sabato 7 marzo 2015

Roby Guerra, il book trailer per Marinetti 70




Per il recente Marinetti 70. Sintesi della critica futurista, a c. di Antonio Saccoccio e del futurista ferrarese Roby Guerra (Armando editore, Roma-nel volume autori quali Giordano Bruno Guerri, Enrico Crispolti, Giovanni Antonucci, Gunther Berghaus, Simona Cigliana, Luigi Tallarico, Francesca Barbi Marinetti stessa, nipote del fondatore del futurismo e critica d'arte e altri) ecco il primo promo video. L'ha realizzato lo stesso Guerra, nato artisticamente come poeta, on  line da oggi:  ovvero una video-computer-poesia  elettronica, sound dello stesso Giorgio Felloni e un tributo alla musica del big bang di M. Whittle. Marinetti 70.. libro dedicato al 70° anniversario della scomparsa di Marinetti (1944-2014) è già stato presentato a Roma (edieuropa gallery) lo scorso 8 febbraio e sarà replicato (presenti i curatori Saccoccio e Guerra)  il 31 prossimo sempre nella capitale,  a cura (e nella sede) del Sindacato Libero Scrittori, Italiani curato  tra altri dallo stesso Luigi Tallarico. Clip link canale futurguerra YouTube
http://youtu.be/-KIW8gG-L1o



Futurismo, espressione del genio italiano: dopo il Guggenheim Museum....

 Casalino Pierluigi
A differenza di Jules Verne che aveva individuato nell'America la base di lancio dell'avventura futurista, Marinetti non fu mai attratto da quella civiltà di metropoli e di conquiste. Solo artisti come Depero e Leone Castelli colsero il messaggio fecondo di quella terra dove si stava progressivamente trasferendo il testimone della creatività. Fu comunque la stessa America a scoprire tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni Cinquanta l'idea futurista, anche a causa dell'ostracismo decretato dalla critica ufficiale italiana all'arte futurista, colpevole agli occhi postbellici di connivenze con il passato regime fascista. Le opere del futurismo italiano finirono così oltre Atlantico: nelle case e in particolare nei musei a stelle e strisce si andarono a collocare i capolavori di Boccioni, Carrà, Balla e Severini in esodo dal Bel Paese, vittima dei ricorrenti e grotteschi conformismi e trasformismi della sua storia. Il Solomon R. Guggenheim Museum, invece, per una curiosa coincidenza, prendeva corpo a New York proprio in quel 1944 in cui si stava esaurendo la parabola del Futurismo italiano con la morte del suo fondatore Marinetti. In questi giorni quella fortunata istituzione rende omaggio all'avanguardia italiana, prendendo in considerazione l'intero periodo del movimento (1909-1944) e tutto il suo raggio d'azione dalle arti all'architettura, alla letteratura, al teatro, alla moda, al design, alla grafica, alla cucina. "Italian Futurism (1909.1944): Reconstructing the Universe" è il titolo appunto della manifestazione del 2014 avuto  al Guggenheim e che ha il merito di proporre una rassegna articolata ed inedita su quello che fu il fenomeno dell'invenzione della modernità in Italia, fino agli esiti estremi dell'aeropittura di Tullio Crali, che ancora ai giorni nostri rivelano una vitalità impressionante. La curatrice dell'evento, Vivian Green, sottolineando l'importanza della mostra, ha definito l''Italia una nazione di grandi innovatori, rifacendosi, nel complesso, al patrimonio di idee e di scoperte del genio di questo Paese: il Futurismo, quindi, rappresenta una pietra miliare nel percorso affascinante dell'italianità nel mondo.
  27.02.2015

Il ritorno di Marinetti secondo Jeffrey T. Schnapp



Casalino Pierluigi - Il compito di rendere accessibile e di chiara lettura la produzione  teatrale di Filippo Tommaso Marinetti al pubblico di oggi non è mai facile come non facile è, del resto, la personalità del suo autore. Esistono tuttavia edizioni moderne dell"opera teatrale di Marinetti in grado di comunicarne il messaggio nel modo più adeguato e all"altezza alla cifra creativa del fondatore del Futurismo, oltre che in sintonia con i tempi. Tra queste quella assai felice, Marinetti, Filippo Tommaso curata una decina di anni fa da Mondadori da Jeffrey T. Schnapp. La complessità inquieta di Marinetti emerge tutta dai lavori teatrali e ne trasmette anche aspetti di straordinaria intuizione storica. Non è certo una parte da sottovalutare nell"eredita del futurismo. E ciò perchè vedeva la luce in un"epoca che si stava aprendo alle grandi comunicazioni di massa. E se per Marinetti la natura e la funzione della tecnologia  sono le stesse dell"arte, i media in evoluzione corrispondono nel suo pensiero ad un mix di invenzione e di innovazione che coniuga conoscenza scientifica e poesia secondo un modello dialettico e costruttivo nella contraddizione che è alla base della nuova umanità.  E proprio per questo che la teatralità diventa in Marinetti concorrente alle altre forme della rappresentazione ad essa rivali. Il pubblico specificamente marinettiano, che si era dissolto al termine della seconda guerra mondiale, sembra ricompattarsi intorno all"idea di un autore che sta recuperando importanza alla luce della rivoluzione informatica e del prevalere della rete.
 4.02. 2015  

Appello per Dante Virgili, scrittore e profeta

Segnaliamo  - autore Gerardo De Stefano, noto scrittore sperimentale, un appello per salvare le spoglie del grande scrittore  contemporaneo del Novecento Dante Virgili...
*da IL PRIMATO NAZIONALE  ESTRATTO

Dante Virgili: le ossa inquiete di un profeta di distruzione

...La scarna biografia di Dante Virgili, nome che potrebbe sembrare uno pseudonimo, si ferma alle poche notizie inerenti alla sua nascita, avvenuta a Bologna il 21 marzo del 1928 e alla sua morte, a Milano, nell'agosto del 1992. Poco conosciuto ai più già in vita – se non nell'ambiente editoriale come autore di libri per ragazzi e western pubblicati con altri nomi (meno surreali di quello vero) – in morte è praticamente caduto nel disinteresse più totale. L'unica scintilla d'attenzione si accese intorno al clamore che suscitarono, nel decennio scorso, le ripubblicazioni dei suoi romanzi.La Distruzione. Scritto come una sorta di autobiografia onirica, con una scrittura decisamente sperimentale, il romanzo è un flusso di coscienza senza punteggiatura, composto da tagli bruschi, infarcito di plurilinguismo, citazioni varie e autentici articoli di giornale, rimanda alle tecniche stilistiche di William Burroughs, come il cut-up, e a tematiche legate alla critica sulla condizione dell'uomo contemporaneo, ricordando J. G. Ballard.
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....riesce ad anticipare profeticamente di oltre 30 anni l'attacco terroristico alle Twin Towers: (........)
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La sottoscrizione per evitare che i resti dello scrittore vengano gettati nell'ossario comune: 
http://www.gofundme.com/nxnsf8
Oppure Paypal: frundsberg@libero.it causale LA DISTRUZIONE






venerdì 6 marzo 2015

Giorgio Di Genova presenta Marisa Melli al Museo Crocetti di Roma: la mostra IN-VISIBILI

Redazione



Sabato 07 marzo 2015, alle ore 18,00, si inaugurerà a Roma, presso il Museo Crocetti, in via Cassia, n° 492, la mostra personale di pittura della professoressa Marisa Lelii, già docente di discipline pittoriche al Liceo Artistico di Teramo.
L'intervento inaugurale sarà tenuto dal professor Giorgio Di Genova*, noto critico d'arte di fama nazionale, autore della recensione critica del catalogo delle opere della pittrice Neretese, al quale seguirà un intervento musicale eseguito dal mezzosoprano Simona Iachini, accompagnata dal pianista Giordano Franceschini.
L'evento, che l'artista ha inteso non casualmente titolare "IN-VISIBILI", ha come suo tema centrale l'estrema crticità della condizione femminile e più in generale del genere umano, fagocitato dal mondo virtuale e al tempo stesso ingannevole che lo circonda, ma lascia tuttavia intravedere una volontà positiva di possibile, seppure difficile e faticosa rinascita.
La mostra resterà aperta dal 07 al 22 marzo 2015.

