sabato 30 aprile 2016
Pansa e Rouhani, trova le differenze | estense.com Ferrara
lunedì 20 aprile 2015
Marco Vannini - Incontri: Beatrice Iacopini, Il Bene anche nel male: Etty Hillesum
Beatrice Iacopini, laureata in filosofia e in teologia, è studiosa del pensiero di Etty Hillesum, su cui ha pubblicato: Uno sguardo nuovo. Il problema del male in Etty Hillesum e Simone Weil (con Sabina Moser), ed. S. Paolo 2009, ed altri saggi. |
mercoledì 15 ottobre 2014
Matteo Renzi e la velocità futurista: diMarcello Veneziani
Renzi, l'ultimo dei velocisti che insegue il sogno futurista
L'ascesa del premier ha profonde radici culturali nelle irrequietezze novecentesche che, come il fascismo, esaltavano il dinamismo...
Ma esiste il renzismo? Il fenomeno politico e mediatico di Matteo Renzi nasce da un clima culturale, o come si disse del berlusconismo, da un'egemonia sottoculturale? È presto per dirlo ma il fenomeno Renzi non sembra provenire da alcuna cultura politica o civile; anzi sembra essere il frutto della loro decomposizione. Il culto della velocità è un mito che viene dagli albori del Novecento e odora di futurismo e dei suoi parenti più stretti. Nessuno avrebbe mai pensato allora che il culto euforico della velocità con cui si aprì il '900 sarebbe stato poi maledetto nel giro di un secolo, ponendo alla velocità un guardiano spietato, il Limite, non solo stradale, apprezzando tutto quanto è slow, lento, dal cibo alla musica, fino all'andamento. Velocità come male, lentezza come sicurezza. Il Novecento fu il secolo della velocità, il suo mito l'attraversò come un sorriso, un fulmine, un'ebbrezza e una magìa. Lo slancio epico della velocità era vissuto come una liberazione e un sogno che si realizzava, quasi una divinità discesa in terra di cui si avvertiva la presenza nel vento in faccia. Il culto della velocità percorse le tre grandi rivoluzioni del secolo, il fascismo, il comunismo e l'americanismo o se preferite la rivoluzione nazionalista, la rivoluzione proletaria e la rivoluzione tecnologica. Dal mito fascista della rapidità di gesto e di decisione come segno di modernità efficace e virile al mito comunista della rivoluzione e della dinamo, che dà il nome anche a società sportive dell'est, fino al mito americano della velocità di auto, cibi, trasporti e rapporti: tutto il secolo è un inno al fast, al movimento rapido, l'irrequietezza, il superamento di tempi morti e ataviche lentezze. Li accomuna il futurismo, fiorito tra Milano e Parigi, con sosta artistico-letteraria a Firenze, e poi a Mosca e New York. Il primo movimento globale, non solo per il contagio planetario simultaneo ma anche per la proposta globale e totale, non limitata al regno dell'arte, ma estesa all'architettura, la letteratura, la cucina, il teatro, il cinema, la musica, la tecnologia, la guerra, la politica, la vita e la morte. Una specie di stil novo tecnologico, fondato sul mito della macchina e della velocità, della tecnica e delle sue emozioni; una forma di delirio dionisiaco, non indotto dal vino e da eros ma dall'ebbrezza della velocità, congiunta al mito della macchina che ci mette le ali. Il futurismo diventa il canto della società industriale, l'arte applicata all'epoca del capitalismo, che trova nella civiltà industriale una sua bellezza, essenziale e dinamica. L'elogio della natura cede il posto al mondo modificato dall'uomo. La velocità per Marinetti è la nuova religione della modernità.
La macchina correlata alla velocità delinea anche una nuova grafica e una nuova estetica, nuovi costumi e più slanciati design; anche i corpi tendono a fendere l'aria, a farsi aerodinamici, appuntiti. La magrezza diventa sinonimo di bellezza, la grassezza evoca la lenta goffaggine (Qui Renzi mostra qualche cedimento adiposo...). La velocità delle macchine, a cominciare dalle automobili, è segno di esuberanza e di vitalità, quasi di felicità. Difficile immaginare che nell'epoca seguente, dominata dal traffico, le code, le città intasate e paralizzate, si potesse conservare la stessa fresca e allegra passione per le macchine e la loro velocità. Ma la gerarchia delle automobili, in principio, era sancita dalla loro velocità più che dalla loro sicurezza e comodità. Sull'onda della velocità delle macchine nasce un futurismo pratico di massa. Non c'erano ancora le tragiche controindicazioni della velocità, i bilanci drammatici del fine-settimana e le alterazioni di alcol e droga che mettono ali maligne alla velocità. Era la fase euforica della modernità coi suoi passi celeri.
Il culto della velocità si unì nel Novecento anche al mito della giovinezza. Qui ritroviamo il renzismo e la sua tachicardia anagrafica. Come la velocità e il decisionismo, anche il mito renziano della giovinezza odora di futurismo-fascismo.
Il '900 fu il secolo della giovinezza, l'epoca in cui la condizione giovanile smise di essere l'anticamera impaziente dell'età matura, per farsi protagonista, depositaria della rivoluzione e della novità, quindi della modernità e della velocità. Dalla gioventù ci si attendeva la svolta radicale, il sogno di un futuro migliore e diverso. Agito ergo sum è il nuovo asse cartesiano delle rivoluzioni giovanili e delle accelerazioni inquiete del nostro tempo; la fretta diventa il distintivo della modernità e della capacità di essere al passo dei tempi. Anche il consumismo è fondato proprio sul consumo veloce di merci, mode e miti. La rapidità con cui uomini, situazioni e cose invecchiano, sono superate, non vengono riparate, sono il segno vorace di un'epoca fondata sulla Celerità e il suo rovescio, l'Obsolescenza (da rottamare).
La velocità è un'invocazione spaziale e temporale. Riguarda la capacità di divorare gli spazi, mangiare le distanze e dunque avvicinare popoli e terre distanti. La velocità avvicina il mondo ma allontana le generazioni, perché i vecchi sono sempre più condannati a essere sorpassati e alla fine emarginati da una società giovanilista e velocista. È un'epoca faustiana fondata sul mito del non fermarsi e sul primato dell'azione sulla contemplazione. In principio era l'azione e non più il Verbo, scrive Goethe. Cambiare il mondo e non limitarsi a conoscerlo, dicono in modi diversi i profeti della modernità, da Marx a Nietzsche, da Bergson a James. Un'arte come il cinema, che evoca già nel suo etimo la velocità, pone le immagini in movimento. Il fotogramma infonde velocità al ritratto e trasforma i monumenti in movimenti. I mezzi si fanno veloci, in cielo, in terra, in mare e perfino sott'acqua: come i sommergibili - canta un celebre inno - rapidi e invisibili. Il culto della velocità si applica pure ai contesti industriali e alle catene di montaggio, il paesaggio muta in un'officina ansimante. La scultura futurista riesce a rendere con materiali come il marmo e la pietra l'idea della velocità: si pensi alle opere di Boccioni dove la velocità è scolpita, e l'immobilità stessa diventa una metafora del dinamismo. Poi il culto della velocità si fece Maniera, così come il futurismo si fece rococò ed entrò perfino nelle detestate accademie. Si può azzardare un'archeologia della velocità, qualcosa che evoca la Vittoria di Samotracia esaltata da Marinetti (ma superata dall'auto). Insomma, anche la velocità finì in museo, imbalsamata come una tentazione ardita del passato. Restò la velocità dei rapporti telematici, che si fece simultaneità; ma si perse il mito. Alla fine pure sulla velocità si posò la polvere. Poi venne Matteo e l'utopia del velocismo riprese a correre... Ma si può fare di un mezzo, di un timer e di una modalità, uno scopo, un valore e una cultura? La rapidità passerà rapidamente, senza lasciare tracce rilevanti?
