Il film del 1991 Fino alla fine del mondo di Wim Wenders raccontava di persone che diventavano dipendenti da dispositivi (praticamente identici agli attuali smartphone) che mostravano loro sogni registrati. Alla fine, si rinchiudevano in se stesse, smarrendo il contatto con la realtà. Oggi, il nostro mondo sta andando esattamente in quella direzione: i social, i mondi virtuali e le IA ci assorbono in una simulazione continua, facendoci percepire il reale come qualcosa di sfocato e sempre più distante.
Negli ultimi mesi, sempre più persone descrivono una sensazione di disallineamento con la realtà, come se il mondo fosse leggermente diverso da quello che ricordavano. Un “rumore di fondo” che rende tutto familiare eppure estraneo, come se qualcosa fosse stato alterato senza che si riesca a individuare cosa. Un fenomeno che emerge in discussioni online, tra chi si sente "fuori posto" anche nei luoghi più familiari, senza riuscire a spiegare esattamente perché.
Parallelamente, l’uso di chatbot come ChatGPT sta esplodendo, con oltre 300 milioni di utenti settimanali. Secondo Mattia Della Rocca (Università di Tor Vergata), almeno il 20% della Generazione Z utilizza l'intelligenza artificiale, per lo più attraverso lo smartphone, per affrontare ansia e stress, spesso come surrogato della terapia tradizionale. Non si tratta più solo di assistenti virtuali, ma di veri e propri "amici immaginari" con cui le persone si confidano, cercano conforto e compagnia. Un modo per sfuggire alla solitudine, all'isolamento reale e al fastidio delle relazioni fisiche, a cui questo sistema ci ha lentamente condannato.
Stiamo già vivendo in una distopia digitale, solo che non c’è stato bisogno di un grande cataclisma – come nel film – per entrarci. Vi siamo scivolati dentro dolcemente, un aggiornamento dopo l'altro.
Più ci relazioniamo con queste "persone digitali", con questi fantasmi elettronici, più ci sentiamo distaccati dalla realtà. Eppure, sempre più spesso e in numero crescente, c'è chi si rifugia lì, come se cercasse disperatamente qualcosa che si è perso.
Ma cosa abbiamo davvero perso? Il contatto umano? Il senso di appartenenza?
O forse, più semplicemente e banalmente, abbiamo perso la capacità di stare soli senza sentirci vuoti, prigionieri di un horror vacui che ormai sembra un vero e proprio disturbo del comportamento?