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sabato 31 luglio 2010

Per Mauro Gigli

da Estense Com

Occhiobello. “È un giorno di lutto, la tragica notizia della morte del primo maresciallo Mauro Gigli lascia nello sgomento tutti noi, concittadini dei familiari del militare”. Sono residenti a S. Maria Maddalena, in provincia di Rovigo, a due passi da Ferrara, subito dopo il ponte che attraversa il fiume Po, i familiari del militare italiano morto mercoledì in Afghanistan in un attentato ad Herat insieme al caporal maggiore capo Pier Davide De Cillis. Per questo il sindaco di Occhiobello Daniele Chiarioni ha voluto ricordare il sacrifico del primo maresciallo, che – come riferito dal ministro La Russa, si è sacrificato per salvare la vita dei suoi compagni di reparto.

“È sempre difficile – ha detto Chiarioni – accettare che il sacrificio di vite umane a presidio di territori in scacco al terrorismo, giustifichi gli impegni internazionali e la presenza di contingenti per la stabilità e la sicurezza dell’Afghanistan. Siamo vicini alla moglie e ai figli, alla madre Luciana, al padre Benito, ai fratelli Monica, Marco e Massimo rivolgendo loro le più sentite espressioni di cordoglio”.

Nato il 3 aprile 1969 a Sassari, il primo maresciallo Mauro Gigli era effettivo al 32° Reggimento Genio di Torino (Brigata Alpina Taurinense).

http://www.estense.com/da-occhiobello-il-cordoglio-per-mauro-gigli-073602.html

venerdì 26 giugno 2009

NICKY LAUDA FUTURISMO POSTUMANO

La rincorsa verso i limiti non deve finire mai

*from Fantascienza Com

Esempi di come sfruttare tutta la propria vitalità in chiave futurista. Che poi è la base della nostra amata Fantascienza

Per quelli della mia generazione Lauda è stato un simbolo, un personaggio scaltro e schietto, capace di fare grandi cose e non necessariamente solo in Formula 1. Dotato di abilità velocistiche innate, parallelamente ha sempre coltivato la necessità del ragionamento finalizzato all’ottenimento del miglior risultato possibile, non cercando la dimostrazione della velocità pura e del controllo sul mezzo che contraddistinse il suo successore alla Ferrari, quel Gilles Vielleneuve....

continua

http://www.fantascienza.com/magazine/rubriche/12458/la-rincorsa-verso-i-limiti-non-deve-finire-mai/

SANDRO BATTISTI

www.cybergoth.splinder.com

sabato 25 aprile 2009

25 APRILE TI VOGLIO BENE COMPAGNO BERLINGUER!

Berlinguer.jpg

La questione morale
Enrico Berlinguer - Repubblica, 1981

Intervista a Enrico Berlinguer

«I partiti sono diventati macchine di potere»   

«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.

«I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».

Eugenio Scalfari

*   *   *

La passione è finita?

Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.

E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.

Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.

È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio...

...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?

Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

 

«La Repubblica», 28 luglio 1981

http://www.metaforum.it/berlinguer/questionemorale.htm

http://www.youtube.com/watch?v=Jx112sB85Tg&feature=related  filmato

giovedì 18 dicembre 2008

2009 UN CONVEGNO PER ITALO BALBO

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L'AEROPOETA ITALO BALBO

Oltre 100 anni fa nasceva a Ferrara Italo Balbo, giustiziato dai precursori di Ustica nell'azzurro cielo di Tobruck, negli anni della rivoluzione fascista.

E anche a Ferrara, nell'odierna democrazia della turbogas... , celebrata con i soliti stuzzichini di Abbado, ancora offerti ai sudditi dal politburo ora rosso verde dopo la fine politica dei grandi promoters Soffritti, Siconolfi, Cristofori... è necessaria la ri-scoperta della "polibibita" Italo Balbo (al di là del talento mondiale di Abbado o dell'intelligenza del Duca o del valore pubblicitario dei Grandi Eventi...).

E di tanto in tanto la questione Italo Balbo ritorna in primo piano a Ferrara, un tempo soprannominata la Nera, poi dalla Resistenza... clonata in Rossa, tra breve solo Bianca!

Ma, incredibilmente, chiedere di dedicare soltanto una via al trasvolatore atlantico (ricordiamo le battaglie di Carlo Ferretti) suscita reazioni sempre eccessive, a Chicago ad esempio esiste da molti decenni una Balbo Avenue, vale a dire in Usa, patria della democrazia occidentale più avanzata.