La scomparsa di Giovanni Reale - di Pierfranco Bruni
La scomparsa di Giovanni Reale. Nella metafisica il tempo della civiltà europea: da Agostino a Zambrano
di Pierfranco Bruni
La morte di Giovanni Reale (Candia Lomellina 1931 - Luino 2014) è "terribilmente" un segno che ci permette di entrare in quella metafisica del tempo tra il tremore e l'onirico, in un tempo in cui il buio non riesce a penetrare il bosco. Innovatore geniale della filosofia Occidentale, ha offerto una chiave di lettura profondamente legata all'idea di Dio e soprattutto ad una lettura consapevolmente spirituale tra Platone, Seneca, Agostino e Giovanni Paolo II.
C'è da dire è che scomparso il filosofo più zambraniano nella cultura dell'Occidente. A Maria Zambrano, Reale deve quella rilettura non solo di Seneca (ci cui ha tradotto tutta l'opera nel 1994), ma soprattutto la rilettura e la riproposta di una interpretazione che parte, certamente, da Platone e Socrate, ma si innerva nella centralità di Agostino.
È la Zambrano che permette a Reale di ricollocare Agostino al centro dell'Occidente, anzi viene considerato il vero iniziatore della cultura europea. L'Europa, dice la Zambrano, nasce con le Confessioni di Agostino. Da qui Giovanni Reale apre delle prospettive che non sono meramente filosofiche, di una filosofia accademica, ma ha il coraggio di spezzare la egemonia laica – laicista e porre all'attenzione le coordinate di un Tempo oltre l'Eternità, in cui Dio diventa il Cerchio e l'Orizzonte.
Il problema filosofico dell'Anima non è una questione teologica. Dopo la Zambrano, e quindi dopo Giovanni Reale, la visione del concetto dell'Anima assurge ad una visione della Ragione laica, ma diventa l'invisibile permanente e presente nello sguardo del Cristiano. Non si pone il problema di un Agostino che si converte, come in Paolo, ma si pone finalmente il problema dell'Uomo.
Non è la conversione che penetra il labirinto della metafisica dell'anima, ma è quel diamante, per dirla con Teresa D'Avila, che vive le mansioni della Bellezza.
Gli studi di Giovanni Reale hanno una loro progettualità e pongono come asse il modello, appunto, del Tempo – Anima. Un modello di una cultura che trova nella grecità il fondamento. La Grecia è il luogo della filosofia, ma la filosofia non è il pensare, piuttosto il pensiero dell'Uomo che attraversa le epoche e diventa, quindi, metafisica dell'essere. Nei sui testi, da Platone a Socrate e soprattutto alla impostazione di una "diversa" storia della filosofia da proporre alle nuove generazioni, la Grecia ha il suo humus nel verso dell'Immortalità e la presenza di Dio, non divina, attenzione, è la chiave di lettura dell'universo metafisico.
C'è una differenzazione sul concetto di Anima che resta importante, e dove la presenza della Zambrano è una costante, proprio quando traccia il profilo della storia della filosofia. L'Anima, come concetto in una lettura filosofica pura, non ha una sua connotazione di origine cristiania.
Come già dicevo va riletta la dimensione ontologica perché la Grecia è alla base, in modo zambraniano, della metafisica dell'Anima e dell'Anima e Agostino è la cultura della religiosità dell'Europa.
Giovanni Reali nel 1975 scriveva: "Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell'anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l'apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci. L'Occidente viene da qui".
L'Occidente che oggi viviamo non ha ancora risolto il problema, perché è troppo radicato in una cultura laica – laicista e recuperare quelle "periferie" non geografiche, per dirla con Papa Francesco, significa trasformare una civiltà dello "scarto" in una civiltà dell'anima.
Tracciati che Reale aveva individuato quando scrisse le straordinarie pagine su Giovanni Paolo II definendolo, e definendo così anche i suoi scritti, "un pellegrino dell'assoluto".
Quando ho scritto il mio libro su Giovanni Paolo II, "Canto di Requiem", (2005, 2006) Giovanni Reale mi è stato molto vicino. A lui devo tante di quelle riflessioni sulla teologia e la filosofia dell'essere. Fu uno dei primi che lesse quel mio libro e fu lui ad indicarmi alcuni cammini che restano nel mio cuore e nella mia anima.
martedì 14 ottobre 2014
ANTEREM: Carte nel vento ottobre 2014, anno XI, numero 24
Carte nel vento, ottobre 2014, anno XI, numero 24
Ciascun autore, poeta, prosatore o saggista, viene presentato da un redattore di "Anterem". Sono ospitati testi di Armando Bertollo, Maria Grazia Calandrone, Silvia Comoglio, Letizia Dimartino, Giovanni Duminuco, Roberto Fassina, Paolo Ferrari, Gabriele Gabbia, Alessandra Greco, Vincenzo Guarracino, Andrea Guiducci, Giovanni Infelìse, Daniela Monreale, Stefania Negro, Sandro Varagnolo.
In chiusura, piccolissimo omaggio di un grande poeta totale scomparso da poco: Pierre Garnier.
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Pierfranco Bruni nominato, dalla Regione Calabria, Presidente del Comitato per le Celebrazioni dello scrittore Giuseppe Berto nel Centenario della nascita
Pierfranco Bruni nominato, dalla Regione Calabria, Presidente del Comitato per le Celebrazioni dello scrittore Giuseppe Berto nel Centenario della nascita
Pierfranco Bruni è stato nominato dalla Regione Calabria, con Decreto dell'Assessore alla Cultura prof. Maria Caligiuri, Presidente del Comitato per le Celebrazioni del Centenario della nascita dello scrittore Giuseppe Berto.
Un incarico e una nomina prestigiose per uno studioso che da decenni dedica scritti, libri, conferenze e trasmissioni andate in onda sulla Rai analizzando i vari aspetti dello scrittore nato a Mogliano Veneto nel 1914 e morto a Roma nel 1978, ma sepolto, per sua forte volontà in Calabria a Capo Vaticano.
Alla Calabria Berto ha dedicato molte sue pagine, ma soprattutto ha scelto di vivere in Calabria perché nella gente, nella terra, nella geografia mare – terra ha sempre ritrovato il senso e la ragione del vivere e della scrittura.
