I Taccuini di Marinetti a cura di Alberto Bertoni

*Alberto Bertoni
Taccuini e quaderni: un genere novecentesco

*** nel 1988, I Taccuini di Marinetti, a cura di Alberto Bertoni (Il Mulino, 1997), furono presentati anche a Ferrara (Biblioteca Ariostea) da Lamberto Donegà e la rivista Poeticamente (1980-1995, fondata e diretta dallo stesso Donegà, collaboratori Roby Guerra, Emanuela Calura, Claudio Strano ed altri).


    Con l'uscita postuma, tra il 1898 e il 1900, in sette volumi, dello Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi viene sancito anche dalla cultura ufficiale (la commissione che si occupò di quella edizione era presieduta dal Carducci) il riconoscimento di un nuovo genere letterario, quello del taccuino o del cahier di appunti, di annotazioni, di raccordi inusitati tra memoria filosofica e "fatto" accidentale, di impressioni o di primissime stesure, che il Novecento avrebbe consacrato a codice maggiore di molte carriere (basta pensare a Kafka, a Musil, a Valéry), riconoscendone la piena autonomia creatrice ma anche il diritto di proiettare la propria frammentarietà e la propria immediatezza costitutive nel cono di luce dei capolavori poetici o narrativi.
    Dopo Leopardi, anzi in sincronia pressoché piena con l'uscita dello Zibaldone, anche D'Annunzio avrebbe portato nel vivo della sua produzione ultima, dal Notturno al Libro segreto(1), la forma interna del taccuino, sospesa in lui tra istintività ferina nel catturare la sensazione pura attraverso la scrittura e mai sopita attitudine alla memoria già museificata, predisposta in origine al plagio, se si presta fede al lucido referto del Lucini di Antidannunziana. Due altri esempi, forse minori sul piano dell'ampiezza strutturale più che su quello del rilievo nelle rispettive carriere, possono subito apparire significativi. Nel caso di Filippo Tommaso Marinetti, i suoi taccuini(2) coprono il periodo di guerra e - accanto ai nuovi progetti editoriali e ad una serie di spunti per nuovi romanzi, a testimonianza che si stava in concreto realizzando quel Tempo di edificare di lÏ a poco sondato dal Borgese - segnalano in primo luogo la predisposizione costitutiva del loro estensore ad una forma di "immaginazione senza fili", aperta alle connessioni più inusitate tra percezione visiva, tattile, uditiva e olfattiva. A ciò si aggiunge, nelle pagine più felici, la sicura vocazione espressionista di Marinetti, davvero in linea con la sperimentazione artistica più avanzata in Europa, per l'attenzione acutissima riservata agli oggetti e agli eventi, nella loro nudità e - si direbbe oggi - nella loro cosalità più aspra e irrelata rispetto ad ogni possibile tentativo di invasione dell'io psicologico. E Raimondi ha acutamente paragonato il Marinetti dei Taccuini ad un regista cinematografico (la coincidenza cronologica tra il loro inizio e l'uscita del Si gira di Pirandello è in sé sintomatica) "che deve girare un film e ogni giorno accumula spezzoni di pellicola, sequenze di documentario, inquadrature drammatiche, al di fuori di ogni montaggio, senza un ritmo compositivo d'assieme". Ma un minuscolo frammento - ancora irrelato, dunque inedito - sulle "Doline del Carso" insegna che il dato oggettivo viene in altri frangenti collegato ad una pronunciata tensione lirica, fino all'estremo di una metamorfosi tutta di specie onirica e alla successiva fase analitica della "scaletta", scandita in previsione di un insieme compositivo più ampio, cui si assomma infine anche la necessaria memoria culturale:

      "Voi mi avete ferito mortalmente Io sono il chiaro di luna colpito da voi Vivo sotterra Argentea donna vello lunare della donna volpe
      Chiaro di luna
      donna volpe
      musica
      Vivaldi"

    Ancora in sincronia col d'Annunzio "notturno" e con questo Marinetti dei Taccuini, anche un giovane poeta di genio stava redigendo (fra il febbraio e l'agosto del 1917, a sua volta in attesa di essere chiamato a partecipare al conflitto) nella sua periferia occidentale e marittima un proprio privato quaderno di appunti, di impressioni di lettura, di frammenti lirici e critici: e ci si riferisce naturalmente all'Eugenio Montale del Quaderno genovese(3). Al di là del suo rilievo assoluto per definire la prima rete intertestuale e la preistoria sensibile del maggior poeta del nostro Novecento, tale testo appare decisivo per la sua inusitata vitalità nella vicenda artistica del suo autore. A distanza di sessant'anni esatti, nel 1977, Montale avrebbe infatti dato alle stampe l'ultimo libro di versi da lui interamente voluto e costruito: appunto il Quaderno di quattro anni, un testo di sorprendente altezza, che deve forse ancora trovare la lettura critica più adeguata. Qui, valga intanto a sigillo dell'accoglimento ormai definitivo del "genere" Quaderno, Diario, o Taccuino nella zona alta della nostra letteratura di fine secolo, vale a dire nel luogo dove "dovremo attendere un pezzo prima che la cronaca / si camuffi in storia".
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(1) Cfr. G. d'Annunzio, Taccuini, a cura di E. Bianchetti e R. Forcella, Milano, Mondadori, 1965.
(2) Cfr. F.T. Marinetti, Taccuini 1915-1921, a cura di A. Bertoni, con introduzione di R. De Felice e E. Raimondi, Bologna, Il Mulino, 1987.
(3) Cfr. E. Montale, Quaderno genovese, a cura di L. Barile, Milano, Mondadori, 1983.