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sabato 5 aprile 2025

MONETA-Nuovo Settimanale de Il Giornale-SocioPolitica

 https://www.ilgiornale.it/news/cronache/bussola-contro-caos-2461179.html

"Moneta" sarà allegato gratuitamente al Giornale. Un settimanale di economia, finanza e risparmio che ha lo scopo di arricchire la nostra proposta con articoli e servizi sull'intera sfera del denaro


domenica 2 aprile 2023

Divisione del lavoro e dimensione di mercato: Produttività e ricchezza Formato Kindle di Alberto Cavicchi (Autore)

TIEMME DIGITALI, MARZO 2023

La divisione del lavoro è uno dei concetti centrali della teoria economica moderna e riguarda tutte le organizzazioni umane (dalle piccole alle grandi). Del resto, come si sa, il lavoro è uno dei fattori fondamentali della produzione e la sua organizzazione è essenziale nell'evolvere di una società e nella crescita della qualità della vita delle persone.

Riccardo Roversi

Nuovissimo libro elettronico in esclusiva per l'economista di/da Ferrara, Alberto Cavicchi, raro esperto creativo e lungimirante in un oceano di esperti spesso sopravvalutati nel nostro tempo, figurarsi in un  settore "sistemico" come il mondo del Lavoro, alienato e da tempo fin da - appunto - certi Esperti... (R.G.)


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Roberto Guerra
 

venerdì 11 aprile 2014

Oro e Lavoro, Luca Gallesi, Gabriele Stocchi, Silvio Gesell, C.H. Douglas: per una New Economy antagonista


ORO E LAVORO
 
Collana diretta da Luca Gallesi e Gabriele Stocchi.
La collana pubblica testi di economisti eterodossi che hanno indagato e cercato e risolvere le cause della “miseria in mezzo all’abbondanza”. A tale paradosso si riferisce Keynes, quando elogia gli studiosi eretici che “seguendo le loro intuizioni, hanno preferito vedere oscuramente e imperfettamente la verità, piuttosto che persistere in un errore, ch’era stato raggiunto bensì con chiarezza espositiva e facile logica, ma su ipotesi inadatte ai fatti”. Tra gli Autori previsti, accanto ai già pubblicati C.H.Douglas e Silvio Gesell, troveranno spazio opere di A.R. Orage, F. Soddy, A. Kitson, C. Hollis e Brooks Adams.
 


“Un profeta immeritatamente trascurato, un autore che può incidere più di Marx”. In questo modo Lord Keynes descrive il lavoro di Silvio Gesell. Mai pubblicato in italiano, questo libro ha ispirato economisti e rivoluzionari, utopisti e poeti, sfidando il  [Dettagli...]
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C.H. Douglas ritiene che alla base di ogni problema economico ci sia un contrasto tra credito reale e credito finanziario: il credito reale nasce dalla produzione e dai consumi, e si basa sulla comunità di cittadini che lavorano e vivono insieme; il credi  [Dettagli...]
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PAGINE 142

giovedì 14 marzo 2013

Internet vs la Finanza degli ominidi...* + Video

video M. Ganzaroli /*presentato con altri video dell'autore a Animo*live evento multimediale... a Roma, 10 3 '13

