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domenica 26 maggio 2013

L'affaire Venner by Col. Andrea Santarossa *video

 
 
 
"…Si riflette, si discrimina, si prende esempio… ma poi, comunque… sempre attenersi durevolmente (come suggerisce Venner) all’alto paragrafo ideale" .
Sandro Giovannini
 
UN SUICIDIO IGNORATO
 
 
È subito sceso il silenzio su di un altro atto sacrificale
Col. Andrea Santarossa

da www.noreporter.orgdi venerdì 24 maggio 2013
La notizia è del 21 maggio. Come si fosse dato appuntamento con Dominique Venner, l’ex Serg. Magg. del Col Moschin - e già scorta di Berlusconi - Sandro Macchia, profondamente di Destra e attaccatissimo ai valori della Patria, si è suicidato.
Il suo cruccio e il suo dolore stavano nella prigionia dei nostri due marò. Voleva scuotere le coscienze. Non lo so se ci è riuscito in questa Italia veramente anestetizzata a tutto.
La notizia si trova anche in rete, pure sul sito facebook dell’ex ministro Terzi o cliccando Sandro Macchia. Ma sui giornali è apparso poco o nulla.
Io lo conoscevo personalmente dai tempi del Libano 1982/83. È una morte inspiegabile ma credo assomigli a quella dell’ideologo francese.
Amava la Patria in maniera smisurata e vedeva la prigionia dei due marò peggio di un 8 settembre.
Nell’ottobre scorso, alla festa della Folgore a Pisa, ha guidato la protesta dei parà contro il ministro della difesa, Ammiraglio Di Paola. Era un fascista convintissimo e serissimo in tutto.

L'affaire Venner by E. Marino





Enrico Marino



da www.ereticamente.netdi giovedì 23 maggio 2013



Mentre tanti uomini si fanno schiavi della loro vita, il mio gesto incarna un’etica della volontà. Mi do la morte per risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari”



Quelli che palpitano per i digiuni di Marco Pannella o che pensando a un intellettuale citano Umberto Eco sono inorriditi e hanno condannato Dominique Venner per il suo gesto, definito addirittura “blasfemo” dagli stessi ambienti ai quali appartiene quella cloaca del movimento femen che è entrata nella cattedrale di Notre Dame simulando il gesto compiuto da Venner con il seno nudo su cui era scritto “che il fascismo resti all’inferno”. I giornali borghesi, invece, si sono limitati a considerarlo un atto di eclatante protesta contro la legge recentemente approvata in Francia del “mariage pour tous” che garantisce anche agli omosessuali di sposarsi e di poter adottare. Ma Dominique Venner che ha scelto d’uscire di scena con un gesto tragicamente simbolico, come Drieu La Rochelle o Yukio Mishima, ha lanciato un accorato avvertimento e allo stesso tempo un urlo di sfida e indignazione che vanno ben oltre l’ignobile legge per i gay. Un avvertimento contro gli “immensi pericoli per la mia patria francese ed europea” e una sfida “con un intento di protesta e di fondazione …. in rottura con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.”

Nell’ultimo mezzo secolo la minoranza organizzata e onnipotente dei mondialisti ha lavorato in tutto l’occidente in modo formidabile nell’ingannare e manipolare la gente, per modificare i cervelli e le coscienze seminandovi il caos, scambiando i valori con altri falsi e costringendo a credere in quella falsità. Episodio dopo episodio, s’è consumata la grandiosa tragedia della morte dei popoli europei, dell’esaurimento totale e irreversibile della loro consapevolezza, la letteratura, il teatro, il cinema tutto è diventato rappresentazione ed esaltazione delle qualità umane più basse, con artisti che in ogni modo hanno veicolato nelle coscienze il culto del sesso, della violenza, del tradimento e di tutta l’immoralità. Nell’amministrazione dello stato s’è creato caos e confusione, con il dispotismo di funzionari e di persone corrotte e la distruzione di ogni principio. L’onestà è stata derisa e resa inutile, l’arroganza e la negazione di ogni gerarchia, la falsità e l’inganno, l’ottundimento e le droghe, la paura di ognuno e il tradimento, in modo invisibile ma inesorabile, si sono sviluppati e i pochi che sono stati in grado di capire cosa accadeva veramente sono stati relegati come oggetto di scherno.

