Visualizzazione post con etichetta new realism. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta new realism. Mostra tutti i post

martedì 1 maggio 2012

Giovanni Damiano Nuova Oggettività e-o New Realism


Sul “nuovo realismo”.
Brevissime note a margine
La Nuova Oggettività rispondeva, nell’immediato primo dopoguerra, all’esigenza di un ritorno all’ordine (espressione il cui conio è probabilmente da addebitare ad Albert Gleizes), ossia di una riconquista della forma dopo i fasti decostruttivisti delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento. A farsi carico di un nuovo inizio della forma sarà soprattutto l’ala classicista della Neue Sachlichkeit (corrente che conterà, tra gl’altri, pittori come Kanoldt, Mense e Schrimpf e che conoscerà la sua stagione più vivace tra il 1918 e il 1921), costituitasi a Monaco intorno alla galleria Neue Kunst e influenzata dall’esperienza italiana di Valori plastici, la rivista romana fondata da Broglio nel ‘18 e che proprio Hans Goltz, il proprietario della Neue Kunst, provvederà a diffondere nel mondo tedesco. Ora, se è vero che il particolare clima monacense sicuramente aveva giocato un ruolo di primo piano nella nascita del gruppo ‘nazareno’ della Nuova Oggettività (ad esempio, Elena Pontiggia rimanda alle radici classiciste della Monaco ottocentesca, culla dei Deutsch-Römer e del monumentalismo ‘dorico’ di Leo von Klenze), è altrettanto certo che tutto ciò rientrava in un movimento di respiro europeo di risposta alle avanguardie artistiche, tendente a ri-creare una classicità moderna (sempre Pontiggia), che in Germania avrà come suo esito ultimo l’arte nazionalsocialista (il cui focolaio sarà, ancora una volta, Monaco).
Analogo significato, a mio parere, riveste il recentissimo testo di Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo (Laterza, 2012). Anche qui troviamo una reazione, in senso ‘oggettivante’, al decostruttivismo/costruzionismo, questa volta post-moderno, esemplificato, per Ferraris, dalla triade d’oltralpe Lyotard-Derrida-Foucault, da Rorty, e in Italia dal ‘pensiero debole’ alla Vattimo, il cui Addio alla verità è un chiaro bersaglio polemico (ma si potrebbero fare anche i nomi di Hobsbawm, Anderson, eccetera, per andare oltre l’ambito strettamente filosofico).
Le tesi di Ferraris (non isolate nel panorama filosofico italiano contemporaneo; penso ad es. al lavoro di Franca D’Agostini, Introduzione alla verità o a Per la verità di Diego Marconi) possono essere facilmente riassunte: ciò che va sottoposto a critica (quindi decostruito; Ferraris sa che la filosofia non avrebbe senso senza passione ‘decostruttiva’, ma sa anche che, se si riduce integralmente a gioco decostruttivo, la filosofia diventa un orpello inutile, una scienza sterile destinata all’insignificanza) sono “i due dogmi del postmoderno: che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile, e che la verità sia una nozione inutile” (p. XI), oltre che intrinsecamente violenta e intollerante (il che conduce a quello che chiamo nichilismo emancipativo; in breve, l’esito nichilistico del pensiero debole – la dissoluzione del concetto stesso di verità - risponde a esigenze ‘democratico-progressive’ completamente antitetiche ad es. a quel lascito nietzscheano aristocratico-selettivo, che pure ha giocato un ruolo primario nella genesi del postmoderno).
