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domenica 22 maggio 2011
Manifesto Heliopolis. Postumanesimo e ultra (8-11-2010) from Fondo Magazine
di Stefano Vaj
Esiste uno spazio e/o un interesse per un complesso di idee che si distingua dalla vulgata contemporanea che vuole che l’”ultimo grido” in campo etico, estetico, politico, o più generalmente filosofico, sia anche il grido ultimo ed insuperabile, che cioè non può, ma soprattutto che non deve, essere superato? Il grido di una “modernità” indistinta, universale, tiepida e minimalista che del resto non fa ormai che ripetere se stessa, ossessionata da un puritanesimo la cui concitata riaffermazione stessa ricrea inevitabilmente il fantasma (ed implicitamente la possibilità) del peccato, dell’eresia, della strega…
L’amico Sandro Giovannini, non da oggi instancabile agitatore “culturale”, pensa di sì. Da qui l’idea perfettamente inattuale di un Manifesto che ignorando del tutto i vari “movimenti di truppe” che possano allineare tutti e ciascuno in vari campi per cause più quotidiane ed immediate abbia il coraggio di applicare il rigore della critica e la nostalgia dell’avvenire a fronte di un contemporaneità egemone volta a bandire l’idea stessa di cambi di paradigma, di “nuovi inizi”, di palingenesi tanto storiche quanto epistemologiche e culturali proprio nel momento in cui l’uomo, nel quadro delle proprie eredità ed appartenenze, è invece chiamato a ripensare se stesso all’atto di “ereditare la Terra” e declinare tale riflessione in scelte estremamente concrete.
Se è davvero questo ciò di cui vale la pena un po’ più spesso di parlare, tanto più sono lusingato di essere stato invitato a parteciparvi con quello che è il mio punto di vista e la mia altrettanto personale collocazione rispetto alle varie questioni destinate a determinare il nostro avvenire – o l’esistenza stessa di un avvenire purchessia – e che comandano oggi approcci largamente trasversali e complessi.
Se il progetto così mira chiaramente a mobilitare energie, prospettive ed angolature disciplinari molto differenti, ciò non è certo in una velleità di porsi “al di là della destra e della sinistra”, secondo la poca fortunata e non certo inedita formula a suo tempo fatta propria ad esempio da un Marco Tarchi. Anzi, è probabile che il concetto stesso che vada superato – come se si trattasse di categorie hegeliane munite di un qualche intrinseco status ontologico! – qualcosa che non esiste più, se non forse nella retorica linguisticamente maldestra della politica politicante, conduce forse inevitabilmente alla ricaduta in sbocchi conservatori. In particolare laddove tende ad occultare proprio il fatto che la “sinistra”, qualsiasi cosa abbia significato tale termine in passato, è stata nel frattempo completamente riassorbita dalla “destra” nel cui ambito rappresenta comitati d’affari, o nella migliore delle ipotesi sensibilità e blocchi di interessi, perfettamente funzionali allo stesso identico sistema di valori, alla medesima realtà sociale ed antropologica, al medesimo modello di (non) sviluppo.
Più interessanti perciò di improbabili sintesi tra interlocutori immaginari che non esistono già più, magari ricercate proprio da chi avrebbe comunque meno titolo a parlare a nome dell’uno o dell’altro, sono le “vertiginose” e trasversali (per quanto in gran parte sommerse) linee di frattura che sempre più riattualizzano e trasfigurano oggi – davvero “sul promontorio dei secoli” – il visionarismo, lo sperimentalismo, la trasvalutazione, la radicalità futurista che ha caratterizzato in ogni ambito e settore tanta parte della volontà novecentesca di riappropriarsi del proprio futuro, sino ai goffi tentativi di rimozione e al tempo stesso recupero con cui oggi siamo confrontati. Linee di falda che, se mi auguro possano acquisire maggiore coscienza di sé anche attraverso questo Manifesto, da oltre vent’anni pongo apertamente sotto il segno del postumanismo, della diversità, della autodeterminazione, della sovranità, della rifondazione di identità collettive plurali, della libertà di ricerca, della riappropriazione popolare e comunitaria delle risorse assorbite da meccanismi ed oligarchie centraliste prive di progetti. In una parola, dell’affermazione faustiana e volontarista, contro l’eterno rinnovarsi di ciarlatanerie metafisiche più o meno secolarizzate, più o meno escatologiche, di una nuova oggettività che ci apra orizzonti di senso, per ritornare ad avere il gusto di spingersi verso là dove nessuno è mai giunto prima.
