di renditacol pochino imparato a scuola e, basandosi su quella miseriaformativa, gestire una realtà complessa a suon di propagandaparolaia senza tentare di colmare lacune. Nel caso in questione, ilimiti delle turbogas sono reperibili facilmente su internet. Chesuccede ora, quando la turbogas SEF dovrebbe rimanere spenta? Da dovespillano il vapore indispensabile ai reparti senza far girare leturbine? A dispetto di annosi trionfalismi, l’amministrazione hadovuto prendere atto che nel petrolchimico l’energia elettricacosta perfino più cara del 15% rispetto alle tariffe pubbliche! Perforza! Visto che la centrale è costretta ad andare anche quando nonconviene! Una debacle immane per il petrolchimico già in affanno disuo, che se avesse ancora la propria autoproduzione (come ènell’ortodossia degli stabilimenti importanti) pagherebbe l’energiache gli serve al solo costo del combustibile impiegato.

Fra i tanti aspetti dicui l’amministrazione si deve profondamente vergognare, subito dopoil disastro dell’ospedale di Cona (la sanità a km 15 mentre siauspica la verdura a km 0), c’è la crassa ignoranza con cui hagestito la questione turbogas. Eppure, vediamo consiglieri comunalidi maggioranza che invece di indossare cilici si esibiscono infanfaronate. L’ultimo dei quali, e non solo in ordine diapparizione, è il Tafuro, impiegato del Petrolchimico palesatosi inun pistolotto dal titolo “Sullo sviluppo sostenibile del polochimico”. Che scriva in un italiano claudicante, passi. Cheparli del “consigliere comunale che per anni ha sprecatoenergie cercando in ogni modo di far chiudere il petrolchimicoferrarese” (senza far nomi, sennò Tavolazzi lo portadritto in tribunale), provando a spacciare per una trionfa il due dicoppe sotto bastoni, è scusabile: gli immigrati non conoscono iltrionfo, peculiarità ferrarese come la sala da sugo. Ma nell’impetomeridionalistico al Tafuro scappa detto pubblicamente quello chepoliticanti e sindacati è meglio che tacciano per non dimettersi:“la turbogas del nostro petrolchimico deve marciare per darevapore agli impianti”. Siamo alla Sagra Paesana delRendimento Energetico.

Oltre a palesarel’incredibile noncuranza per un mostruoso handicap elargito alpetrolchimico, il nostro eroe sembra non comprendere che a togliereil tappo di sentina ad una vecchia barca che fa acqua, questaaffonda. Chi glielo fa fare alla barca PD di tenersi elementi similifra l’equipaggio?


Paolo Giardini

Paradossologia: Piero Sansonetti... la sinistra è di destra? *by Fondo Magazine

QUALE FUTURO?
Piero Sansonetti 


 
 
(PIERO SANSONETTI, estratto)
 