fonte
www.eccolanotiziaquotidiana.it



Tra gli effetti del web inconcepibili al vecchio ominide dei secoli scorsi, classificato (erroneamente) Homo Sapiens (non a caso molti dimenticano la definizione esatta, Homo Sapiens Sapiens...) o dai postcomunisti ideologici ancora Homo Consumens (ma meglio consumens che ...soviet) sfugge probabilmente a politologi, futurologi non scientifici, presunti esperti, la dinamica più rivoluzionaria e trasformatrice.
Internet azzera, rottama, vaporizza la cosiddetta Economia o Finanza o quel vecchio calesse salvadanio che ci si ostina a chiamare ancora Banche o Borsa Mondiale! Non solo questioni terminologiche, ma un linguaggio intero, l'area sinaptica dell'economia o della Finanza intera è oggi superata, estinta. Internet è un ictus che ha colpito irreversibilmente questa sezione dell'encefalo planetario. Non a caso il mondo è in coma vigile, paralizzato, anche i neurochirurghi semi-infermi, l'ictus digitale è un virus, contagioso, epidemico!
Ogni volta o quasi, con una iperbole, quando esperti, politici, economisti disquisiscono di temi cosiddetti finanziari, economici e del futuro, sempre con certo linguaggio economico, finanziario, statistico ecc, poco importa se anche universitario o da Premio Nobel, quel che dicono equivale a parlare di astrologia, di oroscopi, di volo degli uccelli...
Qualcuno lo assioma...anche ma poi subito scatta la regresssione linguistica, pre-internet e irrazionale, i Caldei o gli Aruspici lo facevano persino meglio! In principio da decenni ormai, con il Web alla luce del Sole, è l'INFORMAZIONE e la sua energia nucleare è la Velocità quasi della Luce, istantanea, simultanea.
Come uno Tsunami, l'Informazione è un fenomeno ormai Naturale, una memetica senziente, quasi, un vortice, un terremoto dove al massimo l'azione umana può interferire per salvarsi la pelle, magari con nuove norme antisismiche – nella metafora- sinaptiche, ovvero cominciare a ragionarci su, senza rimuovere letteralmente il Nuovo Fenomeno Naturale.
L'economia come astrologia reale o parapsicologia socio-economico-finanziaria è persino documentata in cronaca live nelle notizie in merito dei giornali e delle televisioni: nessuna differenza con il Mago Otelma!
L'economia è morta, andrebbe abolita tutta la sua enciclopedia linguistica: Einstein senza l'Informazione Accademia delle Scienze sarebbe oggi sconosciuto. Qualsiasi multinazionale senza Informazione non esiste, i suoi prodotti, dal detersivo e le noccioline alla bomba atomica anche se occupano l'intera Area 51, senza Informazione non esistono, sarebbero un cimitero a cielo aperto, lo saprebbero solo operai e qualche rondine o piccione viaggiatore...
Ebbene oggi appunto l'Informazione è Gaia, il pianeta Terra intero dopo Internet: lo spread ad esempio a livelli globali equivale a parlare quasi dell'ascendente individuale! Non c'entra nulla se non come autoprofezia che poi si autorealizza come funziona la magia dal neolitico..
Quel che è decisiva è non solo la Mutltinazionale come Informazione in sé, ma la Meta-Informazione, ovvero la Terra Gaia digitale globale che condiziona geneticamente la multinazionale stessa, velocità diverse, assimilandola, plasmandola, tatuandola..
Prima di Internet, le cosiddette Borse alternavano veglia e sonno, i fusi orari erano l'unico o quasi sogno rem che disturbava, interferiva preBrokers pre-turbo capitalisti, finanzieri ecc, alla moviola quasi umana come velocità...
Con Internet, spazio e tempo sono la stessa cosa e relativi come direbbe Einstein, le cosiddette Borse sono live non stop, tutte le unità umane settoriali semplici link o avatar del flusso, del vortice, del terremoto digitale produttivo (informazionale!) a moto perpetuo, il sogno rem e la veglia fusi indistintamente come una Chimera borg, i fusi orari stessi un rave continuo: vince chi è più veloce metaforicamente, nel salvarsi la pelle, captando quasi in multitasking neuronale, l'onda caotica e certe sue direzioni produttive e monetarie (informazionali) del cosiddetto Business o Mercato Mondiale, lanciando un clic, un nanoposter, un tweet cinguettio (al di là persino dei prodotti cosiddetti, surclassati – basta vedere un filmato di Wall Street, dalle sigle commerciali e industriali, mere password d'accesso..... il PIL + o - si dice (dimenticano sempre x e :, figurarsi zerouno, unità postmonetaria misconosciuta nella società liquida, anche il denaro, liquefatto, immateriale!), il prodotto specifico non esiste più, superfluo, solo Informazione!
Quel che funziona ancora è perché qualcuno inconsapevolmente c'azzecca come Colombo ci azzeccò con l'eclisse con gli Indiani d'America o come in fondo ha funzionato il mondo fino alla rivoluzione scientifica, industriale e poi elettronica e oggi Internet. ( E ovvio per altre infinite casualità creativamente, ma come poeti visionari, mai scienza con co-scienza, innestate nella Matrice e nella sua folle corsa ipersonica quotidiana..).
La Matrice, Internet in certo senso (o persino già senziente, post singolarità tecnologica... e qua scenari da fantascienza simultaneamente ossimori, contraddittori, inquietanti e ammalianti, alla Orwell/Asimov) ha generato la cosiddetta crisi contemporanea...
Le vecchie soluzioni sono ridicole (al di là di svolte non complesse, fondamentali ma secondarie- etico sociali- ma dicono sia demagogia!- se non si sperimentano soluzioni radicali tecnoscientifiche- scienza con co-scienza e anche robusta immaginazione futuribile), basate sul Mito della Finanza e dell'Economia (e delle Multinazionali e delle Banche..) e dei suo esperti capaci consapevolmente di legiferare e creare le leggi umane della Finanza stessa mondiale ancora con i vecchi arnesi astrologici (enciclopedia del linguaggio specialistico e tecnico in primis) dell'umanità pre-internet.
Qua non la sede, né abbiamo la competenza conoscitiva per le ricette necessarie ( se non tra le righe alcuni input lanciati), ma ci si rifletta su:
in pillole: l'homo sapiens sapiens, dall'ultima glaciazione, ha circa 10000 anni... la Macchina (anch'essa una macchina, una vecchia informazione) BANCA ha 5/6 secoli. INTERNET, supermacchina senziente quasi della nuova umanità digitale, sta semplicemente rottamando la paleomacchina Banca (e tutta la sua genealogia dal tardo medievo al XX secolo) alla base del vetusto mondo industriale...chiamato capitalismo o capitalismo di stato (il socialismo).
All'orizzonte qualcosa del genere: dall'alchimia alla chimica, dall'astrologia all' astronomia, dall' economia alla futurologia scientifica (o come la si vorrà chiamare), dal latino... all'inglese, dalla finanza e le banche e le multinazionali e la partitocrazia, a un mondo nuovo postindustriale... a nuovi Strumenti oggi inediti (probabilmente immateriali- prima o poi dislocati nel nascente web 3.0 più evoluto), in sostituzione di banche, multinazionali e partiti... per "nutrire" la Terra e gli Umani (Ch'era poi l'obiettivo comunque del Sistema Finanzocratico, sempre fallimentare se non per alcuni o molti in scala gerarchica in Occidente...).
In principio non il Verbo (ovvero i numeri della cabbala o dell'Istat o di Wall Street o delle agenzie di Rating che lanciano profezie che poi si autorealizzano rovinando e affamando popoli interi, ma non i Faraoni/Sacerdoti di turno...) ma l'INFORMAZIONE (forse già viva, veloce come la luce, la Matrice!).

