Abbiamo
posato lo sguardo su Madonne e Sante esangui e languide di Carlo Dolci
che, sul punto di svaporare, si cristallizzano in immagini
incorruttibili. Ci sembrano venire da un altro mondo le donne formose e
sensuali di un suo eccentrico coetaneo, anch'egli fiorentino, Sebastiano
Mazzoni.
Nato nel 1611, Mazzoni si forma nella bottega di un maestro
caricaturale e giocoso come Baccio del Bianco, ma mostra subito viva
attenzione per la pittura rumorosa e sensuale di Cecco Bravo e per la
passione del disegno di Giovanni da San Giovanni.
Nel 1638 lo
troviamo registrato all'Accademia del disegno di Firenze, ma già in quel
tempo, nella prima tela visionaria e apocalittica, firmata e datata,
Venere e Marte sorpresi dal vulcano , mostra di aver conosciuto la
moderna pittura veneziana, morbida, mossa, vibrante, come in Domenico
Fetti o Bernardo Strozzi. In ogni caso, già nel 1639, Mazzoni si
trasferisce a Venezia e si allontana anche psicologicamente dal mondo
della pittura fiorentina del Seicento, dominata dai classici e
diversamente placati Carlo Dolci e Francesco Furini. A Venezia la
pittura ha carne e sangue, da Tintoretto a Forabosco. Ma Mazzoni guarda
anche Paolo Veronese e certamente Andrea Schiavone, manieristi dei quali
ammira le vertigini spaziali.
Ed ecco che ne dà turbinosa prova
nelle prime opere conosciute del suo travolgente periodo veneziano. Sono
i due teleri per la chiesa di San Beneto, commissionati dal piovano
Pasqualino Danieli, e compiuti in due anni, 1648 e 1649: San Benedetto
che presenta il pievano alla Madonna e il Santo portato in gloria dalle
virtù teologali . Nessun residuo cinquecentesco, come è ancora in Dolci,
nessun compiacimento di spumosa pittura come in Strozzi, ma un
vertiginoso barocco come solo, a quelle coordinate cronologiche,
concepisce il Bernini. L'immagine della Fede avvolta nel velo bianco è
già una scultura di Corradini che agita la composizione della pala, ed è
speculare al pievano Danieli che la fronteggia. Nella sua cotta
ricamata è, vanitoso, sulla soglia di un baratro che può risucchiarlo
come don Giovanni, in un vortice di putti e pastorali e ali e panneggi
alle sue spalle, mentre il San Benedetto lo presenta a una Madonna
furiosa, ed è come il Commendatore nella scena finale dell'opera di
Mozart.
Quel turbinare troveremo anche nei più estremi capolavori
di questi anni, le lascive Tre Parche del Barber Institute of Fine art,
l' Annunciazione delle Gallerie dell'Accademia, il meraviglioso Bacco e
Arianna che si affacciano, corteggiati da figure allegoriche, davanti a
un mare tempestoso. Al culmine di questa ricerca di un nuovo spazio si
pone la Ruota della Fortuna di palazzo Albrizzi.
Mazzoni lavora
nelle grandi dimensioni, in chiese e palazzi; ma produce anche allegorie
«da stanza» per un collezionismo sofisticato, con forti esigenze
umanistiche e letterarie, dove i quadri sono ornamento di ricche
Wunderkammer: penso alla Sofonisba della Walpole Gallery di Londra, alla
Allegoria della diligenza del museo di Graz, e alla Al legoria della
distinzione del bene dal male .
Ben più di Padovanino e Pietro
Liberi, il rapporto di Mazzoni con la grande pittura del Cinquecento,
Tiziano, Tintoretto e Veronese, non è di ossequio e di ripetizione, ma
di prepotente rianimazione, come nel Sacrificio di Jefte di Kansas
City,con gruppi plastici di moderna ispirazione barocca. Agli inizi
degli anni '60 appartengono opere di taglio prepotentemente innovativo,
anche nel piccolo formato, come la Morte di Cleopatra della Pinacoteca
dell'Accademia dei Concordi a Rovigo, e la meravigliosa Semiramide della
collezione Aberconway. In queste opere spira un vento che agita le
forme, le avvita, le risucchia; ed è anche un vento di follia, lo stesso
che renderà instabile l'incredibile, e quasi goyesca, Crocefissione di
Cristo , innalzata con le funi di carnefici piegati nello sforzo, mentre
le Marie guardano impietrite.
Mazzoni vuole stupire, cercare
sempre nuovi punti di equilibrio, in un dinamismo che la pittura non
conoscerà fino al futurismo. Ne è, d'altra parte, cosciente, «legando le
figure in intrecci complessi e artificiosi», come scrive Francesco
Sorce, quando rivela il suo spirito, nel 1661, in una raccolta di poesie
dal titolo esplicito: Il Tempo perduto. Scherzi sconcertati ; e, poco
dopo, nel 1665, quando pubblica Della pittura guerriera. Scherzo poetico
in risposta alla Carta del navegar pitoresco di Marco Boschini, il
celebre e arguto conoscitore d'arte con il quale il Mazzoni, per il suo
estro sarcastico, era in polemica. Mazzoni continua a provocare come
nell'inusitato Sposalizio di Santa Caterina (ora alle gallerie
dell'Accademia di Venezia), in uno spazio contratto e con una pittura
libera e vibrante. Ma nessun pittore è così avanti e così visionario,
così burlesco (si pensi al Ritratto del capitano veneziano del museo
civico di Padova), quasi una caricatura, come il Mazzoni. Alla fine, nel
1669, continuerà a stupirci con un capolavoro travolgente, nella chiesa
di Santa Maria dei Carmini, il Sogno di Onorio III : un incredibile
agitarsi, tra fumi e incensi, di corpi e angeli nello spazio, con luci
striscianti e prospettive acrobatiche, mai tentate neppure dal Baciccio.
Chissà, forse il Mazzoni aveva visto Correggio; ma, in dialogo con gli
spiriti, ci restituisce Füssli, e ci porta in territori inesplorati.
Vola. Tutti gli altri restano a terra.
IL GIORNALE