Persino il guru della sinistra, teorico di Potere operaio, ha scritto in un libro: "Ciò che fu fatto dai giudici ai socialisti adesso si ripete coi berlusconiani, è orrido"
Aperte le virgolette: «Il potere giudiziario è diventato un potere quasi autocratico. A quel tempo il partito dei giudici era appena nato: il loro potere è diventato esorbitante grazie a un patto con la sinistra istituzionale che aveva dato alla magistratura mano completamente libera».
A quel tempo significa il 1983. Ma chi è l’autore di queste parole esplosive? Berlusconi, certamente Berlusconi.
Riapriamo le virgolette: «Sia ben chiaro, non metto assolutamente in discussione l’esercizio della giustizia e la sua indipendenza. Il dramma inizia quando la giurisdizione sostituisce interamente la giustizia, quando occupa e alla fine domina lo spazio politico».
Insomma, questo Berlusconi, sempre la solita solfa. L’unica novità, sembra, è che si fa risalire il «patto» scellerato addirittura alla fine degli anni Settanta e non alla sua discesa in campo.
Ancora virgolette, ma con sorpresa: «Quello che è stato fatto dai giudici contro l’estrema sinistra alla fine degli anni Settanta è stato ripetuto dieci anni dopo contro i socialisti e i berlusconiani. È stato orrido, questo déjà vu...». È davvero Berlusconi? Quel riferimento ai magistrati contro l’estrema sinistra avrà fatto venire qualche sospetto ai lettori. Che, infatti, hanno ragione. Il brano non è del capo del governo, bensì di Toni Negri, guru dell’estrema sinistra pensante e operante.
Il passaggio è a pagina 28 di un suo libro abbastanza recente, Il ritorno (Rizzoli 2003), pubblicato poco dopo il successo planetario di Impero, per il quale Time inserì Negri tra «le sette personalità che stanno sviluppando idee innovative in diversi campi della vita moderna». Può darsi, anche se di certo Negri non è un personaggio amabile.
Prima dirigente dei giovani dell’Azione Cattolica, poi socialista, infine fondatore, teorico e stratega di Potere Operaio insieme a Oreste Scalzone e a Franco Piperno. Fu processato per associazione sovversiva e insurrezione armata e condannato a 30 anni, nel 1984. Il processo si svolse sulla base del «teorema Calogero», dal nome del sostituto procuratore di Padova: il quale fu accusato da Amnesty International, insieme a altre autorità italiane, di avere manipolato la vicenda e avere commesso numerose irregolarità. La pena venne poi ridotta a 17 anni. Nel frattempo Marco Pannella aveva candidato Negri alla Camera, sostenendo che era vittima di leggi repressive imposte dal Partito comunista italiano con l’entusiastico appoggio della magistratura. Negri venne eletto, ma sarebbe ugualmente tornato in galera, dopo l’autorizzazione all’arresto concessa dal Parlamento, così fuggì in Francia. Ci rimase per 14 anni, insegnando all’università, finché decise di rientrare in Italia, per scontare la pena: prima in prigione, poi in semilibertà, fino al 2003. Due anni dopo Le Nouvel Observateur lo inserì tra i venticinque «grandi pensatori del mondo intero».
Non giurerei che lo sia davvero, ma non sbagliava quando parlò di una giustizia che «occupa e alla fine domina lo spazio politico»: prima contro l’estrema sinistra, poi con Tangentopoli, oggi contro Berlusconi. Ovvero contro gli avversari di quelli che Berlusconi chiama «i comunisti».
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