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lunedì 23 marzo 2015

Doppio appuntamento per gli amanti di Lovecraft. Roma-Milano, 24-25 marzo



24 marzo, h. 20.30
Libreria Aseq. Via dei Sediari 10, Roma
«Lovecraftiana»
Presentazione di:
«Antarès», n. 08, «H. P. Lovecraft #2. L'orrore cosmico del Maestro di Providence», Edizioni Bietti, Milano 2015
(http://www.antaresrivista.it/Antares_8_lr_web_2b.pdf)
H. P. Lovecraft, «Teoria dell'orrore», Edizioni Bietti, Milano 2011
Intervengono:
Gianfranco de Turris
Sebastiano Fusco
Riccardo Rosati
https://www.facebook.com/events/1550731851857808/

25 marzo, h. 18.30
Vinodromo. Via Salasco 21, Milano
«Libri che uccidono. Dal Necronomicon di Lovecraft al Re in Giallo di True Detective»
Intervengono:
Luca Gallesi
Giulio Giorello
Andrea Scarabelli
Durante l'evento, verrà offerta una selezione di vini
https://it-it.facebook.com/events/437337643095964/

mercoledì 31 luglio 2013

Filosofia contemporanea: Scarabelli e la rivista Antares su Il Giornale *video


Quando sulla scena editoriale fa il suo ingresso una nuova iniziativa, viene aprioristicamente salutata con favore e investita di un senso per il solo fatto di essere in circolazione. Occorre però riconoscere che la pubblicazione della rivista Antarès. Prospettive antimoderne che fa, appunto, della critica alla modernità il proprio oggetto di studio, appare insolita e potrebbe sin da subito suscitare un più che naturale scetticismo. Eppure è una ventata di aria fresca e di anticonformismo laddove appare evidente la sua alterità rispetto al panorama generale.

Innanzitutto perché i redattori non sono canuti reazionari o nostalgici depressi - come sarebbe logico aspettarsi - ma giovani universitari di Milano partiti con l'autofinanziamento e ora, grazie all'editrice Bietti (e sotto la sapiente guida di Gianfranco de Turris), capaci di pubblicare a cadenza trimestrale un'ottima rivista; in secondo luogo perché corroborati da una nutrita schiera di collaboratori da tutta Italia; infine perché non si tratta di un arcaico richiamo a un antimodernismo di maniera. Sono infatti presenti articoli dedicati ai classici come Jünger, Mishima, Pound, Tolkien, Pessoa, Benjamin, Huizinga, Kafka, Eliot, Huxley, Borges, Anders, ma sempre inseriti in un contesto in cui viene superata la pars destruens delle loro opere. E su questi due aspetti, antiaccademismo e antimodernismo, i quali non possono essere tenuti rigorosamente disgiunti, si configurano le nuove prospettive culturali su cui si muove Antarès.
Allora, se è vero, come ribadito dal direttore editoriale Andrea Scarabelli, che l'intenzione è approfondire tematiche che il paludoso e asfittico panorama universitario pare ignorare,... C
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/su-antar-s-i-giovani-si-scoprono-antimoderni-939582.html

martedì 29 gennaio 2013

Antarès N. 4 on line + Video

 Antarès – Prospettive antimoderne N. 4
L'altra faccia della moneta

Per una filosofia della sovranità politica e finanziaria

Contributi
Claudio Bartolini, Mattia Carbone, Giulio M. Chiodi, Stefano di Ludovico, Luca Gallesi, Luigi Iannone, Simone Paliaga, Antonio Venier
Interviste
Andrea Baranes, Domenico de Simone, Nino Galloni, Maurizio Pallante, Costanzo Preve
Recensioni
Luca Siniscalco, Andrea Scarabelli
Segnalazioni
Davide Balzano, Rita Catania Marrone, Mitsuharu Hirose, Gianpiero Mattanza

Il numero è scaricabile gratuitamente a questo indirizzo:

      

 

martedì 27 novembre 2012

Milano- 2012- una fine del mondo? convegno a cura della Rivista Antares







Edizioni Bietti
Antarès - prospettive antimoderne
Scuola Romana di Filosofia Politica
Università degli Studi di Milano - Cattedra di Storia della Filosofia I

2012: una fine del mondo?