"Sono molto onorato di questo incarico, ha sottolineato Pierfranco Bruni, anche perché le operazioni dell'Assessore Mario Caligiuri hanno rivoluzionato culturalmente la Calabria nel fare e nel pensiero lungo il tracciato di una antica eredità storico - letteraria. Un merito umano e professionale che va a Caligiuri".
Il Comitato, presieduto da Pierfranco Bruni, che ha rivestito già ruoli istituzionali, (ha presieduto due Comitati nazionali del Mibact) e per la promozione della cultura nei Paesi esteri, punta a valorizzare l'opera di Berto e analizzando il suo amore per la Calabria e per una Magna Grecia che porta nel proprio essere l'identità del Mediterraneo, come spesso afferma lo stesso Pierfranco Bruni.
L'Assessore Caligiuri, puntuale nelle sue iniziative per la promozione della cultura in Calabria, ha scommesso fortemente sulla figura di Giuseppe Berto e con le iniziative e le attività dell'Assessorato che dirige l'obiettivo è quello di legare l'opera di Berto ad un contesto nazionale e internazionale grazie ai suoi romanzi e ai suoi saggi, che costituiscono una chiave di lettura fondamentale del Novecento europeo.
Pierfranco Bruni ha pubblicato recentemente, in occasione del centenario della nascita di Berto, un saggio dal titolo: "Giuseppe Berto. La necessità di raccontare", (con riflessioni di Maurto Mazza, Gerardo Picardo, Marilena Cavallo, Micol Bruni, Claudia Rende), nel quale è presente fortemente la Calabria, ma sono presenti i legami letterari tra Berto, Camus e Pavese, il cinema, il teatro, la musica. Una lettura che internazionalizza l'opera di Berto.
o
David Bowie: poesie tribute di Roby Guerra nell'antologia neoromantica:a cura di Vanessa Pignalosa
http://www.salernomagazine.it/archives/74038
http://lanotiziah24.com/2014/09/roma-lantologia-neoromantica-parlami-damore-intervista-alla-curatrice-vanessa-pignalosa/
LA NOTIZIAH24
quotidiano on line Roma
Poesie per "Parlami d'Amore. Parlami di Vita"
Lo scorso fine settembre, presentazione nel salernitano (Sarno) per "Parlami d'Amore. Parlami di vita". Antologia di poeti di cifra neoromantica, a cura dell'Associazione culturale Arianna, della pittrice poetessa campana Vanessa Pignalosa, con prefazione del Professor Alberto MIrabella, critico e saggista. Nella presentazione intervenuto il noto cine foto reporter NIno Fezza e le autorità locali. Nel volume, appena edito, tra gli scrittori, anche il futurista ferrarese Roby Guerra, tornato alla poesia per l'occasione. Guerra, noto a Roma Capitale per le sinergie con il gruppo d'avanguardia Netfuturismo di A. Sacccoccio, autore saggistico per Armando Editore e membro de La Scuola Romana di filosofia politica. Da segnalare tra gli oltre 30 autori, tra bordi neotradizionali e bordi sperimentali, anche il futuristico Carlo Infante, Lorenzo Basile, Veronica Liga, Ambra Simona, Maria Cortese. Le due poesie di Guerra, romantico futuriste, ispirate a David Bowie de L'Uomo che cadde sulla Terra:
Amore su Marte? "C'era una volta/arcobaleno/dopo la pioggia/nelle tue pupille/il primo razzo/dell'ultima umanità/1+1= 2/il nostro patto dell'angelo/Un salto quantico/oltre i 7 colori/E ti videoamo/disperso nell'infrarosso".
Computer Life "Zero Uno/vola/il carillon senziente/dall'avvenire/a Gaia/Tempi di lacrime esatte/eppur si sogna/nuova infanzia digital/la tabellina in-esatta/di Darwin fanciullo
Info:
Antologia
http://www.salernomagazine.it/archives/74038
http://lanotiziah24.com/2014/09/roma-lantologia-neoromantica-parlami-damore-intervista-alla-curatrice-vanessa-pignalosa/
Roby Guerra poeta
http://www.transumanisti.it/3_articolo.asp?id=88
domenica 12 ottobre 2014
Politica e Fisiognomica
- Gianni Venturi
- 10 ottobre 2014
- FISIOGNOMICA E POLITICA
Ma una notizia lieta viene riportata dai quotidiani: i 'barbudos' più famosi d'Italia resteranno nella loro casa e non affronteranno lo stress dell'esibizione delle loro nudità all'Expo milanese. Parlo naturalmente dei Bronzi di Riace.
Alla scompostezza della politica si associa una riflessione.
Per calmarmi dalle desolanti notizie che ci propongono i telegiornali (inequivocabile l'avvio ogni sera, minacciosamente severo, di "mitraglia" Mentana), offre oasi di pace e di bellezza un canale televisivo che propone la musica più fastosamente eseguita da geni solisti e da grandi compagini orchestrali. Osservando quei volti, brutti, belli, giovani e vecchi, si nota una dignità sovrana mai turbata, anzi esaltata, dalle smorfie, dagli atteggiamenti innaturali obbligati dalla necessaria compenetrazione con lo strumento: labbra strette nella compagine degli strumenti a fiato, silenziosi scatarrii tra le trombe, braccia e colli tesi tra gli archi. Tutto si armonizza in una dignità che trova origine e salvezza dalla bellezza e dallo spirito. Se si potesse esprimere in una figura la nobiltà dello spirito, sceglierei quella dell'ottantenne Arthur Rubinstein mentre suona il concerto n.2 di Chopin. Dignità, bellezza, spirito: ciò che dovrebbe essere l'aspirazione dell'umano.
A differenza, e mi dispiace constatarlo, nelle aule parlamentari dove l'umanità più scomposta riduce la fisicità a bisogni primari, quasi tutti appaiono brutti perché scomposti. La fretta – o l'urlo – che dismaga la naturale dignità umana. Sibili, vociate, gesti sconvenienti sono dunque il riflesso di ciò che si pensa debba essere la lotta politica? E a questo punto, l'atteggiamento formale del Presidente della Repubblica appare o dovrebbe apparire modello di comportamento. Sempre più i personaggi della politica si fondono e si confondono con la satira di Crozza e perdono di carisma e di serietà. Ho ripreso in mano uno dei testi più corrosivi della nostra tradizione letteraria contemporanea. Un pamphlet di Carlo Emilio Gadda recitato in Rai, terzo programma il 5 dicembre del 1958 dal titolo "Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo". Tra i protagonisti, la dama Donna Clorinda Frinelli, il professor Manfredo Bodoni Tacchi e l'avvocato Damaso de' Linguagi, scoppia una diatriba sull'importanza del Foscolo, della sua poesia e del periodo storico di cui fu protagonista. Alla vacuità della dama e all'importanza seriosa del professore, si oppone il dissacrante avvocato che Insulta Bodoni Tacchi con l'inversione del nome: TaccaBodoni o ancor più il riferimento a un famoso B. (non è una premonizione ma l'indicazione di Bonaparte detto anche il Nano!) fatta da de' Linguagi, insultato a sua volta col nome di Linguaggia.
Ecco, dunque, che tutto ritorna alla parola, alla capacità della parola di dire tutto e oltre il tutto; ma quando la parola, ridotta a mezzo politico s'isterilisce e si contrae in se stessa, perde di veridicità e non si conforma più alle cose.
