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venerdì 11 aprile 2025

ANDREA ROSSI-Stereotopi?

ANDREA ROSSI FACEBOOK-Ferrara  
Io amo gli stereotipi.
gli stereotipi culturali, quelli di genere, gli stereotipi fisici, gli stereotipi dell'abbigliamento e degli accessori. gli sterotipi della famiglia e nella famiglia.
Perché alla fine la normalità esiste. E la medietà é la spina dorsale di ogni cultura. 
 
Bella considerazione e riflessione critica per il noto storico di Ferrara, citta' d'arte Emilia Romagna...
Una giusta attenzione a certa positiva Normalita', a volte perduta, in nome di falso progressismo et similia...Asino Rosso 

 

 

sabato 7 dicembre 2013

L'Avanguardia come Tradizione 2.0: intervista a Michelangelo Ingrassia

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by Eccolanotiziaquotidiana - Roma

Michelangelo Ingrassia… docente a contratto di Storia dell’età contemporanea presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Palermo. Autore di L’idea di fascismo in Arnaldo Mussolini(Isspe, Palermo, 1998) e La rivolta della Gancia(L’epos, Palermo, 2006),   La sinistra nazionalsocialista. Una mancata alternativa a Hitler (Cantagalli, Siena, 2011),  AA.VV. Perchè Israele può avere 400 testate atomiche e l”Iran nessuna? (La Carmelina, 2013) * Nuova Oggettività…


D- Nelle recenti presentazioni  a Roma e Milano (27 9 e 28 10) del progetto e dei libri Nuova Oggettività, uno dei focus… certamente il tema avanguardia tradizione: sintesi aperta possibile?
R – Penso che chi oggi intenda agire contro il nostro tempo non possa fare a meno di chiedersi se sia possibile un uso rivoluzionario della tradizione e al contempo un uso tradizionalista della rivoluzione. L’idea-forza sulla quale si basa il sistema dominante è la conservazione. Questo sistema intende cristallizzare il tempo, autoconservarsi e autoperpetuarsi così come esso è. Al conservatorismo politico, culturale, economco, sociale, strutturale e sovrastrutturale del sistema, occorre contrapporre lo slancio vitale della rivoluzione. Lo spirito che alimenta questo sistema è il progressismo, inteso come evoluzione continua, perenne, dell’esistente, dei suoi prodotti e delle sue merci, in uno sviluppo senza fine. Al progressismo che eternamente ricerca lo sviluppo, giustificando così l’esistenza del sistema dominante, occorre contrapporre la volontà di potenza della tradizione. La sintesi tra rivoluzione e tradizione è dunque necessaria perchè soltanto essa può contrapporsi alla sintesi dominante tra conservatorismo e progressismo; soltanto un’avanguardia rivoluzionaria e tradizionalista al tempo stesso può reggere l’urto contro la nuova razza padrona e il nuovo potere dominanti.

D- Piu’ nello specifico, quali valori Tradizione e Avanguardia veicolano (o non veicolano?), oggi?
R –  Il pensiero tradizionale, le avanguardie intellettuali, il pensiero rivoluzionario puro (che non va confuso con l’evoluzionismo razionalista e positivista e con il darvinismo sociale dei liberisti e dei cattivi discepoli di Karl Marx) hanno in comune una parola che è anche un concetto, una visione del mondo, uno spirito del tempo, un’organizzazione dell’esistenza umana, un sistema di principii: Comunità! I liberali hanno saputo teorizzare e praticare una sintesi tra conservatorismo e progressismo e oggi dominano incontrastati il mondo. E’ tempo che i comunitari si risveglino, si organizzino, teorizzino e pratichino una sintesi antiliberale, anticonservatrice, antisviluppista e antiprogressista: la sintesi tra rivoluzione e tradizione. E’ tempo che l’io-comunità si ribelli contro l’io-individuo. Organizzare, teorizzare, praticare questa ribellione è il compito di una nuova aristocrazia sociale o di una nuova avanguardia comunitaria. Una ribellione che non deve essere necessariamente violenta ma può essere non-violenta: dipende come sempre dalle circostanze storiche e politiche.