RobyGuerra

 


martedì 1 maggio 2012

Futurismo sociale: Licenziare Equitalia-Usura igiene d'Italia!!!!

  

Licenziare Equitalia? Si può
I Tea Party ai sindaci:
"Riscuotete da soli i tributi"

Licenziare Equitalia? Si puòI Tea Party ai sindaci:"Riscuotete da soli i tributi"
Da mesi Equitalia usa la mano pesante contro cittadini e imprenditori. Il movimento Tea Party, da sempre impegnato nella lotta contro l'eccesso di tasse e di burocrazia, chiede che i Comuni raccolgano l'appello per una riscossione diretta dei propri crediti: per il Comune sarebbe un notevole vantaggio economico e una concreta dimostrazione di sensibilità e vicinanza verso i propri cittadini in un momento di grande difficoltà economica. Scarica la lettera da inviare ai sindaci

IL GIORNALE
http://www.ilgiornale.it/interni/appello_tea_party_sindaci_italianivia_equitalia_riscuotete_tributi_soli/tea_party-equitalia-comune_de_equitalizzato-tributi-tasse-esattori_fiscali/30-04-2012/articolo-id=585683-page=0-comments=1

martedì 14 febbraio 2012

PERCHE' N.O.? “Non volevate la decrescita?”


Non volevate la decrescita?
Quando i teorici della decrescita ci diranno quanto sarebbe bello fare un passo indietro e tornare ai ritmi di vita del passato, cerchiamo di ricordare quello che è successo in Italia nel 2012. Alcuni ecologisti rimpiangono la società dei cacciatori e raccoglitori del Paleolitico, altri sognano l’agricoltura di sussistenza delle società matriarcali del neolitico, altri ancora – meno estremisti – si accontentano del ritorno ad un modello di società antecedente alla rivoluzione industriale (il medioevo?). Ebbene, decine di migliaia di italiani hanno potuto sperimentare la vita a contatto con la natura: senza elettricità, senza telefoni, senza riscaldamento, senza acqua in casa, senza farmaci, con poche scorte di cibo, senza strade percorribili con automobili, ecc. Non sembrano così entusiasti. Si aggiunga poi che – come notava il romanziere Michael Crichton nel bestseller “Stato di paura” – quando ci si trova nella morsa del freddo polare, non è facile riscuotere applausi e raccogliere consenso maledicendo l’effetto serra, rimproverando l’uomo di provocare il surriscaldamento del globo. Il giochino funziona meglio in estate, con le temperature intorno ai 40 gradi. Purtroppo, la gente ha la memoria corta, e i decrescisti riconquisteranno le loro posizioni mediatiche quando saremo sotto gli ombrelloni, evitando però accuratamente di ricordare al pubblico i disagi che ha provocato il gelo di febbraio. Eppure, quello sperimentato da molti italiani in questi giorni è de facto uno dei possibili scenari della vita austera, semplice, sobria, a contatto con la natura, tanto decantata da Serge Latouche, Massimo Fini, Jeremy Rifkin, John Zerzan, e altri “nemici del progresso”. Gli anziani, i bambini, i poveri, i malati muoiono o rischiano di morire per il freddo? Beh, è quello che accadeva quando l’uomo viveva più in armonia con i ritmi della natura. Nelle società preindustriali un bambino su tre moriva per malattia, denutrizione, o freddo. Gli anziani erano pochissimi. L’aspettativa media di vita si aggirava intorno ai trent’anni. Epidemie, carestie, catastrofi naturali, flagelli del maltempo erano fenomeni a cui non si conosceva rimedio e che perciò si accettavano passivamente, o si “razionalizzavano” imputandoli a punizioni divine meritate (a chi non fosse convinto, non posso che consigliare la lettura di un classico come “La modernità e i suoi nemici”, di Piero Melograni). Invece di perderci in mondi fantastici, guardiamo allora in faccia la realtà. Per fare funzionare una società con aspettativa di vita intorno agli ottanta anni, cittadini ben nutriti e in discreta salute, abbiamo bisogno di tecnologia avanzata e grandi riserve di energia. La carenza di energia uccide. Ma per gli ecologisti radicali, il petrolio fa schifo perché inquina i mari, il gas è immorale perché bisogna comprarlo da Putin, il nucleare è pericolosissimo per le radiazioni, il carbone fa male alle vie respiratorie, i termovalorizzatori sono il demonio in persona, le centrali idroelettriche deturpano il territorio montano, e infine le pale eoliche e i pannelli solari non inquinano ma… sono così brutti a vedersi! E allora cosa facciamo? Riscaldiamo a legna? Se due più due fa quattro, per fare contenti i primitivisti, sessanta milioni di italiani dovrebbero disboscare la penisola. E, visto che siamo egualitaristi e internazionalisti, la ricetta vale per tutti: sette miliardi di terrestri a caccia di alberi con seghe e accette. Senza scordare la selvaggina e la frutta di stagione, che sono alimenti più salutari degli animali di allevamento e degli OGM. Per un paio d’anni dovrebbero bastare… Ma i “nonsensi” non finiscono qui. Le ideologie della decrescita sembrano fare breccia soprattutto all’estrema destra e all’estrema sinistra. In queste aree politiche si concentrano però anche gli elettori che lamentano di subire le peggiori conseguenze della crisi economica, la mancanza di stato sociale, di servizi, di lavoro. Ma non volevate la decrescita? La decrescita è recessione. La decrescita è povertà. La decrescita è deindustrializzazione. I decrescisti di destra e di sinistra dovrebbero fare festa quando le industrie delocalizzano, quando Marchionne trasferisce gli stabilimenti FIAT all’estero. (So bene che all’estrema sinistra ci sono anche crescisti” convinti, i quali sono anti-capitalisti proprio perché vedono nel liberismo l’origine della crisi, ma è innegabile che oggi devono stare gomito a gomito con chi guarda più a Latouche che a Marx). La temperatura è scesa sotto lo zero e ha iniziato a nevicare. Un fatto normalissimo. È inverno. Nel nord e nell’est dell’Europa succede per molti mesi tutti gli anni e la temperatura scende fino a trenta gradi sotto zero. Se un decrescista andasse in Siberia a dire che sarebbe bello rinunciare alla tecnologia, gli consiglierebbero un bravo psicologo. Forse, in Italia ci voleva il vento siberiano per tornare a ragionare, freddamente.
Riccardo Campa