Ancora segnali fisiognomici nel quartetto ferrarese scelto per la Regione. Nella foto ufficiale due candidati, una donna e un uomo, si presentano con l'ormai abusato sciarpone annodato al collo, ultimo riferimento ad un vezzo modaiolo adottato dalla politica. Gli altri due si presentano, invece, con una renziana camicia bianca.
Non sarà un segno di un'imitazione – assai facile da decodificare – che non trova, purtroppo, una sua originalità e semplicità di messaggio?
DURA E CORAGGIOSA RELAZIONE DI PIERFRANCO BRUNI: MONTALE PASOLINI E CALVINO I NON POETI - CONVEGNO SULLA LETTERATURA
Dura e coraggiosa relazione di Pierfranco Bruni, Vice Presidente del Sindacato Libero Scrittori, che considera Montale e Pasolini i non poeti del Novecento e Calvino il relativista della leggerezza, e propone una interpretazione che va da D'Annunzio a Pavese attraversando Cardarelli, Campana, Silone, Michelstaedter e la lezione di Serra e Zambrano. Cosenza. Convegno sulla Letteratura, il Novecento, la filosofia.
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Coraggiosa e documentata relazione di Pierfranco Bruni al Convegno di Cosenza
Perché continuare a proporre la non poesia di Montale, Pasolini e Calvino nel relativismo del vuoto? Diamo senso alla vera letteratura nella tradizione della Provvidenza dei linguaggi: da Ungaretti a Pavese
di Pierfranco Bruni
Il 12 ottobre del 1896 nasceva Eugenio Montale. Il Nobel della letteratura che cerca di porsi come il poeta antimanzoniano trasformando la "provvidenza divina" in una esistenza della bufera.
Signori letterati cattolici svegliatevi. Questo grande genio montaliano di genialità poetica ha ben poco. Eppure continua ad essere proposto come il poeta della triangolarizzazione: Montale, Ungaretti, Quasimodo.
Anzi proporrei di cacciare da questo triangolo Ungaretti e inserire Saba e così il laicismo dei laici repubblicani poeti sarebbe compiuto. No, non è così.
I poeti del Novecento vero restano Ungaretti, Cardarelli, Campana – Michelstaedter nella tradizione tra Pascooli e D'Annunzio nella chiusura con Cesare Pavese attraversato da Gozzano.
Montale? La sua poesia del 1925, ovvero i seppiani ossi, uccidono il concetto di provvidenza divina per far posto, dunque, al nulla della parola e a quel male di vivere, che è soltanto il suo vivere male nella contraddizione di una scarsa formazione, tra la volontà di potenza e la ontologia dell'anima della cultura.
Eppure i libri ufficiali, il nozionismo moduilistico, sono pieni del male di vivere di Montale e molti docenti ripetono il cosiddetto male di vivere non conoscendo il kierkegherdiano scavo nella malattia mortale, che lega Seneca alla Zambrano agostiniana ed Eliade a Cioran, che diventa in Giuseppe Berto il male oscuro in una ribellione tra Camus e Mauriac e il contemporaneo Sgalambrto.
Montale non ha creato alcun concetto esistenziale e non ha dato vento ad alcun vero processo poetico: in lui c'è D'Annunzio intrecciato al tardo romanticismo, ma nulla di originale. La poesia non può essere soltanto lingua, la lingua ha un linguaggio metafisico in un processo che è esistenziale ma anche, per altri aspetti, spirituale.
Sfido a trovare una originalità che sia una! La sua incapacità di comprendere il valore di provvidenza divina lo porta a disegnale il male esistenziale che non è esistenzialismo, perché è ben altra cosa e Montale, che di cultura filosofica ne aveva molto poca, la sua visione poetico – metafisica era ben distante dalla cristiana Provvidenza.
E comunque si continua ad innalzare monumenti critici alla non poesia di Montale. L'analisi del testo è banalume se non si parte da un dato linguistico del pensiero della parola. La parola è sempre lo specchio dell'anima o l'anima che si specchia.
Siamo in una cultura del vuoto.
Ci sono responsabilità di una presenza cattolica nel non proporre chiavi di letture altra, ma il problema sta anche nella mancanza di coraggio nel dire che Montale va posto in una discussione tra poesia e non poesia recuperando in parte l'estetica del Croce e la visione "pedagogica" di Gentile nel radicamento vichiano.
Altrimenti siamo al trionfo della debolezza del pensiero.
Così come il "caso" Pasolini. Di Pasolini cosa resta? Io che ho tanto scritto su Pasolini ho sempre distinto, per una lealtà critica e conoscenza del testo, il non essere suo un modello poetico e il suo essere un intellettuale nella cronaca.
In Pasolini non c'è poesia.
Gramsci e le cenere. Un binomio nella allegoria del pensiero. Attenzione, non le "ceneri di Gramsci". Resta l'intellettuale intelligente, forse l'intellettuale che riusciva a leggere il presente politico e sociale attraverso l'interpretare la memoria del futuro. Penso ai suoi articoli profetici su Aldo Moro o alle famose parole sulle lucciole. E poi? Il poeta non c'è. Ci sono sensazioni come i versi per la madre.
Lo scrittore è il giornalista che racconta i ragazzi di borgata, i ragazzi di vita, ma è una fragilità letteraria scavata nella cronaca di una Roma che conosceva bene.
Il regista è la brutta sceneggiatura del Vangelo di Matteo e il volgare Salò, la cui volgarità è la morte del dialogo tra l'immagine e la parola, sancita proprio a metà degli anni Settanta. Resta Medea? O il Boccaccio assai meglio riletto da Bevilacqua.
Resta soltanto il giornalista diventato intellettuale. Altro non direi. Leggere analizzare studiare per credere.
Anche qui un attento esame di coscienza dovrebbe farlo il mondo cattolico, che sembra dimenticare il proprio patrimonio per dare spazio alla laicizzazione impoetica dei Montale dei Pasolini e dei Calvino.
Già, il leggero Italo Calvino che ha cercato di reinventarsi dopo la morte di Pavese, al quale deve molto, ovvero tutto, attraverso la ricerca della favola o dei Marcovaldo o degli scrutatori sino all'incomprensibile metafora inconsistente di Palomar o del Viaggiatore… che implode già dalle prime pagine sino ancora alle incompiute lezioni americane, che non hanno alcuna valenza letteraria incentrata in una antropologia della cultura tutta motivata su un sistema ideologico. Distante metafisiche di vita da Renato Serra, che ci insegnò cosa è una lezione di letteratura nella vita.
