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lunedì 20 gennaio 2014

Biagio Luparella L'ultima allocuzione di Satana...

L’ultima allocuzione di Satana
(per scherzo solo ma non troppo)

Biagio Luparella  (12 2013)
- Sudditi miei fedeli e ministri solerti della nostra malefica Volontà, voi tutti che incalzato avete, nel lento volgersi dei secoli, innumeri popoli lungo le strade di Nicea e Costantinipoli ed Efeso e indi di Roma e Fiorenza, Panormo, Neapoli, voi che pressato avete gli umani a pavoneggiarsi nelle sontuose regge e nei ricchi saloni di palagi e castelli, ad accalcarsi nella suburra di Roma, nei vicoli di Gerusalemme, negli angiporti di Marsiglia e Venegia, nei suburbi di Londinio e Lutezia, voi che allestiste le alcove dalle immonde libidini, le bettole e i banchetti dalle immense crapule, voi che frequentaste l’oziosa solitudine di cenobi e soffitte e studioli popolandoli di sozze fantasie, che all’ombra dei troni e dei seggi ordiste macchiavelli e rapine, vostra la mano è stata che contava danaro da forzieri segreti, vostre le cupe ire, la livida invidia madre dell’odio indomato, vostra la mano dei grassatori e gabellieri, vostro il turpiloquio e le bestemmie degli stadi e dei lupanari ed, a tutto questo consenzienti i mortali, spinti li avete qui a pagarne la pena, sottraendoli per nostro diletto a Lui che regna Lassù dove si compiace di cori di carole e degli inni che dai secoli dei secoli in sua lode salgono.
Ma ecco, qui ora convocati vi ho per mettervi a giorno della suprema ed irrevocabile decisione dalla Nostra Malvagità a lungo ponderata e finalmente affirmata salda e irremovibile, ora che, come da più tempo vi è perspicuo se cecità non ha piombato i vostri occhi, qui, nel nostro regno, non giunge più alcun dannato dacchè i peccati, esca per i nostri sollazzi, sono scomparsi, aboliti, cancellati…… O forse non sapete?

La Superbia, che molti lutti addusse ai mortali, in tempi che agibilmente rendono possibile nella rete cadere della tanto deprecata Melanconia, si è addivenuti a considerata dell’umano sentire un commendevole stato dappoichè sospinge alla stima di sé onde si può seguitare a vivere con rinnovellata fede e rosea disposizione dell’animo verso il proprio agire.

Della Gola il piacere, per il quale molti furono patrimoni dissipati e famiglie e regni dispersi che più che animali il ventre  si eresse a padrone assoluto di qualsivoglia intento, è fatto ora cultura di gurmet e sommelliers alla ricerca di primitivi e naturali cibarie avverso le schifezze laborate in opifici all’uopo operanti, donde intrugli ed imposture ne escono con grave nocumento alla salute di quanti affamati come non mai prima se ne ingozzano.

Universale è divenuto il febbrile accumulo del pecunioso sparagno onde adoperarlo in opere che favoriscano la prolificità dello stesso a che si accresca delle nazioni la ricchezza e l‘antica Avarizia tramuti la sua faccia lercia e macra nel roseo volto e paffutello di ben nutrite folle.

E l’Ira, che tante sciagure generò, ammansita dal civile domestico e moderato dialogo ove di tutti l’opinione è tollerata, è stata ricondotta, siccome un fiume impetuoso fra robusti ed inoltrepassabili argini, nell’alveo d’una media, passeggiera e perdonabile incazzatura.

Poiché non si dà progresso delle conoscenza se non aspirando all’accrescimento delle umane forze onde impedire che la vita si arresti, evento quanto mai lacrimevole ed ai viventi tutti funesto, l’Invidia ha deposto il suo grigio rimuginar che di molti solleciti fautori del comun bene tarpava il fervoroso operare, laonde per cui, facendosi stimolo all’emulazione, competere è l’imperativo che la sua voce fa di terre in terre risuonare.