Ora, schematizzando all’estremo e al di là delle stesse tesi di Ferraris, della verità semplicemente non possiamo disfarci, dalla verità non possiamo in ogni caso prendere congedo, e questo prescindendo da qualsivoglia posizione filosofica, sia essa ad es. differenzialista o meno. La verità, insomma, è ineliminabile, con buona pace di chiunque sostenga il contrario. Pertanto, è in errore anche Nietzsche, quando nel Crepuscolo degli idoli esulta al tramonto del “mondo vero” (il “baccanale degli spiriti liberi”).
Discorso diverso per quanto riguarda il problema della realtà. Premetto che le evidenti preoccupazioni ideologiche di Ferraris alla base del suo ‘nuovo realismo’ sono del tutto inconsistenti quando non mistificanti. Giusto un paio di esempi: secondo il filosofo torinese il postmoderno sarebbe nato da condivisibili prospettive emancipative poi fatalmente tracimate nel ‘populismo mediatico’, il che ricorda la favola del comunismo buono nelle intenzioni ma cattivo nelle realizzazioni[Nota a piè di pagina]; invece di denunciare l’artificio dell’economia ‘di carta’ che sta letteralmente divorando l’economia reale, Ferraris finisce, inoltre, per attardarsi sull’antiberlusconismo (il riferimento al ‘populismo mediatico’ è, al riguardo, trasparente). Per incidens, definire “mirabile analisi” (p. 70) quella di un testo mediocre come Orientalismo di Said è l’ennesimo pegno pagato al conformismo intellettuale e al decostruzionismo ‘buono’[Nota a piè di pagina].
Detto questo, la tesi centrale di Ferraris è che ontologia ed epistemologia non coincidono; in altre parole, l’equipollenza essere-sapere è fallace. Per cui, non sarebbe vero che qualsiasi cosa per esistere deve comunque rientrare nei nostri schemi concettuali, cioè dev’essere in qualche modo ‘saputa’ e quindi costruita dal soggetto conoscente. Al contrario, quello che Ferraris chiama l’inemendabilità del reale mostrerebbe la resistenza dello stesso reale alle nostre pretese conoscitive, il fatto, cioè, che “posso sapere (o ignorare) tutto quello che voglio, il mondo resta quello che è” (p. 46), per cui una cosa esisterebbe a prescindere dal nostro sapere, così da evitare che i nostri schemi concettuali finiscano per prevalere, sempre e comunque, sul mondo esterno.
L’approccio epistemologico decostruttivo/costruttivo, ossia quello che dissolve il reale in quanto lo piega ai nostri schemi concettuali e ai nostri apparati percettivi, per poi costruirlo/manipolarlo a piacimento (riconducendo in tal modo integralmente l’ontologia nell’alveo dell’epistemologia), nella genealogia, seppur sintetica, delineata da Ferraris, prenderebbe le mosse dalla gnoseologia kantiana (anche se è possibile andare a ritroso sino a Cartesio, con la costellazione’ dubbio iperbolico/solipsismo del cogito/problematicità delle idee avventizie).
Ferraris parte dall’asserto kantiano “le intuizioni senza concetti sono cieche”, per affermare che per Kant “fossero necessari concetti per avere una qualsiasi esperienza” (p. 34). Da qui si darà “avvio a un processo che conduce a un costruzionismo assoluto” (ibid.), attraverso la radicalizzazione della gnoseologia kantiana, che porterà a una confusione senza residui tra ontologia ed epistemologia grazie all’abolizione del noumeno. Tappa ulteriore di questo processo sarà poi il primato delle interpretazioni sui fatti, il nietzscheano “non ci sono fatti, solo interpretazioni” (dai Frammenti postumi), ma qui, a mio parere, gioca la costitutiva ambivalenza di Nietzsche, perché ad es. la fedeltà alla terra sembra invece rimandare a uno sfondo oggettivistico. Infine, è in pieno Novecento che il postmoderno giungerà a compimento, grazie agli autori segnalati in precedenza.
Giovanni Damiano