*Vedi anche Perchè N.O.? laboratorio ciberculturale N.O O1/7

domenica 11 dicembre 2011

Perché N.O? Crescita/Decrescita * (01/3) di Vittorio De Pedys

01-VITTORIO DE PEDYS "Una possibilità : la decrescita
Le cronache 2011 di tutta Europa, ed in particolare in Italia, hanno posto l’accento, sulla crisi finanziaria che continua a devastare i redditi di intere popolazioni ed a falcidiare i risparmi degli attoniti cittadini. Uno stato di crisi “globale”: che senso puo’ avere allora dedicare uno studio al federalismo, epitome di visione locale delle situazioni ? La risposta giace non nel cosiddetto aspetto fiscale del federalismo, forse quello piu’ conosciuto e discusso, bensi’, come si vedra’ nello sviluppo del presente lavoro, in una visione totalmente diversa del problema della crescita, sostanzialmente irrisolvibile, ed in un’apertura verso le nuove possibilita’ che una economia a carattere piu’ locale offre. Se il globalismo internazionale e’ talmente centrale agli ingranaggi del problema da costituirne esso stesso il cuore, una possibilita’ da considerare con la massima serieta’ e’ che una risposta di segno opposto sia necessaria.

Sotto un punto di vista fondamentale, viene sottolineata da tutti gli “esperti” come il male principale che ci affligge sia di tipo economico, e cioè la mancanza di crescita del nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) , che in effetti è in stagnazione da quasi due decenni. I paesi occidentali che negli ultimi lustri hanno talvolta marcato dei brevi periodi di crescita al 3%, hanno festeggiato come se si trattasse di grandi vittorie di politica economica. Nulla di più fuorviante. Gli indici delle Borse valori di tutto l’occidente, che dovrebbero riflettere gli andamenti reali dell’economia, si trovano oggi su livelli assoluti pressoché uguali rispetto a quelli di 15 anni fa; ciò sembra coerentemente indicare che i mercati finanziari registrano questa situazione di non-crescita. .......

*by POLARIS-8/2011


CONTINUA  VEDI    01/3
http://nuovaoggettivita.blogspot.com/p/perche-no-crescitadecrescita-cura-di.html

sabato 26 novembre 2011

"Perchè N.O.? Crescita/Decrescita" a cura di Stefano Vaj e Sandro Giovannini (1)





*26/11/2011


01-STEFANO VAJ "Crescita o Decrescita?"


Prendo spunto da una conversazione privata con l'amico Giovannini per riproporre alcuni spunti che mi paiono particolarmente attuali in un momento cui alcune equivoche parole d'ordine come "sostenibilità", "decrescita", etc. vengono chiamate in rinforzo dalla propaganda di chi vede almeno a breve termine nell'affamare e mortificare i popoli europei ed accelerarne il declino modo migliorare per prolungare l'agonia di tutto un sistema il più a lungo possibile ("Abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra delle nostre possibilità", dixit con compiaciuto moralismo il catto-comunista a capo del cerimoniale nella zona amministrativa nota come Repubblica Italiana)............

01-SANDRO GIOVANNINI "Per ora intorno al dilemma 'crescita/decrescita' ”

Una riflessione come quella di Stefano Vaj, estremamente concentrata e fortemente direzionata, ci sollecita a domandarci quanto si sia realmente consapevoli dell’artificio che tutte le rivoluzioni e quindi alcune delle rivoluzioni ultime, nella fisica, nella biologia, nell’ancora sostanzialmente minoritaria interdisciplinarietà dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, impongano al mondo delle humanities.....
 

giovedì 24 novembre 2011

venerdì 1 ottobre 2010

Barbara Cannetti microstoria dello choc del futuro

Crisi economica significa, in poche parole, lasso di tempo (più o meno lungo) durante il quale si verifica una caduta generalizzata dei livelli delle attività economico - finanziarie. Le imprese non riescono più a vendere i propri prodotti, le scorte aumentano fino a quando non si è costretti a fermare la produzione. Ne consegue un aumento esponenziale del tasso di disoccupazione, l’inutilizzazione degli impianti, la diminuzione dei redditi ed il crollo dei consumi; i prezzi dei prodotti, a quel punto, subiscono una riduzione per sovrabbondanza di offerta rispetto alla domanda. Si crea, cioè, una reazione a catena che - a sua volta - porta un vero e proprio circolo vizioso. Se questo stato di cose perdura per troppo tempo, l’economia si avvia verso una fase di depressione, comunemente denominata recessione.