Che dire? Per ragioni storiche a Ferrara... molti sono naturalmente convinti che gli Stati Uniti sia una nazione solo imperialista, inoltre l'ostracismo a Balbo significa non fare mai i conti con il comunismo... nonostante sguardi diversi suggeriti da storici non banalmente revisionisti ma critici, eretici ed attualissimi come - dopo De Felice- i vari Nolte o lo stesso Giordano Bruno Guerri, sicuramente antipatici non solo alle roccaforti postcomuniste ma anche in ambito universitario.

In realtà Italo Balbo è stato probabilmente, nel bene e nel male, il più grande uomo anche politico di Ferrara nel XX secolo: solo l'ex duca rosso Roberto Soffritti sarà ricordato con lui dagli storici futuri e sicuramente nessuno si opporrà ad una via dedicata in avvenire a quest'ultimo.

Soprattutto, tranne a Ferrara, la storia ricorda già Italo Balbo tra i primi grandi trasvolatori atlantici: per intenderci quasi come i primi uomini sulla Luna (l’Apollo 11!).

Infine, alla luce anche di avvenimenti recenti (vedi l'atteggiamento antiamericano di tutta la sinistra postcomunista italiana...), persino il Balbo fascista e ferrarese domanda oggi revisionismi rivoluzionari: il fascismo ha certamente impedito negli anni del ventennio all'Italia di diventare uno stato satellite dell'Unione sovietica di Stalin, la buona volontà dei comunisti italiani non avrebbe retto allo strapotere dell'ideologia totalitaria di Madre Russia!

Riassumendo...: Fascista di sinistra, pioniere eroe futuristico dell'aeroplano e dell'aviazione mondiale, marinettiano e dannunziano, oppositore alle famigerate leggi razziali e alla suicidale alleanza con Hitler… (persino fascista dissidente e antifascista!),uomo moderno, Italo Balbo è un antidoto a certa normalizzazione reazionaria, arrogante e passatista che attanaglia, neopiovra rossoverde, l'Italia del 2000, da Roma a Ferrara.

E anche a Ferrara... gli intellettuali sono quasi tutti filogovernativi, qua - come noto - è stato anticipato da decenni il compromesso storico ( e per giunta volgarizzato, ben distante dalle utopie elevate di un certo Berlinguer-sintesi tra umanesimo socialista e umanesimo cristiano...)

Oggi, 2009 imminente, Italo Balbo non è più solo una provocazione: Italo Balbo era un fascista scomodo e libertario, così distante dal mondo museale-vegetale delle querce e degli ulivi o dalle margherite da... morire persino in volo, in cielo, forse ucciso dagli stessi fascisti devoluti a bigotti reazionari, come Majakowskij con Stalin o Aldo Moro con la prima repubblica.

Italo Balbo va ri-clonato, non celebrato con liturgie anoressiche o necrofile, il suo spirito moderno, coraggioso, dinamico e aeropoetico (scrisse all'epoca autentici bestsellers!) invita le generazioni nuove a rinnegare il servilismo ferrarese, certa lentezza "antropologica" di un popolo padano ferrarese ....mai ferrarista!

Balbo suggerisce ancora la liberazione di Ferrara città d'arte da certa depressione quasi genetica (il primato dei suicidi, un’economia a pezzi); a salvare il turismo e la città d'arte dai recenti e dai nuovi business catto-comunisti oppure a concretizzare con efficacia tale scommessa, a stimolare infine con convinzione molti giovani e talentuosi artisti (il loro numero è insospettato) prima di volare altrove.

Il misconosciuto eroe atlantico ferrarese, dopo le cadute del Muro di Berlino, dell'Unione Sovietica e di Saddam... esige - ora più che mai - a dire no per il 2009 e  a smascherare l'umanesimo comunquista ortodosso dei paleocompagni al potere, riciclati (leggi probabile vittoria di Tagliani ) in neodemocristiani!!!

Resistenza ciberpolitica a Ferrara, anche in nome di Italo Balbo, pioniere del cielo! E appunto, nel 2009 sia promosso e realizzato - finalmente- un bel Convegno aerofuturista sull'Eroe ferrarese dei cieli!

ROBERTO GUERRA