mercoledì 23 novembre 2011

Arte Estetica.org New Realism?

 

Estetica e "New realism"

Nella prossima primavera del 2012 a Bonn si terrà un convegno organizzato tra gli altri da Maurizio Ferraris sul nuovo realismo che nelle intenzioni dovrà prendere atto dell'esaurirsi del pensiero postmoderno che ha caratterizzato il secondo decennio di questo secolo. Trent'anni è durata quella scuola di pensiero nata dalla insicurezza impossessatasi del mondo occidentale dopo il crollo delle ideologie forti del dopoguerra. “Pensiero forte” viene definito, in opposizione appunto a quel “pensiero debole” che caratterizzò il postmoderno. Se allora si rinunciava alla verità per il dubbio, il relativismo e nomadismo culturale con il citazionismo le rivisitazioni e le reinterpretazioni, oggi si ritorna a “vedere” il mondo quale esso è indipendentemente dal nostro rapporto con esso: se vado a sbattere contro uno sgabello mi faccio male anche se non lo vedo o non lo conosco. Può apparire ingenuo o quasi banale ma il mondo esiste indipendentemente da noi esseri umani che possiamo conoscerlo solo nei limiti delle nostre strutture psico-fisiche e indipendentemente dalle nostre capacità concettuali e categoriali.

Partecipa al convegno di Bonn anche Umberto Eco che aprì la strada a questo tipo di considerazioni con la sua raccolta di saggi dal titolo “Kant e l'ornitorinco” in cui sostenne che Kant avrebbe avuto grandi difficoltà ad inserire nelle sue categorie un animale come l'ornitorinco che non era né uccello né mammifero pur avendo le caratteristiche di entrambi; la realtà non tiene conto del pensiero e dalla sua struttura e ci sono delle situazioni di percorso obbligato, come delle frecce vettoriali, dalle quali non si può prescindere.

Alla stessa conclusione è pervenuto Maurizio Ferraris, come detto tra gli organizzatori del convegno, nella sua “Estetica razionale” che individua proprio nell'estetica, e cioè nelle sensazioni e nelle percezioni, la unica reale possibilità di conoscenza; conoscenza del fenomeno con rinuncia definitiva a quella ormai da considerare mitica del noumeno. Dalla ontologia all'epistemologia attraverso l'estetica. Ecco perché “la stessa concezione dell'estetica, vista non già come filosofia dell'illusione quanto d'una filosofia della percezione la dice unga sulla disponibilità nella quale ci si voleva mettere rispetto a quel che accadeva nel mondo esterno rispetto ad una realtà che si voleva poter guardare con gli occhi di chi vede al di fuori di schemi concettuali, secondo formule soggettive”..

 http://artestetica.org/articoli/2011/08/eco-bonn-ferraris-percezione_580.html

domenica 16 ottobre 2011

New Realism o Nuova Oggettività? Libro Manifesto Nuova Oggettività Book Trailer e Promo 1 dei ferraresi Roberto Guerra e Zairo Ferrante

Oltre 90 autori per la nuova filosofia italiana Un  nuovo progetto postfilosofico per la cultura italiana è lanciato in questi giorni: è il  Libro Manifesto Nuova Oggettività, popolo, partecipazione, destino ( Heliopolis, 2011 ) a cura di Sandro Giovannini, Giovanni Sessa, Stefano Vaj, Claudio Bonvecchio,Gian Franco Lami (precocemente scomparso) e altri che coinvolge oltre 90 autori di tutta Italia (scrittori, filosofi, artisti, scienzati sociali, spesso ben noti in ambito nazionale). Un progetto programmaticamente trasversale, anti-ideologico, per l’uomo multidimensionale del nostro tempo, tra proiezioni dell’avvenire e archetipi di certa Tradizione creativa, soprattutto rinascimentale e “neopagana”;  alternativa utopica e atopica a certo presentismo paleocapitalista e una visione planetaria anziché banalmente globalista.

