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sabato 24 gennaio 2009

LA SCIENZA DEI TAG

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LA FILOSOFIA DEL TAG DI LIVIO MILANESIO 

L’articolo qui pubblicato solo parzialmente per motivi di spazio è tratto da www.apogeo.com. (12-01-09)
A cura di David Palada (david.palada@libero.it)
 
 
Usare i tag sottintende un lavoro filosofico complesso e spesso sottovalutato: si può contribuire al caos o alla creazione di un nuovo ordine universale nel quale le relazioni possono essere le più impensabili

[…] Capita ora che nella nostra funzione di tuttologi e onnivori della conoscenza ci troviamo per le mani la responsabilità di comunicare e organizzare la nostra cosmogonia grazie alla rete Internet. Blog, pagine web e tutto il rutilante mondo del web 2.0 è imperniato nella condivisione della conoscenza attraverso l’uso delle parole come punti di riferimento. Lo strumento principe che ci è dato per determinare le relazioni e quindi le descrizioni è il tag, il più immediato, medievale, fantasioso, irresponsabile metodo di catalogare le cose del mondo. Niente più universi ordinati alfabeticamente, per esempio, in cui A-Apra è una galassia separata (anche fisicamente) da Apri-Benj o Tras-Z, un ordine supremo e incrollabile, talmente perfetto che sebbene Linneo venga piazzato tra lo scrittore danese contemporaneo Linnermann e la pianta del Lino la fiducia in tale ordine non viene scalfita neppure per un momento.

E neanche più ordini reciprocamente contenitori come regno > philum > classe > ordine > famiglia > genere > specie, ma una classificazione che esplode in superficie richiamando collegamenti logici, impensabili, vendicativi, razionali, personalissimi e strutturalmente anarchici. Basta fare un salto su Flickr, il duepuntozero della fotografia e provocare il sistema cercando un termine generico, ad esempio love, per subire la vertigine della follia catalogatoria dei propri simili: in risposta si ottiene tutto ciò che le sinapsi umane possono collegare alla parola love (e a anche qualche cosa di più). Gente che si bacia, gatti che si baciano, campi di girasole, tastiere di computer, alberi, tramonti, anelli, teschi, piedi, spillette, cioccolato, nuvole, candele, rose, nani da giardino, carte da gioco, animali, cuori e pastelli colorati.

Il fatto è che, senza voler esagerare, quando di applica un tag a una ricetta della spigola al cartoccio o a un articolo sulla Sindrome di Apserger è necessario che l’utente, preparato o no, faccia il suo piccolo sforzo ontologico di descrizione dell’universo, dell’ordine al quale obbedisce e soprattutto lo sforzo di trovare il termine (o i termini) che facciano comprendere ai lettori questo ordine. Una operazione alla quale con alterne fortune ci si sono impegnati fior di pensatori da Parmenide a Platone, da Cartesio a Kant, giù giù fino a Wittgenstein e Charlie Brown. Un’operazione che nel passato avrebbe richiesto rispetto, preparazione e deferenza verso i maestri, ma che in queste nostre meravigliosa epoca di allegra irresponsabilità ci permette di ridisegnare le rotte delle orbite celesti ogni volta che si posta una foto su Flickr o si scrive un post sulla nostra personalissima cronaca della fettina di mondo nella quale viviamo. Taggando il tutto con la parola opinioni.


Livio Milanesio ha passato i suoi primi quarant'anni tra teatro, cinema d'animazione e digital design, come testimonia il suo sito personale. Art director presso Domino, si occupa di web, unusual marketing e scrittura. Collabora con Nova24, il supplemento tecnologico de Il Sole 24 Ore, e con diverse altre riviste e pubblicazioni. Insegna all'Istituto Europeo di Design e alla scuola Holden di tecniche della narrazione.

 (LIVIO MILANESIO)

(A CURA DI DAVID PALADA)

http://www.apogeonline.com/webzine/2009/01/12/la-filosofia-del-tag

http://motobrowniano.wordpress.com/tag/dinamiche-della-rete/
 

venerdì 19 dicembre 2008

IL LATO OSCURO DELLA NET-PAROLA

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Questo articolo scritto da Livio Milanesio - http://liviomilanesio.it/ - è stato pubblicato da Apogeo on line – www.apogeonline.com – e qui presentato integralmente.

A cura di David Palada


IL LATO OSCURO DELLA NARRAZIONE
LE STORIE SALVERANNO IL MONDO?