Con Calvino si è al trionfo ancora di un laicismo che conduce al relativismo di un linguaggio e di una letteratura distante dalla grande tradizione dei Papini, dei Prezzolini, dei Palazzeschi, dei Govoni, degli Alvaro, dei Fabbri, dei Pomilio, degli Sgorlon, ma anche dei Silone, dei Pavese, dei Berto, dei Gallian…
Insomma il laicismo ha preso il sopravvento nella cultura letteraria cattolica…
Comunque, eviterei Montale, Pasolini, Calvino oltre a Primo Levi, che non è uno scrittore, e proporrei Cardarelli Michelstaedter, Campana, Berto, alle Lezioni di Calvino darei spazio ad un confronto al Silone di Uscita di sicurezza… (ancora una volta Calvino riscoprirebbe l'essere scoiattolo definito da Pavese) e nel confronto tra Primo Levi e Marcello Gallian, quest'ultimo testimonierebbe di essere un gigante… Ci vuole non solo conoscenza, ma anche coraggio di entrare nella filosofia della letteratura… Ora siamo alla cronaca non laica, ma al relativismo della cronaca letteraria… E i cattolici letterati fanno finta che nulla sia accaduto, che nulla continui ad accadere…
Riproporre una tradizione letteraria, poetica e narrativa, significa, tra l'altro, superare completamente una visione filosofica che è quella positivista e storicista. Marcuse non esiste più. Sartre è defunto. Gramsci è stato ridotto in cenere.
L'ideologia nella letteratura si è trasformata in relativismo. Basta osservare come viene proposto Luigi Pirandello, un Pirandello coerentemente nella tradizione dell'italianità che va legato a Ionesco, Kafka e Cervantes e non a Verga, Capuana, De Roberto.
Lo scrittore dei nostri giorni o recupera il senso e l'orizzonte di una tradizione nell'eleganza della lingua o diventa il forcaiolo della parola in un linguaggio che si consuma il giorno prima di essere pronunciato, ma nonostante tutto questo linguaggio si appiccica allo sguardo di chi non ha una forza filosofica e storica o letteraria e ontologica e trova spazio nel vuoto che consuma un pensiero in una mezza parola.
La letteratura è altro. Proprio per questo riportare la tradizione tra l'estetica de "Il fuoco" di D'Annunzio e l'Aurora della Zambrano significa proporre una volontà della contemplazione, in una provvidenza del mistero, in un tempo che è sfracellato dalla leggerezza e dalle idiozie.
Islam and God
Casalino Pierluigi, on October, 12, 2014
sabato 11 ottobre 2014
BRONZI: SGARBI DENUNCIA COMMISSIONE PER CONCUSSIONE
Expo 2015, Bronzi di Riace, Sgarbi:
«Denuncio Commissione per concussione.
La loro decisione, politica e non tecnica, perché influenzata da Renzi»
«Lo testimonia anche un membro della Commissione "pentito", in una incredibile "confessione" sul "Corriere della Sera» di oggi". Il ministro
ha diritto a una vera relazione tecnica. Quella che gli è stata fornita è un falso»
ROMA – In merito alla decisione della Commissione tecnica nominata dal ministro Dario Franceschini per verificare la trasportabilità dei Bronzi di Riace all'Expo 2015, Vittorio Sgarbi dichiara:
In nome del ripristino della legalità, tanto spesso vanamente evocata. ho dato mandato all'avvocato Giampaolo Cicconi di denunciare il presidente Giuliano Volpe e i componenti della Commissione nominata da Franceschini, per concussione e falso ideologico, avendo tradito la loro funzione e il ministro, con una perizia falsa e infondata. Lo testimonia anche un membro della Commissione "pentito", in una incredibile "confessione" sul «Corriere della Sera» di oggi
Ho raccolto le prove che la loro decisione non è stata tecnica ma politica, e influenzata dalla posizione del Presidente del Consiglio Matteo Renzi che, intervenuto durante i lavori della Commissione, ha dichiarato di essere contrario al trasferimento delle opere.
Su questa posizione esterna, la Commissione ha basato la sua decisione coprendosi dietro il quesito se i bronzi fossero trasportabili senza "pregiudizio alcuno".
Un evidente pretesto, giacché il "pregiudizio" riguarda il trasporto e non ciò che può avvenire ai Bronzi in virtù dello spostamento (una bomba che non cade a Reggio ma a Milano). E, come ha affermato il membro della Commissione Bruno Zanardi, la Commissione sapeva che i Bronzi sono trasportabilissimi, come centinaia di opere d'arte che vengono spostate senza che se ne faccia un caso. Né si può ritenere che la legge di tutela, rispetto al "pregiudizio alcuno", valga solo per i Bronzi di Riace.
La legge è uguale per tutti, anche per le opere d'arte. E non si può tollerare, costituzionalmente, che alcune siano più tutelate di altre. Anche in questo la Commissione ha tradito il suo compito, discriminando i Bronzi da altre non meno notevoli testimonianze del patrimonio artistico».
Il ministro ha diritto a una vera relazione tecnica. Quella che gli è stata fornita è un falso»
l'Ufficio Stampa
Nino Ippolito
+39 340 7329363
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giovedì 9 ottobre 2014
Simona Cigliana e il futurismo "magico"
Futurismo esoterico
20-10-2003fonte: Città Nuova
"Il futurismo è all'origine di molto del nostro presente, positivo e negativo" scrive W. Pedullà per presentare il saggio vasto, ricchissimo di documentazione diramatissimo nell'analisi, che Simona Cigliana ha intitolato Futurismo esoterico. Affermazione, quella, discutibile ma almeno parzialmente vera nel suo insieme innegabile. Titolazione, questa, molto intrigante per chi, come me, non ha in gran simpatia il movimento della "immensificazione" e "moltiplicazione" del divinizzantesi - ma con volontà e voluttà gnostica - "Uomo-Dio" futurista. Grande merito dell'autrice è di aver analizzato e sintetizzato un'imponente quantità e varietà di notizie e di testi, elaborandoli in un vasto percorso euristico che, a partire dallo spiritismo americano-europeo (seconda metà del XIX sec.), illustra panoramicamente le ricerche e le ansie in ogni direzione paranormale - teosofia, antroposofia, occultismo - dell'invisibile materiale e dello spirituale percepibile, che incuriosirono anche illustri "esterni", da Schelling a Manzoni a L. Capuana a Freud a T.S. Eliot. Ma ha anche il merito di affondare l'analisi, prima di parlare di futurismo e per giungervi, in intensi capitoli sulle complicazioni (co-implicazioni) e gli intrecci talora inestricabili di emergenti novità culturali in un'epoca, tra Otto e Novecento, in cui il rinascente idealismo ruscellava in tanti idealismi, alcuni dei quali ben aperti alla ricerca esoterica, come anche lo stesso positivismo ormai cadente rinasceva in tanti positivismi spesso inquietamente ed entusiasticamente aperti alle sorprese e alle meraviglie di ciò che si presentava irriducibile a definizioni e classificazioni solo materialistiche. Se vi aggiungiamo il "misticismo della conquista" e il "culto dell'azione", scopriamo che vi maturava inoltre il brodo di coltura del fascismo. Ma io sto schematizzando, mentre il merito più solido e meno appariscente dell'autrice sta pro- prio nel dipanare, dalla sua posizione di sospensione ed equidistanza, la trama sottile, intricatissima e mobilissima, delle affinità e delle divergenze tra uomini, movimenti e azioni, spesso nutriti delle reciproche simpatie antipatie e cointeressenze in perenne evoluzione e metamorfosi. Lo scenario è grandioso, perche mostra e dimostra - tra l'altro, con rara perspicuità e proprietà di linguaggio - a quale esplosione (centrifuga e centripeta) vada inevitabilmente incontro la camicia di forza dell'illuminismo, doppiata dal positivismo, nel momento stesso in cui vuole definire e classificare ogni realtà in chiave materialistica e meccanicistica. Allora le rinascenti tensioni vanno da chi riafferma lo spirituale sopra o oltre la materia, a chi al contrario stira la materia fino a chiamarla anima (materiale); con tutta la gamma delle sfumature intermedie. E qui si apre il punto di vero disaccordo, da parte mia, con l'autrice, che a partire dal sottotitolo usa la parola "irrazionalismo" a tutto campo, per definire questo vasto arcipelago di posizioni e movimenti, tra i cui poli troviamo (con pericolo di oggettiva assimilazione) Bergson, Prezzolini, Papini, Marinetti col suo Cristo occultista (il Vangelo dice il contrario) come il "Perelà" palazzeschiano, e persino san Luigi Gonzaga futuristicamente reinterpretato. Non posso dimenticare le persecuzioni, per "irrazionalismo" diagnosticato in isteria, di santa Gemma Galgani e di san Pio da Pietrelcina, proprio in età futuristica. Cosi, è vero che nell'"invenzione futurista" - grande soprattutto nell'arte: Boccioni - "giace un substrato di materiali assai antichi" estratti dall'inquietudine della modernità; ma, proprio per ciò, "irrazionalismo" è un contenitore (non per caso di origine e imposizione illuministico-positivista) insufficiente quando non anche impermeabile alla dimensione spirituale della rivolta antimaterialistica.