*Giorgio Di Genova, tra i principali storici d'arte italiani (e del futurismo in particolare)

Racconto surrealista "Il figliastro": di Laura Corsini


di Laura Corsini

 
Il figliastro

Partii da casa con le prime luci dell'alba, tanto il sonno se n'era andato già da un po' e camminare avrebbe aiutato il mio cuore a palpitare a ritmo, ad avere pazienza, a misurare spazio e tempo senza precorrere o bruciare. La città, raggiunta con un breve sfrecciar di treno, era un santo con l'alone rosa sui tetti, uno spettacolo mozzafiato, se si riusciva a non pensare che quel bel colore era donato da un miscuglio di gas venefici che brulicava sulle nostre teste di poveri esseri condannati a respirare. L'ufficio era in un palazzo antico; già l'ingresso, con la gradinata e il portone, metteva una gran soggezione e fuori c'era il silenzio.
“Sono arrivato per primo” pensai con una punta di soddisfazione mettendo in fila le tante cose che, in una lunga giornata che mi sarebbe rimasta, avrei potuto fare. Il corridoio semibuio sfociava in un piccolo atrio dove un usciere alla sua scrivania sonnecchiava, incassato nelle sue stesse spalle.
«Giorno...» gli feci timidamente, tanto piano che quello non aprì neppure un occhio in cambio. Ma non avevo bisogno di indicazioni, la porta bianca, un po' sbucciata, aveva un cartello scritto a mano e attaccato con le puntine che mi orientava, così la spinsi e in un attimo mi trovai in una gialla luce da neon mentre un brusio, un ronzare di voci che a tratti aumentava e diminuiva, senza una logica reale, occupava e saturava l'aria.
«Giorno» ripetei, ma nessuno si voltò. Non ero il primo, la lista delle cose da fare si doveva accorciare un po'. Pazienza. Erano circa trenta persone, sedute a semicerchio e in ordine sparso su seggiole di plastica azzurra, come a far la guardia a un'altra porta, a vetri smerigliati, e a indirizzare incrociando lì le varie attenzioni, seppur con finto disinteresse. Non appena, infatti, l'uscio si schiudeva leggermente come una bocca al suo sorriso, non v'erano terga che restassero appiccicate alla superficie su cui giacevano, ma si sollevavano di qualche centimetro, pronte a scattare all'occorrenza. Faceva capolino quella che doveva essere la segretaria, inespressiva, incolore, inodore, insapore e, con una voce che doveva far molta fatica a usare, pronunciava un nome che spulciava con una breve occhiata da una lista. Il nome corrispondeva a una persona che scattava all'attenti e si infilava nel misterioso antro della Sibilla che si richiudeva con gran fragore alle sue spalle.
«Chi è l'ultimo?» domandai come si fa all'ambulatorio, per prendere la fila.
«Sono io» esclamò un signore coi baffi che si era riadagiato comodo sul suo scranno.
«Ma tanto non vanno in fila, chiamano loro» intervenne una signora con un cagnolino annoiato in braccio.
«Sì, ma un po' ne tengono conto, della fila» precisò una vecchina che speravo non fosse diventata tanto grinzosa e rinsecchita ad aspettare il suo turno. Il brusio riprese. Intanto, dalla porta di ingresso, continuavano ad arrivare persone e i buchi-posti liberi diminuivano. Aspettavo e mi guardavo attorno. Non c'era nulla di interessante, le persone che mi circondavano erano ordinarie, anche se ciascuna di loro vantava, a parole, grandi glorie. Non gli avrei dato un euro, a quella specie di bancario là, invece aveva ottenuto vari premi e riconoscimenti che snocciolava in preciso ordine cronologico a ogni nuovo arrivato. La donna col cagnolino sembrava la perfetta casalinga, eppure sfoggiava sul petto una sorta di medaglia che scintillava donandole un raggio da Sacro Cuore. E il ragazzo senza un pelo sul mento? Appena diplomato alle medie? Ma no, aveva annosa esperienza da come diceva, cercando pateticamente di far la voce grossa.
Quando sarà il mio turno di cosa parlerò? Non ho nessun ornamento da parare... Vabbè si vedrà” e, in questi dubbi, aspettavo. Fortunatamente appartengo a quella generazione che ad aspettare è abituata. Sono nato con una gran fregola addosso, volevo tutto subito e senza indugi, mi scocciava pure stare cinque minuti con “Per Elisa” all'orecchio mentre il centralino mi passava l'ufficio. Poi, invece, a suon di attese, il mio animo si è tranquillizzato e ha fatto dell'indugio non più un mezzo ma un fine. Mentre si aspetta si possono comunque svolgere altre attività, ma quell'aver qualcosa da aspettare dà un senso a tutto, un più alto significato. Non importa se, poi, l'oggetto anelato non arriva mai. L'attesa ha avuto comunque il suo valore eticamente rilevante.
Dalla porta a vetri smerigliati ogni tanto sbucava il naso adunco della segretaria e il cliente, soddisfatto o meno, usciva. Un momento di suspense e poi la donna, sadica nel suo differirne la pronuncia, gettava là un altro nome e un cliente si alzava, si guardava attorno per cogliere negli sguardi il suo trionfo, e andava a prendere il suo compenso.
Cominciavo ad annoiarmi, così, lasciando girovagare lo sguardo, notai due o tre piante davvero tristi, con le foglie penzolanti e giallognole. “Poverine, chissà da quanto non bevono” pensai. Raggiunsi il bagno accompagnato dagli sguardi feroci di mezza platea che credeva che volessi infilarmi nell'ufficio senza essere convocato. Trovai una bottiglietta di plastica gettata a terra, la riempii e cominciai a prendermi cura dei poveri vegetali. Sentivo la loro gratitudine mentre succhiavano avidamente ogni molecola del liquido ed ero doppiamente contento: avevo fatto del bene a qualcuno e avevo impiegato un po' di tempo, circa due clienti. Vedendomi, mentre usciva per la solita incombenza, la segretaria mi fece il dito a uncino, segno che voleva che mi avvicinassi. Altri sguardi feroci.
«Vedo che si annoia» fece in un tono che voleva essere gentile, ma apparve alle mie orecchie sfibrate alquanto crudelmente indifferente.
«Beh, è un po' che aspetto e...» ma non mossi la sua pietà.
«Mi segua» tagliò corto. Si diresse verso una di quelle porticine segrete che si ritagliano nei muri gialli degli antichi palazzi. Si intravedeva solo una minuscola toppa scura, ma lei con decisione vi infilò una chiave, la girò ed entrammo. Mi trovai di fronte il bailamme più assoluto, comprensivo di scartoffie, faldoni con i laccetti aperti, fascicoli sbudellati, fogli di tutti i toni del giallo a tappezzare il pavimento.