In questo modo si distruggono, generazione dopo generazione, intere nazioni, cominciando già dai giovani. È una sovversione della totalità delle istituzioni e dei comportamenti sociali, culturali e religiosi e, di conseguenza, dell’atteggiamento psicologico, della filosofia e dello stile di vita di un popolo. È una disgregazione sociale che ha investito tutta l’Europa e che si chiama mondialismo, modernismo, relativismo, genetismo e metafisica dell’illimitato potere della scienza e dell’individuo tutti protesi nell’attacco finale alla Tradizione e al valore della vita. A questo lavorano coloro che, da posizioni istituzionali o di potere finanziario e mediatico, perseguono l’obiettivo di neutralizzare l’uomo ed eliminare la Nazione in tutte le sue articolazioni, in tutte le scelte economiche e politiche, culturali e fiscali. Creando il debito, prosciugando il credito, paralizzando le forze sociali e le Istituzioni, espropriandone i poteri, attaccando a fondo il risparmio, deturpando e svendendo l’ambiente, mettendo all’asta gli asset industriali ed economici degli stati.

La fine di una nazione passa pure per la sua trasformazione culturale, linguistica, morale, di costume e genetica. Il declino biologico s’è accompagnato con l’aborto, con l’individualismo e infine è esploso nelle rivendicazioni edonistiche e innaturali dei matrimoni e della genitorialità omosessuale che non sono estrapolabili da questo contesto. Non si tratta, infatti, di dibattere sui diritti civili e fiscali del convivente, ma di definire “matrimonio” qualsiasi genere di convivenza, per favorire il concetto di sterilità nelle unioni, d’inversione conclamata per legge dei rapporti di genere e di mercimonio dei nascituri e dei fanciulli. Il tutto mentre con le mistificazioni dello Ius Soli e del meticciato si punta anche all’avvento di una massiccia immigrazione coatta per globalizzare definitivamente quel che resta di nazionale e di identitario.

Questa demonia dei tempi ultimi era il vero obiettivo di Venner, questa la sua denuncia, questo il pericolo mortale contro cui occorre battersi pronti anche all’estremo sacrificio. Abbiamo citato La Rochelle e Mishima, ma in altri momenti storici e per altri forti ideali il suicidio ha rappresentato un atto di testimonianza, di accusa e di catarsi, come nel caso di Jan Palach o dei monaci tibetani. Niente si fa senza sangue. Venner lo sapeva, ne era consapevole e ha testimoniato l’esistenza di un valore superiore all’attaccamento alla vita, l’amore virile per il suo Paese, la sua storia e le sue tradizioni.



Il suo testamento spirituale è qualcosa di grandioso su cui riflettere



Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli. Amo la vita e non attendo nulla oltre di essa, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito. Cionondimeno, al crepuscolo di questa vita, di fronte agli immensi pericoli per la mia patria francese ed europea, sento il dovere di agire finché ne ho la forza; ritengo necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci sopraffà.

Offro quel che rimane della mia vita con un intento di protesta e di fondazione. Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale di Notre Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali.

Mentre tanti uomini si fanno schiavi della loro vita, il mio gesto incarna un’etica della volontà. Mi do la morte per risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invasivi desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà millenaria. Così come difendo l’identità di tutti i popoli presso di loro, mi ribello al contempo contro il crimine che mira al rimpiazzo delle nostre popolazioni.

Essendo impossibile liberare il discorso dominante dalle sue ambiguità tossiche, spetta agli Europei trarre le conseguenze. Non possedendo noi una religione identitaria alla quale ancorarci, abbiamo in condivisione, fin da Omero, una nostra propria memoria, deposito di tutti i valori sui quali rifondare la nostra futura rinascita in rottura con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.

Domando anticipatamente perdono a tutti coloro che la mia morte farà soffrire, innanzitutto a mia moglie, ai miei figli e ai miei nipoti, così come ai miei amici fedeli.

Ma, una volta svanito lo choc del dolore, non dubito che gli uni e gli altri comprenderanno il senso del mio gesto e che trascenderanno la loro pena nella fierezza.