29 novembre 2012, h. 15.00 – 18.30
Università degli Studi di Milano
Aula 517, Via Festa del Perdono 7
I sessione: Forme e figure dell'apocalittica nella storia

Prolusione: Giulio Magli (Politecnico, Milano): I Maya e il 2013
Presiede: Davide Bigalli (Università di Milano)
Relazioni:
Andrea Piras (Università di Bologna): Fine del mondo e mondo alla rovescia: scenari escatologici e timori apocalittici nello zoroastrismo
Daniele Foraboschi (Università di Milano): Un'escatologia nel pensiero greco-romano?
Stefano Allovio (Università di Milano): Sospensione e rigenerazione del mondo in alcuni contesti dell'Africa sub-sahariana
Giuliano Boccali (Università di Milano): India: infinità del tempo, fra apocalissi e rinascite
Massimo Campanini (Università di Trento): Attendendo la fine del mondo: l'Anticristo nell'Islam
Giuseppe Laras (Fondazione Maimonide, Milano): Apocalittica e messianesimo ebraico

30 novembre 2012, h. 9.30 – 12.30
Università degli Studi di Milano
Aula 1, Via Sant'Antonio 5
II sessione: Figure dell'escatologia

Presiede: Riccardo Scarpa (Università di Roma "La Sapienza")
Relazioni:
Roberto Valle (Università di Roma "La Sapienza"): Anticristo e katechon nel pensiero politico e religioso russo da Dostoevskij all' "età d'argento"
Vincenzo Russo (Università di Milano): Simulacri della fine: catastrofi, disastri e altre apocalissi
Davide Balzano (Università di Milano): Rileggere Ernesto De Martino: le apocalissi culturali
Antonina Strano (Università di Milano): L'escatologia atea di Ernst Bloch
Carlo Pagetti (Università di Milano): "The poppy in the cloud": motivi apocalittici nella letteratura americana
Conclusioni: Giulio Maria Chiodi (Università dell'Insubria)