«Questo è l'archivio» mi annunciò. Credevo che fosse uno scherzo di carnevale, ma era seria.
«Sa, non riusciamo mai a sistemarlo, qua siam pieni di lavoro. Se lei potesse veder di fare qualcosa... Tanto deve aspettare e quando sarà il suo turno verrò a chiamarla io.»
L'impresa era titanica, ma alzai le spalle e, rimasto solo, cominciai ad affastellare fogli, metterli in ordine alfabetico dentro le rispettive cartelle e queste in ordinata fila nei faldoni. Ogni faldone su uno scaffale. Man mano che procedevo davo anche una bella spolverata. Da lì i nomi pronunciati a voce alta mi arrivavano come eco lontane, ma avrei saputo riconoscere il mio. “Tra poco toccherà al signore coi baffi e poi ci sarò io” mi consolavo, e mi affrettavo perché mi sarebbe dispiaciuto, in tal caso, lasciare il lavoro a metà.
Finii proprio in tempo. L'archivio era un modello da seguire, ora, e lo ammirai soddisfatto nella sua riacquistata identità, ma solo un attimo perché, dalla porticina lasciata socchiusa, avevo visto entrare in ufficio il signore coi baffi.
Mi misi in piedi vicino alla porta come una guardia svizzera, ripetendo mentalmente quello che avrei dovuto dire, rapida ricontrollata dei documenti da esibire che avevo con me. Le lancette cadenzavano quei momenti infiniti, poi la segretaria sbucò dietro all'uomo baffuto che andava via, mi gettò un'occhiata interrogativa a cui risposi con un'espressione sicura da “tutto finito” e lei, tranquillizzata, esclamò un nome che mi fece battere il cuore solo per un secondo, perché non era il mio. La vecchina grinza mi sfiorò passando, con un lampo maligno nei suoi occhietti azzurri.
«Non seguono l'ordine» mi ribadì la signora col cane, mentre il suo raggio si depositava sulle orecchie della bestiola come una meche chiara. E il suo tono era fin troppo soddisfatto. Fu lei la prossima ad essere convocata e, transitando nei miei pressi, mi mise in braccio come un pacco il botolo che ringhiava come se gli si fosse acceso un motorino nella gola: «Me lo tenga, mentre sono impegnata. E magari perché non lo porta un po' nel balcone?» e con il mento mi indirizzò la porta-finestra che introduceva a una sorta di balconata spoglia e grigia. Portai il cucciolo a prendere aria e lo feci contento, finché la sua mammina venne a recuperarlo, di lì a dieci minuti. La segretaria la seguiva.
«Tocca a me?» azzardai ingenuamente.
«Non ancora, ci siamo quasi ma, mentre aspetta, così, lo dico per lei, per ingannar l'attesa, potrebbe dare una pulitina al bagno. Sa, la signora delle pulizie è in ferie questa settimana. Ne terremo conto, della sua gentilezza.»
Strano, non mi sentii umiliato dalla richiesta, piuttosto lusingato che un incarico così di fiducia, tanto delicato, fosse affidato proprio a me. Senza replicare entrai nello sgabuzzino, attesi che un corpulento cinquantenne ne emergesse inondando di violette l'aere e, munito di guanti di gomma e spugna abrasiva, ci diedi talmente bene che, in breve, quella specie di latrina maleodorante sembrò l'amena ritirata di una vecchia zitella. Avevo appena terminato quando le onde dell'etere mi portarono un suono amico: «Bianconi!».
Caspita! Sono io! Sfilai in un nanosecondo i guanti, mi lisciai i capelli davanti allo specchio ed ero già davanti alla porta a vetri dove entrai in collisione con una specie di satellite artificiale altro due metri e venti, uno Schwarzenegger che mi osservò come Terminator quando cercava con i suoi occhi cibernetici il nemico nella notte più nera.
«Bianconi sono io!» mi giustificai.
«Bianconi sono io!» mi fece eco quello con onde sonore più alte dei cavalloni dell'oceano.
«Bianconi è lui!» e la segretaria puntò il dito verso il guardaroba in giubbino di pelle, aggiungendo poi: «Io ho chiamato Italo Bianconi e lei è Mario Bianconi!».
Sospirai.
Seguirono per me altri lavoretti e altre persone che andavano e venivano. Le ore passavano e io ero sempre lì. Oramai non sollevavo neanche più il didietro di quei cinque centimetri quando attendevo l'esclamazione del nome dalla crudele bocca della segretaria. Piano piano mi rannicchiai sulla sedia, a guardare quella varia umanità che mi passava sotto il naso, che faceva le sue faccende e poi se ne andava. Oramai era sera ed eravamo rimasti solo io e un vecchio che masticava tabacco e lo sputava nel cestino, non sempre facendo canestro. Naturalmente fu chiamato e restai da solo nel più assoluto silenzio.
Dai, ci sei solo tu, ce l'hai quasi fatta. Se ti sbrighi riesci anche a prendere l'ultimo treno della sera ed essere a casa alle dieci e cinquanta. Manca poco... coraggio”.
Il vecchio e il suo odore acre uscirono infine dall'ufficio, dopo un tempo interminabile che mi fece friggere pensando a quel treno che dovevo prendere.
Dietro di lui c'era la segretaria, ma non aveva la solita divisa grigio asfalto. Portava il cappotto e la sciarpa. Chiuse a chiave la porta dietro di sé e, prima di uscire, mi salutò gentile: «Buona notte, Bianconi, a domani!».
La luce si spense e restai da solo lì, nella sala d'aspetto buia che diventava sempre più fredda, perché avevano spento anche la caldaia. Mi avvolsi nel mio cappotto di panno, sdraiato su due sedie accostate, senza aver toccato cibo per tutto il giorno, senza aver fatto ciò che avrei dovuto, ma con le ossa rotte per il tanto lavorare, per un attimo temendo che ci avrei trascorso il resto della vita, in quella sala d'aspetto; poi mi assopii non pensando più al treno, alla mia casa che era incredibilmente lontana, consolandomi un po' all'idea che l'indomani sarei stato il primo. Sognai tante facce, gente che mi voleva fare a pezzi per mangiarmi, occhi famelici e la segretaria che rideva sguaiatamente e mi frustava gridandomi: «Lavora, schiavo!».
Mi svegliai con un brusio noto. Le facce del sogno erano tutte lì, almeno una trentina, sedute a semicerchio nelle sedie di plastica. Non mi ero neanche accorto che fosse già arrivata tutta quella gente. Un altro giorno di attesa stava per incominciare.