http://www.cittanuova.it/contenuto.php?idContenuto=2331
lunedì 6 ottobre 2014
Steve Jobs dal punto omega anno 3
La mail di Cook
Ma il fondatore di Apple non è stato dimenticato. «La visione di Steve va molto oltre gli anni in cui è stato in vita e i valori sui quali ha fondato Apple saranno sempre con noi. Molte delle idee e dei progetti ai quali lavoriamo oggi sono partiti dopo la sua morte, tuttavia la sua influenza su essi - e su tutti noi - è inconfondibile»: così l'attuale amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ricorda Steve Jobs a tre anni dalla morte, avvenuta il 5 ottobre 2011. Come negli anni scorsi, Cook ha scritto una mail ai dipendenti della società di Cupertino in cui, oltre a ricordare l'anniversario, esprime il suo riconoscimento per quanto Jobs ha dato all'azienda e al mondo con le sue intuizioni. «Sono sicuro che molti di voi penseranno a lui quel giorno, così come so che lo farò anche io - scrive Cook -. Spero vi prenderete un momento per apprezzare in quanti modi Steve ha reso il nostro mondo migliore. I bambini imparano in modi nuovi grazie ai prodotti che lui ha inventato. Le persone più creative sulla Terra usano questi prodotti per comporre sinfonie o musica pop, e scrivono di tutto, dalle novelle alle poesie fino agli sms. Il lavoro della vita di Steve ha prodotto la tela su cui gli artisti creano i propri capolavori. Grazie per il vostro aiuto nel portare l'eredità di Steve nel futuro», conclude Cook nella lettera ai dipendenti.
L'Apple Watch
E oggi il futuro di Apple, dopo i primi tempi di incertezza, sembra finalmente tracciato, anche grazie all'Apple Watch, il primo prodotto veramente nuovo arrivato da Cupertino in tre anni. Non si sa se Jobs abbia fatto in tempo a dare il suo parere sullo smartwatch (Cook in una recente intervista ne parla come di un progetto avviato dopo la morte del fondatore, mentre Jonatahan Ive ha detto di averci lavorato per tre anni), però è innegabile che rappresenti per Apple l'apertura a un mercato nuovo e potenzialmente enorme, dove i concorrenti sono già molti e molto agguerriti. Una scelta obbligata, si potrebbe obiettare. Oppure una mossa strategica: aspettare che altri lancino i loro prodotti, poi presentare l'interpretazione di Apple, com'era successo già con iPod, iPhone, iPad. Certo è che molte delle nuove tecnologie introdotte con il Watch si vedranno prossimamente in altri prodotti Apple: dallo schermo in zaffiro al touch sensibile alla pressione, dal motore di vibrazioni di nuova concezione al connettore magnetico per la ricarica, e molto altro.
L'iPhone 6
Poi ci sono l'iPhone 6 e il Plus: due strappi al principio più volte enunciato da Jobs secondo cui la dimensione ideale dello schermo di uno smartphone deve consentire di raggiungere ogni punto col solo pollice. Apple ha ampliato i display, ma anche inserito una funzione che permette di utilizzarli col pollice (la chiamano Reachability). Ma Steve Jobs era un acuto osservatore: prima o poi avrebbe certamente cambiato idea da solo e, da imbattibile venditore qual era, avrebbe saputo inventare un modo per proporre i nuovi display come un'invenzione geniale di Apple. Con la sua capacità di distorcere la realtà avrebbe lanciato l'iPad mini da 7,9 pollici e l'atteso modello da 12,9 pollici come perfettamente coerenti con le sue idee, anche se più volte aveva argomentato che la dimensione ideale per un tablet era quella del modello standard che aveva presentato nel 2010.
Lo spirito
Così non è solo nei prodotti che si deve cercare l'anima del fondatore (cosa avrebbe pensato dell'obiettivo dei nuovi smartphone, che sporge dal profilo?), quanto nello spirito di Apple. L'azienda tecnologica più importante del mondo è ancora capace di muoversi come una startup, lascia ancora spazio alla fantasia, ha ancora nel suo Dna i geni dell'arte e quelli della scienza, anche se è vero che con Tim Cook ha cambiato volto. Il team dirigente è tutto nuovo, con parecchi nomi che arrivano dalla moda, come Angela Ahrendts (da Burberry), Paul Deneve (Yves Saint Laurent), Patrick Pruniaux (già vicepresidente di Tag Heuer). Apple si è schierata pubblicamente sul tema dei diritti civili alle coppie gay, sull'ecologia, la diversità etnica e di genere, ha rinfrescato la sua immagine con l'acquisizione di Beats, ma è cambiata pure la comunicazione, con un nuovo responsabile per i social media e un nuovo capo dell'ufficio stampa. Ultimo, in ordine di tempo, l'annuncio dell'arrivo di Mark Newsom, uno dei più importanti designer industriali del mondo, che affiancherà Jonathan Ive su progetti specifici.
Fine di un'era
Cook ha scelto opportunamente di aprire l'ultimo grande evento Apple con un video giocato ancora sullo slogan più famoso della Mela, quel "Think Different" nato proprio nel momento della peggiore crisi. E i rimandi al passato erano tanti: dal teatro, lo stesso dove era nato il primo Mac, agli U2, che con Jobs avevano presentato una versione speciale dell'iPod. Nel contempo, però, si è vista la nuova Apple: che riserva un terzo dei posti ai suoi dipendenti, che è più aperta e amichevole nella relazioni pubbliche, che scommette sulla moda oltre che sulla tecnologia. E che non chiama il suo prodotto più atteso iWatch, come tutti si sarebbero aspettati, ma Apple Watch, a segnare un coraggioso stacco, un nuovo pensiero differente: perché l'era della "i" è finita con Steve Jobs. Ma il nome del fondatore, ha raccontato Cook in una recente intervista, è ancora sulla targhetta della porta del suo ufficio di Cupertino.