mercoledì 8 agosto 2012

Pessoa anti antifascista!!! di AVERNO


IL SACCO DI LISBONA. PESSOA E' ANTIFASCISTA!
di Averno
Ce l'hanno fatta di nuovo. Ne hanno reclutato un altro. È lo scoop dell'Espresso. Fernando Pessoa era antifascista.
Tutti ormai sappiamo della vicenda del poeta plurimo per eccellenza, che sdoppiò, triplicò, quadruplicò la propria persona, per essere "plurale come l'universo", come ebbe a scrivere non solo egli stesso ma anche numerosi suoi "eteronimi".
È un gioco talmente complesso – e irriducibile ai dettami dello strutturalismo e del decostruzionismo imperversanti – che continua anche dopo la morte corporale dell'ortonimo. Che accade? Dopo la sua dipartita emergono dubbi su tutta una serie di personalità di cui si sa poco, che magari hanno pubblicato qualche articolo o poco più. Che si tratti di Pessoa, firmatosi sotto un altro nome? Che si tratti di un ennesimo gioco di prestigio del "poeta fingitore"?
È quanto recentemente emerso da una ricerca svolta in Portogallo da José Barreto e pubblicata sulla prestigiosa rivista "Pessoa plural", pubblicata dall'Università di Utrecht, dalla Brown University e dalla Universidad de los Andes, la quale mette a fuoco la complessità di una figura che può valere da cartina tornasole dell'atmosfera dei primi decenni del XX secolo. Questo rinvenimento è ricordato dallo zelante Marcello Sacco nell'Espresso di questa settimana, con toni che non possono non impensierire chi abbia a cuore una cultura finalmente libera dalle etichette di ieri. Ma, prima di tutto, ecco il retroscena.
Siamo nel 1926, scrive il nostro articolista. Da pochi mesi, il generale Carmona ha calcato la scena pubblica, instaurando una dittatura militare. In questo contesto, la rivista "Sol", la quale chiuse i battenti poco tempo dopo, ospita una curiosa intervista ad un esule italiano, tale Giovanni B. Angioletti. Un uomo la cui avversione verso il fascismo fu tale da spingerlo a definire Mussolini un "primitivo celebrale", a capo di un movimento contagioso come la follia, che avrebbe costituito uno dei capitoli del grande tradimento della "missione civilizzatrice" assunta dall'Italia subito dopo la sua Unità. Nulla di strano, no, soprattutto pensando a quanti avversari ebbe il Regime dentro e fuori dall'Italia? E ecco che invece è il nostro poeta che ci ha tirato nuovamente uno scherzetto. Dietro a quest'uomo, ignoto non fosse che per la detta intervista, si cela Fernando Pessoa.
Ma non è tutto. Nello stesso articolo si legge di un frammento trovato da Barreto nel celebre "baule" pessoano, le cui vicende hanno appassionato ragazzi e adulti di ieri ed oggi, il quale reca queste parole, atte a commentare la puntualità dei treni "quando c'era lui", con toni che sono a tutti gli effetti quelli pessoani: "Se i fascisti vi uccidono il padre a Roma, da Milano potete sempre arrivare puntuali al funerale". La grandezza di Pessoa risiede anche in questo: nel condensare la sua critica libertaria ad un regime populista, massificatore e chiassoso in poche, aggressive allocuzioni. Non c'è niente da fare, è così. Si possono elaborare lunghe ed elaborate argomentazioni ma chi ha il dono dell'aforisma, le scavalca, librandosi, scagliando le sue parole come schegge, come scrisse un grande scrittore di aforismo, Dàvila.
Benissimo. Questo ritrovamento depone a favore dell'esistenza di una parte – in senso letterale, s'intende, da un punto di vista eteronimico – antifascista di Pessoa. Niente di nuovo, purtuttavia. Già erano arcinote le avversioni pessoane verso il Regime mussoliniano – ma anche verso quello salazariano. Meno noto è forse che Pessoa ebbe a criticare tanto i summenzionati Regimi quanto comunismo e democrazia. Se pertanto, possiamo definire Pessoa "antifascista", allora dovremmo aggiungere alla dicitura anche il suo tratto anticomunista e antidemocratico. Pessoa, assieme a molti altri, criticò in detti regimi il livellamento delle specificità in masse amorfe ed acefale, disposte a scattare al primo tacco di stivale battuto al suolo. Nell'imbarbarimento operato da fascismi e comunismi egli vide la fine della storia, l'ingresso nella modernità. Pessoa era antimoderno – anche qui risiede la sua attualità. Forse a certi stomachini delicati non andrà giù, ma egli fu anche questo, tra le altre cose – tra le moltissime altre cose.
Sì, ma perché queste righe, allora? A parte suo il titolo – che pare comunque echeggiare qualche slogan trito e ritrito, che comunque non può che ossequiare il "buon senso" accuratamente coltivato da certa cultura italiana, la quale vive di parole d'ordine alle quali, per pavloviano influsso, letteratini di terz'ordine si alzano ed applaudono, al pari di quelle masse ammaestrate dai demagoghi di turno che l'articolo vorrebbe denunciare – il contributo è serio, obiettivo e scientifico. Si limita ad informare e nulla di più. Tuttavia, la chiosa finale ne preclude il carattere, rilevando la sua vera intenzione. "E pensare, scrive il Sacco, che da noi, anche in occasione della morte di Antonio Tabucchi, si è continuato a ripetere che Pessoa fosse stato un uomo di destra". Ahi ahi! Perché una caduta di stile di questa sorta? Forse era necessario aggiungere una tacca alla lista degli eteronimi per conoscere l'avversione del poeta a qualsiasi forma di oppressione legalizzata – fosse fascista o comunista o democratica?
