Giancarlo Capri....Il
Futurismo alla Gnam orfano senza la scultura di "Forme uniche della
continuità nello spazio" di Umberto Boccioni. La confessione di Bilotti
al Giornale dell'arte.
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Venerdì 20 dicembre si è avverata l'ultima stazione della «via crucis» di Umberto Boccioni, dopo 18 giorni di esposizione presso la mostra «Il Tempo del Futurismo», inaugurata il 2 dicembre alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma
(Gnamc). Una vicenda incomprensibile, senza logica apparente,
forse derivante da qualche «dietro le quinte» di politici, da accordi
con galleristi o dalle dinamiche ricostruite dalla stampa e dalla
televisione. O semplicemente dall’assenza di un comitato
scientifico, che avrebbe dovuto coordinare i pareri di esperti con la
documentazione pregressa, onde garantire l’omogeneità espositiva.
Eppure «Forme uniche» è l’opera che più rientra nell’immaginario collettivo,
con cui la gente ha più familiarità, convivendo quotidianamente con
l’immagine dei 20 centesimi di euro, ma anche perché la si può vedere
nelle varie «traduzioni» dei musei del mondo. E così continua a
coinvolgere ed emozionare. È il capolavoro che forse esprime più di ogni
altro «Il Tempo del Futurismo», perché traduce il sentimento di quel «tempo», lo spirito di innovazione, la sua potenza visionaria, l’idealizzazione della velocità meccanico industriale. Il
rapporto tra uomo e macchina, infatti, in Boccioni sarebbe diventato
sempre più stretto fino a fondersi in un’audace visione futurista.
L’opera incarna proprio il rapporto tra arte e scienza/tecnologia, la
macchinizzazione dell’umano e l’umanizzazione della macchina.
Rappresenta gli obiettivi artistici iconoclastici e rivoluzionari dei
futuristi, la deformazione di un corpo antropomorfo lanciato a
conquistare il futuro, in una traiettoria sintetizzata rispetto alle
variazioni del movimento.
L’opera arriva dall’Onu dove è stata
esposta dal Ministero degli Esteri nel 2024 quale icona italiana, dopo
essere stata da giugno 2022 ad Osaka e nel 2023 a Singapore, Tokyo, New
Delhi, Seul e Città del Messico. Fa parte della tiratura autorizzata
delle eredi Marinetti, in attuazione della volontà di Filippo Tommaso Marinetti
del 23 novembre 1933, erede morale e partecipe intellettualmente al
lavoro futurista di Boccioni, il quale stabiliva di realizzare una
tiratura di «Forme Uniche», per il Nord Italia, per il Centro e
per il Sud, ovvero a Milano, a Roma e Reggio Calabria, dove Boccioni
nacque il 19 ottobre 1882. Le eredi Marinetti, cedendo il gesso e due
bronzi, avevano vietato la riproducibilità, riservandosi l’esclusiva facoltà di realizzare la tiratura prevista nel 1933 realizzata da Carlo, Enzo e Roberto Bilotti con la supervisione scientifica di Maurizio Calvesi,
che l’ha schedata e pubblicata nel catalogo generale dell’opera di
Boccioni a cura di Calvesi e Dambruoso (Allemandi, 2016), con ratificata
notarile di Ala Marinetti, fonderia Realizzazioni Srl, Roma.
Gli accordi realizzativi iniziavano dopo il 1986,
termine del periodo protetto dei diritti d’autore, cioè dopo i 70 anni
dalla morte dell’artista, riservato ai discendenti, il figlio Pietro e
la di lui figlia Hélène Berdnikoff, oltre a Licia Dal Pian Boccioni,
erede di Amelia, sorella di Umberto Boccioni (Alfred Hamilton Barr Jr.
storiografo e primo direttore del Museum of Modern Art di New York,
nella lettera da Londra, 13 luglio 1948, conferma che le eredi Marinetti
hanno il diritto di riprodurre secondo quanto prestabilito dal
fondatore del movimento). Come previsto da Filippo Tommaso Marinetti, il
28 novembre 2012 il bronzo n. 2/6 è stato donato dai Bilotti alla Galleria nazionale di Cosenza, e il 9 marzo 2023 l’edizione n. 3/6 è stata consegnata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma nelle more della donazione.