Ferrara, intervista alla scrittrice Laura Corsini: Psiche nel Post Reale



(Laura Corsini intervista) a cura di Roby Guerra

D -  Diversi romanzi di carattere psicologico esistenziale, un postrealismo raffinato, esatto?
Ciao Roby, sì, hai colto nel segno. Esaminare la psiche umana mi ha sempre intrigato. Sarà perché di “matti” nella mia vita ne ho incontrati tanti. Mi piace sviscerare le patologie, anche quelle nascoste, che ammalano la nostra anima di uomini moderni; non a caso adoro Pirandello e Svevo, quella loro antesignana capacità di cogliere la miccia della follia anche in un soggetto apparentemente sano e la sanità in una personalità disturbata. Per quanto riguarda l’aggettivo “raffinato” ti ringrazio. Sono i miei studi i responsabili, a volte credo che sia una condanna esprimersi in maniera corretta nell’epoca della lingua sbrodolata e approssimativa, ma non posso fare altrimenti, non so scrivere in altro modo che non sia questo

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D-   Più nello specifico, una mini autobiografia, evntuali "modelli" d'ispirazione?
On c’è molto da dire su di me, non scriverei mai un libro su una persona come Laura Corsini, schiva, poco avventurosa, tranquilla e solitaria. Dalla vita assolutamente insipida. I modelli dei miei personaggi sono gli incontri quotidiani, gli ascolti che mi piace fare. Quando devo scrivere di un personaggio io cerco, tra la folla, uno con il suo stesso viso, i suoi gesti, la sua voce. Poi lo trovo e di nascosto lo esamino e scruto. Ho anche modelli letterari e cinematografici. Io amo molto il cinema e quando scrivo mi vedo già davanti il ciak e la scena. Le storie migliori si pescano per la strada.



D-   Recentemente, anche una vera e propria biografia per il "personaggio" Kitty Vinciguerra...
Collaborare con Kitty è stata un’esperienza gratificante. Anche se ho dovuto “piegare” la mia scrittura a una storia già esistente. Ma, come sappiamo, c’è differenza tra fabula e intreccio e Kitty è stata talmente generosa da lasciare a me tutta la costruzione del secondo, così che la storia, rielaborata, diventasse mia quanto sua. Chi sta leggendo Kitty ad ogni costo dice “credevo che il libro sarebbe stato noioso come tante biografie di personaggi famosi. Invece è avvincente, è un romanzo”. Certo, l’intento di uno scrittore è coinvolgere, non lasciare mai il laccio che tiene il lettore legato al suo libro, o lo perderà. Avvincere e appassionare è la mia maggiore ambizione. Poi, se la storia è bella, ci si guadagna tutti.

D-  Esiste una peculiare letteratura al femminile o mito ancora fallocratico?
Sì, esiste una letteratura femminile, già da diverso tempo, ma non ne faccio parte. Per me la letteratura è cultura e universalità. Pensa che in “Non si dispensano tartase” mi trasformo in un uomo per narrare una storia tutta maschile e per farlo ho osservato decine e decine di maschi, che sono poi riassunti nel mio Guido. Non sono una femminista, non sono arrabbiata col fallo né ne sento la mancanza e sono contenta di essere donna. Non invidio nulla all’uomo, come credo che un uomo non dovrebbe invidiare nulla a una donna. Esistono scrittori bravi e scrittori mediocri, uomini o donne, senza distinzione. Non mi riconosco in nessun filone. Scrivo, questo è tutto.

D – Progetti e un sogno per l’avvenire?
Dovrebbe a breve uscire “Ritorno a Canossa”, romanzo dedicato a uno dei personaggi della storia che mi affascinano di più, la contessa Matilda di Canossa. Questo è il progetto più imminente, poi si vedrà. Sogni e aspirazioni? La serenità, continuare a essere in pace con me stessa e riconoscermi allo specchio. Oltre a vedere una delle mie storie diventare un film.

*Laura Corsini ha edito diversi libri, vedi link IBS, tra essi Tutti gli incontri possibili e  Kitty ad ogni costo (con Kitty Vinciguerra- biofrafia) per DavidandMarthaus edizioni;  Non si dispensano tartase (Ediz. 6pollici), Il cuore a volte cammina all'indietro (come i gamberi), Universitas Studiorum (vedi photo)
Info




Guire - Life card (Official Video - Soulove Rec/Delamix)

*segnaliamo da DJ Agfhan, nuove produzioni del noto musicista DJ e produttore discografico under/overground

Brand new video 

Guire - Life card (Official Video - Soulove Rec/Delamix)




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SouLove Records
Ferrara
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Evola, Eros, immaginazioni integraliste

FRA IMMAGINAZIONI INTEGRALISTE Eros nel Virus-Evola di VITALDO CONTE* docente Accademia Belle Arti, Roma L’attuale presente è gravido di rigurgiti integralisti, religiosi e di pensiero. Umberto Eco (L’Espresso 9 ott. 2014) parla del “progetto fondamentalista che si propone di islamizzare tutto il mondo conosciuto, arrivando sino a Roma”, che induce a pensare che “le grandi minacce transculturali vengano sempre da religioni monoteiste”. Le espansioni dei Greci e Romani non erano ricercate per imporre i propri dei, ma per preoccupazioni territoriali ed economiche. Quando incontravano nuovi dei, li integravano con i loro: “I primi Cristiani sono stati martirizzati non perché riconoscevano il dio di Israele (...), ma perché negavano legittimità agli altri dei”. Nessun politeismo hai mai espresso una guerra di dimensione ampia per imporre le proprie divinità. I monoteismi, che hanno scatenato guerre sante per affermare un unico dio e sradicare un culto, sono prevalentemente quello islamico e cristiano. Questi credi totalizzanti, in un qualche modo, hanno avuto come preoccupazione la repressione dell’alchimia vitalistico-rituale dell’eros e della donna. Basta ricordare la paranoica, morbosa individuazione della presenza diabolica, che ha giustificato inquisizioni, roghi di ogni tipo, la caccia alle streghe. Un’equivalente di questi monoteismi sono state le grandi ideologie laiche del ‘900.

Gli integralismi verso le aperture dell’eros e le ricerche del dio in noi, ritornano oggi sotto varie spoglie. Come rintraccio su un testo uscito sul sito dell’edizione Effedieffe (tra collaboratori spicca Piero Vassallo), espressione del tradizionalismo cattolico, che si propone di “combattere la battaglia”, sia formativa che informativa, per la difesa del Cattolicesimo e della Chiesa. Lo scritto a cui mi riferisco è Il Virus Evola (parte 2, 3 gen. 2015): è “costruito” mixando realtà romanzate, chiacchiericci, ipotesi non documentabili o approssimativi (vedi Maria de Naglowska), elementi oggettivi talvolta però indirizzati. L’estensore è Roberto Dal Bosco, autore anche del libro-crociata Contro il Buddismo. Il volto oscuro di una dottrina arcana, il cui titolo riassume il contenuto. Ho letto il sopraindicato scritto, non per il valore scientifico, ma come indicazione del suo contesto integralista. Un esempio di decontestualizzazione è nella presunta ammirazione di Evola verso Crowley come collegamento satanico: in Metafisica del Sesso ne parla sì come di un uomo possedente una forza reale che chi entrava in rapporto con lui avvertiva. Ma risulta assente un’indicazione successiva: che proprio “tale circostanza crea una pregiudiziale nei riguardi dei suoi insegnamenti, nel senso che è difficile stabilire in che misura certi eventuali risultati erano dovuti a procedimenti oggettivi e fino a che punto avevano invece per condizione” il suo particolare magnetismo.

