La trascendenza della materia
Vi è un punto centrale dell’esperienza umana sulla terra che sarebbe bene fosse compreso, ma è cosa assai difficile perché esula dall’esperienza dei più.
Per comprenderlo partiamo dalla scissione filosofica e culturale tra vita spirituale e quotidianità umana. Un tema delicato soprattutto nei paesi con un passato cristiano-cattolico, come l’Italia, letteralmente ipnotizzata da quel modo di vedere le cose, vuoi per aderirvi, vuoi per combatterlo.
Quasi tutte le religioni, spesso stilando decaloghi o trattati molto dettagliati (nell’islamismo questo è un tema quasi ossessivo, ma anche i famosi dieci comandamenti pare anticamente fossero più di seicento), hanno diviso la vita in ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, per moralismo nel peggiore dei casi, per indicare ciò che avvicina a Dio e ciò che ne allontana nel migliore.
I motivi di questo sono molteplici, ma è bene risalire questa corrente e giungere al suo punto di origine. Nel tempo ci sono stati molti mistici che hanno raggiunto elevati stadi di divinizzazione della propria umanità, il che, come ho tentato più volte di spiegare qui, consiste nel mettersi in contatto con l’energia spirituale e farla scendere nel proprio essere per trasmutarlo in modo che questo non sia più d’ostacolo a percepire stati trascendentali via via più elevati, in una scala virtualmente infinita.
Questo processo, che India viene definito sadhana, o tapasya, segue uno sviluppo molto differente per ognuno di noi, ed è per questo che gli antichi gnostici rifiutavano ogni imposizione esterna, ogni dogma e religione, in contrapposizione con il cattolicesimo (che alla fine riuscì a sterminarli, perché le religioni sono giustamente considerate come fonti di grande potere politico).
Ma anche esseri illuminati come gli gnostici, come i buddisti, anche le più sagge scuole dell’induismo, si trovarono prima o poi di fronte a una barriera invalicabile: la materia fisica. Una volta raggiunta l’iniziazione spirituale, molti ricercatori riuscivano a divinizzare progressivamente tutte le componenti dell’umanità, riuscivano a illuminare la propria mente, a spiritualizzare la propria sfera emotiva, al punto che esse non erano più di ostacolo. A quel punto potevano sedersi in meditazione e raggiungere mondi straordinariamente elevati delle sfere interiori. Provando una beatitudine infinita.
Eppure c’era una parte di loro che non voleva assolutamente cedere alla luce superiore e questa era la “materia fisica” del corpo umano. Ogni tentativo di spiritualizzare il corpo fisico si scontrava contro un muro di incoscienza, oscuro e spaventoso come la caverna più buia. Pochissimi di essi hanno tentato di discendere in quel buio incosciente e pervicace come una notte senza sogni.
I canti vedici degli Ariani dell’India, probabilmente, narrano di un popolo ad essi precedente che si cimentò in uno dei più grandi tentativi di dare l’assalto a questa fortezza oscura, di spaccare questa roccia di basalto che sta alle radici dell’universo e quindi anche dell’uomo. Ma fallirono anch’essi.
Così, nelle ere successive, tutta la spiritualità finì per rinnegare la materia e il corpo umano in tutte le sue espressioni. Quando il grande mistico usciva dalle sue alte meditazioni, se era sincero, si accorgeva che il suo comportamento restava quello mediocre di tutti gli altri, seppur con qualche sfumatura celeste in più. E la morte fisica era il finale sberleffo all’insuccesso di una vita intera dedicata alla propria elevazione spirituale e a quella degli altri.
Ed ecco il rifiuto progressivo di tutto ciò che è legato al corpo, di ogni fisicità, e più ancora ecco il rifiuto della vita. Ecco che tutti loro hanno finito per ritenere che lo scopo della vita spirituale fosse solo sfuggire alla vita: una lunga via di sofferenze per meritarsi il Paradiso per i cristiani, un distacco progressivo dalla vita per evitare le reincarnazioni successive per i buddisti e gli induisti.
Una divaricazione che ha prodotto tutto il male possibile.
Quindi, anche da parte di coloro che aspirano a una vita spirituale, questo rifiuto della vita deve essere abbandonato. Perché ciò che la natura della creazione ci chiede, ciò che è insito nel concetto stesso di evoluzione, è un processo di divinizzazione della materia. Il solo che potrebbe condurci a ciò cui veramente tutti aspiriamo, una vita eterna degna di essere vissuta come tale, priva di dolori e malattie del corpo e dell’anima.
L’antico tentativo dei popoli pre-vedici deve tornare ad essere il centro degli sforzi della specie umana, che così potrà trascendere se stessa invece di estinguersi in un sofferente crepuscolo.
La materia, le cellule stesse del nostro corpo possono essere convinte a una mutazione della propria primitiva coscienza e questo sarà tanto più facile quanto questo sforzo, da meramente individuale, diverrà collettivo.