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mercoledì 7 dicembre 2016

La nobiltà è un destino oltre alle eredità e alla tradizione e si racconta - di Pierfranco Bruni

 
  di Pierfranco Bruni



La nobiltà è un destino oltre alle eredità e alla tradizione e si racconta

 


Perché scavare nella storia delle famiglie? Perché scavare in un vissuto di tradizioni che tracciano destini?  La borghesia del Novecento ha scavato un solco che ha separato la nobiltà e le aristocrazie dalla società. I tre romanzi che maggiormente raccontano questo percorso sono  "I Buddenbrook" di Thomas Mann, il viaggio di Leonida Repaci nel quale si racconta la famiglia dei Rupe e magnificamente "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

"Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra", così Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ma oggi siamo in una variante nel tempo della notte.  

Siamo in una variante della decadenza che ha caratterizzato tutto il Novecento in una dimensione sia spirituale(ovvero ontologica e metafisica) sia esistenziale che ha riguardato i popoli e le civiltà in termini anche antropologici. Ai romanzi volontariamente aggiungo il mio e di Micol Bruni "Cinque fratelli. I Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà" (Pellegrini), con Video realizzato da Anna Montella, visibile  su: https://www.youtube.com/watch?v=IiGEJhkTxHI.
www.youtube.com
Trailer di presentazione di "CINQUE FRATELLI i Bruni Gaudinieri nel vissuto di una nobiltà" - Un libro di Micol e Pierfranco Bruni edito da Pellegrini Editor...

 La variante, dunque, è distante dalla concezione di una crisi valoriale intorno alla quale si è costruito in questi anni un pensiero debole. Troppo semplicistico affermare che siamo stati attraversati e tuttora ci attraversa una caduta di valori. Cosa sono i valori in termini di identitari è difficile poterlo sottolineare.

I valori di quarant'anni fa sono gli stessi di quelli di oggi? A cominciare dai concetti di famiglia e di tradizione. Non ci si può basare sui valori nel momento in cui si ha la consapevolezza che viviamo di transizioni e dentro questo modello sociologico di transizione entrano anche i concetti citati.

Credo, invece, che bisogna ritrovare l'orizzonte di una idea forte di eredità, di identità e di appartenenza. In un tempo di valori cangianti, come sono le temperie, bisogna proporre una fedeltà. La fedeltà delle origini. Ed è qui che la "geografia" della nobiltà è uno scavo nella coscienza, come quella della aristocrazia e della cavalleria che è dentro il destino delle individualità delle famiglie.




Una ulteriore variante della sociologia dei valori che si vogliono condivisi. Non esistono valori condivisi perché non può esistere una "collettività" partecipante e omologante tranne se non si ritorna ad insistere su un termine antiestetico che è quello della società di massa. Credo che è nel proporre la visione della propria identità che il viaggio degli uomini può avere un senso. La nobiltà non si inventa come non si inventa l'aristocrazia. La borghesia si costruisce e parla, appunto, di valori da enucleare nel dire della condivisione e della inclusività.

Io non mi sento partecipe delle condivisioni in questa leggerezza di tempo e tanto meno sostengo che bisogna essere inclusivi. L'individualità è una nuova energia che diventa la vera resistenza contro il brutto, l'irato, il massificato. La bellezza non è nell'insieme che non significa nulla, ovvero massa, ma è nel custodire quell'amore verso l'essere che è individuo, uomo, persona con una sua antropologia di ereditarismi di significati e significanti.

Bisognerebbe riscoprire i titoli nobiliari in una società, appunto, della consumazione della transizione. Questo significherebbe dare senso al rispetto della storia e alla cifra che la storia ha decodificato all'interno dei vissuti. Ma la nobiltà non è soltanto nelle azioni.