A quale stato aspira ogni umano che sia giunto a divinar la vanità di ogni agire e dei voleri tutti se non a quello che in italica lingua è detto “il dolce far niente”? Ed ecco come l’Accidia, culla dell’ozio e di tutti i vizi fomentatrice, eletta è stata ed ambita come lo stato pensionistico fatto di riposo e di onesti passatempi al quale di tutti la mente tende, legislatori e reggitori di popoli mallevadori.

E molte sono acconce spezie all’uopo preparate e luoghi predisposti alla bisogna e colorati schermi ove la rossa Lussuria, vanto di mentulosi mentulofori e di vulvanti vulvaperte, tripudia, coram universo mundo, alla douceur de la vie.

Cotanto dei Sette peccati capitali or se n’è fatto.....

continua Labs  13

sabato 21 dicembre 2013

Ettore Bonessio Di Terzet "Pensare l'ArtePoesia"

EB DI TERZET

PENSANDO L’ARTEPOESIA*


Noi possediamo una corporeità, quello che chiamiamo comunemente corpo. Questa corporeità è la parte che muore, che seppelliamo o bruciamo e che ricordiamo come “il defunto”. In vero questa corporeità, una volta morta, non è più niente se non ossa.
La nostra sostanzialità consiste invece nel corpo solido vivente, quello che ci fa essere quello che siamo veramente. Questo corpo solido vivente è un corpo interiore che è la sintesi del nostro Io e del Permanente. Se vogliamo, possiamo dire che è il nostro Io e la Coscienza sintetizzati: questa parte è la parte immortale dell’uomo che, morta la corporeità, continua a vivere, ad essere energia e a prolungare eternamente la propria vocazione, la ragione per cui è venuto su questa terra nostra.
Il Permanente (parte divina) è ciò che suggerisce all’Io il da farsi, il senso della propria identità della nostra vocazione in terra, del significato della vita e dell’operare ed agire verso noi stessi e gli altri. Se l’Io (parte umana) lo desidera, se vuole seguire la voce la parola della parte divina.
Gli artisti sono i primi a sapere e capire che siamo costituiti in tale modo e sanno che la loro opera d’arte è in parte dovuta ad essi, in parte dovuta al divino in loro parlante. Come la voce del dolore che trasforma la vita in Ungaretti e il fanciullino di Pascoli.
La libertà dell’uomo consiste nel far prevalere la parte umana oppure di renderla aperta alla parte divina. Coloro che la aprono completamente, noi li chiamiamo santi, perché vivono come esempio del divino, come dovrebbero vivere tutti gli esseri umani. Coloro che chiudono alla parte divina rimangono “animali” nella scala evolutiva verso il completamento divino come era in principio, prima della storia. Eravamo divini, immortali e ne portiamo il ricordo e la memoria, senza sapere che cosa sia successo perché siamo pervenuti a questa situazione di morte. Ma sappiamo, molti non tutti, che dobbiamo risalire con fatica materiale e spirituale verso quello stato iniziale che ci è proprio. Gli artisti questo lo hanno capito come i santi e coloro che hanno avuto fiducia nella parola del corpo solido vivente.
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*questo mio sintagma discende da Stevens che per primo teorizzò l’equivalenza tra pittura e poesia. Qui diventa occasione meditativa per consolidare il pensare trasformativo.
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CONTINUA LAB  12  

lunedì 21 ottobre 2013

Alessandro Guzzi Il Glamour Satanico


 
devianza e disfacimento nel mondo dominato dal nuovo ordine mondiale
Copyright © 2013 Dr. Alessandro Guzzi