L’articolo che segue fa riferimento al progetto della Heliopolis edizioni di Sandro Giovannini, di produrre il Manifesto “Per una nuova oggettività – partecipazione al destino del popolo” in corso d’opera. Per ulteriori approfondimenti, leggere anche, qui su Il Fondo: “Heliopolis. Per un manifesto in fieri“, “Prolegomeni per un manifesto in divenire“, “La parola d’ordine è una sola: ripartire” “Manifesto Heliopolis. Una nuova oggettività“.
(*Fondo Magazine)La redazione
VERSO IL MANIFESTO HELIOPOLIS
Esiste uno spazio e/o un interesse per un complesso di idee che si distingua dalla vulgata contemporanea che vuole che l’”ultimo grido” in campo etico, estetico, politico, o più generalmente filosofico, sia anche il grido ultimo ed insuperabile, che cioè non può, ma soprattutto che non deve, essere superato? Il grido di una “modernità” indistinta, universale, tiepida e minimalista che del resto non fa ormai che ripetere se stessa, ossessionata da un puritanesimo la cui concitata riaffermazione stessa ricrea inevitabilmente il fantasma (ed implicitamente la possibilità) del peccato, dell’eresia, della strega…
L’amico Sandro Giovannini, non da oggi instancabile agitatore “culturale”, pensa di sì. Da qui l’idea perfettamente inattuale di un Manifesto che ignorando del tutto i vari “movimenti di truppe” che possano allineare tutti e ciascuno in vari campi per cause più quotidiane ed immediate abbia il coraggio di applicare il rigore della critica e la nostalgia dell’avvenire a fronte di un contemporaneità egemone volta a bandire l’idea stessa di cambi di paradigma, di “nuovi inizi”, di palingenesi tanto storiche quanto epistemologiche e culturali proprio nel momento in cui l’uomo, nel quadro delle proprie eredità ed appartenenze, è invece chiamato a ripensare se stesso all’atto di “ereditare la Terra” e declinare tale riflessione in scelte estremamente concrete.
Se è davvero questo ciò di cui vale la pena un po’ più spesso di parlare, tanto più sono lusingato di essere stato invitato a parteciparvi con quello che è il mio punto di vista e la mia altrettanto personale collocazione rispetto alle varie questioni destinate a determinare il nostro avvenire – o l’esistenza stessa di un avvenire purchessia – e che comandano oggi approcci largamente trasversali e complessi.
Se il progetto così mira chiaramente a mobilitare energie, prospettive ed angolature disciplinari molto differenti, ciò non è certo in una velleità di porsi “al di là della destra e della sinistra”, secondo la poca fortunata e non certo inedita formula a suo tempo fatta propria ad esempio da un Marco Tarchi. Anzi, è probabile che il concetto stesso che vada superato – come se si trattasse di categorie hegeliane munite di un qualche intrinseco status ontologico! – qualcosa che non esiste più, se non forse nella retorica linguisticamente maldestra della politica politicante, conduce forse inevitabilmente alla ricaduta in sbocchi conservatori. In particolare laddove tende ad occultare proprio il fatto che la “sinistra”, qualsiasi cosa abbia significato tale termine in passato, è stata nel frattempo completamente riassorbita dalla “destra” nel cui ambito rappresenta comitati d’affari, o nella migliore delle ipotesi sensibilità e blocchi di interessi, perfettamente funzionali allo stesso identico sistema di valori, alla medesima realtà sociale ed antropologica, al medesimo modello di (non) sviluppo.
