Vittorio Sgarbi: L'Italia dei radical chic La Milano incivile vista solo dalla Palombelli

 


Il tono è sempre affabile, di persona pronta a riconoscere le ragioni degli altri, le conclusioni, come non mai severe. È «l’osservatrice romana» Barbara Palombelli in un articolo sul Foglio sull’attuale condizione di decadenza e di miseria della città di Milano. Ci si consola pensando che guarda da lontano, ma le osservazioni sembrano quelle di Natalia Aspesi con un retrogusto acido e il rimpianto del tempo perduto. Barbara Palombelli non si accorge che Milano è commissariata da quasi 20 anni, e che il moralismo della Procura guida il giudizio schiacciandola su quello che poteva essere e non è stata? Così la Palombelli è costretta a risalire agli anni 70-80, a più di 30 anni fa, finendo con eludere qualunque giudizio sulla città viva, per rimpiangere una città morta. Troppo facile indicare limiti e disagi, e salvare i cittadini, facile astrazione, contro la classe politica. Un premio di consolazione per i sopravvissuti: «La popolazione, le persone normali, sono ancora davvero degli italiani speciali. Lavoro, responsabilità e orgoglio li animano come e più di sempre. Chi li governa, viceversa, e si tratta di imprenditori con i fiocchi ha deluso il paese al di là di ogni aspettativa».

 

 

La visione della Palombelli è stereotipata e non dà conto della vitalità delle istituzioni che rendono la città di Milano sempre unica. Anche dopo le tante polemiche con Letizia Moratti, difficile disconoscere che nessuna città, nella musica, nel teatro, nell’arte possa tenere il confronto con Milano. Ancora, come un tempo a Milano un’idea trova subito le condizioni per diventare realtà. Basta entrare alla Scala, nonostante il facile predicozzo costituzionale di Barenboim al Presidente della Repubblica; o seguire le infinite offerte del Festival MiTo o frequentare il Piccolo, o visitare la Triennale o entrare a Palazzo Reale, fitto come un uovo di mostre straordinarie con un ritmo implacabile. In poco tempo, Ciurlionis, Savinio, Arcimboldi, gli impressionisti, in una offerta che era iniziata negli anni della mia presenza all’assessorato, e che continua incessante. Si aggiunga la festa mobile del Museo del Novecento davanti alla Piazza del Duomo con l’apertura gratuita per i prossimi mesi.

Tra qualche giorno il museo Diocesano ospiterà la mostra «Gli occhi di Caravaggio» sugli anni della formazione del grande pittore tra Milano e Venezia in un concerto di capolavori, da Tiziano a Tintoretto, a Lorenzo Lotto, a Savoldo, a Moretto, a Moroni, ad Antonio e Vincenzo Campi, allo stesso Caravaggio. Sono stato ovunque senza mai trovare terreno così fertile. E fatico a riconoscere Milano nelle parole inclementi di Barbara Palombelli. Ma occorre indulgenza in una città nella quale le tante donne intelligenti e interessate (penso a Inge Feltrinelli) capaci di investire sulla loro forza di seduzione sarebbero oggi considerate, in nome della legge, prostitute. Non vi può più essere la felicità di un tempo, la vivacità, l’euforia.

Così la Palombelli esalta i suoi sentimenti semplici, dimenticando i destini delle donne bellissime dei Falck, dei Rizzoli, dei Rusconi, dei Mondadori, dei De Benedetti e anche dei Berlusconi. Hanno attraversato portoni e sono entrate in ville quando la Boccassini era distratta. Così è facile oggi scrivere: «Ma le nuove generazioni? Dai verbali della Procura emergono i sogni delle Olgettine, le papi-girls e fanno venire i brividi per la pochezza dei desideri. Una borsa firmata, preferibilmente Vuitton; un seno rifatto verso la quarta di reggiseno; una chioma folta, allungata con le extensions; un crocifisso di diamanti firmato; qualche puntura per alzare il labbro, tipo Minetti. Impossibile il paragone con noi ragazze dei 70-80, che volevamo montagne di libri - solo Einaudi, Feltrinelli, Editori riuniti - una bici usata modello fornaio, una borsa artigianale a tracolla, ci accontentavamo di un maglione verde militare e di jeans scoloriti, l’unica puntura di allora era il buco alle orecchie, i capelli sempre naturali o al massimo un henné turco casalingo, li asciugavamo all’aria aperta...Ignoravamo il lusso, ci faceva anche un po’ orrore; lusso era una serata alla Scala, un comizio in Piazza Duomo, un bicchiere di vino, una lezione da ascoltare alla Statale. Eravamo anche più carine e interessanti di tante escort, più allegre e ottimiste sicuramente. Ci attendeva una città positiva, maestra di valori e di professioni».

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