Lady Gaga

Il termine avanguardia, di origine militare (avant-garde : quel reparto che precede il grosso delle forze per aprirgli il varco e che si trova a diretto contatto con il nemico) che applicato alla politica o alle arti ed alla poesia del XX secolo segnalerebbe l'esperienza di un gruppo che (consapevole di ciò) crede di operare ai limiti dell'esperienza e della conoscenza contemporanee, è inappropriato e fuorviante. Josquin, Pierre de la Rue, Rembrandt, Haydn, Friedrich o Trakl sono da considerarsi avanguardie? Costoro durante la loro vita pensavano di rappresentare la punta più avanzata delle arti, della musica o della poesia? Credevano che la loro opera fosse intesa ad abbattere il vecchio per fondare il nuovo? La mia risposta è no: costoro non credevano affatto di essere l'avanguardia di nulla, ma di fatto avevano raggiunto il confine più estremo dell'esperienza. In più poi nessuna grande anima giunta su questa terra oscura ha mai pensato di esser qui per abbattere il vecchio ed instaurare il nuovo, nemmeno Gesù Cristo disse mai questo di sé, ma l'esatto contrario (vedi Mt 5:17). Infatti la Tradizione può muoversi solo sul filo della continuità e mai per saltum e sempre in una linea di devozione.
Io credo solo all'esperienza individuale, l'unica che possa davvero rappresentare un vertice effettivo della creatività, oltretutto perché un gruppo nella interazione crea spesso notevoli scorie emotive. Solo la superbia della modernità, che crede di poter scrivere la storia nel farsi delle cose, può darsi titoli ed attribuirsi livelli in anticipo. Ciò non nega affatto che ogni tempo abbia obbiettivi prioritari; questi obbiettivi comprendono sia il superamento di ciò che ostacola, sia il raggiungimento di un punto diverso dal quale assorbire l'irradiamento della Luce divina. Questi obbiettivi sono nel profondo una discesa più interiore e aggiornata nella palpitante energia della Creazione. Questo in una società sana ed in una fase espansiva: mentre in una fase critica, regressiva, il processo si inverte: invece di avvicinamento c'é l'allontanamento dall'energia palpitante della Creazione: al posto della crescita c'é putrefazione e morte, autunno ed inverno sono le fasi dell'anno corrispondenti. Oggi noi possiamo osservare all'opera la creatività della putrefazione!
Guenon scrisse che: «..non è e non può essere veramente tradizionale se non ciò che comporta un elemento di ordine sopraumano»i, dunque la Tradizione è l'innervamento o la coappartenenza, o ancora la condivisione o l'essere all'unisono con lo schema fondativo che promana dalla palpitante energia della Creazione. Non è forse però il significato di questo termine tanto ineffabile da essere inafferrabile? Tradizione è infatti un mezzo, la trasmissione di contenuti che passano di generazione in generazione, ma è anche il contenuto stesso, ciò che viene trasmesso. Ma forse potremmo comprendere cosa sia Tradizione dicendo che è quella cosa che sebbene invisibile come l'aria, se manca c'è la morte degli organismi viventi, o ancora che è quella cosa la cui distruzione, che si presenta oggi come inversione, provoca la distruzione del mondo. La storia del nostro ricevere ed "interpretare" la Luce divina ricalca lo schema del ciclo di lunazione, che ha un inizio (luna nuova), una fase di distacco dal passato (primo quarto crescente), una culminazione (luna piena) ed una fase di crisi del tempo (secondo quarto calante). Noi indubbiamente stiamo vivendo oggi un sempre più veloce incalzare della fase calante, che terminerà con la fine di questo ciclo. Il tempo non può risalire il proprio corso, perché uno degli elementi fondanti di questa manifestazione è la successione, e la fine giunge nel momento in cui la solidificazione del mondo porterà a compimento la trasformazione della ruota in un quadrato (Guenon): quando ciò avverrà la ruota si fermerà del tutto.













CONTINUA-ALESSANDRO GUZZI-LABORATORIO CIBERCULTURALE
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Paolo Melandri Thomas Mann e la Germania...


Vergleiche dich! Erkenne, was du bist!

Goethe, Torquato Tasso



Dice Dostoevskij, in un suo scritto sulla comparsa dell’«anima slava» nel dissonante «concerto europeo»: «si credeva che l’ideale degli slavofili fosse quello di “mangiare ravanelli e scrivere denunce”. Già, denunce! Così come apparvero, con quel loro modo di vedere le cose, stupirono al punto che i liberali incominciarono a impensierirsi, ad aver paura: che putacaso quella stramba gente volesse alla fin fine denunciare loro?»i.