Più interessanti perciò di improbabili sintesi tra interlocutori immaginari che non esistono già più, magari ricercate proprio da chi avrebbe comunque meno titolo a parlare a nome dell’uno o dell’altro, sono le “vertiginose” e trasversali (per quanto in gran parte sommerse) linee di frattura che sempre più riattualizzano e trasfigurano oggi – davvero “sul promontorio dei secoli” – il visionarismo, lo sperimentalismo, la trasvalutazione, la radicalità futurista che ha caratterizzato in ogni ambito e settore tanta parte della volontà novecentesca di riappropriarsi del proprio futuro, sino ai goffi tentativi di rimozione e al tempo stesso recupero con cui oggi siamo confrontati. Linee di falda che, se mi auguro possano acquisire maggiore coscienza di sé anche attraverso questo Manifesto, da oltre vent’anni pongo apertamente sotto il segno del postumanismo, della diversità, della autodeterminazione, della sovranità, della rifondazione di identità collettive plurali, della libertà di ricerca, della riappropriazione popolare e comunitaria delle risorse assorbite da meccanismi ed oligarchie centraliste prive di progetti. In una parola, dell’affermazione faustiana e volontarista, contro l’eterno rinnovarsi di ciarlatanerie metafisiche più o meno secolarizzate, più o meno escatologiche, di una nuova oggettività che ci apra orizzonti di senso, per ritornare ad avere il gusto di spingersi verso là dove nessuno è mai giunto prima.
Manifesto Heliopolis: Una nuova oggettività (25 10 2010) *from Fondo Magazine
di Sandro Giovannini
La letteratura, la filosofia possono solo offrire lampi d’illuminazione, salvare dall’oblio frammenti di realtà, impossessandosi semplicemente del sapere, da dati morti a vissuti esperiti e trasformati, per trasmissione diretta… potremmo dire, quasi paradossalmente, orale. Realtà che è oggettiva, anche se macerie e rovine, alternative a noi ed a se medesime, e le utopistiche nuove forme urbane, ove si cerca di far emergere disperatamente un disegno con lo strisciante prurito delle possibilità, ed ove il presente si vorrebbe migliore mentre il futuro si teme peggiorato ed ove ogni più cupa disperazione è curata dalla vitale ed eterna fede in una possibile reintegrazione, le cogliamo solo con il taglio soggettivo.
Certo le confezioni di plastica del passato-presente-futuro ormai non si sopportano più… Perché noi tutti veniamo da una storia profonda di clinamen e di nichilismo, e non possiamo esorcizzare niente se non mettendo in gioco la nostra semplice storia personale, di molti che si sono avvicinati, per strade a volte diverse ed a volte persino divergenti, a questo appuntamento, ancora del tutto fragile ed incertamente determinato, ma suggestivamente crismato. E le nostre storie personali – come mi ha fatto notare recentemente e saggiamente un amico, tra rammemorazione e richiamo – sono già una garanzia di percorso. Lo spero, lo credo anch’io, anche se sono costantemente allarmato dalla dura difficoltà di dover rispondere – e mi sento sovente inadeguato – alla pandemonia omologatrice ed autofaga dell’homo oeconomicus, all’orgia di bruttezza da cui si viene avvolti. Lo stesso terrore della massa dei parlanti a vuoto, l’isolamento come generatore puro d’energia, il sentimento patriottico come amore di una comunità carnale e potenziale, questi sono i presupposti che non dovrebbero mai venir meno. E come ha detto lo stesso caro amico «…tra periodi di elevazione e periodi di assestamento delle culture, tra periodi di differenziazione e periodi di ricompattamento delle coscienze, all’esperienza civilizzazionale degli uomini non è mai dato avere la meglio, una volta per tutte, sull’aspetto mitico, fantastico e immaginifico della vita. Mito e filosofia non rappresentano due momenti successivi nel processo evolutivo del pensiero umano. Essi sono due categorie della civiltà dell’uomo in ogni tempo. Sono due costanti della natura umana e della spinta conoscitiva che la caratterizza, durante tutte le epoche conosciute. Come corpo e anima, ritualità e iniziazione, il mito e la filosofia diventano la regola nella convivenza di popoli e società, e appartengono al narrato psicologico e sociologico della nostra generazione, al pari di tutte quelle che ci hanno preceduto».