Ci permettiamo un paio di considerazioni, a proposito di questo "Sacco di Lisbona". Circa l'equazione Destra-Fascismo, altri prima di noi hanno già scritto abbondanti pagine e non insisteremo ulteriormente. Come non ricordare, però, tutti quegli intellettuali da sempre fieramente proclamatisi di Destra che criticarono profondamente gli aspetti più populisti e deleteri del Fascismo, ma anche del nazionalsocialismo? Come non ricordare i nomi di coloro che si opposero al Regime non in quanto suoi avversari ma in quanto avversi al ducismo organizzato, alle sue forme più esteriori, alla sua biopolitica? Destra e "antifascismo", pertanto, sebbene il nostro articolista paia ignorarlo, non sono espressioni necessariamente antitetiche. È possibile criticare le adunate oceaniche ed essere al contempo di Destra – il fascismo, peraltro, non essendo che un capitolo tra gli altri della Destra. Sorprese, queste, che la storia riserva, che tuttavia riempiono di stupore solo chi sia in grado di intravederle.
Il che, comunque – diciamolo subito, prima che qualcuno gridi allo scandalo – non è il caso di Pessoa. Il quale non può essere – e non è stato – definito un uomo di Destra. Come è accaduto per numerosi altri scrittori e pensatori – valga come caso esemplificativo il nome di J. R. R. Tolkien – lo spettro dello "scrittore di Destra" è stato evocato "dall'altra parte. Che è accaduto a seguito della morte di Tabucchi? Non vi sono state che puntualizzazioni di carattere scientifico – che qualcuno, oggi come ieri, continua a confondere con ideologia – concernenti il modus operandi del grande traduttore e promotore, che ha diffuso sì la figura di Pessoa, mutilandola però da tutta una serie di tratti fondamentali – dagli studi sul mito agli interessi pessoani verso dottrine esoteriche e i suoi studi sulla tradizione. Questo è accaduto. E null'altro. Altro che "scrittore di Destra".
Prima di essere definito scrittore di qualsivoglia "parte" politica, Pessoa disponeva di una sua peculiare immagine del mondo, di una Weltanschauung – oggi un bene più prezioso dell'acqua nel deserto – che subordinò la storia al mito e rifiutò quelle innumeri dottrine moderne che legano il divenire dell'uomo e del suo ambiente circostanze alla mera materia. Fu avversario del progressismo, del materialismo, degli ideali della Rivoluzione Francese e se criticò il Fascismo, il salazarismo, il comunismo e il democratismo, ciò avvenne come declinazione particolare di questa sua visione delle cose. La sua avversione a questi fenomeni, vittoria della quantità, di un imbarbarimento che abbassa l'uomo al suo piano animale, dunque, non è che una applicazione di questa sua filosofia della storia. Nei detti movimenti – e anche qui risiede la sua drammatica attualità – egli vide la Modernità trionfante, nelle sue maschere più orribili, dalle orbite vuote. Vide la vittoria del nichilismo, tema tanto caro a Friedrich Nietzsche, di cui il poeta portoghese fu attento lettore, sino ad auspicare, in uno dei suoi scritti firmati dall'eteronimo futurista Campos, dopo aver messo al bando qualsiasi forma di potere organizzato e di cultura, l'avvento del superuomo, sì, proprio di quel superuomo:
"Il superuomo sarà non solo il più forte ma anche il più completo!
Il superuomo sarà non solo il più duro ma anche il più complesso!
Il superuomo sarà non solo il più libero ma anche il più armonico!"
E, si badi – e questo a ricordare la complessità di un pensiero che non è riducibile ad uno dei suoi tratti senza risultarne distorto e mutilato – nello stesso articolo, critica il nietzschianesimo d'oltralpe nonché la figura di d'Annunzio, che di quest'ultimo fu alfiere in Italia.
È a questa visione del mondo che occorre guardare, non alle sue declinazioni individuali. Ma, si sa, è molto più facile fissare il dito, piuttosto che la Luna. Soprattutto quando esso punta contro il Nemico Assoluto.
Pessoa non fu "uomo di Destra". Affermare ciò è tanto riduttivo quanto affermare il suo essere esclusivamente "antifascista". Queste sono bagatelle che riguardano solo ed esclusivamente una certa cultura italiana, ancora viziata da vecchie categorie che, non appena ne capita l'occasione, vengono ribadite, a suggello della loro perenne validità. È la "tradizione orale" del nostro Paese; per quanto ancora ci impedirà di accedere alla naturale complessità di un'opera e di un autore come quello in oggetto?