I contrasti che allentano e rendono problematica l’intima unità e «compattezza spirituale»ii delle grandi comunità europee, sono a un dipresso ovunque gli stessi, in sostanza sono «un fatto europeo»iii. Tuttavia hanno caratteristiche profondamente diverse da popolo a popolo e si amalgamano, nel loro complesso, con l’insieme della propria nazione. Avviene così che un francese politically correct e radical chic sia un francese autentico, schietto, intero e inequivocabile, giusto quanto può esserlo un francese clarical-lefévriano, e un inglese conservator-liberale sia inglese esattamente quanto un suo compatriota social-progressista; tutto sommato, un francese si intende con un francese, un inglese con un inglese meglio che con chiunque altro e comunque benissimo.

Esiste invece un paese, un popolo, dove le cose stanno in un altro modo: un popolo che non è nazione in quel senso sicuro e scontato per cui i francesi o gli inglesi formano una nazione, e forse non lo sarà mai perché la storia della sua formazione, il suo concetto di umanità si oppongono a che lo diventi; un paese la cui intima unità e compattezza, per quei contrasti spirituali e antropologici (non ideologici ma, semmai, post-ideologici), vengono ad essere non solo complicate ma addirittura quasi annullate; un paese in cui quelle contraddizioni si rivelano più impetuose, più radicali e maligne, meno conciliabili che in qualunque altro posto – e questo avviene perché in quel paese esse non sono affatto tenute unite, o solo a mala pena, da un legame nazionale, né le tragiche esperienze del XX secolo sono in qualche modo sussunte in una visione d’insieme, come avviene invece in ogni altro popolo, nell’ampio perimetro delle contrastanti posizioni dell’opinione pubblica. Questo paese è la Germania. I dissidi «spirituali»iv della Germania sono stati – e ancora sono – dissidi assai poco nazionali, quasi puramente europei; privi, o quasi, di una comune ‘tinta’v nazionale, gli elementi in contrasto si fronteggiano senza comporsi in una sintesi. Nell’«anima della Germania»vi vengono gestiti i contrasti spirituali dell’Europa, gestiti nel senso della maternità e in quello della rivalità. Questa è la mission peculiare, nazionale, della Germania, la quale resta sempre il campo di battaglia, anche se non più fisico – questo è riuscita ad impedirlo di recente, a partire dagli anni ’80 e ’90 del secolo scorso – almeno spirituale dell’Europa. E quando diciamo l’«anima tedesca» non intendiamo soltanto l’anima della nazione nel suo insieme; ma, come Thomas Mannvii, intendiamo invece proprio l’anima singola, la testa e il cuore dell’individuo tedesco, sempre in contraddizione con se stesso, come emerge ampiamente dalla letteratura allemande degli ultimi cinque secoli, da Lutero a Paul Celan ed oltre, fino ai nostri giorni.


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martedì 23 aprile 2013

Paolo Melandri - Saggio per il centenario del Galeotus- di Lamberto Caffarelli



Verso una rinascita del Galeotus (1912-2012)

Scrivo queste pagine d’introduzione al testo letterario del Galeotus, “poema scenico-musicale in quattro azioni” di Lamberto Caffarelli, già edito nel 1920, in duecentocinquanta elegantissime copie numerate, dalla stessa Casa Editice “Fratelli Lega” in Faenza che ora lo ripropone a un nuovo pubblico, nella speranza che si arrivi in tempi non troppo lunghi, grazie al rinato interesse nei confronti del Maestro, a una rappresentazione completa di testo e musica di questo opus excruciatum, travagliatissimo nella genesi e ancora pressoché sconosciuto, nonostante recenti studi specialisitici ne abbiano messo in luce, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’altissima qualità poetica e musicale.