di LIVIO MILANESIO

La rete è piena di storie. Autorevoli o bizzarre, inutili o fondamentali, vivono nei blog e qualche volta entrano in conflitto con l’informazione “ufficiale” che non sempre è trasparente. Riusciranno i blogger a salvarci?
«Voi siete quelli che chiamiamo la reality-based community, coloro che credono che le soluzioni emergano dalle ricerche, ma il mondo non funziona più così. Noi siamo un impero e creiamo la nostra realtà. E mentre voi la analizzate con i vostri metodi, noi creiamo nuove realtà». Così un anonimo staff member di Bush Junior raccontava la sua visione del mondo a un reporter della vecchia scuola. La storia riportata da Ron Suskind in un articolo del New York Times è rimbalzata nel recente saggio del sociologo francese Christian Salmon, Storytelling, pubblicato in Italia per i tipi di Fazi Editore. La tesi è che una delle più antiche e diffuse forme di creatività umana, l’arte di raccontare storie, sia usata in modo massiccio come potente arma politica e di marketing.
Lo storytelling di cui parla Christian Salmon riguarda l’utilizzo delle tecniche narrative a fini pratici: si trasforma la realtà in un’epica e i cittadini diventano protagonisti di una avventura le cui fila, però, sono nelle mani di qualcun’altro. E così Enron, George Bush, la guerra in Iraq e Nicholas Sarkozy si trasformano nei grandi temi narrativi del ventunesimo secolo, costruendo attorno a sé un’aura mitica nella quale ogni ragione sembra doversi sottomettere. Storie perfette dal fascino irresistibile se solo qualcuno non avesse il vizio di immaginare finali differenti. La felice e inconsistente favola di Enron, azienda proiettata verso un futuro perennemente radioso comincia a vacillare a causa di un punto interrogativo. È il 5 marzo del 2001 quando Fortune pubblica un articolo intitolato Is Enron Overpriced?.
Enron è “raccontata” come una superstar hollywoodiana con qualche lato oscuro di troppo. L’articolo è una vera a propria contronarrazione, che conduce a immaginare un finale diverso. Il dubbio si insinua. Ci si accorge che, affascinati dalle meravigliose avventure dell’azienda di Houston, neppure i più prestigiosi analisti avevano considerato problematico il fatto che intere divisioni di Enron fossero un totale mistero finanziario. Il sipario si strappa, l’azienda vacilla. Nel dicembre dello stesso anno Enron fallisce. Certo non è il singolo articolo di Fortune a fare crollare il castello di carte (o di carta) ma è l’inizio delle numerose domande e rivelazioni che da quel momento sfuggono dal controllo della leggenda Enron.
La rete è piena di domande e rivelazioni. Sono spesso coloro che stanno ai margini i più attivi: non inquadrati, non autorizzati, assenti dagli albi professionali, spesso maniacalmente specializzati, dribblano le narrazioni ufficiali per proporre storie diverse, rivelando con candore che il re è effettivamente è nudo. Sono contronarratori, non protestano in piazza ma scuciono e ricuciono nuove leggende utilizzando il blog come arma d’assalto. Essi sfuggono quasi sempre alla formula “lei non sa chi sono io” perché non hanno bisogno di un editore che certifichi la loro competenza per rendere pubbliche le proprie idee. Una particolarità che fin dagli albori del www è stata percepita come un problema: come faccio a essere certo che ciò che sto leggendo proviene da una fonte credibile ed autorevole? Come faccio a fidarmi di qualcuno il cui “esame di abilitazione” è stato quello di essersi iscritto a un servizio gratuito come Blogger o Wordpress?
Nume tutelare e superstar dei contronarratori italiani è Beppe Grillo. Marginalizzato dal ruolo istituzionale di comico televisivo si reinventa in teatro e sulla rete svelando e nello stesso tempo creando nuove leggende fatte di auto a idrogeno, camicie di canapa e di parole magiche (vaffa) che fanno tremare i potenti. Una storia che sostituisce un’altra storia. C’è da chiedersi a questo punto se dietro a tutta questa narrativa esista effettivamente una realtà.
In un ambiente partecipato quale è la rete non si possono considerare attivi soltanto gli autori ma anche (forse soprattutto) i lettori. La rete offre molto materiale ma è necessario sviluppare un senso critico per poterla utilizzare. Cercare, confrontare, criticare, partecipare sono i nuovi verbi che si aggiungono all’attività del lettore. Il bello è che non è per nulla una novità: come dimostra la tesi di Salmon l’informazione verticistica è spesso vittima di ingerenze e di obiettivi che poco hanno a che fare con l’informazione, quanto con la necessità di avallare certe decisioni (su dài, adesso basta, chi ha fregato le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein è ora che le tiri fuori se no Bush questa volta si arrabbia davvero). E quando non ci si mette di mezzo la malafede può capitare che la consistente massa di informazioni che dobbiamo gestire renda difficile la verifica, come accadde all’autorevolissimo Journal of Statistical Physics che pubblicò alcuni studi del professor Stronzo Bestiale dell’Institute for Advanced Studies di Palermo.
Il motto è sempre e comunque quello di Fox Mulder: Trust No One, non fidarti di nessuno, salvo poi dare la facoltà a chiunque di esprimersi e a noi di credergli.
Intanto Enron è fallita per davvero e i morti dell’Iraq non si rialzano quando si spengono le telecamere e neppure l’inventore dell’auto a idrogeno è stato rapito dalla Spectre, e, i cosiddetti potenti, incassato il vaffa hanno continuato tranquillamente per la loro strada, intessendo una nuova storia da raccontarci. E se i blogger continueranno a raccontare le loro personali realtà alternative, allora avremo ancora la possibilità di catturare un po’ di quella complessità che governa il nostro universo. Con un pizzico di autorevole distacco.

(LIVIO MILANESE)

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=3823&ID_sezione=38&sezione=News

http://www.ibs.it/code/9788833918389/mazzarella-arturo/grande-rete-della.html