La sinistra si trova in una selva oscura, senza bussola, e deve trovare la via d'uscita. Le abitudini che ha preso nell'ultimo ventennio la spingono a cercare un aiuto che venga da fuori. Il vecchio vizio: Stalin, l'armata rossa, la Resistenza, Moro, le brigate rosse, Craxi, Blair, i giudici e infine Monti. Se non supera questo riflesso condizionato, se non rinuncia al Deus ex macchina, è spacciata. Morirà.
È immaginabile un Occidente – o comunque un'Europa ‒ senza sinistra, interamente piegato sul liberismo, privo di conflitti consistenti, guidato da una oligarchia incontrastata? Diciamo che è difficile immaginare una simile "stasi" in una situazione di pieno funzionamento della democrazia. La democrazia è un meccanismo che rifiuta l'assenza di conflitti e che comunque produce idee e alternative. Sono cose che stanno nel suo Dna e sono ineliminabili.
L'impressione però è che l'Europa sia entrata in una fase della sua storia nella quale la democrazia è sospesa. Da una parte la velocità imprevista della globalizzazione, dall'altra la quasi scomparsa delle funzioni degli stati nazionali hanno provocato un divorzio talmente rapido tra sovranità popolare e potere di decisione da provocare un vero e proprio collasso della democrazia. È saltato il percorso tradizionale che conduceva dal meccanismo elettorale al potere di Stato, perché è saltato il potere di Stato ed è uscita di scena la politica (esautorata dalla globalizzazione e delegittimata dall'attacco concentrico delle borghesie e della macchina dell'informazione). Con la democrazia in mora, per la prima volta nella storia recente, la scomparsa della sinistra dalla scena è una eventualità tutt'altro che impossibile. La sinistra non sempre produce democrazia ma la sinistra non può vivere senza democrazia.
Perciò è inutile sperare ancora una volta in un aiuto esterno, e cioè nella certezza che siccome in politica non esiste il vuoto, comunque vada una sinistra esisterà sempre. Non è così: il rischio scomparsa è consistente. E la possibilità di evitarlo non è nelle mani del destino ma solo ed esclusivamente nelle mani della sinistra stessa.
Cosa si può fare? Innanzitutto bisogna cercare di individuare gli elementi essenziali che negli ultimi due decenni hanno "tarpato le ali". Credo che uno di questi sia stato la divisione. E cioè l'accettazione, da parte di tutti i gruppi dirigenti della sinistra, dell'idea che è bene che le sinistre siano due. La sinistra radicale e la sinistra moderata. E che di volta in volta queste due sinistre possano allearsi o invece combattersi. Sulla base di che cosa? Di due visioni diverse del mondo, della società e dell'economia. L'idea che ha prevalso è che questa diversità era la ricchezza della sinistra. Perché le permetteva di tenere al suo interno, pur nella sua articolazione partitica, "pezzi" di società molto diversi.
La convinzione che l'Italia avesse bisogno di due sinistre, naturalmente, ha sempre avuto una motivazione, per così dire, "storica". Visto che è dal 1956 che le sinistre in Italia sono due e molto importanti. La sinistra comunista, rappresentata per mezzo secolo dal più forte partito comunista di tutto il mondo libero; e la sinistra socialista, più vicina alla sinistra europea, molto attiva ma sempre con la "zavorra", come si è visto, della sua scarsa forza elettorale. Lo schema delle due sinistre, che ha dominato l'ultimo ventennio, è in gran parte eredità della vecchia diarchia di comunisti e socialisti. Solo che la divisione ha perso la sua forza di origine. Nel senso che la ragione della divisione tra socialisti e comunisti era evidentissima, sin dall'atto di nascita di questa divisione, e si chiamava Urss, Mosca, comunismo reale, culto della libertà. I socialisti non accettavano la dipendenza del Pci da un mondo illiberale che aveva portato all'invasione dell'Ungheria. E infatti la rottura tra Pci e Psi nacque in quei giorni, mentre i carrarmati russi occupavano Budapest per stroncare una ribellione operaia liberale, arrestavano il presidente Imre Nagy, comunista dissidente, e lo impiccavano. La concezione totalitaria della politica che era molto forte nel Pci, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta, era un motivo assai robusto di divisione in due della sinistra. E a rappresentare le due sinistre c'erano due parole fortissime e piene di contenuti, e di storia, e di teorie politiche: riformista e rivoluzionario.
La divisione in due della sinistra, successiva alla caduta del muro di Berlino nell'1989, francamente, è stata assai più fragile. In gran parte era una contrapposizione di nomi, di parole, di bandiere, di gruppi dirigenti. Naturalmente questo non vuol dire che non ci fosse anche una sostanziosa differenza di linee politiche. Chiaro che c'era e che c'è ancora, e riguarda essenzialmente il giudizio che si dà sul liberismo. Ma una differenza di linee politiche si affronta con gli strumenti della politica, e non può essere messa sullo stesso piano della vecchia incompatibilità ideologica, insuperabile, che c'era tra Pci e Psi.... C
http://www.mirorenzaglia.org/2013/05/piero-sansonetti-la-sinistra-e-di-destra/

Politologia: Quando la Russia era l'URSS

 