La realizzazione di una nuova stampa del testo letterario del Galeotus, resa possibile dall’instancabile attività organizzativa e promotrice del M° Giuseppe Fagnocchi e dall’entusiastica adesione dell’Editore Vittorio Lega, è motivata da molteplici evidenze che gradualmente stanno emergendo: anzitutto per l’importanza che riveste nell’opera di Caffarelli, tenuto debitamente conto del fatto che esso è il culmine della sua attività filosofica e musicale e che fu steso, nella prima e originaria versione completa, esattamente un secolo fa (1913), poi perché tratta dei Manfredi, dei quali ricorrono i settecento anni dall’inizio della Signoria (1313)1, infine – last but not least – perché proprio in questi giorni stanno andando in porto due edizioni di rappresentazione teatrale grazie alla collaborazione di Luigi Mazzoni: esse saranno proposte, sempre a cura del medesimo Regista, l’una, in forma ridotta, nel contesto del laboratorio teatrale che si tiene presso la scuola media “Strocchi”, l’altra, più ampia, attraverso la partecipazione della Filodrammatica Berton. Si tratta di segnali molto positivi e di attività altamente significative, che non ci nascondono, però, che ad oggi non è ancora stata possibile una esecuzione completa dell’opera, anche nella sua veste musicale.

Il mio primo ricordo relativo all’esistenza di un grande lavoro scenico-musicale chiamato Galeotus risale alla mia infanzia e, nella fattispecie, a un colloquio con la mia nonna Cosetta, che aveva conosciuto il Maestro e ne serbava un vivido ricordo. Caffarelli era infatti solito frequentare il caffè di proprietà del mio bisnonno Amedeo Collina, con cui aveva un rapporto d’amicizia, in quella che allora si chiamava Piazza Fratti, appena fuori porta Montanara, all’inizio dello Stradone, quotidianamente percorso dal Compositore in lunghe passeggiate: di esso una traversa, oggi, è stata dedicata alla sua memoria. Mia nonna, prodiga di preziosi ricordi di storia faentina, mi parlava spesso di Caffarelli; ma quella volta, mi è rimasta indelebilmente impressa nella memoria. Mi raccontò che un giorno, nel dopoguerra, la radio all’interno del caffè trasmetteva il duetto O soave fanciulla dal Primo Atto della Bohème. Caffarelli era presente. Lodò l’esecuzione (era Toscanini), ma criticò aspramente la musica di Puccini: «sentimentalismo lacrimevole per tubercolotici: sfibra l’anima, non la esalta, come fa invece la musica di Wagner». E raccomandò a mia nonna l’ascolto del Lohengrin e del Parsifal; opere del resto, soprattutto la prima, che lei conosceva già benissimo: tuttavia, per buon gusto, non ardì approfondire l’argomento col Maestro. L’episodio finiva qui. Ne è nata, da parte mia, una lettura comparata del testo del Galeotus e dei libretti wagneriani nella versione (1947-49), con testo a fronte, di Guido Manacorda, allora imprescindibile strumento di conoscenza per i wagneriani, un opus magnum ancor oggi molto considerato, grazie anche al puntuale e ponderoso commento, che getta luce per giunta su numerosi aspetti musicali. Per mia fortuna, mio padre conservava nella sua biblioteca questa epocale versione e così, durante gli anni della mia adolescenza, quando leggevo Wagner, pensavo sempre a Cafferelli, a quell’episodio, e chiedevo a mia nonna di raccontarmelo ancora. Finalmente l’anno scorso, contattato dal M° Giuseppe Fagnocchi, ho avuto modo di proporgli una mia ricerca in questo campo, lo svolgimento della quale ha confermato pienamente l’intuizione d’entrata, che, cioè, il testo del Galeotus presentasse numerosi e puntuali riecheggiamenti wagneriani, soprattutto dal Parsifal, che, come era già stato notato da altri, era tra le partiture preferite dal Nostro. Proporrò in altra sede questo mio lavoro, che nel frattempo si è arricchito di riferimenti, invero indispensabili, a Rudolf Steiner e all’antroposofia, nonché al fondamentale trittico saggistico caffarelliano L’Arte nel Mondo Spirituale2, di cui mi aveva parlato entusiasticamente mia sorella, la pianista Tullia Melandri, interprete di importanti pagine del Maestro e autrice del corposo studio Un compositore italiano del 1880: Lamberto Caffarelli3. Anche a lei, che ora vive in Olanda, didatta e concertista di fortepiano, sento ora di dover rivolgere il più affettuoso ringraziamento, per avermi orientato e incoraggiato nella complessa materia.