Spero che si organizzino per durare. Troveranno nei miei scritti recenti la prefigurazione e la spiegazione del mio gesto.

Dominique Venner


L' affaire Venner by P. Buttafuoco


VENNER


*T. Van Gogh


Pietrangelo Buttafuoco




da Il Foglio di venerdì 24 maggio 2013




Dominique Venner che ha schifato il mondo suicidandosi a Notre Dame viene schifato oggi dal bel mondo in conseguenza di un suo vizio d’origine: essere stato un reazionario, perfino un parà. I benpensanti provano ribrezzo a parlarne, lo stanno dimenticando frettolosamente e perfino qualche gendarme d’occidente ne scansa la carcassa additando ai necrofori la discarica dell’oblio dove interrarlo affinché negli Elisi non si radunino, al suo fianco, i fantasmi di Yukio Mishima, Pierre Drieu la Rochelle e - non ultimo - Jan Palach. S’è sparato, Venner, come un bonzo può darsi fuoco in Tibet. I benpensanti avvertono il raccapriccio. Sono le solite anime belle. Non sarebbe successo nel caso di un precario, di un disadattato sociale, di un militante dei diritti o di una “qualunque vittima”, per dirla con Boldrini, “che diventa carnefice”. E se solo fosse stato, Venner, un “sincero democratico”, magari un uxoricida come Louis Althusser, sarebbe stato raccontato oggi in un modo diverso e perfino il Papa - soprattutto questo, così gesuita - ne farebbe oggetto di riflessione. Invece c’è l’anatema. Perfino l’Uomo in frac disse addio al mondo, “ai ricordi del passato, ad un sogno mai sognato” per cantare la nostalgia con le parole di un guerriero pratico di gardenie ma in Venner, nel suo adieu, c’è quel dettaglio irriducibile: essere stato un reazionario e, forse, qualcosa di peggio. Non avere mai lisciato il pelo dal verso giusto.



L'affaire Venner * by E. Galoppini


 
 
 

LA SCELTA DI DOMINIQUE VENNER

Il problema è che non basta una posizione “di destra” a fermare il declino…









da http://www.rinascita.eudi giovedì 23 maggio 2013




Martedì, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, si è sparato in bocca uno studioso molto noto nell’area della destra identitaria francese, Dominique Venner.

Si può affermare con una discreta certezza che la causa dell’estremo gesto del settantottenne animatore della rivista-movimento “Europe-Action”, vicino alla “Nouvelle Droite” ed autore di molte pubblicazioni di carattere storico e politico, alcune delle quali tradotte in italiano, sia da ricercare nell’angoscia mista a disgusto per la progressiva perdita d’identità della sua patria e della sua nazione.
Da una parte, infatti, gli scritti più recenti di Venner vertevano sui pericoli derivanti dal “multiculturalismo”, in particolare “l’islamizzazione” della Francia (e dell’Europa), che egli vedeva come una iattura che di qui a breve si realizzerà compiutamente; dall’altra, egli aveva dichiarato la sua ferma contrarietà - come del resto milioni di francesi e anche parecchi sindaci che hanno già annunciato la loro ‘obiezione di coscienza’ - alle cosiddette “nozze gay”, contro il cui disegno di legge è in programma, tra pochi giorni, una manifestazione oceanica nella capitale francese.

Il senso dell’ultimo messaggio scritto che ha lasciato è che bisognava che qualcuno si sacrificasse con il classico “bel gesto” in grado di scuotere le coscienze di una nazione intorpidita ed assuefatta al degrado sociale e alla pura e semplice scomparsa.

I commenti, nell’epoca dei blog e delle “reti sociali”, non sono mancati. Ognuno ha detto la sua, e coperti dall’anonimato alcuni si sono sbracati in porcherie degne della categoria che dichiarano di rappresentare. Basti leggere i commenti, sulla pagina Facebook dello stesso Venner, di alcuni “attivisti gay” (cliccare su “mostra i commenti precedenti” al post del 14 maggio).