Il progetto voluto da Marinetti, nella mostra alla Gnamc, ha trovato sprezzante delegittimazione antistorica, antiscientifica e antidocumentale.
Tutti i bronzi di Boccioni nei più importanti musei del mondo sono
delle «riproduzioni», nel senso materiale del termine, proprio per come
sono state prodotte, ossia riprodotte fedelmente dallo stampo del gesso o
del bronzo, e nessuna realizzata per volontà espressa e supervisione
dell’artista. Sostantivare, come avvenuto nella didascalia in
mostra, il termine riprodurre in «riproduzione», e ancorarlo alla parola
«surmoulage», pur essendo indicata la data postuma alla morte dell’artista, oltre a essere pleonastico, in italiano, assume un connotato peggiorativo completamente diverso. «Surmoulage»
indica la tecnica d’esecuzione, cioè, come da dizionario, «fusione da
bronzo finito», un banale errore che non dovrebbe accadere in un museo. Omettere
la data di concepimento (1913), che precede quella di fusione,
significa falsare i termini di fondo, in quanto nega la derivazione
dalla forma primaria.
L’alternativa propostami è stata l’inedita denominazione «opera tattile».
Al riguardo, occupandomi di arte sanitaria negli ospedali Ruggi
d’Aragona di Salerno e di arte sociale nelle carceri, mi ero reso
disponibile, in spirito d’inclusione sociale, di consentire,
specialmente ai non vedenti, di percepirne la forma, di renderla fruibile attraverso la percezione del tatto. Usarla però come definizione dell’opera non è storicamente accettabile e travisa così la mia disponibilità.
Tutti
i musei, anche quelli che espongono i bronzi di «Forme uniche», tratti
direttamente dal gesso o con il passaggio tecnico dal bronzo, omologano
la descrizione in didascalia indicando in successione l’autore di
riferimento, il titolo, la data di concepimento e poi di fusione, e,
infine ed eventualmente, la tecnica. Così è stata inquadrata sino ad
oggi dalla critica, dallo stesso Ministero della Cultura nel Decreto di
vincolo e nel Catalogo dei Beni culturali, dal Comitato scientifico del
Ministero degli Esteri nel catalogo della Grande visione italiana, dallo stesso direttore generale dei musei Massimo Osanna nelle richieste ufficiali alla Galleria Nazionale di Cosenza, dallo stesso curatore Gabriele Simongini nella mostra «Ipotesi Metaverso» del 2023. L’opera, inspiegabilmente esposta invece alla Gnamc al buio (fatto senza precedenti che ha mortificato la sua presenza e messo a rischio la sicurezza dei visitatori), è stata esclusa dal catalogo, come se non fosse in mostra. Infine, il posizionamento su base di marmo è concettualmente contrario allo spirito della polemica futurista sulla «nobiltà tutta letteraria del marmo». La direttrice della Gnamc, Renata Cristina Mazzantini,
non ha mai risposto a nessuna di queste argomentazioni, neppure alla
precedente attività di Governo. Quest’ultimo ha infatti esposto l’opera
attraverso il Ministero degli Esteri, e con il supporto del Comitato
scientifico Collezione Farnesina (composto da nove super specialisti che
hanno esaminato l’intera documentazione della scultura, inquadrandola
nella scheda didascalica) per due anni, in Paesi con i quali
intercorrono scambi politici, diplomatici e culturali, e in luoghi della
civiltà universale, come il Palazzo di vetro delle Nazioni Unite. Oggi
la dott.ssa Mazzantini, con il suo confuso ribattezzamento, di fatto, sconfessa l’operato del Governo: come se quest’ultimo e il vicepresidente del Consiglio dei Ministri avessero preso in giro il mondo.