Per questo abbiamo fino ad ora solo sfiorato il modo di intenderci, con anima leggera, prudente, artificiosa. Se è vero come diceva Isidoro di Siviglia che «quando leggiamo, Dio parla con noi…» abbiamo realizzato che solo con un’estrema attenzione unita ad una ferma determinazione avremmo potuto procedere, anche solo nell’indicare un percorso possibile.
L’impresa è troppo seria per squillanti proclami, che possono essere facilmente sommersi dall’indifferenza, dallo scetticismo, dal ridicolo o dall’omologazione, tutti variamente mixati e diretti. Per questo accettiamo, del modello comunitarista – se non altro al minimo – tutto ciò che fornisce all’individuo la maschera di difesa necessaria a salvare dal prostrato frazionamento indispensabile al capitale mondialista ed a rimetterci a quella koinè che contrasta, nell’altro versante, i grotteschi snob dello yuppismo carrierista e gli pseudoindividualisti in banda, in squadra, od in gruppo… al modo che irrideva Borges… Anche perché poi le parole: perdente, vincente (le eikones delle cose solo visibili e non intelligibili-svelabili), icone di coloro che si chiedono così poco e che quindi l’ottengono sempre, sono solo non risposte al “…cosa c’è da perdere?” “…cosa c’è da vincere?”…Questo tanto per non girare attorno al classico problema del perché si scelga un metodo al posto di un altro… Con parole di logica (kata ton logon) e non solo d’appartenenza testimoniale…
Per ora la prima bozza del manifesto in fieri è quasi completata. Finita questa prima fase si potrà procedere ulteriormente su argomenti o capitoli affidati a coloro che vorranno e sapranno intervenire sulla base di una disponibilità cordiale e costruttiva. Ovviamente i primi “quattro quadri”, sottoscritti, della prima bozza, che diverranno nel libro-manifesto la Premessa al lavoro di susseguente specifica su argomenti dati, fornirà già penso a tutti i “richiesti” il senso serio di una possibilità di partecipazione, e la linea generale che il manifesto prenderà.
Quindi fino ad ora abbiamo sollecitato legittimamente una pura disponibilità di massima, basata sulla stima e sulla conoscenza delle carature personali dei primi quattro estensori. Il titolo ed il sottotitolo del manifesto invece sono già quasi definitivi, ad indicare, almeno sommariamente, la linea di possibile sviluppo. Quattro categorie: oggettività, partecipazione, destino, popolo. Le tre del sottotitolo sono specificative ma solo nell’ambito della prima trovano ragione ed evocazione. Non spetta a me qui dare risposta esauriente od esegesi raffinata, non spetta a me perché altrimenti il manifesto in fieri non sarebbe onestamente tale, ma noi veniamo appunto da storie personali che hanno necessariamente ed anche felicemente corpo ed anima.
per contatti:
Sandro Giovannini (giovannini.sandro@libero.it)
L’articolo che segue fa riferimento al progetto della Heliopolis edizioni di Sandro Giovannini, di produrre il Manifesto “Per una nuova oggettività – partecipazione al destino del popolo” in corso d’opera. Per ulteriori approfondimenti, leggere anche, qui su Il Fondo: “Heliopolis. Per un manifesto in fieri“, “Prolegomeni per un manifesto in divenire“, “La parola d’ordine è una sola: ripartire“.