Un’ulteriore assonanza lussuriosa-luceferina, tra i due, è intravista nella comparazione di due quadri: La genitrice dell’universo (1968-70) di Evola con un’immagine del pittore Lorenzo Alessandri, definito para-satanista, che è stata scelta per la copertina de La figlia della Luna, romanzo di Crowley (‘29), per l’edizione italiana (Arktos, 1983). Il rapporto, contenutistico e simbolico, evidenzia viceversa le diverse visioni della magia sexualis. La donna evoliana è un manifesto visivo delle peculiarità dell’eros femminile: ha le gambe immerse fino alle ginocchia, dentro l’ondulazione orizzontale dell’acqua, simbolo dell’archetipo femminile, opposto a quello verticale del maschile. Gli occhi sono circondati da due globi cerulei. L’azzurro acqueo trascende schiarendosi verso il cielo: all’interno di un grande sconfinato triangolo rivoltato in giù, che si amplifica gradualmente verso l’alto, partendo dal triangolo ricavato dalle linee del pube femminile, il cui segno arcaico è lo stesso della Donna e Dea o Grande Madre. I triangoli rappresentano la luminosità della forza ascetica. Il nudo della ragazza dipinta da Alessandri, con i suoi simboli oscuri e lunari, è l’espressione di un artista fantastico e surrealista, anche se attraversante il macabro e l’occulto. Questi giocava spesso con il satanico, talvolta per far lievitare il prezzo dei suoi quadri. La cronaca racconta che fosse fedele di Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta e che donasse in beneficenza parti della vendita dei suoi lavori.
Ciò che risulta significativo, nel citato testo, è la relazione tra la sua chiusura – “Per questo c’è un lavoro da fare, è quello di liquidare per sempre questa triste e indecifrabile pagina del pensiero europeo, e ricominciare dal fondamento: Cristo e la Sua Verità” – e il suo attraversare Evola. Diverse sue espressioni risultano infatti carenti di sensibilità cristiana: “oscuro esoterista paraplegico”, “barone handicappato”, “un uomo che stava in carrozzella forse per gli effetti a lungo termine di un’infezione luetica”. Un percorso di scrittura che connota eloquentemente il proprio stile. Svilire Evola è diventato però oggi un virus di moda, contagiante anche qualche presenza in passato vicina al suo pericoloso pensiero.

Nello stesso scritto si cita l’articolo ­– Il barone Evola e Moana Pozzi, la pornostar che sdoganò il filosofo nero – di Renato Berio (Secolo d’Italia 15 sett. 2014), che scrive: “Da ideologo nero ad autore prediletto da Moana Pozzi (...) Moana lo citava con una frase che in realtà era stata a sua volta resa celebre da Giorgio Almirante: “Vivi come se dovessi morire subito, pensa come se non dovessi morire mai”.”. L’associazione Moana Pozzi, attraverso Mauro Biuzzi, ne ha preso umoristica distanza, segnalando l’articolo con una menzione speciale al PremioMoanaPozzi, in quanto il rapporto descritto è quello di “una coppia italiana davvero impresentabile e futurista, meglio di Mori/Celentano e anche degli Addams. Imbattibile!. Il motto, come spiegato nell’introduzione a La filosofia di Moana (’91), è di Seneca che lei aveva tratto da un articolo di Evola. L’Eros-Virus-Evola ha il potere di liberare dunque anche le morbosità immaginali degli integralisti.

*da IL BORGHESE Marzo 2015


Firenze, Padre Ciolini e La Fede Pensata, con Massimo Cacciari...


Commemorazione P. Gino Ciolini
LA FEDE PENSATA Padre Ciolini nella Chiesa fiorentina, a cura di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2009.*
Nella seconda metà del Novecento, mentre il nostro paese viveva la secolarizzazione e la scristianizzazione di massa, a Firenze alcuni intellettuali, ecclesiastici e laici, hanno giocato un ruolo importante per adeguare il cattolicesimo alla società attuale.
Tra essi, figura particolarmente significativa è quella di padre Ciolini, uomo ben saldo nelle radici cristiane ma impegnato a trovare ragioni moderne per la fede antica, in costante dialogo con la filosofia e la scienza contemporanee. Di questo impegno, i “Convegni di Santo Spirito”, che per un quarto di secolo hanno riunito a discutere il meglio della cultura italiana, rappresentano il frutto più bello e duraturo.
Il presente libro, che raccoglie testi, anche inediti, di padre Ciolini e testimonianze su di lui, vuole essere un omaggio alla sua figura e un contributo alla storia recente della “religiosa terra fiorentina”.
Gino Ciolini (1919 - 2005) agostiniano, per oltre sessanta anni presente nel convento fiorentino di Santo Spirito, ha insegnato a lungo religione al Liceo Michelangiolo, teologia allo Studio Teologico, entrambi di Firenze, ed all’ Augustinianum di Roma. Autore di numerosi studi su Agostino e sull’ agostinismo, ha diretto i sedici volumi della Collana “Convegni di Santo Spirito”, nella quale sono anche diversi suoi contributi.
* Il libro viene offerto gratuitamente in Palazzo Vecchio dagli amici di p. Ciolini.

mercoledì 4 marzo 2015

Pasolini e il futurismo

Pierfranco Bruni



Scuola e storia. Letteratura, lingue ed etnie nella Grande Guerra: il torto di Pasolini e la ragione del Futurismo
 