Ma la musica del Galeotus per ora esiste solo in potenza e non in atto. Infatti, come ci ricorda Igor Stravinskij4, «della musica è importante distinguere due momenti o piuttosto due modi di essere: la musica in potenza e la musica in atto. Scritta sulla carta o ricordata con la memoria, essa preesiste alla sua esecuzione e si differenzia in questo da tutte le altre arti, e si distingue inoltre […] per le modalità che presiedono alla sua percezione». L’entità musicale presenta quindi questa strana singolarità di assumere due aspetti, di «esistere, di volta in volta e distintamente, sotto due forme, separate dal silenzio del nulla»5. Questa particolare natura della musica ne determina le modalità di esistenza e le risonanze d’ordine sociale, presupponendo due tipi di musicisti: il creatore e l’esecutore. Il Galeotus appartiene, però, anche all’arte del teatro. Essa comprende, come nel nostro caso (a prescindere dalla musica), la composizione di un testo e la sua traduzione verbale e visiva, ponendo un problema analogo, se non simile, a quello dell’esecuzione musicale; ma è necessaria una distinzione: il teatro non musicale, il teatro puro insomma, si rivolge al nostro intelletto appellandosi allo stesso tempo alla vista e all’udito. È sperimentalmente noto che, fra tutti i nostri sensi, la vista è quello più legato all’intelletto, e l’udito è sollecitato nella fattispecie dal linguaggio articolato, veicolo di immagini e di concetti. In tal modo, il lettore di un’opera drammatica qual è il testo letterario del Galeotus, che qui si ripropone, può immaginare quella che sarà la rappresentazione più facilmente di quanto il competente lettore di uno spartito non possa immaginare il risultato di una esecuzione, a prescindere dal fatto che si tratti di musica da camera, sinfonica o teatrale. Nel caso della musica teatrale, per esempio del Parsifal di Wagner o dello stesso Galeotus di Caffarelli, l’interazione tra i vari elementi raggiunge il massimo della complessità. E questo spiega facilmente come i lettori di spartiti di orchestra siano meno numerosi rispetto ai lettori di libri di musica. Procediamo dunque per gradi partendo dal testo letterario dell’opera in questione, per spiegare la genesi del quale, ci occorre fornire al lettore un sintetico ragguaglio circa il contesto storico in cui esso vide la luce.......................
 
*CONTINUA in Laboratorio ciberculturale 7  Paolo Melandri    B

martedì 3 aprile 2012

Paolo Melandri Centenario: Presenze enoiche nella poesia di Pascoli

Presenze enoiche nella poesia di Pascoli
«e… più non bere»
A

sentire i biografi, la cantina di Giovanni Pascoli era sempre molto fornita. Secondo alcuni, sarebbe stata la cirrosi a stroncare prematuramente il poeta dei Canti di Castelvecchio. Ma già quando era in vita, doveva circolare più di una indiscrezione sulle sue abitudini dietetiche se, in un momento di crisi della loro tormentata amicizia, D’Annunzio, piccato per le acide critiche del rivale alla propria mondanità, gli scriveva che preferiva rischiare l’osso del collo durante una caccia alla volpe anziché passare le serate davanti al fiasco. Il che doveva coincidere più o meno con la verità, se crediamo alle lettere, specie a quelle inviate all’amico droghiere Alfredo Caselli, che mostrano la costante preoccupazione del poeta di rifornire di cibi e bevande la propria dispensa.