IL PROGETTO NUOVA OGGETTIVITA' COME RISPOSTA AL COSIDDETTO NEW REALISM, ultimo probabile miraggio della vecchia ma non stupida cultura ideologica italiana antipostmoderna.. (dibattito su Alfabeta, Micromega e riviste d'area, con già lo stesso Vattimo e anche pare Catellan.. pronti a rispondere, tra il serio e (il secondo- postmodern doc Made in Italy) il faceto ("Non ci resta che You Tube pare abbia detto!).

Tra gli autori nel libro manifesto Nuova Oggettività  anche scrittori ferraresi genericamente d’avanguardia: Roby Guerra (anche nella segreteria del progetto e blogger della voce on line “Nuova Oggettività” del neomovimento), Riccardo Roversi, Giovanni Tuzet, Maurizio Ganzaroli, Gaia Conventi, Zairo Ferrante (salernitano d’origine), Sylvia Forty, tutti ben noti a Ferrara e non solo.

E degli stessi Zairo Ferrante e Roby Guerra (con il noto videomaker Giacomo Verdoia)  il primo promo e primo Book Trailer del Libro Manifesto direttamente da YouTube..

Rassegna Stampa  Libro Manifesto Nuova Oggettività

http://oubliettemagazine.com/2011/10/14/scrittori-ferraresi-in-il-libro-manifesto-nuova-oggettivita-heliopolis-2011/
http://www.sitiwebferrara.com/scrittori-ferraresi-in-il-libro-manifesto-%E2%80%9Cnuova-oggettivita%E2%80%9D-1013.html
http://nuovaoggettivita.blogspot.com/2011/10/libro-manifesto-nuova-oggettivita_14.html
http://nuovaoggettivita.blogspot.com/2011/10/book-trailer-e-promo-1-libro-manifesto.html
http://nuovaoggettivita.blogspot.com/2011/10/il-secondo-sole-dellavvenire.html
http://e-bookdinanimismo.myblog.it/archive/2011/10/13/per...

BOOK TRAILER 1 - VERSO HELIOPOLIS (Roby Guerra e Giacomo Verdoia)

PROMO 1  "EVOLUZIONE"... DI ZAIRO FERRANTE

 

sabato 1 ottobre 2011

Antonio Saccoccio: Postmoderno? New Realism? Serve una terza avanguardia.

 

Maurizio Cattelan | I Rez Therefore I Am | http://vaneeesa.com/2010/11/07/maurizio-cattelan/*Maurizio Cattelan

 

 

Il dibattito sul postmoderno ha avuto l’ennesimo ritorno d’interesse nelle ultime settimane, suscitando la solita selva di opinioni contrapposte. La contrapposizione più netta (almeno apparentemente) è stata quella tra Gianni Vattimo, storico sostenitore del pensiero debole, e Maurizio Ferraris, recente ideatore del “Manifesto del New Realism”. Poiché ho scritto e discusso più volte di postmodernità, agganciandomi anche ad altre questioni che ritengo ugualmente centrali, mi prendo ora la briga di entrare direttamente in questo dibattito. Leggendo lo scambio di battute tra Ferraris e Vattimo la prima impressione è quella che non ci sia nulla di così nuovo di cui parlare: siamo ancora fermi a discutere sulla nota affermazione di Nietzsche: “Non ci sono fatti, ci sono solo interpretazioni”. Da ciò che si può leggere Ferraris sembra in difficoltà nel dare concretezza alla sua nuova proposta. Il “new realism” (già la pochezza della scelta terminologica dovrebbe inquietarci) sembra ancora un’idea piuttosto nebulosa. Il problema nasce tutto da un sillogismo frettoloso da lui avanzato: noi viviamo in un’epoca pervasa dallo spirito postmoderno, l’epoca in cui viviamo è terrificante, quindi il postmodernismo è terrificante. In particolare il “populismo mediatico” è il terribile male che Ferraris attribuisce al postmodernismo. Ha ben ragione Vattimo a rispondergli che non c’è alcuna connessione tra postmoderno e populismo. Ferraris, magari per fomentare l’opinione pubblica, indica in Bush e Berlusconi le figure in cui detto populismo mediatico si è incarnato al meglio. Ora, a parte il fatto che il populismo mediatico non mi sembra l’unico dei problemi attuali, a parte il fatto che se si citano Bush e Berlusconi si devono citare pure Obama e Grillo e molti altri che di populismo mediatico sono espressione e interpreti accreditati, il problema sta tutto in quel legame tra populismo mediatico e postmoderno che Ferraris dà per scontato. Siamo così sicuri che pensiero debole e postmoderno generino automaticamente il populismo? Le cose stanno diversamente. Come ho affermato nel manifesto “Presentismo: ultima deriva dell’uomo contemporaneo” l’accusa non andrebbe genericamente rivolta al postmoderno, ma ad una certa interpretazione (anche qui interpretazioni) leggera del postmoderno stesso, interpretazione che ho definito con il termine “presentismo”, o altre volte “pensiero molle”. Secondo questa particolare visione del mondo (il presentismo appunto) non solo nel mondo non c’è una verità, ma le interpretazioni sono inutili, perchè tutto si equivale e non vale la pena neppure provare a cercarla la verità. Mentre quindi i migliori spunti della neoermeneutica possono condurre ad un mondo in cui il proliferare delle interpretazioni creano quella vitalissima ricchezza di punti di vista e visioni del mondo che unicamente può permettere al singolo individuo di liberare se stesso e incontrare serenamente l’altro, questo “pensiero molle” presentista conduce direttamente ad una penosa palude in cui tutto giace indistinto e privo di qualsiasi spinta vitale.