*
SEGNALATO da Andrea Scarabelli (Rivista Antares)




lunedì 18 giugno 2012

La nuova filosofia italiana: intervista a Luca Siniscalco




Luca Siniscalco, milanese, studente di Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano, è redattore di Luukmagazine, per cui si occupa di arte nazionale ed internazionale, e collabora con Antarès-Prospettive antimoderne. I suoi principali interessi si articolano attorno a nuclei tematici di Storia delle idee, Estetica, Filosofia politica, Antimodernismo, Cultura classica.


1)Come valuta l'attuale panorama del giornalismo culturale in relazione agli old media ?


Mi sembra evidente il nostro soggiornare in una fase di grande crisi, soprattutto per quanto concerne i mezzi di comunicazione cartacei. Una crisi, tuttavia, da intendersi nel senso etimologico greco come una situazione di rottura capace di porre l'uomo di fronte ad una scelta. Servono nuovi strumenti, ma soprattutto nuove idee, per restituire linfa vitale ad un settore imprescindibile, che difficilmente e solo in tempi lunghissimi verrà integralmente soppiantato da Internet, risorsa rivoluzionaria che arricchisce enormemente la quantità e l'eterogeneità delle informazioni, ma che non annulla, specialmente rispetto al giornalismo culturale, la soddidfazione scaturente dalla lettura cartacea di un editoriale o di un elzeviro di qualità.
Per quanto concerne i mezzi televisivi percepisco invece un panorama dalle tinte più fosche, almeno per quanto riguarda la tv generalista, per almeno tre ragioni: un'offerta culturale estremamente al ribasso, una ormai spiccata tendenza antropologica al rifiuto da parte del pubblico della passività di fronte ai mezzi comunicativi, il declino della funzione aggregante, da un punto di vista familiare, sociale e nazionale, della televisione.


2) Quali scenari si aprono invece con i new media ?


Scenari indubbiamente ampissimi ed affascinanti, contraddistinti dall'abbattimento di cricche, potentati e nepotismi e da una radicale plurivocità. Scenari parimenti caotici e privi di quelle distinzioni e gerarchie qualitative imprescindibili per affrontare seriamente l'informazione e l'approfondimento.
É necessario mantenersi in equilibrio fra un'impostazione basata sul prospettivismo nietzscheano, per cui il maggior numero di prospettive fornisce un'inquadratura più precisa ed affidabile, ed il rischio nichilistico dovuto al paradosso in base a cui il sentenziare senza distinzioni da parte di tutti equivale al non affermare alcunchè da parte di nessuno.
Per quanto concerne in particolare il giornalismo culturale, ritengo tuttavia che la qualità fatalmente emerga e che dunque il pericolo delineato, più opprimente in relazione all'informazione politica e geostrategica, possa essere in questo settore ridotto al minimo.


3)Parliamo di Cybercultura. Pop o d'elite?


La Cybercultura fonda e insieme risponde a un nuovo modo di distribuire la conoscenza. La comunicazione si delinea in base ad una rispondenza "tutti-tutti" e nuove parole chiavi divengono "interconnessione", "comunità virtuale", "intelligenza collettiva". Nascono in ambito artistico progetti di rilievo come "Neoludica", tesi ad indagare il valore estetico di avanguardia dei videogames, in bilico fra nichilismo distruttivo e simbolismo creativo. É un mondo apparentemente democratico e privo di controlli, stretto fra le utopie libertarie e le ambizioni anarchiche. Sono tuttavia personalmente convinto della verità metastorica dell'affermazione di Nicolás Gómez Dávila, secondo cui "La vita è officina di gerarchie. Solo la morte è democratica". Una forma di gerarchizzazione si renderà inevitabile: auspico sinceramente possa realizzarsi in una configurazione nuova e finalmente qualitativa, abbattendo il rischio sempre presente di un controllo oligarchico e parassitario.
I rischi connessi a queste nuove tecnologie sono peraltro disparati: basta una breve lettura di Heidegger, Junger e Spengler -per citare solo i più noti- per comprendere la svolta epocale connessa alla "cibernetica", che non è semplice strumento neutro, ma figura destinale della nostra storia.
Non si deve trascurare la portata filosofica di una tecnica che sta rivoluzionando i presupposti del nostro vivere quotidiano: è necessario un approfondimento, nella consapevolezza che "là dove c'è il pericolo, cresce/ Anche ciò che salva"(Holderlin).


4)Come giudica la cultura italiana odierna? Potenza propulsiva o casta attardata?