(*Fondo Magazine La redazione)
(*Fondo Magazine La redazione)
VERSO IL MANIFESTO IN FIERI PER UNA NUOVA OGGETTIVITÀ
PARTECIPAZIONE AL DESTINO DEL POPOLO
Gli manca, per essere un vero capo,
la capacità di trasformare i suoi amici in cortigiani…
Non che questo sia facile, comunque… ci vuole necessariamente del genio… ma quel soggetto primeggiante è plurimo, oltrech’essere possibilmente indeterminato. Non sempre solo una persona od un gruppo di volontà. Ci serve però l’esergo per comprendere che qui, invece, si vorrebbe agire in uno stile diverso dai tycons, dai perbenisti frenatori, o dai maldestri del senso dell’élite. Non si vuole arrivare, “senza guardare in faccia nessuno”, né ottenere lo scopo, “ad ogni costo”. – anche se non si fa beneficenza e quindi non si può essere ipocriti. Qui semmai si può produrre un’opera inutile, sospesa ad un’oggettiva intuizione della libertà e della responsabilità… una sorta di proposta modest, come poteva essere quella swiftiana, affinché non possano “gli animali degenerare in uomini“.la capacità di trasformare i suoi amici in cortigiani…
La letteratura, la filosofia possono solo offrire lampi d’illuminazione, salvare dall’oblio frammenti di realtà, impossessandosi semplicemente del sapere, da dati morti a vissuti esperiti e trasformati, per trasmissione diretta… potremmo dire, quasi paradossalmente, orale. Realtà che è oggettiva, anche se macerie e rovine, alternative a noi ed a se medesime, e le utopistiche nuove forme urbane, ove si cerca di far emergere disperatamente un disegno con lo strisciante prurito delle possibilità, ed ove il presente si vorrebbe migliore mentre il futuro si teme peggiorato ed ove ogni più cupa disperazione è curata dalla vitale ed eterna fede in una possibile reintegrazione, le cogliamo solo con il taglio soggettivo.
Certo le confezioni di plastica del passato-presente-futuro ormai non si sopportano più… Perché noi tutti veniamo da una storia profonda di clinamen e di nichilismo, e non possiamo esorcizzare niente se non mettendo in gioco la nostra semplice storia personale, di molti che si sono avvicinati, per strade a volte diverse ed a volte persino divergenti, a questo appuntamento, ancora del tutto fragile ed incertamente determinato, ma suggestivamente crismato. E le nostre storie personali – come mi ha fatto notare recentemente e saggiamente un amico, tra rammemorazione e richiamo – sono già una garanzia di percorso. Lo spero, lo credo anch’io, anche se sono costantemente allarmato dalla dura difficoltà di dover rispondere – e mi sento sovente inadeguato – alla pandemonia omologatrice ed autofaga dell’homo oeconomicus, all’orgia di bruttezza da cui si viene avvolti. Lo stesso terrore della massa dei parlanti a vuoto, l’isolamento come generatore puro d’energia, il sentimento patriottico come amore di una comunità carnale e potenziale, questi sono i presupposti che non dovrebbero mai venir meno. E come ha detto lo stesso caro amico «…tra periodi di elevazione e periodi di assestamento delle culture, tra periodi di differenziazione e periodi di ricompattamento delle coscienze, all’esperienza civilizzazionale degli uomini non è mai dato avere la meglio, una volta per tutte, sull’aspetto mitico, fantastico e immaginifico della vita. Mito e filosofia non rappresentano due momenti successivi nel processo evolutivo del pensiero umano. Essi sono due categorie della civiltà dell’uomo in ogni tempo. Sono due costanti della natura umana e della spinta conoscitiva che la caratterizza, durante tutte le epoche conosciute. Come corpo e anima, ritualità e iniziazione, il mito e la filosofia diventano la regola nella convivenza di popoli e società, e appartengono al narrato psicologico e sociologico della nostra generazione, al pari di tutte quelle che ci hanno preceduto».
Per questo abbiamo fino ad ora solo sfiorato il modo di intenderci, con anima leggera, prudente, artificiosa. Se è vero come diceva Isidoro di Siviglia che «quando leggiamo, Dio parla con noi…» abbiamo realizzato che solo con un’estrema attenzione unita ad una ferma determinazione avremmo potuto procedere, anche solo nell’indicare un percorso possibile.