Altri, paladini del “multiculturalismo” a tutti i costi e senza limiti, poiché per loro esistono solo “cittadini del mondo” (salvo verificare quanto sarebbero disposti a non sbellicarsi dalle risate se, poniamo, un Mario Brambilla pretendesse di diventare “congolese” dopo dieci anni di permanenza nel paese africano!), hanno commentato con analoghi insulti, che denotano un fanatismo unilaterale misto ad una cieca “intolleranza”: proprio loro che predicano il suo opposto per mari e monti!

Parlando invece di cose un attimo più serie, si registrano i pareri di chi ha rilevato l’esagerazione del gesto dello scrittore francese, se non altro per la “causa” in sé, che a loro dire non lo meritava.

Qui però bisogna svolgere due riflessioni su quelle che sono la sensibilità “di destra” e quella “di sinistra”.

Una moderna sensibilità “di destra” è senz’altro più ricettiva verso quel che attiene alla sfera della “civiltà” (identificata a volte con “la tradizione”, sebbene mal compresa, e lo vedremo dopo) e della “identità” (no agli immigrati, alle moschee eccetera), mentre una “di sinistra”, è maggiormente incline verso quel che riguarda “i diritti” e “il sociale”. Ecco perché Palach - come i monaci tibetani - si dà fuoco perché “manca la libertà”, mentre Venner si spara perché con i “matrimoni gay” ritiene si sia di fronte ad un “suicidio della nazione”. Non so se mi sono spiegato: queste sono la “destra” e la “sinistra”, anche nelle loro manifestazioni estreme dal punto di vista esistenziale quale può essere un suicidio.

Ovviamente esistono anche posizioni miste, intermedie, quale può esser stata quella di Mishima, che per elevare il suo grido di dolore contro “la morte del Giappone” si produsse in uno spettacolare “suicidio rituale”, con tanto di guardia d’onore paramilitare ad assisterlo. Mishima, però, che tra l’altro era pure omosessuale (ma non pretendeva il diritto di sposarsi con un altro uomo né di adottare figli!), piaceva un po’ a tutti, sia “a destra” che “a sinistra” (per gli stessi motivi per cui non piaceva sia da una parte che dall’altra).

Poi vi sono anche i suicidi per pura e semplice disperazione, parecchi in questo periodo, e quelli non sono né “di destra” né “di sinistra”, dato che la mancanza di lavoro, lo strozzinaggio degli “istituti di credito” e tutto il portato della cosiddetta “crisi” voluta e creata ad arte dalle élite finanziarie, non guardano in faccia a nessuno e sono spietatamente “bipartisan”.

Ma tornando ai “suicidi esemplari”, si può affermare che mentre un uomo “di sinistra”, specie di quella votata al materialismo più ottuso, non crede assolutamente a nulla oltre “il mondo”, e per questo va a farsi “suicidare” nelle cliniche svizzere, mediamente un uomo “di destra” ritiene vi sia “qualcosa” al di là di questa vita. Sovente ha un credo, talvolta una pratica religiosa, ma quasi mai un’autentica guida spirituale, con ciò intendendo un uomo realmente connesso con il “divino” all’interno di una tradizione regolare.

Purtroppo, se certa “destra” di due secoli fa, o ancora del secolo scorso, poteva dirsi “tradizionalista” (almeno per i suoi riferimenti culturali), lo stesso non può essere affermato al riguardo della più recente versione, sempre più “americana” ed “identitaria” e, magari in buona fede, attestatasi su battaglie di per sé giuste, ma in fin dei conti di retroguardia, a difesa della “società borghese”, senza però i saldi riferimenti e soprattutto l’esperienza vissuta di una tradizione regolare. Se poi ci aggiungiamo una discreta dose di filosofia superomista, anticamera del nichilismo, la via è già spianata per giungere anche ad un gesto estremo come quello di un “suicidio esemplare” in cattedrale.

Ora, l’Uomo non ha fatto del male a nessuno con quel gesto, nel senso che non è piombato nella sede di un’associazione di omosessuali o in una moschea sparando all’impazzata. Male, forse, l’avrà fatto ai suoi familiari, ma se si rilegge bene la sua lettera, chissà…

Il punto, a mio avviso, è un altro.