A  metà degli anni Settanta nella serie delle sue essenziali e suggestive narrazioni dedicate alle vite di uomini illustri o Paesi lontani, Enzo Biagi, giornalista ora scomparso, pubblicò "LA RUSSIA VISTA DA VICINO", libro illuminante sulla società sovietica brezneviana, che stava vivendo una stagione di stalinismo senza lacrime, dopo l'effimera e tormentata primavera krusceviana. "Quando dico che vado in URSS", Biagi precisava, "non posso che dire vado in Russia". L'URSS non era dunque altro che la Russia e come sempre non era tutta feste e caviale, nonostante le trionfalistiche gesta dei cosmonauti e delle sonde spaziali verso la Luna, Venere e Marte. Esce in questi giorni un interessante saggio destinato ad evocare proprio quelle atmosfere, 1961-1964, L'Unione Sovietica che ho conosciuto" dell'ex comunista e funzionario di partito Camillo Ferrari ed edito da De Ferrari, Genova, al prezzo di 14 euro. La Russia sovietica del disgelo e dell'impresa di Yuri Gagarin, del confronto con l'Occidente e del crescente dissenso ideologico e geopolitica con la Cina di Mao, emerge dalla viva ricostruzione di Ferrari, che anticipa quei segnali di progressiva disaffezione al sistema e il manifestarsi delle contraddizioni e delle disillusioni che ne portarono al crollo nel 1989-1991. La condivisione degli ideali comunisti non impedì a Ferrari di cogliere i limiti di un mondo che, proprio all'inizio del lungo inverno brezneviano, stava mostrando sempre di più il carattere russo che non comunista. Il Marx sovietico parlava un linguaggio grande russo e stentava a stare al passo con una realtà internazionale che andava complicandosi, mettendo in crisi il modello uscito da Yalta, con l'irrompere di nuovi ed imprevedibili protagonisti. La scena interna ed esterna alla Russia recepiva gli echi di un mutamento d'accento degli equilibri scaturiti dalla seconda Guerra Mondiale. La stessa successiva esperienza gorbacioviana porrà in luce la progressione di tale processo, con la disintegrazione del socialismo reale. Le sensazioni e le atmosfere della Russia di Kruscev e di Breznev, attraverso gli occhi e il racconto di Ferrari ci riportano indietro nel tempo, ma parimenti ci consentono di leggere le vicende di quei giorni non solo alla luce delle considerazioni dell'epoca, ma anche dell'attualità.
Casalino Pierluigi, 6.06.2013 

Postfuturismo- la rosa esatta di Munari

 

***VIDEO

 
Nel 1963, cinquant’anni fa, venne pubblicato per la prima Good Design di Bruno Munari, riproposto nel 1998 dalla casa editrice Corraini. È un piccolo libro di 31 pagine che analizza tre oggetti naturali – l’arancia, la rosa e i piselli – come fossero oggetti di design. In questo modo, per esempio, l’arancia diventa «un oggetto quasi perfetto dove si riscontra l’assoluta coerenza tra forma, funzione e consumo» mentre la rosa è definitva un oggetto «inutile», «complicato da usare», «perfino immorale».
Bruno Munari nacque nel 1907 a Milano, dove morì nel 1998. È stato una figura centrale del design del Ventesimo secolo e si è occupato anche di pittura, grafica, pubblicità, fotografia, arte programmatica e cinetica. Da giovane frequentò il Futurismo, negli anni Trenta progettò le macchine inutili (come il «motore a lucertola per tartarughe stanche» o «l’agitatore di coda per cani pigri») e nel 1948 fondò il Movimento Arte Concreta (MAC), che promuoveva un tipo di astrattismo geometrico. Munari continuò a sperimentare anche nel secondo dopoguerra (per esempio con le sculture da viaggio in cartoncino pieghevole, le sperimentazioni cinematografiche e le performance artistiche), e il suo pensiero e le sue opere ottennero sempre maggior fama internazionale. Nel 1977 creò il primo laboratorio per bambini in un museo, nella Pinacoteca di Brera a Milano. Realizzò la sua ultima opera a 91 anni, a Milano, pochi mesi prima di morire.

***

La forma segue la funzione
Gian Battista Lamarck

Una razionale concezione della funzione sociale dell’Industrial Design, non può che rinnegare quella produzione, purtroppo molto diffusa, di oggetti assolutamente inutili all’uomo.
Oggetti nati da mere ipotesi, con scopi legati soltanto al più banale senso di decorazione, gratuiti e ingiustificati, se pure, in alcuni casi formalmente coerenti.

Si sa però che la coerenza formale, da sola, non basta a giustificare oggetti prodotti senza alcuna analisi preventiva delle possibilità di mercato, anzi favorisce una dinamica sociale di tipo emulativo invece di suscitare un interesse diretto per il prodotto qualificato.