L’impresa è troppo seria per squillanti proclami, che possono essere facilmente sommersi dall’indifferenza, dallo scetticismo, dal ridicolo o dall’omologazione, tutti variamente mixati e diretti. Per questo accettiamo, del modello comunitarista – se non altro al minimo – tutto ciò che fornisce all’individuo la maschera di difesa necessaria a salvare dal prostrato frazionamento indispensabile al capitale mondialista ed a rimetterci a quella koinè che contrasta, nell’altro versante, i grotteschi snob dello yuppismo carrierista e gli pseudoindividualisti in banda, in squadra, od in gruppo… al modo che irrideva Borges… Anche perché poi le parole: perdente, vincente (le eikones delle cose solo visibili e non intelligibili-svelabili), icone di coloro che si chiedono così poco e che quindi l’ottengono sempre, sono solo non risposte al “…cosa c’è da perdere?” “…cosa c’è da vincere?”…Questo tanto per non girare attorno al classico problema del perché si scelga un metodo al posto di un altro… Con parole di logica (kata ton logon) e non solo d’appartenenza testimoniale…
Per ora la prima bozza del manifesto in fieri è quasi completata. Finita questa prima fase si potrà procedere ulteriormente su argomenti o capitoli affidati a coloro che vorranno e sapranno intervenire sulla base di una disponibilità cordiale e costruttiva. Ovviamente i primi “quattro quadri”, sottoscritti, della prima bozza, che diverranno nel libro-manifesto la Premessa al lavoro di susseguente specifica su argomenti dati, fornirà già penso a tutti i “richiesti” il senso serio di una possibilità di partecipazione, e la linea generale che il manifesto prenderà.
Quindi fino ad ora abbiamo sollecitato legittimamente una pura disponibilità di massima, basata sulla stima e sulla conoscenza delle carature personali dei primi quattro estensori. Il titolo ed il sottotitolo del manifesto invece sono già quasi definitivi, ad indicare, almeno sommariamente, la linea di possibile sviluppo. Quattro categorie: oggettività, partecipazione, destino, popolo. Le tre del sottotitolo sono specificative ma solo nell’ambito della prima trovano ragione ed evocazione. Non spetta a me qui dare risposta esauriente od esegesi raffinata, non spetta a me perché altrimenti il manifesto in fieri non sarebbe onestamente tale, ma noi veniamo appunto da storie personali che hanno necessariamente ed anche felicemente corpo ed anima.
per contatti:
Sandro Giovannini (giovannini.sandro@libero.it)
venerdì 13 maggio 2011
“Per una nuova oggettività. Partecipazione al destino del popolo”
Manifesto in fieri:
“Per una nuova oggettività Partecipazione al destino del popolo”
“…ERGO DIIS PATRIIS, DIIS INDIGETIBVS PACEM ROGAMVS. AEQVVM EST, QVIDQVID OMNES COLVNT, VNVM PVTARI.
EADEM SPECTAMVS ASTRA, COMMVNE CAELVM EST, IDEM NOS MVNDVS INVOLVIT:
QVID INTEREST, QVA QVISQVE PRVDENTIA VERVM REQVIRAT?
VNO ITINERE NON POTEST PERVENIRI AD TAM GRANDE SECRETVM. SED HAEC OTIOSORVM DISPTATIO EST;
NVNC PRECES NON CERTAMINA OFFERIMVS…”
Il nostro Libro-manifesto in fieri si strutturerà in una Prima Parte con Introduzione e di seguito Premessa, articolata in “quattro quadri” (Bonvecchio, Lami, Sessa, Sutti), in una Seconda Parte articolata in Argomenti con tutti i contributi a responsabilità diretta dei partecipanti, in una Terza Parte,od Appendice, contenente una Postfazione a chiarimento della titolazione complessiva del manifesto, più un elenco di tutti i partecipanti e dei sottoscrittori con note biobibliografiche dei partecipanti, più un CD musicale il cui autore è il Maestro Mario Mariani, più un foglione-manifesto allegato il cui responsabile finale ideativo e grafico è Sandro Giovannini.