 La storia di un popolo è anche la lingua nella etnia di un popolo. La lingua, le etnie nella Prima Guerra Mondiale. È un tema di estrema rilevanza sia linguistica che antropologica il cui percorso non può che passare attraverso quei processi che sono strettamente letterari. La letteratura nella Grande Guerra ha svolto diverse funzioni. Una tra queste è la visione delle contaminazioni linguistiche tra lingua italiana e dialetti.  Pasolini aveva torto quando parlava di una cultura popolare all’interno del mondo contadino caratterizzato dai dialetti con il “meticciato” delle lingue.
Le diversità linguistiche in Italiana si aprono a ventaglio proprio durante la Grande Guerra. Slataper e Stuparic sono un esempio. Come sono un esempio Alvaro e D’Annunzio. Come è un esempio Curzio Malaparte. D’altronde sono gli scrittori futuristi che portano una innovazione linguistica passando attraverso le trincee. Ungaretti è un esempio emblematico come lo è Marinetti ma tutta la “covata” che si forma intorno alla rivista “La Voce” con Papini e Prezzolini.
Pasolini anche in questo non fa storia. Anzi. La sua “passione” e “ideologia” sono la dimostrazione di non aver ben capito il rapporto tra lingua e cultura popolare e contadina con la struttura mentale di un linguaggio proletario. Giuseppe Berto, infatti, aveva ben ragione nel definire la cultura popolare una antropologia dell’anima e non delle cose.  Ma ci sono altri aspetti nel dialogante colloquio tra lingua, etnia e Guerra. 
C’è da dire che il ruolo istituzionale e politico, oltre che formativo, giocato nella Grande Guerra sono stati quei militari che hanno avuto una forte formazione culturale ed hanno avuto la capacità di trasmetterla ai propri commilitoni sia attraverso esempi che grazie ad una dialettica che è servita a far comprendere il senso dell’identità nazionale.
Ci sono stati militari che hanno rivestito non solo gradi importanti nelle loro funzioni, ma anche visioni in cui il legame tra etica e morale è stata significativa. Tra questi va ricordato, nel centenario dell’entrata in Guerra dell’Italia,  una personalità che nato con i gradi di tenente, sottotenente anzi, ed è arrivato a indossare i gradi di colonnello durante la fase che ha portato alla Seconda guerra mondiale.
Si tratta di Agostino Gaudinieri , le cui origini sono etniche in quanto è nato in una comunità Arbereshe, Spezzano Albanese, in provincia di Cosenza. È stato ferito più volte, anche sull’Isonzo, e più volte decorato con diverse croci al merito. Era nato il 28 luglio del 1892.
Un Arbereshe che ha portato alto il vessillo della sua etnicità attraverso il suo amore per i libri, per lo studio dei classici e per la sua passione a custodire testi, documenti e materiale con amore e forte cura.
Un bibliofilo nella Grande Guerra, e di origini Arbereshe. Mi pare che sia un fatto da segnalare con molta forza soprattutto se si pensa che tra i suoi libri, ben custoditi, alla cui costola vi è impresso l’iniziale del suo nome e cognome, ovvero A.G., ci sono testi molto rari.
Oltre a libri sull’arte militare e sulla storia di Roma, sulla storia d’Europa e sulla storia d’Italia sono conservati testi su Parini, Petrarca con prefazione di Leopardi. La figura e l’opera di Agostino Gaudinieri va riconsiderata sia come studioso che è riuscito a legare il rapporto tra cultura classica e quella militare grazie alla sua fedeltà al mondo delle sue radici. La sua etnicità è ben presente anche perché la sua “arte” militare proviene da studi profondi sul rapporto tra la storia Occidente e quella Orientale.
Il mondo Italo – albanese è stato sempre nel suo cammino. Un militare, dunque, la cui identità è Arbereshe, un bibliofilo attento e un classicista che ha saputo legare Parini, Petrarca e Leopardi nella sua formazione culturale scavata in quella realtà che è stata il Regno di Napoli, un Regno di Napoli che ha sempre saputo guardare, culturalmente e militarmente, al Mediterraneo. Proprio intorno allo scontro storico tra Mediterraneo e mondo Anglosassone che si definiscono i modelli culturali.
La Grande Guerra sul piano linguistico è tutta da scavare attraverso delle letture che sono letterarie, ma anche antropologiche e filosofiche. C’è da dire che uno dei maggiori interpreti resta proprio Renato Serra. Il letterato in trincea. L’esame di coscienza di un letterato che diventa l’esame di coscienza di una storia di un’epoca.
Cesellando questi aspetti le prospettive si aprono su tre versanti.
1. la lingua e l’etnia dal Risorgimento sino alla Guerra del 1911 (in questa lettura la presenza di Giovanni Pascoli resta fondamentale).
2. Il linguaggio del Futurismo sino all’Ermetismo oltrepassa il realismo dei Capuana e dei De Roberto compreso Borgese e si ferma al linguaggio che prepara il Fascismo.
3. La lingua e le etnie tra il 1918 e il 1922: da un modello contadino popolare ci si avvia verso un modello proletario – ideologico.
Dunque la lingua e le etnie hanno avuto un ruolo fondamentale. Anche nel linguaggio militare e tra i militari stessi. Qui è chiaro il torto di Pasolini di sprigionare una lingua dialettale popolare prominente dal mondo contadino.
È emblematico il ruolo dei Futuristi nel non avvertire il concetto di popolare come provinciale, ma di considerare i linguaggi e le etnie della Grande Guerra come elementi di una letteratura universale. Storia e lingua, dunque, sono il vissuto di un testamento di un popolo.




La Grande Guerra 15-18: L'ora dei ricordi, a c. di Elisa Ruggiero, con C. Rocchio e altri ricercatori

Redazione 


Segnaliamo tra i diversi eventi in atto dal 2014 per il centenario della prima guerra mondiale, il volume collettaneo a cura di Elisa Ruggiero :
L’ora dei ricordi. Cent’anni dalla Grande Guerra, edizioni Aracne (9-2014) Contributi e saggi dei seguenti autori:  Adriano Favaro, Mirco Melanco, Silvia Rampazzo, Cristiano Rocchio, Mauro Scroccaro, Paolo Seno, Sergio Tazzer

Un’indagine in occasione del centesimo anniversario della Grande Guerra che mira a valorizzare, attraverso un’eredità culturale e artistica, alcuni documenti e fonti raccolti in cent’anni, restituendoli come granelli corroboranti del vasto repertorio conservato in Italia. Partendo dalla presentazione del CEDOS Centro di Documentazione Storica sulla Grande Guerra, l’opera prosegue raccontando le vicende d’uomini, autori e paesaggi visti attraverso la fotografia, il documentario cinematografico, le avanguardie artistiche e le pagine di letterati. Un percorso interdisciplinare, esemplificativo nel metodo, che offre tracce e notizie inedite nel tempo della memoria. 

Segnaliamo, in questa notevole e originale antologia, come si evince dall'incipit editoriale dedicata anche alle avanguardie artistiche e letterarie "contemporanee" alla prima guerra mondiale,

tra gli autori il filosofo Cristiano Rocchio per certa sua peculiarità futuristico sociale...

INFO ARACNE EDIZIONI

martedì 3 marzo 2015

La storiografia araba delle Crociate



Sulle Crociate e sul loro significato storico ed economico è stato scritto molto e ancora si scrive in Occidente e nel mondo arabo-islamico. Il concetto delle Crociate come di un fenomeno storico a sé stante, con una sua articolata e spessa monografia o nel quadro di una generale periodizzazione della storia, è peraltro estranea alla storiografia musulmana. Tale estraneità deriva da una mancata e compiuta valutazione da parte araba fin dal tempo stesso di tale evento straordinario. La causa di questo errore da parte dell'Islam, nella valutazione di un fenomeno storico di cui esso fu dapprima vittima, poi tenace difensore, poi avversario accanito, e, infine, vincitore, sta soprattutto nell'indifferenza, nata da un complesso di sprezzante superiorità, con cui i musulmani guardarono sempre, salvo poche ed illuminate eccezioni, anche risalenti alla stessa epoca in questione, al mondo occidentale, alla sua storia e cultura medievale (e non solo), in contrasto con il così profondo interesse da essi manifestato verso le culture e le civiltà d'Oriente. Tale contrasto nel loro atteggiamento risulta assai chiaro paragonando la storiografia araba delle Crociate con quella musulmana in genere (in particolare quella persiana) sui Mongoli, che, venendo dall'altro capo del mondo, invasero il territorio dell'Islam nel XIII: avvenimento che resta nella coscienza collettiva arabo-islamica come un autentico "flagellum Dei", a causa dell'orribile e terribile devastazione che provocò con la sua occupazione e distruzione (un qualcosa che assomiglia molto alla sciagurata esperienza del cosiddetto Califfato dei nostri giorni, che nel nome di un Islam distorto, sta gettando la terra mesopotamica, culla della civiltà mondiale, in uno scenario di barbarie senza precedenti, superando gli stessi eccessi dei mongoli). Se l'invasione mongola fu raffigurata da cronisti attenti come un momento eccezionale e terribile e fu descritta con consapevole e intelligente analisi, le Crociate non trovarono analoga spiegazione critica: da un lato sottovalutandone la portata e non comprendendo a pieno il significato e la prospettiva storico-politica successiva., Uno ricerca deludente, quindi, che non andò mai oltre la curiosità, lasciando spazio ad interpretazioni non scientificamente esaurienti. Solo di recente gli studiosi arabi hanno cominciato (grazie ad una più specifica e profonda rilettura delle fonti originarie) a rivisitare quel periodo, rintracciandone motivi di più meditata analisi critica. Tale progressivo rovesciamento di pensiero si accentua, rilevando anche una miglior valutazione degli eventi in argomento. A questo proposito emergono quei difetti del "particulare" che Machiavelli individuò nella politica italiana del Rinascimento: e vale a dire gli scoraggianti comportamenti di emiri locali, che esultavano per le vittorie dei Franchi contro i loro vicini e correligionari e concorrenti. E persino Saladino, al quale spesso fu tributato un ossequio servile anche da parte dei suoi cortigiani (e non solo dagli storici contemporanei) mise l'accento sulla tenacia, lo spirito di sacrificio e il valore dei suoi avversari cristiani. Questa ritrovata obiettività andò però, di fatto, scemando in seguito all'affievolirsi dell'apologia delle vittorie musulmane. La riscoperta e lo studio di tali successioni resta comunque un fondamentale motivo di incoraggiante speranza accademica nel mondo islamico, il quale non può che sposare finalmente quel realismo critico della storiografia araba che promosse il massimo maestro di questa scienza che fu Ibn Khaldùn.
Casalino Pierluigi, 28.02.2015

Quale volto dell'Islam?