Alla fine della prima guerra mondiale, l’Europa si ritrovò in enorme difficoltà, poiché era stata in gran parte distrutta dai conflitti. La fase della ricostruzione fu però complessa e stentò a decollare. Il vecchio continente fu pertanto costretto ad importare merci e prodotti dagli Stati Uniti d’America, con conseguente e crescente indebitamento nei confronti del nuovo continente.

Negli USA, tutto questo favorì la concentrazione produttiva in impianti di grandi dimensioni, in modo da sfruttare le economie di scala. L’organizzazione del lavoro, divenne elemento di studio (si diede, ad esempio, vita a enormi catene di montaggio). A sua volta, anche il mondo della finanza iniziò un processo di concentrazione della ricchezza. Tutto questo avvenne senza alcun tipo di regolamentazione, perché gli economisti classici (tra i quali ricordiamo Ricardo), affermavano che il sistema era in grado di autoregolarsi.

Le grandi società capogruppo (holding) iniziarono, perciò, ad influenzare il mercato, operando in modo spregiudicato in Borsa (Wall Street).

 

Furono, dunque, questi gli anni, i processi e le condizioni che posero le basi che trasformarono l’America nella più grande potenza economico – finanziaria del mondo. Ben presto, però, si determinò una sovrapproduzione e le borse divennero arena per ingenti speculazioni, tanto che si ebbe un gap sempre più evidente tra quotazione azionaria dei titoli societari e reale produttività delle stesse aziende. Fattore aggravante, si dimostrò il fatto che, spesso, i profitti non venivano reinvestiti e, quindi, non si ponevano le condizioni per la futura innovazione tecnologica. Tutto ciò, come ricordato, ben presto portò ad un aumento dell’inflazione; molti operai vennero licenziati, con conseguente inizio di un lungo processo di rivendicazioni sindacali.

 

Nelle campagne degli Stati UNiti, la situazione non era certo migliore: il suprlus produttivo determinò una caduta libera dei prezzi delle derrate alimentari. I contadini si ritrovarono così con debiti sempre più ingenti, che furono peggiorati, negli anni successivi, da una forte siccità e dal totale disinteresse delle banche americane, interessate solo a lucrare attraverso l’esproprio delle terre. Intere famiglie restarono senza mezzi di sostentamento. Steinbeck descrisse questa situazione in modo particolarmente accurato nel suo più noto romanzo (Furore il cui titolo originario è ‘The grapes of the

Wrath’, ossia I frutti della rabbia), in cui si narra la lunga marcia di una famiglia alla ricerca di nuove terre. L’attenzione e la sensibilità di questo autore nei confronti dei più poveri, ossia di coloro che giorno per giorno a stento riuscivano a sfamarsi, lo portò a predisporre un documentario, girato nel '40, sulle condizioni di vita della società rurale messicana (il cui titolo è "The forgotten Village")

La crisi economica, quindi, serpeggiava già da tempo, ma è solo nell’ottobre del 1929 che esplose in tutta la sua drammaticità: le azioni crollarono, molte attività furono chiuse ed i lavoratori si ritrovarono licenziati in massa. La recessione che ne conseguì, ufficialmente durò fino al 1932 ma, in realtà, si risolse del tutto solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il 1932 fu l’anno in cui divenne presidente Roosevelt che mise in atto un intervento statale a sostegno delle situazioni di maggiore fragilità (fino ad allora infatti, i fenomeni economici – come ricordato - erano stati lasciati liberi di ‘autoregolarsi’). Gli interventi statali, in America, comportarono l’introduzione di varie azioni assistenziali (anche di tipo sanitario e pensionistico), l’istituzione di enti per la tutela del lavoro e per la mediazione fra le parti in conflitto, la programmazione di lavori pubblici. Le riforme furono, però, spesso osteggiate dalla Corte Suprema e da altri organi statali. Questo periodo e tutti gli interventi che lo caratterizzarono, divennero noti come ‘new deal’. Roosevelt ottenne - in tal modo - grande fiducia da parte degli americani che lo rielessero con una maggioranza schiacciante.

Gli artisti, proprio in quegli anni, iniziarono a porre sempre più attenzione alla questione sociale, anche se - in modo più o meno velato - venne tentata una sorta di ‘censura’, attivata ponendo l’accento su quel che veniva fatto per contrastare i problemi, omettendo invece di parlare troppo apertamente degli stessi.

Steinbeck, in tutti i suoi romanzi, parlò della condizione di vita dei più disagiati, sia nelle campagne che nelle città. Egli, tuttavia, restò sempre e comunque un americano convinto, un patriota; per questo molti suoi personaggi non s’arrendono mai e, di fronte alle difficoltà, cercano una qualche forma di riscatto, inseguendo il famoso sogno americano (‘in uomini e topi’, ad esempio, i protagonisti tentano e sognano fino alla fine di acquistare una fattoria per riscattarsi dalla vita di semplici lavoranti). Questo scrittore, che sempre si schierò dalla parte di poveri e diseredati, arrivò a condannare e denunciare l’assurdità di un sistema che aveva bruciato una enorme ricchezza. A tal proposito, infatti, scrisse: “Ricordo le facce inebetite e felici della gente che costruiva fortune di carta sulle azioni. […] Poi la gente smise di fare investimenti, e anche questo lo vidi con chiarezza, perché alla Depressione mi esercitavo da tempo. Non fui travolto dal crollo. Ricordo che venivano intervistati i Big Boys - i banchieri e gli industriali - quelli che sapevano. Alcuni acquistarono spazi per rassicurare i milionari in rovina: ‘È solo un ribasso fisiologico. ‘Non temete: comprate, continuate a comprare’. Intanto i Big Boys vendevano e il mercato implose.” (giugno 1960).