Il nostro manifesto vuole accogliere, in modo ripetuto e convinto, entro il suo alveo, diverse interpretazioni delle verità credute valide da ognuno dei partecipanti o sottoscrittori ma che, esplicitamente e senza equivoci, intende, nella ineliminabile differenza esplicitata ed in quella recepita, essere d’accordo su alcune linee di azione culturale e civile di massima, onde poter reagire alla montante disgregazione comunitaria, alla volgarità consumistica, alla rapina del destino ed alla espropriazione dell’identità popolare. Ognuno dei partecipanti è ricco di una storia personale e comunitaria non azzerabile e non riducibile ad un unico mcm, ma tutti auspichiamo ancora un MCD, al di là di alcune differenze nelle linee interpretative atte a raggiungerlo, che possa indicare con accettabile unitarietà, i pericoli maggiori che devono essere necessariamente affrontati credendo fermamente al superamento definitivo (e non solo verbale, anche se per quanto a noi attiene ed è nelle nostre umane possibilità) della contrapposizione destra-sinistra. Ciò anche nella logica di una visione del mondo spiritualmente orientata,ove per noi sono primari: la scelta olista, comunitarista, partecipativa, differenzialista, anticapitalista ed antiglobalista, la convinzione che sia improcrastinabile ricercare l’esistente vero nel rispetto altrettanto vero del nostro passato. Non crediamo che tali scelte possano oggi reputarsi minimali, ma anzi massimali, perché individuano le vere afflizioni ed i veri rimedi, e quindi possono saggiamente e nobilmente mettere in secondo piano differenze di etichettature e far venire in primo piano desiderio di unità e di riscatto.
Ancor meno ci interessano - ribadiamo - le diatribe di fondo partitico che si giocano in un tessuto sociale pericolosamente distorto e stressato dalle logiche materialistiche, consumistiche ed eterodirette, e qualsiasi sia la legittima storia di provenienza di ciascuno ed il legittimo afflato di posizionamento individuale o di gruppo ora ricerchiamo una convergenza più ampia, più ariosa, meno causidica e più realizzativa, ma inattenuata per identità sui valori primari sopra indicati e atti a rifondare la nostra operatività.
Tale operatività si muove da una attenta lettura dei primi “quattro quadri” che formano la Premessa. Dalla storia della liberazione e della conseguente nuova oggettività in uno spirito di azione filosofica e di coscienza cosmica per una rifondazione della fiducia nelle possibilità di un uomo libero dalle illusioni monoveritative e rinnovato nella coscienza e nel cuore di Lami, alla palingenesi microstorica contro la democrazia del pubblico ultimo avatar della forma-capitale, contro la visione monocausale e per la valorizzazione delle diversità in una presa d’atto cosmica di tipo sia geofilosofico che psicologicoarchetipico che esteticopolitico e per una partecipazione vera del popolo al proprio destino di Sessa, alla vita nella Tradizione per un nuovo universalismo guidato da un mundus imaginalis in una comunità reale abitata da uomini capaci d’opporsi con rigore alle contrapposizioni artificiali e maestri del nuovo di Bonvecchio, alla vita contro la sopravvivenza, la lotta contro la concorrenza, la potenza contro il potere per una sovranità rivoluzionaria e portatrice di storia nella partecipazione all’evoluzione autodiretta e destinale di Vaj, crediamo che siano stati forniti i termini essenziali del nostro processo ideale. La risultante si articola già nell’ulteriore svolgimento degli Argomenti e sicuramente avrà una sua ulteriore trasparenza con la terza parte od Appendice.
“…Detto questo, riteniamo che trovare aggregazioni su queste tematiche non sia solo doveroso, ma possibile. Per la qual cosa, sarà necessario coordinare le iniziative, partendo da ciò che esiste. Dai movimenti, dai circoli, dai centri sociali, dalle scuole di pensiero, dai gruppi formatisi intorno alle riviste, da tutti coloro che, anche negli ultimi anni, sono stati in qualche modo presenti e hanno sviluppato un proprio progetto. Insomma, attraverso la creazione di un coordinamento, si dovrà trasformare ciò che fino ad oggi ha vissuto come isola, in arcipelago, all’interno del quale le isole non solo siano poste in grado di comunicare tra loro, ma si rendano visibili e aperte all’esterno…”
Un saluto cordiale a tutti,
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