È nel non confondersi. Sosteneva Friedrich Nietzsche:

 "Che cos'è nobile? Che cosa significa ancora, per noi oggi, la parola «nobile»? In che cosa si rivela, da che cosa si riconosce, sotto questo cielo pesante e coperto dell'incipiente dominio della plebe, per il quale tutto diviene opaco e plumbeo, l'uomo nobile? Non sono le azioni a dimostrarlo – le azioni sono sempre ambigue, sempre insondabili – non sono neanche le «opere». Tra gli artisti e i dotti se ne trovano oggi non pochi che, attraverso le loro opere, rivelano di essere spinti da profondo desiderio verso ciò che è nobile; ma proprio questo bisogno di ciò che è nobile è radicalmente diverso dai bisogni dell'anima nobile stessa, è addirittura un segno eloquente e pericoloso della sua mancanza. Non sono le opere, è la fede che decide qui, che stabilisce qui la gerarchia, per riprendere un'antica formula religiosa in un senso nuovo e più profondo: una qualche certezza di fondo che un'anima nobile ha su se stessa, qualcosa che non si può cercare né trovare e forse nemmeno perdere. L'anima nobile ha un profondo rispetto di sé".






Il rispetto di sé!. Mi pare proprio ciò che in questa agonia è venuto meno. Ma nelle epoche abusate dalle democrazie non si ha più Rispetto perché si ritiene di adagiarsi su un egualitarismo che non può esistere.

Diceva bene Gabriele D'Annunzio:

"Sotto il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente, va anche a poco a poco scomparendo quella special classe di antica nobiltà italica, in cui era tenuta viva di generazione in generazione una certa tradizion familiare d'eletta cultura, d'eleganza e di arte".

Il "diluvio democratico" moderno ha portato anche alla sconfitta dell'umanesimo della persona. È il rischio di un disfacimento e va oltre.  Quando il buio diventa diluvio occorre ritornare alle aristocrazie e alle nobiltà. Bisogna avere il coraggio di non smarrire il senso delle Tradizioni e della Tradizione. Soltanto recuperando l'identità della tradizione è possibile capire i destini e la storia, come, appunto, nel racconto dei Gaudinieri imparentati con i Bruni nella geografia fisica e umana del Regno di Napoli.  




venerdì 6 maggio 2016

Da Ariosto, a 500 anni dal suo “Orlando”, a un poeta sconosciuto come Teodoro Fiordiluna le donne e i cavalieri, le armi e gli amori *di Pierfranco Bruni




  Da Ariosto, a 500 anni dal suo "Orlando",
a un poeta sconosciuto come Teodoro Fiordiluna
le donne e i cavalieri, le armi e gli amori       

di Pierfranco Bruni
 

Tra il Rinascimento e il Barocco si sviluppa un "fare" poesia che è contornato da un modello in cui la leggenda, il raccontare tra "le donne, i cavallier, l'arme, gli amori…" prende un deciso soppravvento. Una tradizione che trova negli incisi medioevali una dimensione onirica e di gesta che è abbastanza rilevante, e che attraversa, inevitabilmente, la stagione dell'Umanesimo per farsi voce, proprio nei processi poetici affabulistici rinascimentali e seicenteschi.
Le presenze dei rimandi mediterranei sono tasselli simbolici forti e si intagliano in un incontro tra cultura d'Oriente e modelli occidentali di scavo latino. Meglio sarebbe dire un incontro che è scontro di culture e di civiltà tra il mondo cristiano e gli infedeli, qui per infedeli si legge musulmani.
Si pensi a Ludovico Ariosto e alla trama e interpretazione del suo "Orlando furioso", la cui prima edizione risale al 1516, proprio cinquecento anni fa, composta da quaranta canti (verranno pubblicati postumi altri "Cinque canti").
Oltre ad Ariosto, sulla linea che sto tracciando, insistono chiaramente sia l "Orlando innamorato" che la "Gerusalemme liberata", il cui centro scenico è sempre la corte degli Estensi.
Ma il dato letterario e culturale più ampio è la visione delle sfaccettature di due mondi quali sono quello Cristiano e quello Musulmano, ben definiti come Occidente ed Oriente. Definizione che nel corso dei secoli non può più ritenersi così rigida. Comunque, costituiscono, questi tre poemi, una vera e propria scuola di pensiero, oltre che una scuola poetica e letteraria.
Una scuola che troverà nel Cervantes un punto di riferimento che è una appartenenza onirica certamente, ma è anche una eredità, in cui poesia e follia sono collegamento estremo che giungerà ad una forma di teatralizzazione, la cui sintesi verrà  incarnata da Luigi Pirandello.
Infatti è Pirandello, il Pirandello mediterraneo e siciliano di Girgenti, che porterà sulla scena le due culture, grazie agli archetipi della recita e dei pupi che diventeranno personaggi tra linguaggio e carattere.
A questo vissuto, che parte proprio dal Rinascimento e si definisce nel Barocco per inglobarsi nella contemporaneità pirandelliana, appartiene un poeta, completamente sconosciuto, che risponde al nome di Teodoro Fiordiluna, di cui si sa nulla. Un poeta nato nel napoletano, ma vissuto probabilmente non a Napoli, appartenente al  XVII secolo, come ho riscontrato da alcune ricerche.
Ci sono alcuni versi che fanno esplicito specchio alla poesia di Ludovico Ariosto e sembrano, i versi, condensare il tutto del raccontar leggenda dell'Orlando. Si legge in una sua poesia dal titolo: "Amoreggiar e armeggiar" un viaggiare che ci conduce immediatamente all'Orlando.