Molti altri scrittori ed artisti, iniziarono ad occuparsi della società e dei meccanismi regolatori. Oltre al più noto Steinbeck, ricordiamo autori come Passos, Eugene O’Neill, William Faulkner, ecc.

In occidente, dove la rivoluzione industriale si sviluppò prima del’900, i problemi delle masse e dei lavoratori erano già noti e quindi trattati dagli scrittori a partire dalla seconda metà dell’800. Nella prima metà di questo secolo, infatti, i periodi di crisi erano già divenuti ricorrenti, ossia ciclici. La letteratura, pertanto, s’incentrò, con frequenza sempre maggiore, su tematiche quali la povertà, la condizione dei lavoratori (a tal proposito si scriveva del lavoro all’interno delle miniere, dello sfruttamento di donne e bambini, ecc…). Victor Ugo, nel famoso romanzo “I miserabili” narra delle condizioni di miseria cui sono ridotte le persone prive di lavoro, evidenziando, però, anche la possibilità di guadagnare e di far arricchire una intera zona della Francia, quando l’imprenditore - protagonista del romanzo - non adotta logiche di tipo speculativo. Anche Balzac, nei suoi romanzi, ha tratteggiato con minuzia di particolari una società dedita solo all’arricchimento spregiudicato. Questo scrittore, riconosceva come causa delle pressioni sociali, la forza del denaro (capace di configurare nuovi potenti e nuovi ‘valori’, nonché l’origine della differenziazione dei tipi umani). Per Balzac, la forma narrativa del romanzo era la più adatta a rappresentare il complesso divenire della società dell’epoca, perché permetteva di porre in luce contemporaneamente la tragicità non solo della storia ma anche le tragedie della vita privata (tra cui spiccano l’alienazione e la mancanza di moralità).

Ne le “Illusioni perdute”, ad esempio, accanto alla descrizione dei meccanismi con cui il sistema bancario si arricchiva (l’usura delle lettere di credito in primis), lo scrittore descrive anche l’uso indiscriminato del giornalismo parigino, quale strumento di ricatto. Anche Steinbeck, nel romanzo “Quel fantastico giovedì”, ritrae la figura del banchiere e l’istituzione bancaria quale centro di potere della comunità. È però tra la fine dell’800 ed i primi decenni del 900, che gli aspetti sociali diventano ancora più pressanti e drammatici anche in Europa. La letteratura tedesca è stata forse la più attenta a questo inasprirsi degli aspetti economico sociali. Uno dei romanzi più significativi, in tal senso, è “Berlin Alexanderplatz”  di Alfred Döblin (1929), ma non vanno dimenticate opere quali Der Zauberberg di Thomas Mann (1924) e Das Schloss di Franz Kafka (1922), opere che possono essere lette anche come spaccato storico – politico. La trasformazione del romanzo tedesco avvenne ad opera di alcuni scrittori che, nel trattare argomenti impegnati, iniziarono ad utilizzare una scrittura più scarna, simile a quella del giornasti.

In Italia, la crisi del’29, arrivò nel 1931, due anni dopo il crollo delle borse; inizialmente colpì larghi settori dell'industria. Le banche si resero però ben presto conto che, in una situazione del genere, i loro crediti avevano perso tutto il loro valore. Chiesero pertanto aiuto alla Banca d'Italia che rispose immediatamente, ma fu trascinata nella crisi. Anche il Governo italiano dovette perciò intervenire in modo pesante (anche creando appositi istituti) e, dopo aver risanato le banche e salvato le imprese, si dedicò all'economia reale.

Tutti gli interventi statali portati avanti dai vari Stati per arginare le difficoltà causate dalla crisi del 1929, indussero molti economisti a credere che una adeguata politica economica è in grado di cambiare il destino di intere Nazioni. Questo li indusse anche a pensare che un crac come quello dei primi del’900, non si sarebbe mai più ripetuto. Questo significava che le teorie degli economisti classici erano superate perché gli eventi avevano dimostrato l’incapacità del sistema economico finanziario di autoregolarsi.

Ed infatti, dopo i risanamenti degli anni’30 ed i massicci interventi attuati a partire dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla prima metà del 1970, le economie capitalistiche hanno vissuto un periodo di espansione, in cui si ricordano solo brevissimi e limitati periodi negativi.

 

In realtà, le crisi non sono mai facili da studiare ed affrontare, perché in esse intervengono diversi fattori (tra cui ricordiamo le complesse interazioni tra struttura economica, forme di mercato e strumenti finanziari) che mutano le condizioni di base ed il numero degli elementi coinvolti. Per questo, la crisi economico finanziaria, resta uno spauracchio di cui si temono le conseguenze..

Non a caso, del resto, Keynes affermava che problemi nuovi richiedono soluzioni nuove. A partire dall’ultimo periodo del secolo scorso, si tornò invece ad una economia libera, priva cioè di interferenze da parte dei vari governi. È infatti verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 che, con la vittoria di Margaret Thatcher in Inghilterra (1979) e di Ronald Reagan negli Usa (1980) inizia la controrivoluzione liberista. politica di deregulation, seguita da tutti gli altri paesi dell’OCSE e da tutti gli organismi

finanziari internazionali (FMI, Banca mondiale, WTO). Le politiche contrarie all’interferenza dello Stato nell’economia vennero poi imposte anche a tutti i paesi del terzo mondo.