In tv una serata dedicata a Steve Jobs
Da uomo comune a fondatore dell'impero Apple: è questa l'ascesa di uno dei personaggi più rivoluzionari dei nostri tempi. Per ricordarlo, Sky Cinema 1 HD dedica la prima serata al biopic JOBS, realizzato da Joshua Michael Stern e interpretato da Ashton Kutcher (Butterfly Effects, The Guardian, Appuntamento con l'amore) insieme a Josh Gad nei panni del socio fondatore della Apple Steve Wozniak. History HD alle 15.10 dedicherà al fondatore della Apple lo speciale documentario I signori del futuro: Steve Jobs, in cui verrà approfondita la controversa figura e i traguardi che ha raggiunto tentando di spodestare la concorrenza di Ibm e Microsoft. Mentre Discovery Science trasmetterà alle 20.10 iGenius: la rivoluzione di Steve Jobs, lo speciale condotto da Adam Savage e Jamie Hyneman, interpreti dello spirito di innovazione attraverso la curiosità intellettuale e la pop science con il loro show Mythbusters. Lo speciale è arricchito da interviste a personaggi che testimoniano come la propria vita sia stata influenzata dalle sue invenzioni. Parlano gli uomini che in prima linea hanno seguito la nascita del personal computer: non solo dirigenti Apple, ma anche giornalisti, musicisti, registi e designer.
http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2014/10/04/steve-jobs-a-tre-anni-dalla-morte-milioni-di-messaggi-nel-mondo_54eb1bfb-4b10-42f6-845d-6870df2c4615.html
Ferrara, scienziati sociali e Matteo Renzi conto la decrescita (in)felice: audience boom!
"Non può avvenire una ripresa economica se non c'è un contemporaneo sviluppo sociale". È questo il messaggio chiave lanciato durante il dibattito "Uscire dalla crisi" che si è svolto ieri sera al teatro Comunale nell'ambito delle iniziative del Festival di Internazionale e che ha visto tra gli ospiti Pauline Green di Alleanza Cooperativa Internazionale, Mauro Magatti, economista dell'Università Cattolica di Milano, e Pierluigi Stefanini di Unipol e Fondazione Unipolis, moderati da Federico Fubini de La Repubblica. Per i relatori si è smarrito da una trentina d'anni a questa parte l'autentico spirito keynesiano di sviluppo sostenibile di una società.
Creare valore e smetterla con il consumo indiscriminato e fine a se stesso di risorse. È un po' questo il sunto del pensiero dei tre intervenuti. "Se si pensa di uscire dalla crisi solo grazie a uno sviluppo economico, ci si sbaglia di grosso – spiega Mauro Magatti – lo sviluppo sociale non deve essere una conseguenza di quello economico. Non è possibile basare la crescita sul consumo, come si è tentato di fare finora. La ripresa si deve basare sulla creazione di valore, questo si viene a costituire con investimenti in opere di pubblica utilità, come ad esempio ristrutturare delle scuole o investire sulla cultura e la ricerca. Solo le civiltà che produrranno valore si riprenderanno dalla crisi attuale. Altrimenti – continua il professore – si rischia un acutizzarsi del malcontento e la stringente necessità di una regolamentazione finanziaria mondiale o con mezzi diplomatici delicatissimi o, nella peggiore delle ipotesi, con una guerra".
Arriva anche la richiesta di sbottonare un po' di più l'austerity impostaci da Bruxelles. "È ora di dire basta all'austerity – sottolinea Pierluigi Stefanini -. Bisogna creare un circolo virtuoso a livello sociale, commerciale ed economico che solo successivamente, e di conseguenza, vada a risanare i conti pubblici. Altrimenti si rischia una paurosa deflazione che potrebbe schiacciare ulteriormente chi già oggi soffre la crisi". Anche Pauline Green è sostanzialmente sulla stessa linea. "Bisogna mettere in condizione i giovani con un progetto di poterlo sviluppare nel migliore dei modi, solo così si può creare valore e trovare nuovi business per far ripartire l'economia dei paesi europei in difficoltà. Anche l'austerity tedesca è necessario che venga allentata o altrimenti di solo rigore si muore".
Internazionale chiude con 71mila presenze
In 4mila venerdì hanno riempito piazza Municipale per l'arrivo di Matteo Renzi
http://www.estense.com/?p=413324Accanto alle Chiese costruiranno Moschee e vedremo sorgere Minareti vicino ai Campanili. I teologi e i laicisti discutono del nulla e i Cristiani osservano di Pierfranco Bruni
Accanto alle Chiese costruiranno Moschee e vedremo sorgere Minareti vicino ai Campanili. I teologi e i laicisti discutono del nulla e i Cristiani osservano. Occorre disubbidire per difendere il nostro essere Occidentali nel giorno di San Francesco
di Pierfranco Bruni
Gli Islamici sono alle porte e non bussano. La debolezza dei cristiani diventa ipocrisia. Ci sveglieremo una mattina e vedremo progettata o già costruita una Moschea accanto ad un Chiesa, un Minareto di fronte ad un Campanile. L'Occidente è anche questo.
lo scrivo nel giorno di San Francesco. Dove va Papa Francesco? Abbandoni la teologia e vada oltre il suo dialogare con il laicismo che endrebbe immediatamente interrotto. Abbiamo bisogno di una cristianità forte per non essere invasi dai musulmani. In un tempo dello "scarto" restiamo nelle "periferie". Ascolto alcuni dettagli di Papa Francesco e leggo il libro di Antonio Socci che non mi piace. "Non è Francesco…" è un libro senza un senso, soprattutto nell'incrocio storico che attraversiamo oggi. Bene ha fatto ad andare in Albania. Bene farà ad andare in Turchia.
Ho sempre sostenuto la differenza tra il Cristo che dovremmo vivere e la teologia che detta le regole al vizio del potere della Chiesa. Ma qui siamo oltre. Io resto un cristiano senza Chiesa e quindi senza teologia da seguire o disubbidiente felice alla Chiesa.
Il libro di Socci è inquietante e fuori tema in una discussione alta sulla quale ci stiamo impegnando per vivere l'ubbidienza e la disubbidienza. Papa Francesco è il confine e l'estremo di una civiltà sbandata. Lo scarto e le periferie. Di ciò però viviamo. Il pensiero di Francesco non ha grandi voli, ma è un uomo che ha vissuto tra gli scarti e le periferie.