Un'illustrazione della rosa in Good Design

Uno di questi oggetti è la rosa. Oggetto di grandissima produzione (produzione invero caotica e disordinata dove l’economia non è tenuta in alcun conto) formalmente molto coerente e piacevolmente colorato, con i canali di distribuzione della linfa ben calcolati e distribuiti con precisione eccessiva anche nei punti dove non sono in vista. Nervature in vista nelle foglie dentate. I petali dalla curva elegante (si pensi a un Pininfarina, mentre il calice ricorda la linea Venini 1935), la chiara disposizione imparipennata delle foglie e la loro razionale disposizione lungo il ramo, non sono elementi sufficienti a giustificarla come oggetto d’uso, a grande diffusione.... C
 
http://www.ilpost.it/2013/06/03/bruno-munari-rosa-good-design/
 
http://futurismoroma2013.blogspot.it/2013/04/miroslava-hajek-bruno-munari-condizione.html

mercoledì 5 giugno 2013

Futurismo storico: Marcello Francolini, La città che sale di Boccioni

Boccioni.jpg

La città che sale: Quadro notissimo di Umberto Boccioni, opera fondante, insieme al Manifesto di Fondazione del 1909 del pensiero complesso del Futurismo. Una città che sale, che si erge espandendosi verso il cielo. Il suo muoversi in un insieme vorticoso, quelle folle agitate, maree multicolori o polifoniche, diventano un mare di onde-forza astratte create dalle groppe dei cavalli che spingono, folla di muscoli che si scontrano, si intersecano, si compenetrano. Sono architetture balenanti al sole con un luccichio di coltelli, tutto è strutturato fin dentro la materia, finanche lo spazio si solidifica nella sua struttura atomica, il corpo è colto nel pieno della sua plasticità, appunto una città che sale, una gloria plastica del salire.

Si vede in quest'opera già una simultaneità delle immagini; questa plastica forza astratta esplodente da un corpo in moto o da una intera emozione vissuta; la plastica della velocità e la compenetrazione della figura con l'ambiente.

Non più pittura della rappresentazione ma pittura dello stato d'animo.

Appunto di sensibilità si parla, ma non una sensibilità esclusiva, mirante solo al senso artistico; quest'opera è un occasione per Boccioni di teorizzare visivamente un pensiero sulla società, della quale intuisce un cambiamento, uno squilibrio della normale routine classica, un movimentismo d'azione che genera un tumultuoso divenire. In quest'opera non possiamo soffermarci solo a constatare la forma; è ovvio che ci troviamo ancora in una primissima fase del futurismo giacché abbiamo ancora a che fare con un opera sostanzialmente pittorica, ma che sembra già protesa verso una automizzazione genetica e strutturale dell'immagine, non più condizionata da un rapporto rappresentativo ma costruita in una propria autonoma dimensione progettuale. Dobbiamo tenere conto del contenuto sotteso, del giudizio ontologico dell'opera, per dirla alla Crispolti. C’è la pre-visione del pensiero futurista verso la società da venire, a partire proprio dal connubio tra scienza e tecnologia che dalla II° Rivoluzione industriale aveva iniziato ad accelerare il processo di trasformazione del vivere quotidiano. Nasce la città-cantiere, l'industria si potenzia, la tecnologia militare si affina nella sua perfezione meccanica, si sviluppa la fotografia, la telegrafia, nasce la cinematografia, la chimica entra prepotentemente nell'industria generando i prodromi di quella produzione di realtà artificiale, riprodotta in laboratorio. Proprio quella sensibilità chimica che i futuristi utilizzeranno come base per una più vasta sensibilità lirica della materia. In questa visione non c'è differenza tra natura e artificio, non è l'uno a sfavore dell'altro e tanto meno il secondo sostituisce il primo, è semplicemente la costatazione di una natura diversa, che ha guadagnato dei valori aggiunti, positivi o negativi che siano, e così si è trasformata ponendosi ai nostri occhi come un mondo nuovo. Quest'intuizione sta alla base della complessità del pensiero futurista, l'arte-vita come necessità storica.