Questo ritorno al passato, venne perseguito dai vari Governi; in Italia, l’onda neo-liberista, come al solito, arrivò in ritardo, ossia agli inizi degli anni ’90. Si ebbero così nuove crisi finanziarie: ricordiamo, a solo titolo di esempio, il venerdì nero del 19 ottobre 1987, le svalutazioni asiatiche del ’97, lo scoppio della bolla della New Economy nel marzo 2000).

Il 1929 fu comunque un anno difficile che divenne vero e proprio spartiacque nella storia dei valori collettivi, nonché nell'evoluzione politica, finanziaria e sociale del mondo intero.

Studiando la storia, Keynes evidenziò che, nelle società preindustriali, le crisi erano causate da carestie, catastrofi naturali, epidemie, guerre, ecc. Con l’avvento dell’industrializzazione, però, si assiste ad un cambiamento radicale: le crisi non sono più provocate da carenza o carestia, ma dall’abbondanza, ossia da un eccesso di derrate e prodotti che il mercato non riesce o non può assorbire, per sovrapproduzione o per mancanza di potere d’acquisto da parte di coloro che necessitano di quelle merci. Molti sono gli economisti che hanno studiato il gap che si crea nei mercati tra domanda ed offerta, per tentare di rispondere ad una domanda di fondamentale importanza: per quale motivo, ad un certo punto, il meccanismo s’inceppa e determina un divario in grado di causare gravi problemi?

Ricardo e gli economisti classici, non credevano nella possibilità di creazione di sovrapproduzione o divari tra domanda e offerta di tipo generale, ma solo una difficoltà sporadica e limitata nella vendita di un solo prodotto/merce. Karl Marx, invece, sostenne che la crisi si può verificare anche in un’economia monetaria semplice (come si può definire quella dell’800) perché ogni scambio è mediato dal denaro. Il denaro, infatti, distingue in modo netto la fase dell’acquisto da quella produttiva. In una economia capitalistica, le crisi sono potenzialmente sempre più frequenti e distruttive perché le merci sono prodotte col fine principale di essere vendute. Le tecniche di marketing e la pubblicità diventano perciò strumenti importanti per tentare di attrarre l’acquisto da parte dei consumatori. Queste nuove teorie, dunque, riconoscono che, proprio come la storia, anche l’economia capitalistica più semplice ha un andamento ciclico. Non si conosce però né la durata di ogni ciclo, né i correttivi necessari per superarla. Si è solo visto che, senza interventi correttivi, le crisi diventano più gravi e durature.

 

Vari autori continuarono a scrivere su questi argomenti durante tutto il novecento. A solo titolo di esempio, ricordo - tra gli scrittori italiani Pierpaolo Pasolini che scrisse un romanzo colossale (rimasto però incompiuto) intitolato ‘Petrolio‘. Ermanno Rea scrisse a sua volta  ‘La dismissione’, che ripercorre lo smantellamento dell’Italsider

di Bagnoli e la crisi del modello industriale vigente.

Anche in America si continuò a scrivere e parlare di valori sociali. Nelle poesie e nei racconti di Raymond Carver o di Richard Yates si possono individuare molte tematiche elementi. Yates, ad esempio, nella raccolta di racconti dal titolo“Undici solitudini” scritta nel 1950, caratterizzò in modo realistico vari personaggi la cui difficile esistenza è metafora della vita condotta nella città di New York.. In ‘Revolutionary Road’ (uscito nel 1962) l’autore narra invece l’infrangersi del sogno americano. È un racconto crudo che descrive il nuovo agglomerato periurbano americano, in cui dominano i supermarket, ed i chioschi di leccornie, per un popolo che vive nell’abbondanza ed è già predisposto all’obesità. Nel finale del libro si può leggere: “Il quartiere di Revolutionary Road non era stato progettato in funzione di una tragedia… Un uomo intento a percorrere di corsa queste strade, oppresso da un disperato dolore era fuori posto in modo addirittura indecente”.

In campo musicale sono diventate famosissime, le canzoni di Bruce Springsteen, (tra cui, una delle più citate è “Darkness On The Edge Of Town”, del 1978). Il testo è infatti molto significativo:

“Qualcuno è nato sotto una buona stella qualcun altro se la procura in qualche modo, comunque

ho perso il mio denaro, ho perso mia moglie queste cose ora non sembrano aver troppo peso per me

stanotte sarò su quella collina, perché non mi posso fermare,

sarò su quella collina con tutto ciò che è mio.

Vite sul confine dove i sogni sono persi e

 trovati

 sarò lì in tempo e pagherò il prezzo

 per volere le cose che possono essere trovate soltanto

nell’oscurità, alla periferia della città”.

Molti altri però sono i cantautori che si possono ricordare.

 

La crisi mondiale attuale, ossia quella del XXI secolo, per molti aspetti non differisce dalle logiche ricordate finora. Siamo di nuovo entrati in recessione. Anche quest’ultimo periodo di difficoltà, ha avuto origine negli Usa, per poi diffondersi in tutti gli altri Paesi del mondo; è partita dal sistema finanziario, ma si è estesa all’economia reale con una velocità vertiginosa.

Si è infatti ritenuto, ancora una volta (cfr. Galbraith, Il grande crollo) che, essendo il mondo profondamente mutato e disponendo di nuovi strumenti di analisi e previsione dei trend, il capitale fosse garantito dal rischio. Ancora una volta si sono invece resi necessari dei correttivi generali, ossia degli interventi da parte dei vari Governi per cercare di arginare le conseguenze più catastrofiche della prima grande crisi del nuovo secolo.