È dal discorso di Papa Benedetto XVI, a Ratisbona, che seguo la posizione dei Gesuiti e di Papa Francesco anche se è dalla civiltà di Matteo Ricci che vivo la "politica" del senso gesuitico. Non mi sono piaciuti e non mi hanno convinti i suoi discorsi a Lampedusa, il suo "…chi sono io per giudicare…" sulla posizione degli omosessuali, il suo non gridare il sacrificio di Cristo e dei cristiani nei luoghi Ottomani, il suo "Buon appetito" domenicale, il suo aprire al mondo laicista e la sua presenza su quotidiani che hanno educato ed educano al laicismo… Non mi è piaciuto e continuo a non seguirlo su queste strade.. Ho bisogno di un Papa forte… Siamo nell'Occidente della cristianità. Il Papa lo sa e anche noi lo sappiamo ma basta con le aperture, basta con le accoglienze senza regole.
Forse abbiamo perso il sorriso. Perplessi, eppure siamo tanto vissuti che nessuna spina ci può far male. Si osserva ciò che ci passa accanto. Il banale domina. Ma la anche il provvisorio. Il tempo che cammina dentro di noi è un tempo che non si scrive. Siamo l'intreccio di ombre e di luce. Siamo liberi ma sempre prigionieri. Forse siamo consapevoli e incoscienti. Abbiamo la fede. ma forse non la abitiamo.
Chiediamo risposte a Cristo ma spesso ci dimentichiamo del deserto, della conversione di Paolo e delle solitudini di Agostino. Paolo e Agostino: due modelli oltre la voce della convivenza primigenia tra vita e teologia. Siamo incauti ma vorremmo dare una regola all'irrazionale che ci sorprende e a volte ci cattura dentro il "sorprendente" Mistero che è Grazia. Credo che troppa teologia ha lacerato il mistero della Chiesa. Ma se non ci fosse stata la Chiesa, quella mistero, saremmo stati catturati dagli Ottomani.
L'inquieto del nostro esistere e la chiarezza delle ombre che chiedono all'aurora di farsi ascoltare non vivono nella trasformazione delle "regole". È l'eresia che salva e non la teologia. Dove va questa Chiesa che dovrebbe difendere la Parola di Cristo?
Le premesse di un auspicato percorso teologico ci conducee verso delle inquiete disubbidienze. Capisco la visione di Cristina Campo di credere nella tradizione dei Padri della Chiesa e un "ortodosso" cristiano eretico come me non può che restare accanto al suo sguardo. Io non sono nella Chiesa teologia. Ma la "libertà" del mondo cattolico si intrappola tra religione e "ideologia".
L'ortodossia è un taglio del dogma che propone una voce ancestrale tra i nostri vuoti e i nostri tremori. La fede in Cristo resta come riferimento di una cristocentricità che vive nella Croce. Cristo non muore in Croce. In Croce diventa Rivelante. Cristo ci mostra la Croce e pone un interrogativo forte: l'ubbidienza non alle regole ma al mistero della fede o la disubbidienza alla pazienza di vivere e viversi nel mistero.
Il poeta che continua a vivere nei miei studi sulla ontologia della poesia, ovvero Nazhim Abshu, mi ha posto davanti al dubbio. Perché il mistero è il dubbio. Cristo è il nostro dubbio. Non è il dubbio della sua presenza. Il dubbio è dentro di noi ma con Lui si attraversa ogni "coincidenza" con il "forse" per diventare il sempre in Cristo. E se c'è il sempre in Cristo le regole non mi servono perché il radicamento della fede è nella nostra vita anche quando la nostra anima graffia la tentazione del suicidio.
Non credo che la preghiera ci allontani dal nostro costante suicidio. Ci avvicina comunque alla salvezza e la salvezza non è fatta di certezze ma di quella nostalgia che percorre tutto il tempo del nostro esistere. La fede non è soltanto speranza. È il dono di un camminamento. Io ho fede? Il mio camminamento si fermerà ai piedi di Gesù? Chi mi tenterà di sollevarmi dall'abisso?
La teologia della parola non tocca lo sguardo. Scindere la teologia dal mistero è una questione aperta di questo mio incrociare il dubbio e la sapienza di verità, alle quali non mi aggrappo. Nonostante il mio viaggio graffi le pareti della tentazione e la salvezza resta una profezia. Ma la salvezza non si giustifica e tanto meno bisogna spiegarla.
Se resto un cristiano senza Chiesa (come nel "ragionamento" di Ignazio Silone) o un cristiano che vive la sua perdizione, come nella costante sofferenza di Giovanni Papini, è un problema che riguarda la mia passione dentro la cristocentricità del mio esasperante silenzio.
Cristo, ripeto, non muore in Croce (l'eresia è imperdonabile nell'assoluto della teologia) perché non può scontare i peccati di tutti, ma accoglie le verità e le menzogne di tutti e offre non la sapienza ma la carità dell'amore. E tutto questo non è teologia. Certo, è ortodossia ed eresia dentro la missione della chiesa. La chiesa è l'assoluto mentre Cristo è la perdizione che mi spinge oltre la fede e il destino.
Tocco due disperazioni. La fede che è paziente e misteriosa. Il destino che è un disegno preordinato nella vita degli uomini. Il mio cammino è un lento desiderio di leggere il processo a Gesù (nella immagine e nella dimensione drammaticamente religiosa di Diego Fabbri).
Il vuoto non ha desideri e non ci sono desideri di vuoto, ma la storia non è speranza e non ha documenti da mostrare nel mio silenzio orante ai piedi della Croce. Cristo impedirà il suicidio dell'anima. Solo il mistero potrà colmare il vuoto.
Papini chiudendo la sua storia di Cristo ci inquietava terribilmente e rivolgendosi a Cristo: "… ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore". Amore implacabile.
Giuseppe Berto cercava nel suo dialogo con Giuda la salvezza. Ma la salvezza non ci porta alla teologia. Il mistero e la Grazia sono viaggi della spiritualità e nella spiritualità. Ma abbiamo un grande viaggio da compiere nei nostri deserti.
Siamo in un tempo in cui la teologia chiede l'ubbidienza e il mistero ci offre la fede. Ma come ha sempre suggerito Francesco Grisi restiamo ai piedi della Croce aspettando una parola che non verrà pronunciata, ma ci verrà detta. Questo non significa ubbidire.
La disubbidienza verso la Chiesa è la disubbidienza al laico - laicismo che è nella teologia Conciliare. Io vado oltre perché sono così radicato nella Tradizione che non mi permette, per fede e coerenza, ad abitare altri viaggi.
Perché tutto questo mio dire? Perché voglio usare la filosofia e il pensiero prima di andare alla guerra.
Ciò però vuol dire anche che il libro di Antonio Socci mi ha infastidito e le sue posizione o la supponenza iniziale di Messori sono nella teologia della crisi. Invece di viverlo il Cristo oltre la teologia si cerca di "processare" il Francesco teologico. Viviamo in un tempo che è difficile abitare.
Oggi l'unica identità resta quella cristiana. Ma bisogna che diventi forte altrimenti accanto alle Chiese vedremo sorgere Minareti e Moschee. Non so se ai teologi questa realtà possa andar bene. Io, distante dalle teologie, ma cristiano, non sono accondiscendente. Il Papa non resti a guardare. Ma io questa volta difendo Papa Francesco. Faccia in modo di solcare sempre più il Cristo oltre la teologia.
domenica 5 ottobre 2014
RUSSIA OVVERO TEMPO DI SECONDAMANO
Casalino Pierluig, 5.10.2014