Se la cantina di Castelvecchio fu sempre ben provvista, possiamo dire altrettanto della virtuale enoteca contenuta nei versi del suo proprietario? Si direbbe di no. Si tratta di una situazione speculare e opposta rispetto a quella di D’Annunzio. Nelle Myricae e nei Canti di Castelvecchio scorre decisamente poco alcol, vuoi per rimozione inconscia del tabù, vuoi per cosciente volontà di nascondere con cura un vizio vergognoso. Quando però nei testi pascoliani appare il vino, a fargli superare l’autocensura è la vite, alla cui ombra si nasconde. Lo stesso grappolo fa caute apparizioni, confuso tra foglie, gemme, pàmpini e fiori.

Proprio in ragione della loro rarità, gli affioramenti enoici meritano attenta considerazione, tanto più nelle Myricae, il libro in cui lo sperimentalismo pascoliano punta con maggior forza verso il traguardo dell’essenzialità.   .......................PAOLO MELANDRI,  2012
CONTINUA N.B.  PAGINA  Paolo Melandri- Centenario di Giovanni Pascoli (1912-2012)

sabato 21 gennaio 2012

01/05 Perchè N.O.? Giuliano Borghi -PER UNA NUOVA POLITIA

  PER UNA NUOVA POLITIA


Presupposti Statuto Forma


Principio fondativo


. Fraternità


Sovranità


. Titolarità: Popolo. Concezione personale e patrimoniale


. Popolo: la comunità dei cittadini responsabili


. Cittadinanza: statuto politico di appartenenza. Adesione reiterata volontaria. Hospitalitas


Legame sociale


. Triplice obbligazione: Dare-ricevere-restituire


Esercizio della Sovranità


. Partecipazione diretta


. Poliarchia


. Policrazia


. Reddito di cittadinanza politica


. Proprietà moneta


Forma del politico e funzioni istituzionali


. Res-publica presidenziale


. Federalismo sussidiario


. Decisione


. Rappresentanze
.
Formazione ceto politico: voti pubblici preliminari di povertà e di servizio pubblico. .
.
Scuole
.
 Scelta e revoca rappresentanti: Albo nazionale. Revocatio ad populum

GIULIANO BORGHI

Continua- VEDI 01/5

Perchè N.O.? 01/04 Giovanni Sessa-L’Arte come originario disincanto in Andrea Emo...


Note per una possibile estetica di Nuova Oggettività

Provo a rispondere, con questo mio breve scritto, alle suggestioni e agli stimoli che, la lettura del Libro-Manifesto“Per Una Nuova Oggettività. Popolo, partecipazione, destino”, e in particolare l’In-folio curato da Sandro Giovannini, ha suscitato in me. Nello specifico, le mie riflessioni muoveranno lungo la direzione di uno dei tre snodi teorici del Movimento di idee “Per una nuova oggettività”, individuati nella Premessa del volume: quello estetico-politico. Ciò in considerazione del fatto che, in questo ambito, trovano sintesi e conclusione, anche altre rilevantissime problematiche del pensiero contemporaneo, dalle discussioni attorno alla temporalità, a quelle di simbolica della storia e di psicologia archetipale. E’ il momento, quindi, di fare i conti con l’estetico e le sue molteplici valenze. La cosa risulta addirittura imprescindibile, per una corrente di pensiero che voglia farsi latrice di quella che James Hillman chiamava la re-visione dello stato di cose presenti, oltre che di un fare, esistenziale e politico, connotato dalla ri-scoperta e ri-presa della dimensione originaria-originante. Inoltre, poiché Giovannini ha posto nel suo In-folio, il presente, sotto la tutela dell’evocativa, ma per ora poco nota, filosofia di Andrea Emo, riteniamo opportuno, in queste poche note, presentare la sua teoria dell’arte e del bello, come una possibile estetica di Nuova Oggettività.