I Governi dei vari Paesi ed il nuovo presidente degli Usa, Barack Obama stanno perciò tentando di salvare o sostenere il sistema bancario e assicurativo, ripristinando un controllo sui colossi della finanza.

Altri interventi sono stati messi a punto per salvaguardare l’ambiente, sostenere le industrie, ecc. Si tratta, insomma, della riproposizione di un massiccio intervento pubblico nell’economia, attraverso l’impiego di diverse tipologie di strumenti.

Roosevelt, nel lontano 1932, cercava di tranquillizzare gli americani attraverso lunghi discorsi ai cittadini diffusi via radio; oggi, proprio come allora, si ricorda la necessità di compiere sacrifici per risollevare le sorti del Paese ma, allo stesso tempo si ricorda che non bisogna preoccuparsi troppo e continuare a comprare, perché la situazione è sotto controllo. In realtà, lo smarrimento in cui la società è precipitata, dopo quasi un trentennio di dominio culturale e ideologico definito neo-liberismo (per distinguerlo da quello invalso nell’800), è stato sconvolgente. Le previsioni di Keynes tornano ad essere più attuali che mai. Sulla necessità di fare sacrifici per risolvere i problemi, questo economista aveva spiegato che questa non era la strada giusta. Egli, aveva infatti scritto: «Se la nostra povertà fosse dovuta a una carestia, a un terremoto o a una guerra, se ci mancassero beni essenziali e le risorse per produrli, non potremmo aspettarci di trovare i mezzi per raggiungere il benessere se non nel duro lavoro, nell’astinenza, e nell’inventiva. In realtà i nostri guai sono di altro genere. Essi provengono da qualche guasto nei meccanismi impalpabili della mente, nel funzionamento delle motivazioni che dovrebbero portare alle decisioni e agli atti di volontà, indispensabili per mettere in moto le risorse e i mezzi tecnici da noi già posseduti. E come se due automobilisti, incrociandosi nel mezzo di una strada principale, fossero incapaci a decidersi su come passare perché nessuno conosce il codice stradale.(…) Nulla è richiesto e nulla sarà di aiuto se non un piccolo ragionamento.

Così anche il nostro (...) è, in senso stretto, un problema economico o meglio, visto che si presenta come una miscela di teoria economica e di arte di governo, un problema di economia politica. Ho richiamato l’attenzione sull’essenza del problema perché questa ci indica la natura in qualche espediente. Ma ci sono molti che vedono con sospetto gli espedienti e dubitano istintivamente della loro efficacia. Vi è ancora gente che crede che la via d’uscita possa essere trovata con il duro lavoro, la pazienza, la frugalità, più perfezionati metodi negli affari, una attività bancaria più cauta e soprattutto evitando espedienti (…). Dovremmo essere sospettosi dei calcoli dell’uomo di Stato che, già oberato dalle spese per l’assistenza dei disoccupati, ci dice che se egli mettesse a lavoro le persone per costruire case ciò comporterebbe pesanti passività, presenti e future» Keynes, J. M.; “I mezzi per raggiungere il benessere economico”, in Come uscire dalla crisi, Editori Laterza, Bari, 1983.

Oggi, dunque, siamo di nuovo in affanno, ma sembrano mancare scrittori con la forza narrativa di Stenbeck. Le informazioni, però, sono più facilmente fruibili rispetto al passato, anche se, tra i vari problemi, si ha una nuova e ben più evidente crisi del giornalismo: le notizie vengono prodotte e sfruttate come qualsiasi altra risorsa (il tema che nell’800 era stato proposto da Balzac, nel’900 è ripreso da Terzani che,in molti suoi libri, ricorda la crisi del giornalismo). Il cinema americano impegnato è divenuto, però, sempre più mezzo per documentare e sempre meno elemento di svago, ossia di pura fiction. Si è già parlato a lungo del docu-film sulla crisi finanziaria, intitolato "American Casino" e girato dalla giornalista tv Leslie Cockburn. In esso si descrive il problema delle minoranze che, non riuscendo a far fronte ai mutui, perdono le proprie case, nonostante nel 2002 il Presidente Bush avesse promesso aiuti per evitare tutto ciò. Un banchiere racconta, inoltre, la facilità con cui tutti rischiavano coi soldi altrui. " The Company Man" è invece un film indipendente di John Wells, ambientato a Boston in cui si fanno risaltare le conseguenze dei licenziamenti sui lavoratori di una azienda. "Conspiracy of Fools" è invece un film tratto dal libro omonimo di Kurt Eichenwald, il cui tema dominante è la truffa. Non si può infine ricordare anche il sequel di "Wall Street".

Le condizioni attuali vedono le banche e le Compagnie assicurative in grave sofferenza ed, in alcuni casi, in fallimento a discapito dei risparmiatori. Anche nelle campagne vi è stato un crollo dei prezzi pagati ai produttori. Oggi come allora, si sono attivati degli interventi per sostenere le situazioni di maggiore gravità e dare fiducia ai cittadini che perdono il lavoro e non hanno redditi sufficienti. Tutto, come ricordato, è in gran parte partito di nuovo dagli Stati Uniti, dai mutui e dai crediti non pagati. Tutto si è aggravato a causa di imprenditori che, invece di reinvestire gli utili, hanno speculato in borsa, fidandosi di banche che si arricchivano, mentre i primi si indebitavano. Tutto, quindi, sempre si ripete.

 

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