In questi giorni l'Islam non gode certo buona stampa, anche aldilà dei suoi stessi demeriti. Le cronache quotidiane ci presentano un volto dell'Islam tutt'altro che rassicurante e sotto certi aspetti assai pericoloso per la pacifica convivenza: in altri termini rappresenta un problema grave per l'ordine e la sicurezza pubblica internazionale. A tale aspetto chi scrive ha dedicato qualche tempo fa uno specifico articolo dal tutolo Mai dire Islam (casalinopierluigi.bloog.it), anche se non ha mancato di argomentare in proposito anche in altre occasioni ed in altre sedi, soprattutto di recente. Ci si domanda tuttavia quale sia il vero volto di questa religione. L'Islam si manifesta nella storia come evento sociale, culturale, politico e anche come un vasto movimento religioso di grande valore. Come le grandi religioni storiche, contiene in sé alcuni innegabili e fondamentali elementi di spiritualità, che trovano il loro fulcro generativo nel Corano e il loro primo sviluppo negli hadith del Profeta Maometto. A tali elementi di base si andranno ad aggiungere, a partire dal VII secolo, alcuni altri valori maturati nelle scuole del sufismo (non sempre visti con favore dall'ortodossia), che costituiranno un nutrito bagaglio di indicazioni e di insegnamenti per una religione e per una ascesi più interiori e universali, al punto che alcune vie spirituali proposte sono simili a quelle del misticismo cristiano. La cristianità latina, dopo secoli di misconoscenza e disistima, ha cominciato a cogliere motivi di un interessante messaggio devozionale nell'Islam. E ciò nonostante le derive fanatiche che l'Islam ha partorito da suo seno, anche in forza di strumentalizzazioni politiche ben individuate nel contesto degli equilibri di forze internazionali e all'interno dello stesso mondo arabo-islamico. La conclusione, peraltro, su tale meditata rivisitazione della natura sana dell'Islam ci venne suggerita qualche decennio fa dal filosofo francese Jean Guitton, il quale, commentando l'enciclica di Papa Giovanni Paolo II, ora elevato agli onori degli altari, Dives in misericordia , mise l'accento proprio su tale tematica di unità e di riconciliazione. "Quello che l'enciclica non dice (sulla misericordia), disse Guitton, e che potrà un giorno completarla, è che essa coincide con uno dei concetti più intimi dell'Islam. Un amico musulmano, colpito dalla intuizione così originale del documento pontificio, mi ha detto:-noi musulmani abbiamo una formula che ritorna in tutte le nostre preghiere e nelle nostre azioni, Bismillahai r-rahmani r-rahimi (Nel nome di Dio, ricco di clemenza, abbondante in misericordia- E uno dei più autorevoli maestri della spiritualità islamica contemporanea, Kamal Hussein, in un'opera su La Città Unica ha espresso l'idea seguente:- Esistono tra stati dell'unione con Dio. Il primo fu manifestato da Mosè e il suo assioma è: se desiderate stabilire con gli uomini rapporti di giustizia, avete lo spirito di Mosè e d'Israele. Se la vostra felicità personale è legata alla felicità altrui (e questo fino al martirio) se volete sacrificarvi per gli altri e rendete onore a coloro che dedicano la propria vita agli alti, allora voi avete lo spirito di Gesù Cristo. Ma se voi ponete la vostra speranza in una misericordia totale, e, pienamente fiduciosi in Dio avrete bandito da voi ogni timore, voi avrete allora lo spirito di Maometto- Ho risposto al mio interlocutore, proseguì  Guitton, che quello che voi chiamate lo spirito di Maometto è contenuto nello spirito di Gesù Cristo, com'è provato nella prima lettera di San Giovanni e in tutta la tradizione dei nostri mistici. Ma la caratteristica dell'enciclica è di avere dimostrato che il legame di Dio con l'uomo implica un legame dell'uomo con Dio, che la misericordia è uno scambio meraviglioso, che essa è, in un certo senso aldilà dell'amore mentre nello stesso tempo ci rivela l'essenza dell'amore; e infine che la nostra epoca di riconciliazione e di ecumenismo troverà le vie dell'unità mediante un ritorno alla sorgente primitiva, la divina sorgente di quello che Teresa del Bambino Gesù chiamava Amore Misericordioso". Tale dialogo appare ani luce lontano dalla attuale polemica forzata portata avanti da una banda di esaltati nel nome di un'Islam caricaturale, troppo caricaturale per essere autentico, salvo il dover concludere che il cuore di questa religione sia ormai irrimediabilmente segnato dalla politicizzazione assoluta del suo messaggio originario.
Casalino Pierluigi, 2.03.2015

La sfida di Tangeri ovvero l'inizio della fine. Dal racconto di mio nonno, testimone oculare.