D- E per la storia, in particolare, del popolo italiano?
Nello stesso momento in cui si scatenò l’attacco del nuovo potere e della nuova razza padrona, con l’americanizzazione dell’Italia e dell’Europa al tempo della guerra fredda, primo passo della globalizzazione planetaria nel terzo dopoguerra iniziato nel 1989, un’avanguardia intellettuale reagì appellandosi alla tradizione e alla rivoluzione: da Giacomo Noventa a Pier Paolo Pasolini all’Evola della rivoluzione interiore. Tuttavia mancarono le forze per superare gli steccati che ancora dividevano uomini e idee secondo gli schemi della guerra fredda. Recentemente Bruno Arpaia, in un libro significativamente intitolato “Per una sinistra reazionaria”, si è chiesto se la Sinistra non debba recuperare alcuni concetti del pensiero di Destra come, appunto, la Tradizione, la Comunità, la decrescita, citando De Benoist e Pasolini, Veneziani e Barcellona; vi è poi l’esperienza di Costanzo Preve, di Marco Tarchi, di “Comunismo e Comunità”. Si tratta di segnali che lasciano intravedere una possibilità. Occorre insistere. Volendo, è possibile affermare che Nuova Oggettività non è sola.

martedì 2 agosto 2011

Urfuturismo: una ipotesi di lavoro *di Sandro Giovannini

 U R F U T U R I S M O


Rappresentiamoci l’esempio dei cinesi che in due settimane costruiscono un albergo di 15 piani, dalle strutture alle rifiniture, dotato di tutti i confort e di ogni valida garanzia antisismica, con soddisfazione sostanziale di committenti e maestranze. Da noi sarebbe addirittura impossibile ipotizzarlo e non solo perché non possediamo alcuno dei parametri mentali di quella gente ma perché se divenissimo così efficienti saremmo persino più autodistruttivi di quanto siamo attualmente verso noi stessi, ovvero la nostra stessa convivenza sociale ed ambientale. Certi parametri si realizzano probabilmente solo per una coincidenza estrema e rarissima di fattori: una civiltà millenaria, un’autoeducazione alla comunità fattiva, un controllo sociale senza sostanziali interruzioni per millenni, un ottimismo di fondo dovuto alla consapevolezza disarmata ma non rassegnata ed esemplare della fungibilità assoluta e dell’irreducibile potenza positiva del negativo e dell’infinito spartirsi senza mutilarsi dell’Essere (Emo-Noica), una scarsissima propensione a prendere sul serio le follie del cuore e della mente singola, un attivismo da buon formicaio ove ciascuno ha un suo posto innegabile ma una sua validità immediatamente sostituibile. Quella normalità eminente che non si sa se augurarsi o deprecare, fino all’innegabile nostro attuale sfinimento totale di ogni passione o velleità. Ma quella normalità eminente non è nata a caso: millenni di educazione sociale con a lato del programma collettivo ed exoterico un programma interno di tipo sostanzialmente esoterico. Quando anche noi eravamo così (qualche migliaio di anni fa) eravamo in grado di compiere miracoli di tal fatta e forse persino superiori.



L’urfuturismo potrebbe essere di nuovo questa dimensione non scontata, problematica, di rimessa in gioco di ogni cattiverio e di ogni ipotesi individuale e sociale, che possa divenire storia, dopo il sostanziale dayafter che ci riserverà prima o poi il nostro semplice futuro. E qui, quando parliamo di futuro, non parliamo di un futuro futuribile ma proprio di un banalissimo avvenire riservatoci, di probabile degrado e di probabile marginalizzazione. Per reagire a questa deriva non si può che mettere in campo quel poco che ci residua e che ci è proprio, ovvero una antichità assoluta ed una modernità altrettanto assoluta. Ogni ipotesi altra è quasi sicuramente destinata a fallire per l’inadeguatezza alla deriva medesima. La necessità dell’urfuturismo è quindi vitale e non solo spirituale, ideale, generazionale, artistica. E dobbiamo figurarcela come estranea a tutti i parametri della usualità borghese accettabile attuale, ovvero quel qualcosa che sta tra l’eccellenza senza paragoni (ovunque si verifichi e dovunque si diriga) e la scorrettezza estrema del pensiero non assoggettato ad alcun limite, né di tipo umanistico né di tipo confessionale ed una vitalità ritrovata e luperca che non deve prendere esempio da nessuno perché nessuno è in grado di darci ciò che non ci appartiene già, almeno come ipotesi di lavoro. Ogni volta nella storia in cui ci siamo accompagnati ad altro od ad altri siamo sempre miseramente falliti, prima o poi, perché la nostra vocazione è trovare la nostra strada da soli, in attentissima ma perfetta autoreferenzialità, che è l’unico viatico, paradossalmente, anche per sopravvivere nel mondo globalizzato attuale.



L’ipotesi di lavoro è quindi comunitaria, ove esproprio subìto e giustificato, popolo come laos, partecipazione gerarchico-qualitativa e destino (perduto) ritrovato, siano in una feconda simbiosi aristocratica, ove cioè il concetto di aristocrazia sociale si trovi addosso una volontà di fare senza sconti, sostanzialmente rivoluzionaria.

SANDRO GIOVANNINI

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