Si dovrà comunque ammettere che, se tutto ciò è accaduto, il pensiero debole e il postmoderno portavano (e portano) con sé il rischio di queste derive annacquate. L’errore però sta nell’attribuire frettolosamente tutto ciò all’intero pensiero postmoderno. La neoermeneutica e il postmoderno non sono teorizzazioni sballate, ma contengono al loro interno due errori fatali che occorre esaminare.

Innanzitutto neoermeneutica e postmoderno non potevano realizzarsi pienamente nel momento in cui sono stati teorizzati. Parliamo pure di Berlusconi, ma con cognizione e senza facilonerie (sono semplici interpretazioni anche queste). Abbiamo un uomo che fa parte di un’epoca in fase di estinzione, l’epoca televisiva; la telecrazia è un fenomeno degli anni Ottanta (e infatti in contesti simili bisognerebbe citare Reagan, non Bush), ed è legata ad un mondo in cui la televisione è il medium dominante. Non è un caso che il fascino di Berlusconi sia andato riducendosi, passando dalla brillantezza contagiosa del ’94 alla stanchezza deprimente degli ultimi anni. Non si tratta solo di un logorio fisico dovuto al naturale invecchiamento, è un segno evidente del fatto che Berlusconi è in fase declinante perché è declinante il paradigma telecratico a cui si è da sempre appoggiato. Qualcosa di nuovo sta emergendo. E non è il “New Realism”, ma una nuova fase dell’avanguardia artistica e socio-culturale, è la terza avanguardia. Le proposte del secondo Novecento di cui stiamo discutendo (e qui mi riferisco in particolare alla neoermeneutica e in parte anche al pensiero debole) non hanno fallito, ma sono state avanzate con troppa fretta da alcune avanguardie di pensiero, che hanno fatto i conti soltanto a tavolino, senza considerare la realtà con cui si sarebbero scontrati. L’errore è stato teorizzare tutto questo senza comprendere che non c’erano ancora le condizioni storiche perché tutto questo potesse trasformarsi in realtà. Questo è il rischio delle “avanguardie filosofiche” (mi sia concesso il quasi ossimoro), proposte da chi è capace di grandi salti in avanti di pensiero, ma perde troppo spesso il contatto sensoriale con il mondo reale e quindi finisce per il proporre qualcosa che in teoria potrebbe funzionare, ma in realtà si rivela fallimentare. Occorre il pensiero, ma è altrettanto fondamentale mettere alla prova la nostra sensibilità. Perché nel secondo Novecento la neoermeneutica e il pensiero debole non hanno vinto, ma hanno contribuito a generare il presentismo e il pensiero molle? La risposta sta nel mondo in cui vivevamo: fino a dieci anni fa il populismo mediatico che denuncia Ferraris si è potuto imporre perché i media dominanti erano televisione, stampa e radio (e non dimentichiamo il cinema). Mai un uso tanto massiccio di media di massa si era abbattutto sulla popolazione occidentale. La questione decisiva è che questi media, che generano e riproducono costantemente non solo il populismo politico ma anche tutto il pensiero dominante, sono tutti media che trasmettono in modo monodirezionale. Media, quindi, che non possono aiutare quella pluralità di punti di vista e interpretazioni che resta il punto forte del pensiero debole. Solo oggi, nel momento in cui i media di massa cedono gradualmente il passo (pur tra mille difficoltà, rischi e contraddizioni) ai media interattivi e partecipativi, le migliori intuizioni del postmoderno e della neoermeneutica possono realizzarsi.