Se si vuole davvero evitare un “suicidio della Francia” (e dell’Europa), ostaggio del “multiculturalismo” e della “omofilia”, al di là della remota possibilità di prendere il potere per poi fare “come diciamo noi” (il che ha sempre la sua importanza, purtroppo disconosciuta da molti “tradizionalisti”), a livello esistenziale c’è una sola cosa da fare. Smettere di vedere sempre nero e mettersi a fare figli, come fanno gli immigrati che spaventano oltremisura le sensibilità “di destra”. Non il figlio unico o due figli, ma tre, quattro eccetera, perché se “il numero è potenza” (celebre motto mussoliniano) sarà anche riduttivo, nelle relazioni tra i popoli esiste il fattore numerico, pertanto chi fa figli vive e va avanti, chi non ne fa muore e sparisce dalla faccia della terra.

Le famiglie numerose sono anche un potente antidoto alla diffusione dei “matrimoni gay”, non c’è dubbio.

Come può diventare un figlio unico che vive perennemente attaccato alla sottana della mamma terrorizzato dalla “vita” che l’aspetta fuori dalla sua rassicurante cameretta? Certo, esistono molti altri fattori che incoraggiano tutto ciò che è “gay” (dallo spettacolo alla “cultura”, dai modelli familiari ai ritmi lavorativi, dall’incertezza sul futuro alla mancanza di figure di riferimento eccetera), ma l’uomo è anche e soprattutto un essere dotato di volontà, che può scegliere di darsi una regolata e svegliarsi, ritornando in sé e piantandola con il piagnisteo d’ordinanza che ormai lo contraddistingue.

Non c’è lavoro? In famiglia non ci sono più i “modelli” di una volta? Le donne sono così e cosà, e gli uomini idem? Chi se ne frega! Ad un certo punto, se uno non vuole diventare un fallito esistenziale senza un carattere, è un imperativo categorico quello di rimboccarsi le maniche e metter su famiglia, possibilmente numerosa.

Lì c’è la vita, altrove c’è la morte, così evidente anche se provano a confondere le idee con le sbandierate arcobaleno.

A questo punto mi sembra già di sentire l’obiezione: “eh, ma se non ci sono i soldi”… E perché, al di là del fatto che in troppi sono praticamente assistiti (ma qui il discorso si allargherebbe agli indicibili “accordi” tra lo Stato italiano e quelli di provenienza degli immigrati), vi sembra forse che la maggior parte degli immigrati navighi nell’oro? Nient’affatto! E cos’è che li sorregge allora?

Un sociologo o un antropologo possono dire cosa vogliono, con tutte le loro pubblicazioni “scientifiche”, ma quel che è certo è che gli immigrati, e specialmente quelli di religione islamica che terrorizzano gli “identitari” (senza dimenticare i romeni, sia cattolici che ortodossi), fanno tanti figli, anche in mezzo a difficoltà che noialtri manco c’immaginiamo, per il semplice ma basilare fatto che hanno fede in Dio.

La questione, dunque, non è quella di criticare, o peggio dileggiare la scelta di Dominique Venner da un punto di vista “ideologico” (“destra” contro “sinistra”, “omofobi” contro “omofili”, “razzisti” contro “antirazzisti”), ché si tratta in un modo o nell’altro di falsi opposti, di dicotomie che traggono vita solo dal fondamentale distacco dei moderni dall’unica posizione in grado di trascenderle, che è quella tradizionale, ovvero quella che è sempre stata patrimonio di tutti i popoli prima che, proprio in Francia, con la “Rivoluzione Francese”, attecchisse il morbo della “democrazia” e perciò della “politica”, per cui tutti hanno (o credono di avere) delle “idee politiche” (o semplicemente delle idee!).

Il problema, ripeto, è quello di un ritorno alla normalità, che lungi dall’essere la sovraesposizione di tutto ciò che è omosessuale o l’esaltazione del “multiculturalismo” (il cui esito è un’indistinta macedonia, com’è dimostrato ovunque si è imposto), non può però essere una posizione “di destra” o “conservatrice”, bensì quella fede in Dio, quella scintilla che mette in moto tutto il resto, senza la quale “i nostri avi” non avrebbero tra l’altro edificato quei magnifici inni alla vita che sono le cattedrali.