Così:

"Ad amoreggiar non fu lungo il tempo
se le parole tue abbiano in me lasciato lo scorticar del dolore
sul viaggiar delle miserie umane che a nobilitate sorte non fu.

Angelica non dea ma novella amante di Medoro
che mai fuggì
e speranza volle a disdegnar Orlando
che furioso d'amor folle
giunse a respirar lune e ciel.

Temporal di mare e cristiani
e saraceni
di sangue dipinsero acque
mai chete
nella leggenda
che non fu d'Oriente
magia non assopita.

Orlando combatter di pugna
in terra sacra non poté
per vincitor che non fu d'amor perso
e luce Angelica portò
sino a fuggir
con l'amante suo
sul sogno che si avverò.

Amoreggiar e armeggiar
ma di cuore e di bocca
Angelica e Medoro
si unirono".

In effetti questi versi ripropongono il canto già conosciuto. Ciò che incuriosisce, e pone degli interrogativi letterari, è la perfezione del verso, lo stile e anche l'eleganza che assume una peculiare importanza e fa comprendere come Teodoro Fiordiluna conoscesse molto bene non solo Ariosto, ma tutta la temperie contestualizza nella poetica "cavalleresca".
È chiaro che si tratta di una realtà poetica straordinaria e significativa sia sul piano semantico che su quello strettamente estetico – metaforico. Un percorso da riconsiderare su tre prospettive: 1. Letterario. 2. Storico. 3. Religioso.
Infatti, Ariosto pone la sua opera intorno a questo triangolo che è rappresentato da una lingua che esce dalla "zona" medievaleggiante, da una traducibilità che va dalla letteratura ai fatti politici, da una inequivocabile rapporto tra teologia e filosofia.
Gli amori sono intrecci che abitano un tale ambiente. Teodoro Fiordiluna va subito al nodo della questione. Amoreggiare e armeggiare. Due concetti che sono l'anima sia di Ariosto, sia di Matteo Maria Boiardo sia di Tasso.
In Fiordiluna proprio l'incipit dell'Orlando è il segno implacabile di una familiarità con quel verseggiare. Infatti egli canta ciò che Ariosto scrisse: "l'audaci imprese io canto…".






lunedì 6 luglio 2015

Non siamo in crisi. Siamo nel dominio delle “chiese” che applicano la teologia del relativismo e si vive nel sabotaggio del pensiero forte di Pierfranco Bruni




di Pierfranco Bruni (*scrittore, direttore archeologo, del MIBACT)


I "gattopardi" non hanno smesso di vivere la metafora della incoerenza, anche se è il termine meno esatto per definire il trasformismo e il doppio saltismo, soprattutto in un tempo di "miserabili". Le finestre che si affacciano sui davanzali della cronaca hanno il colore non solo dell'inefficacia ma anche dell'ignoranza.
Siamo infarciti di relativismo di fragilità e di leggerezza.
D'altronde il sistema di valori di un contesto banalizzato come quello che ci tocca vivere ha una griglia di insostenibilità. La leggerezza è un "valore" e resta tale sino a quando non riusciremo a fare una distinzione forte su ciò che è valore e su ciò che dovremmo indicare come disvalore. Ma siamo oltre la filosofia francofortiana.
Non si tratta di determinare nuovi modelli di una struttura del pensiero o del senso della morale. Piuttosto di una filosofia che è diventata ingombrante e sottile che è quella del relativismo.