Il secondo errore di cui postmoderno e il pensiero debole si sono resi responsabili è stata la negazione della possibilità del superamento. Questo appiattirsi sulla dimensione del recupero e del riciclo è stata in parte una grande e positiva novità, ma alla lunga ha generato anch’essa un impaludamento. Nella condizione in cui siamo, le migliori intuzioni del postmoderno e del pensiero debole possono essere salvate – è questo il più grande paradosso – soltanto se una fase di avanguardia, appoggiandosi e prendendo a modello il paradigma che si è sviluppato a partire dalla rete globale, darà la spallata decisiva al mondo dominato dal sapere tipografico e televisivo, saperi gerarchici trasmessi senza una diffusa possibilità di confutazione e quindi negando la dimensione fondamentale della pluralità. Il problema dell’auctoritas resta sempre fondamentale, come ben vede Vattimo. La posizione di Ferraris sembra davvero una posizione di retroguardia, tesa al ripristino di un sapere controllato, anche se non ci capisce bene da chi.

Il postmoderno, ad indagarlo a fondo, può considerarsi come un ultimo risultato delle avanguardie novecentesche, che per prime posero sotto assedio il paradigma monolitico e accademico che rinchiudeva l’individuo in una serie di saperi tramandati da secoli, ma ormai, nell’era dell’elettricità e della comunicazione continua, completamente anacronistici. L’attacco del Futurismo alle accademie, alle biblioteche, al professoralismo, la sfida Dada all’Arte stessa, l’assalto del Situazionismo a tutte le strutture di potere: tutto questo doveva sfociare nella neoermeneutica e nel pensiero debole. E invece, per una serie di circostanze probabilmente non aggirabili, siamo piombati tra presentismo e pensiero molle. Il postmoderno, a dirla tutta, ha commesso il grande errore di negare tutto quello spirito di contestazione avanguardistico e radicale da cui era nato, e negando l’avanguardia e l’idea di superamento si è condannata al presentismo e all’impaludamento.

In ultima analisi, Ferraris non ha davvero nessuna possibilità di combinare qualcosa di buono con il suo “New Realism”, perché sta andando nella direzione della restaurazione, mentre occorre portare a compimento il superamento intrapreso già da un secolo. Oltrepassare l’esperienza postmoderna può essere possibile solo se ci rendiamo conto che l’avanguardia è una condizione indispensabile in un mondo che si trasforma tanto rapidamente. Se ci fermeremo a riflettere su questi aspetti, ci renderemo conto che il miglior postmoderno non è altro che una fase timida e indecisa di quell’avanguardia costante che ci tiene vigili, vivi e vitali da un secolo almeno.

Antonio Saccoccio