Tangeri, marzo 1905. La sorpresa è grande e la notizia si diffonde con rapidità. La provocazione è di quelle che lasciano il segno. Un vero gesto di sfida che, che suona a francesi come un'umiliazione cocente. La sensazione di Parigi è di rabbia e di impotenza. L'evento è straordinario e costituisce una prova di forza senza precedenti. L'emozione che suscita è enorme davvero. Il Kaiser Guglielmo mostra con audacia sprezzante le insegne del suo rango. Passeggia orgogliosamente, accompagnato dai suoi alti ufficiali e dai ministri di primo piano del governo del Reich, sul lungo mare della città nordafricana, soggetta al regime internazionale, ma a ridosso del dominio coloniale francese in Marocco. Lo sfilare di uomini con elmi chiodati a pochi passi dal possedimento francese equivale ad una autentica beffa a Parigi. Lo scenario in cui irrompe la delegazione di Berlino è quello classico della belle époque. Tangeri, patria del viaggiatore Ibn Battuta e celebre per i suoi giardini e le sue belle case, offre uno spettacolo d'incanto. I caffè e i ristoranti sono pieni all'inverosimile di frequentatori e di oziosi provenienti dl mondo intero. chi si gode il panorama in pace e chi si intrattiene in colloqui d'affari o in chissà in quali altri impegni riservati.ma non di rado in convegni galanti con gentildonne o con giovani bellezze locali. Si vivono storie parallele: intrighi ed amori si intrecciano in un'atmosfera trasognata e sorniona, tra melodie arabe e suoni di orchestrine. Ad un tratto si interrompe il tranquillo procedere di ogni giorno. Il clima svagato e festoso viene sconvolto. " Ricordo tutto, ero giovanissimo: anche noi, raccontava mio nonno Lorenzo, veniamo richiamati dalla confusione; l'ufficiale di macchina mi tocca il braccio ed esclama: è il Kaiser!? Allunghiamo lo sguardo tra la foresta di teste e ci alziamo in piedi, lasciando attonito il cameriere berbero con il suo copricapo rosso in attesa di servirci le bevande ordinate, tra cui un accattivante tè alla menta alla moda marocchina. Un momento di libera uscita per noi ci fa davvero incontrare la Storia. Vivo l'inquietudine e lo sconcerto delle delegazioni straniere di stanza a Tangeri e la frenesia dei corrispondenti esteri che si affrettano a diramare la notizia ai loro giornali. I telegrafi sono roventi. La presenza del Kaiser è imbarazzante. Un mezzo navale tedesco, issando il vessillo del Reich, apparso all'improvviso nelle acque antistanti il porto vecchio e senza preavviso, è entrato in rada con il suo equipaggio imperiale; la nave si è mossa senza indugio, facendo il suo ingresso trionfale nel porto e poi attraccando per sbarcare il suo equipaggio imperiale. Il Kaiser è sbarcato tra scintillanti uniformi, con il suo seguito, sotto lo sguardo incuriosito e stupito della gente. Ostentato omaggio al governatore locale e ai suoi dignitari, il monarca tedesco esprime la volontà della Germania di preservare l'integrità territoriale del Marocco in gesto di sfida verso la Francia, oltre che di difendere gli interessi tedeschi nell'area. La circostanza scatena reazioni a catena e mette in agitazione le cancellerie. Si parla di note diplomatiche concitate e qualche osservatore evoca ultimatum con prospettive di scenari di guerra, per la pretesa violazione della neutralità tangerina. Il corteo, intanto, si avvia sicuro per le vie di Tangeri e guadagna dopo un po' la nave per il reimbarco. L'a passeggiata dimostrativa si è conclusa con tutti i suoi effetti, lasciandosi alle spalle l'irritazione francese". Si è trattato di un un brusco, clamoroso risveglio. I segnali che annunciano la fine di un'epoca per il Vecchio Continente si manifestano sempre più apertamente. L'Europa ha i giorni contati: la Grande Guerra è vicina. Tra breve, infatti, la conflagrazione del 1914  spegnerà ogni illusione. Dopo l'inutile strage il mondo non sarà più lo stesso.
Casalino Pierluigi, 1.03.2015

MOSTRA : SUL FILO DELL'ARTE "L'arte acontemporanea dialoga con l'Antico - Vernissage domenica 1 Marzo ore 17.00 - REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO

 
 









In collaborazione con il


PROF. FRANCESCO MARTANI

e con il


COMUNE DI SAN BENEDETTO PO

 
SUL FILO DELL'ARTE

"L'Arte contemporanea dialoga con l'antico"


REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO


Domenica 1 Marzo 

Inaugurazione a cura del Prof. Franco Negri


Con il Patrocinio e la collaborazione  del Comune di San Benedetto Po (MN)

Durata della Mostra:  1 Marzo  -  12 Aprile 2015


La Galleria ZANINI ARTE e il Prof. FRANCESCO MARTANI, in collaborazione con il COMUNE DI SAN BENEDETTO PO, organizzano una grande mostra nella quale le tele contemporanee di Francesco Martani dialogano con gli arredi antichi della Galleria Zanini e con le targhe devozionali delle collezioni del Museo Civico Polironiano.

L'esposizione intende mostrare come ci sia un filo conduttore che riallaccia tra loro le opere d'arte di qualsiasi epoca. La maestosità dei pezzi di antiquariato si sposa con il dinamismo delle tele astratte contemporanee in modo innovativo e armonioso. Un avvolgente percorso di legami extratemporali.

  

BIOGRAFIA

Francesco Martani è nato a Mantova nel 1931. Specialista in anestesia e rianimazione e in odontoiatria, è il libero docente di odontostomatologia presso l'Università di Bologna e autore di oltre settanta lavori scientifici nei quali si è dedicato in particolare ai bambini e agli anziani.

Ha pubblicato: Le note e i colori dell'animo nella senescenza (Edizioni Publi Paolini, 2006); Conoscere se stessi. Educare alla salute (Edizioni Publi Paolini, 2007); La luce oltre il buio (Costa, 2008); Elogio del quotidiano (Edizioni Publi Paolini, 2010); Tra terra e Cielo (Pendragon 2012).

Vive e lavora a Bologna e a Zola Predosa. Pittore e scultore. E' presidente della Fondazione di Cà la Ghironda, Centro Culturale per le Arti e la Scienza con sede a Zola Predosa.


L'inaugurazione a cura del prof. Franco Negri  si terrà domenica 1 marzo 2015 alle ore 17.00 presso il REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO di San Benedetto Po (Mantova). 


Ingresso libero


Si allega l'invito all'esposizione


Per ulteriori infornazioni o materiale fotografico non esitate a contattarci.

L'esposizione intende mostrare come ci sia un filo conduttore che riallaccia tra loro le opere d'arte di qualsiasi epoca. La maestosità dei pezzi di antiquariato si sposa con il dinamismo delle tele astratte contemporanee in modo innovativo e armonioso. Un avvolgente percorso di legami extratemporali. 

L'inaugurazione a cura del prof. Franco Negri  si terrà domenica 1 marzo 2015 alle ore 17.00 presso il REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO di San Benedetto Po (Mantova). Ingresso liberoSi allega l'invito all'esposizionePer ulteriori infornazioni o materiale fotografico non esitate a contattarci


L'esposizione intende mostrare come ci sia un filo conduttore che riallaccia tra loro le opere d'arte di qualsiasi epoca. La maestosità dei pezzi di antiquariato si sposa con il dinamismo delle tele astratte contemporanee in modo innovativo e armonioso. Un avvolgente percorso di legami extratemporali. La Galleria ZANINI ARTE e il Prof. FRANCESCO MARTANI, in collaborazione con il COMUNE DI SAN BENEDETTO PO, organizzano una grande mostra nella quale le tele contemporanee di Francesco Martani dialogano con gli arredi antichi della Galleria Zanini e con le targhe devozionali delle collezioni del Museo Civico Polironiano.

 


L'esposizione intende mostrare come ci sia un filo conduttore che riallaccia tra loro le opere d'arte di qualsiasi epoca. La maestosità dei pezzi di antiquariato si sposa con il dinamismo delle tele astratte contemporanee in modo innovativo e armonioso. Un avvolgente percorso di legami extratemporali. 

L'esposizione intende mostrare come ci sia un filo conduttore che riallaccia tra loro le opere d'arte di qualsiasi epoca. La maestosità dei pezzi di antiquariato si sposa con il dinamismo delle tele astratte contemporanee in modo innovativo e armonioso. Un avvolgente percorso di legami extratemporali.  L'inaugurazione a cura del prof. Franco Negri  si terrà domenica 1 marzo 2015 alle ore 17.00 presso il REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO di San Benedetto Po (Mantova). Ingresso liberoSi allega l'invito all'esposizionePer ulteriori infornazioni o materiale fotografico non esitate a contattarci L'inaugurazione a cura del prof. Franco Negri  si terrà domenica 1 marzo 2015 alle ore 17.00 presso il REFETTORIO MONASTICO POLIRONIANO di San Benedetto Po (Mantova). Ingresso liberoSi allega l'invito all'esposizionePer ulteriori infornazioni o materiale fotografico non esitate a contattarci.




 


Via Virgilio 7, San Benedetto Po (Mantova)
Tutti i giorni: 10-12 / 15.30-19.00
Facebook: Art Gallery Zanini Arte
 
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