Precisiamo, immediatamente, che questa presentazione non pretende assolutamente avere carattere esaustivo, né rispetto ad Emo, né tantomeno nei confronti del tema del “disincanto artistico” che, naturalmente, presenta tali e tanto profonde implicazioni, da meritare ben altra trattazione. Speriamo, molto più semplicemente, di suscitare nel lettore, e soprattutto all’interno del Nostro Movimento, una certa curiosità nei confronti di una prospettiva che, di per sé, presenta, non solo rispetto al senso comune contemporaneo ma, verosimilmente nei riguardi delle troppo consolidate certezze teoretiche dell’area di riferimento, carattere di aperta provocazione. Perciò auspichiamo soltanto che queste poche righe inaugurino un dibattito critico ampio, fuori dai consueti schemi esegetici, vista la centralità che attribuiamo all’argomento in questione. Infatti, nelle posizioni estetiche emiane, non soltanto ri-emerge la matrice della concezione schellinghiana dell’arte, ma viene anticipata la visione heideggeriana, per la quale la creazione estetica è messa in opera della verità.....*
GIOVANNI SESSA
 
*continua: 01/4
 
 
 
 
 
 
 

domenica 11 dicembre 2011

Perché N.O? Crescita/Decrescita * (01/3) di Vittorio De Pedys

01-VITTORIO DE PEDYS "Una possibilità : la decrescita
Le cronache 2011 di tutta Europa, ed in particolare in Italia, hanno posto l’accento, sulla crisi finanziaria che continua a devastare i redditi di intere popolazioni ed a falcidiare i risparmi degli attoniti cittadini. Uno stato di crisi “globale”: che senso puo’ avere allora dedicare uno studio al federalismo, epitome di visione locale delle situazioni ? La risposta giace non nel cosiddetto aspetto fiscale del federalismo, forse quello piu’ conosciuto e discusso, bensi’, come si vedra’ nello sviluppo del presente lavoro, in una visione totalmente diversa del problema della crescita, sostanzialmente irrisolvibile, ed in un’apertura verso le nuove possibilita’ che una economia a carattere piu’ locale offre. Se il globalismo internazionale e’ talmente centrale agli ingranaggi del problema da costituirne esso stesso il cuore, una possibilita’ da considerare con la massima serieta’ e’ che una risposta di segno opposto sia necessaria.

Sotto un punto di vista fondamentale, viene sottolineata da tutti gli “esperti” come il male principale che ci affligge sia di tipo economico, e cioè la mancanza di crescita del nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) , che in effetti è in stagnazione da quasi due decenni. I paesi occidentali che negli ultimi lustri hanno talvolta marcato dei brevi periodi di crescita al 3%, hanno festeggiato come se si trattasse di grandi vittorie di politica economica. Nulla di più fuorviante. Gli indici delle Borse valori di tutto l’occidente, che dovrebbero riflettere gli andamenti reali dell’economia, si trovano oggi su livelli assoluti pressoché uguali rispetto a quelli di 15 anni fa; ciò sembra coerentemente indicare che i mercati finanziari registrano questa situazione di non-crescita. .......

*by POLARIS-8/2011


CONTINUA  VEDI    01/3
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sabato 26 novembre 2011

"Perchè N.O.? Crescita/Decrescita" a cura di Stefano Vaj e Sandro Giovannini (1)





*26/11/2011


01-STEFANO VAJ "Crescita o Decrescita?"


Prendo spunto da una conversazione privata con l'amico Giovannini per riproporre alcuni spunti che mi paiono particolarmente attuali in un momento cui alcune equivoche parole d'ordine come "sostenibilità", "decrescita", etc. vengono chiamate in rinforzo dalla propaganda di chi vede almeno a breve termine nell'affamare e mortificare i popoli europei ed accelerarne il declino modo migliorare per prolungare l'agonia di tutto un sistema il più a lungo possibile ("Abbiamo vissuto troppo a lungo al di sopra delle nostre possibilità", dixit con compiaciuto moralismo il catto-comunista a capo del cerimoniale nella zona amministrativa nota come Repubblica Italiana)............

01-SANDRO GIOVANNINI "Per ora intorno al dilemma 'crescita/decrescita' ”

Una riflessione come quella di Stefano Vaj, estremamente concentrata e fortemente direzionata, ci sollecita a domandarci quanto si sia realmente consapevoli dell’artificio che tutte le rivoluzioni e quindi alcune delle rivoluzioni ultime, nella fisica, nella biologia, nell’ancora sostanzialmente minoritaria interdisciplinarietà dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, impongano al mondo delle humanities.....