Il relativismo è la contrapposizione del certo e dell'assoluto. Ma quando una visione della vita tradizionale (e la tradizione è il cardine fondamentale dell'innovazione intesa con l'intelligenza dell'essenziale: da Guenon a Zambrano, da Seneca ad Agostino, da Paolo a Benedetto XVI) viene ad essere emarginata persino dal mondo cattolico significa che non solo il trasformismo è entrato nei gangli del senso di una esistenza del tempo, ma si sono offuscate le coscienze, perché le conoscenze del vissuto sono venute meno e le ombre sovrastano e dominano.
Viviamo dentro le strategie delle "chiese". Ovvero la teologia della liberazione, o ciò che una volta veniva indicata come tale, ha preso il sopravvento. Lo ha preso definendo modelli e riferimenti. Non ci sono più due realtà: quella cattolica e quella laica. Il "laicismo" è dentro il mondo cattolico e il cattolicesimo del progresso è dentro la pseudo realtà del laicismo. Sono due termini forti. Anzi erano due termini robusti. Oggi, entrambi, sono nel relativo del quotidiano.
Non dobbiamo meravigliarci di ciò che accade lungo i nostri passi.
Io appartengo ad una cultura della Tradizione che riesce ad essere Rivoluzione e non potrò mai accogliere questo nostro tempo della vuota sregolatezza che ha ucciso l'estetica, la bellezza, l'anima.

Questo nostro tempo ha ucciso l'anima. Questa interazione tra cattolico e laicista vive dentro ciò che abbiamo definito, decenni fa, turbo economia. L'economia guida anche i valori dell'anima e della testimonianza nella spiritualità. Quindi l'anima non è più una metafisica, secondo questa visione, ma un sistema di concetti.
È chiaro che io sono distante da queste accoppiate. Non mi hanno convinto all'età dei miei vent'anni, nonostante il mio rivoluzionario orizzonte della vita, e non sono accettabili oggi che vivo la rivoluzione della tradizione.
La teologia della liberazione invade il pianeta. Come è possibile affrontare la questione islamica in Occidente con gli strumenti della teologia della liberazione? Tale teologia la si applica anche nei processi economici. Ci si preoccupa della crisi europea non guardando lo scavo che penetra il silenzio della saggezza. Ed è come le civiltà siano passate inosservate lungo il nostro cammino.
Si è dentro il cono delle ombre che ha offuscato le consapevolezze del sacro e la confutazione liberale volteriana. Non siamo in crisi. La crisi non è un fatto negativo, anzi la crisi ci pone in discussione. Siamo altro rispetto alla crisi in una agonia estremizzata dove mancano i respiri e i sospiri.
Cosa fare? Avere il coraggio di essere pesanti nel pensiero e di non accettare il conformismo. Ma il conformismo paga ed ha il suo libro paga. Il pensiero pesante è una "malattia mortale", ma proprio in questa malattia si nascondono la grazia, la fortezza, il miracoloso e rivelante venerdì di Passione.
Bisogna, come sempre, fare delle scelte. Questo nostro tempo le scelte le ha fatte. Mette insieme ciò che pensa siano i "valori" cattolici e ciò che si riferisce alla laicità nel processo progressista del laicismo in una teoria teologica che è però Precipizio.
Gli eretici di entrambi le scuole di "ginnastica" (già, si vive sempre tra amore e ginnastica non solo in camera da letto, avrebbe detto il "Cuore" di Edmondo) sono oltre e sono scomodi. Io non mi preoccupo, resto fuori dal coro, ma, come gli sciamani mi hanno insegnato, cercando ogni giorno l'impeccabilità.
Osservo. E mi domando. L'economia e la religione sono una prassi: da qualsiasi angolo possano giungere. L'economia ha bisogno del perdono apparente e la religione ha bisogno dell'economia per sopravvivere (potrei usare il plurale, ma non mi ha mai convinto il "plurale" perché sono stato e sono un sostenitore dell'Uno nel tutto in una filosofia dell'Essere).
In questo nostro tempo, cosiddetto moderno, che va da Hugo a Kundera, ovvero dai Miserabili alla Insostenibile leggerezza… occorre avere coraggio… purtroppo don Abbondio domina lo scenario…
Dalla teologia della liberazione siamo nella piazza, non virtuale, della teologia del relativismo! Si è applicata la teoria del sabotaggio del pensiero forte.