Il mondo per i futuristi è uno spazio vitale non determinato né determinabile a priori e di conseguenza l'arte che ne risulta è essa stessa indeterminabile, aperta (nel senso semantico della significanza). Forse è leggibile così la frase famosa “noi siamo i primitivi di una nuova arte” giacché i futuristi aprono a un immaginario nuovo. Se è vero che il Futurismo nasce sin da subito come movimento poetico, la poesia come ci ricorda Platone, anticipa nuovi scenari, ha in ciò un carattere universale.

Il pensiero futurista coglie il cambiamento in atto, la comunicazione, le reti, i mercati, i trasporti, i rapporti sociali, l'arte, tutto subirà un cambiamento di stato, rinnovandosi. Ciò scatena un entusiasmo ottimista nel pensiero futurista, che spesso è stato superficialmente ridotto ad una fiducia incondizionata nel progresso scientifico, ma esso è solo la punta dell'iceberg, obbligo nostro è smettere di guardarlo dalla superficie, metterci la muta e scendere al disotto per sondare ciò che è oltre l'apparenza, oltre la prima vista, a un metro di profondità, a cento, duecento metri, fino al fondo. Quel fondo che nel Futurismo è la costruzione del mondo, che passa necessariamente per l'affermazione dell'uomo come essere indeterminato, “un animale non fissato una volta per tutte (Nietzsche)”. I Futuristi in ciò vanno oltre, non è discorso confinato all'arte, ma alla vita appunto, ma non la vita quotidiana, una vita possibile all'interno di un mondo in continuo cambiamento, un vivere in divenire. L'arte-vita è un concetto fondante del pensiero futurista, ma spesso è stato travisato per giustificare qualsiasi esperienza artistica nel Novecento. All'estremo opposto dell'arte-vita c'è il pointing duchampiano, quella pratica per cui anche un semplice gesto di puntare il dito verso un grattacielo diventa un momento artistico. Ulteriore avanzamento del concetto di ready-made che già prevedeva la possibilità di prelevare estratti di quotidianità per elevarli ad opere d'arte combinandole a proprio gusto, il pointing in un certo senso compie quel processo di santificazione dell'artista, inteso come artista genio, per questo essendo i suoi geni immutabili e radicati in lui tutto ciò che fa assume valenza artistica. Quest'intendere così l'arte-vita ha generato nel tempo, ieri ed oggi non poca confusione di ciò che i futuristi volevano intendere, non certo parlavano di esclusività genetica, anche perché in geni non si trasformano nell'arco della vita, restano immutabili. Questo è necessariamente un pensiero individualista, che poco si confà alla pratica movimentista del futurismo, la creatività nasce in contrasto e sintonia coll'esterno, e quindi non è certo un chiudersi nell'arte, ma un aprirsi alla vita. In definitiva non si pratica un arte-vita perché si è artista a priori, al di sopra degli altri. La questione genetica al Futurismo non interessa, del resto sarebbe come possedere uno spazio definito, e i futuristi volevano arrivare alle stelle, e poi tutto diventerebbe una essenza fissata una volta per tutte, rassicurante, (che è anche una permanenza immutabile, proprio come i geni). Al contrario, per i futuristi possedere uno spazio vitale indeterminato indica la mancanza di una simile essenza, non in senso letterale, bensì nei termini per cui la peculiarità di un tale essere è il non essere fissato una volta per tutte. Il Futurismo risulta così un eccedenza, una fatale tensione a proiettarsi al di là del semplice dato delle condizioni naturali, tentando di modificare la sensibilità tutta, riunendola nel dualismo di corpo e mente. Un'arte che si sviluppa a partire dalla sensibilità che non è altro che il modo più diretto per interagire con lo spazio della vita, e che a suo modo non può che richiedere una partecipazione diretta tra l'artista, il suo operare e gli altri, tutti. Una pratica collettiva, questa è l'arte-vita, l'utopia di una società che attraverso l'arte trova se stessa. Non è certo l'arte che genera i significati all'interno di se stessa per darli poi ad una società pronta a raccoglierli in modo passivo (un Duchamp ad esempio sembrerebbe vincolato ad un dato oggettivo, la cui pratica è quella di limitarsi a mostrare diversamente il presente, e riqualificare così la realtà senza possibilità di confronto) non un arte-vita vista dall'arte ma vista dalla vita e quindi non un arte relegata nel proprio ambiente, ma un arte come ambiente non ambiente, cioè mondo. Una città che sale.

 

MARCELLOFRANCOLINIcorpocomune