Si può riflettere specificatamente sulla culura italiana e sulle sue peculiarità, ma ritengo più opportuno inserirla nel quadro della globalizzazione imperversante. La cultura italiana, ed europea, dominante ha accettato di piegarsi supinamente alla civilizzazione, in senso spengleriano, americana, aderendo ai dogmi del pensiero unico e del politicamente corretto. Se si pensa che, secondo recenti studi, i lettori statunitensi sono una razza in via di estinzione, dato che l'80% delle famiglie americane non ha acquistato o letto alcun libro nell'anno passato ed il 70% per cento degli adulti statunitensi non è mai entrato in una libreria negli ultimi cinque anni, non pare un gran risultato.
Tale livellamento, palese in sistemi bipolari dove le distinzioni programmatiche all'acqua di rose si annullano di fronte alla tecnocrazia, si prostra agli idoli della modernità adeguandosi alla litania della "fine della storia". In questo senso parlerei non di casta, termine che sembra evocare un'elite dirigente di ascendenza mitica, ma di faccendieri radical chic, incapaci di rischio intellettuale. Tale quadro cinico e pessimista risponde chiaramente a una mia consapevole volontà di denuncia di un sistema globale di pensiero teso a combattere ogni jungeriano "passaggio al bosco".
É ovviamente una generalizzazione: si segnalano infatti parallelamente numerose iniziative interessanti, molte delle quali rese possibili dal web, scelte coraggiose da parte di direttori ed editori audaci, nascita di progetti giovanili finalmente diretti a suggerire sintesi costruttive, anziché adagiarsi sulle posizioni "anti".
É l'adesione al motto della fenice, Post fata resurgo (dopo la morte torno ad alzarmi), che ci può garantire una via metamorfica verso un futuro alternativo.

(R.Guerra)

giovedì 19 aprile 2012

lunedì 16 aprile 2012

P. P. Pasolini - Per una genealogia della modernità a Milano * a cura Antares



Scuola romana di filosofia politica
Università degli studi di milano
(cattedra di Storia della filosofia I)
Antarès - Prospettive Antimoderne
Edizioni Bietti

Pier Paolo Pasolini: per una genealogia del moderno

Proiezione del film "La ricotta" di Pasolini

Al seguito, tavola rotonda con interventi di:
Giorgio Galli
Silvia Miotti
Gianni Scalia

Coordina:
Davide Bigalli

Martedì 17 aprile, h. 15.00
Università degli Studi di Milano
Via S. Antonio 5, Aula 1

 

mercoledì 21 marzo 2012

Università degli Studi di Milano: presentazione della collana Pessoana *a cura di A. Scarabelli e la Rivista Antares 27 3 '12

Cattedra di Storia della Filosofia I;
Edizioni dell'Urogallo;
Antarès - percorsi antimoderni;


Presentazione della collana "Pessoana" delle Edizioni dell'Urogallo

Interverranno:
Davide Bigalli
Marco Bucaioni
Rita Catania Marrone
Carlo Arrigo Pedretti
Vincenzo Russo
Coordina:
Andrea Scarabelli




MARTEDI' 27 MARZO 2012,
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MILANO,
VIA SANT'ANTONIO 5, AULA 3, ORE 16.15




sabato 25 febbraio 2012

Ormai solo un Dio ci può salvare Milano 1 marzo '12 Heidegger e la Tecnica intervista a Andrea Scarabelli




D. Heidegger e le Macchine, attualità transtemporale del Maestro europeo?
R. Leggere Heidegger oggi, assieme a numerosi critici della tecnica come Jünger, Spengler, Schmitt, Sombart, è particolarmente funzionale. Certo, è pur vero che, sebbene sia possibile raccordare gli anni della crisi che viviamo con quelli che fecero da retroscena alle loro analisi, il nostro presente dispone di uno scarto incolmabile. Ragion per cui, è nell'ottica di nuove letture, di nuove integrazioni che occorre ri-percorrere i sentieri di ieri. La cultura delle nuove sintesi può dirsi, a tale proposito, estremamente fruttuosa nell'indicare nuovi tracciati, che si facciano carico delle domande che il nostro tempo ci pone eludendo, al contempo, l'insufficienza delle risposte sino ad ora fornite.
D'altra parte, è bene ricordare che, come scrisse Goethe, la società che ospita il nostro incedere presenta una duplice sfaccettatura, tecnica e simbolica. Da qui, la necessità di elaborare un antidoto alla crisi che tenga conto di entrambe le necessità, che non si rifugi cioè in un astrattismo incapacitante né in un culto schizoide dell'azione. Occorre, potremmo dire, inquadrare una terza via, che sappia ricondurre ad un comun denominatore questa duplice anima, che Spengler chiamò il volto bifronte della civiltà faustiana.

D Una Modernità altra, oltre il liberalismo e il socialismo?






R. La somiglianza che concerne le strutture menzionate è ormai sotto gli occhi di tutti. Lungi dall'essere differenti, detti movimenti traducono in termini differenti le stesse parole d'ordine, che oggi hanno dichiarato bancarotta. Il che risponde, naturalmente, ad un processo molto più ampio che sta mutando profondamente il nostro modo di vivere il presente.
L'accelerazione del nostro tempo sta bruciando tutti i residui storici di ieri per traghettarci presso nuove conformazioni destinali, che richiedono ancora un tipo d'uomo che sia in grado di amministrarne le sorti. Ora come ora, è difficile incontrare questa forma umana, ma non è escluso che essa possa sorgere improvvisamente, necessitata dagli stessi anni a venire, nei quali quella crisi oggi manifestatasi in maniera aurorale si dispiegherà con una violenza inimmaginabile.
I tipi umani aprono e chiudono le epoche storiche – solo da un uomo nuovo potremo attenderci nuovi assetti. La scommessa sta tutta qui: in che misura è possibile udirne la voce? Questo il tratto che determinerà l'uscita dalla presente crisi. Nel frattempo, un esercizio utile può dirsi lo scagliare, come diceva Nietzsche, le parole innanzi a noi. A patto che, come concludeva il filosofo tedesco, sia poi l'azione a fare da complemento.

D. La rivista Antarès, cronache culturalmente scorrette?
R. Molto scorrette, almeno da un punto di vista istituzionale. Essa può dimostrarsi a tutti gli effetti una esemplificazione della cosiddetta “eterogenesi dei fini”. Nato in un contesto universitario che ha messo interamente al bando tutta una serie di riflessioni, giudicate poco conformi rispetto alle linee di pensiero dominanti, il progetto Antarès intende ricondurre all'interno di questa ultima – senza esaurire il proprio raggio d'azione in questo, ovviamente – quelle stesse testimonianze.
Da qui tutta una serie di iniziative legate alla detta iniziativa come Tradizione e storia delle idee (che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Gianfranco de Turris, Franco Cardini, Brunello de Cusatis, Davide Bigalli e Claudio Bonvecchio), in ricordo di Gian Franco Lami, una delle anime più importanti della Nuova Oggettività, Diorama su Ezra Pound (al quale hanno partecipato Luca Gallesi, Giorgio Galli, Giulio Giorello e Cesare Cavalleri) e appunto questo evento dedicato al “secondo Heidegger”, mal tollerato da una facoltà filosofia più o meno interamente votatasi ad una vergognosa analitica d'oltreoceano.
La piega che ha preso la facoltà di filosofia – alla quale, come buona parte degli articolisti di Antarès – dell'Università Statale di Milano è in ciò assai sintomatica. Dimenticandosi di una importante tradizione teoretica continentale (che essi definiscono con l'epiteto anglosassone di “bad poetry”), tende ad abbracciare le neuroscienze e la filosofia analitica. Segnale di Europei che si dimenticano di essere tali...
Basti pensare che anni fa un docente di filosofia ebbe a dichiarare di “non avere mai letto Platone” e più di recente una professoressa ha affermato, davanti ad una platea giubilante di studenti, che la filosofia di Heidegger è da considerarsi pessima in quanto non obbediente a criteri di tipo logico. Questi sono segnali piuttosto eloquenti per saggiare la stoffa di questi intellettualini dell'ultima ora.
D. Nuova Oggettività, nuova estetica europea?
R. Se riaccordiamo il temine di “estetica” al suo etimo greco, allora la risposta non può che essere affermativa. È di rinnovate categorie esperienziali che oggi abbiamo bisogno. E credo l'impianto della Nuova Oggettività possa fornire questi nuovi parametri esperienziali.
Per poi non parlare della necessità di costituire una Nuova Arte a partire dalle strutture del nostro presente, senza ricorrere alle forme morte di un passato che si è reso muto agli occhi dei moderni. Astrarre un'armonia delle sfere dai meccanismi tecnici, dalle nuove forme che puntellano il nostro esserci storico-destinale odierno. In questo senso, ritengo la lezione futurista possa fornire un avamposto dal quale prendere le mosse. Il futurismo ha impostato delle domande a cui nessuno ha (più) saputo rispondere. È evidente che, in tempi come i nostri, un silenzio del genere è più eloquente di mille proclami. Esso preannuncia l'avvicinamento a talune delle regioni in cui si decide della vittoria o della capitolazione dell'uomo innanzi al proprio futuro.