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Due anniversari, tra guerra e letteratura

Pierfranco Bruni
Due Anniversari. Da guerra in Camicia nera a quando una generazione andava a Salò.
Una letteratura che si racconta e un racconto che è vita: Berto e Mazzantini due anniversari



     Dal Centanario della nascita di Giuseppe Berto, di cui spesso ho discusso nel corso del 2014 e scritto saggi e libri al Novantesimo della nascita di Carlo Mazzantini. Da una guerra in Camicia nera ad una guerra di quando i Balilla andavano a Salò. Berto e Mazzantini. Due generazioni. 1914 e 1925. Di Berto ho già parlato e vi ritornerò nei prossimi giorni proprio in occasione del giorno del suo anniversario. Qui ritorno su Mazzantini lungo un percorso che va da una letteratura vissuta e raccontata ad una letteratura raccontata e vissuta. Chi è stato Mazzantini?  Carlo Mazzantini, nato a Roma il 15 dicembre del 1925, è morto nella sua casa di Tivoli il 28 dicembre 2oo6. Non si è mai assentato dalla storia, da quella storia fatta di sangue, di sacrificio, di coraggio. Un tracciato dentro il quale lo scrittore racconta l’uomo e raccontando l’uomo non dimentica il passaggio di una generazione che ha segnato il tempo della contemporaneità.
I suoi romanzi hanno raccontato i giorni di Salò ma hanno soprattutto recitato una giovinezza. Quei giorni che Carlo Mazzantini non ha mai dimenticato. Anzi sempre posto al centro del suo scrivere ma anche suo quotidiano esistere. Ma cosa sono stati e cosa sono i suoi libri, le sue pagine, il suo ricordare – raccontare, i suoi versi raccolti in Restano le nuvole del 2oo1. Versi che hanno un respiro tragico ed ellenico. Nel segno di un tempo incondibile ed indimenticabile.
      Ripercorrendo il suo tracciato narrativo e saggistico oltre che poetico non si tratta di andare alla ricerca della bella morte. Tanto meno si tratta di un viaggio verso Salò. Amore e morte, insieme, sono state le premesse e le chiavi interpretative dei precedenti scritti di Carlo Mazzantini. Un viaggio nel romantico mondo della giovinezza attraverso le memorie di quando si era giovani e con la giovinezza brillava una primavera di bellezza.
      Ebbene i ricordi di quel tempo e di quella storia si sono attorcigliati fino a formare una ragnatela che resta depositata nella storia e nelle coscienze: nel bene e nel male, tra le ombre e le luci, tra i silenzi e le urla, nella giovinezza che si è fatta sogno e nella storia che si è fatta conoscenza. Tutto quel mondo è scomparso per sempre anche se la letteratura ha il pregio (si tratta appunto del suo incantesimo) di riportarci in viaggio verso i lidi del tempo.
      Ma il tempo è lì a raccontarci i dolori e le speranze, le cadute e i progetti di una vita. Carlo Mazzantini ripassa con il filo di Arianna quel tempo che è stato in A cercar la bella morte e in I balilla andarono a Salò del 1997.  Ma è solo il filo di Arianna che si intreccia nelle metafore e tra gli echi di una conchiglia che riporta lontani echi. E tutto il resto si snocciola in una storia d’amore che è storia d’amore.
      Mi riferisco al suo romanzo dal titolo “ventilato”: Ognuno ha tanta storia del 2000. Perché ventilato? Perché tra le pagine c’è il vento. Quel vento anche ne  L’ultimo repubblichino del 2oo5. C’è il vento della storia. C’è il vento delle memorie. Corrado Alvaro direbbe giustamente, a tal proposito, che si ascoltano quelle “memorie sommerse” che fanno di un uomo un raccoglitore di ricordi che si trasformano in simboli. La storia qui, nonostante il lungo percorso che si avverte e si ascolta, la si legge come una premessa o come codicilli per introdurre una storia d’amore. Ovvero un amore che si fa storia. Nel vento dei giorni. Appunto.
      Tutto il resto conta poco. Conta poco Garibaldi, contano poco le guerre, il dopoguerra, l’Europa, l’Africa. Conta invece molto la Francia e la Spagna. Perché sono negli occhi di Oona. Conta poco il fascismo e le parentele familiari tra i personaggi. Conta poco quella che viene definita storia nazionale. Insistere su queste cose o su queste “categorie” significherebbe precipitare, e di brutto, nella retorica. E questo romanzo, invece, ha bisogno di un altro respiro.
      Un romanzo semplice semplice che porta sulla scena l’amore del protagonista per Oona. E’ un romanzo d’amore il cui scenario è uno sfondo sfuocato da ricordi. I ricordi immensi che accompagnano una vita. E l’amore per Oona è un gioco infinito nella felicità e nei colori del tempo. Certo, tutto il resto è oltre. In questo romanzo Carlo Mazzantini rivela di essere uno scrittore autentico sia nella struttura del romanzo sia nella decifrazione del quadro narrativo sia nella individuazione dei personaggi. E questo amore che si dichiara è un amore passione, un amore alba – tramonto, un amore fatto di sentieri e incantesimo, di sguardi, di profonde emozioni. E la storia è come se non ci fosse.
      Il più bel capitolo è proprio l’ultimo anche se in molte parti le pagine esclusivamente d’amore formano un diario leggero, carezzevole, dolce e romantico. Un romanticismo non caramelloso ma con le tinte dei crepuscoli. Sì, perché negarlo? In molte parti sa di fiaba. E questo è un pregio. Un pregio notevole. Tutto il resto ormai, in letteratura, può diventare noia. Cosa ci fa la storia e la cronaca in un romanzo?
      Si ha bisogno di riscoprire la leggenda, la fiaba, il senso – senso di una passione. Si ha bisogno di riscoprire il valore del tenersi per mano, del guardarsi a lungo negli occhi, di parlarsi. Si ha bisogno appunto di parlarsi guardandosi negli occhi e assentandosi da tutto. La vita è amare. E’ questo il sottotitolo più congeniale a questo romanzo di Carlo Mazzantini. I colori, gli sguardi, le attese, le immagini. Sono sensazioni ed emozioni che fanno della passione la protagonista nell’avventura dell’amore. Io voglio leggerlo così questo romanzo.
      Qualcuno mi potrà dire che le chiavi interpretative sono anche altre. Non c’è dubbio. Ma la letteratura deve riprendersi l’armonia del mistero, della tensione della parola, del gusto della partecipazione. E la tensione della parola che si fa sentimento, lo dico in termini critici, la si vive in quelle pagine nelle quali Oona è presente in un gesto d’amore e di armonia.
      “Con Oona, i suoi occhi ridenti, che avevano preso quel colore blu fondo del mare sotto i faraglioni di Capri, nell’alone della sua gioia, in mezzo al traffico di una serata d’autunno, i fanali che si accendevano sui lungosenna e sui porti, ci recammo, ebri, spensierati, a compiere il rito della dedicazione alla Musa”.
      E i ricordi sono tanti e si fanno anche nostalgia. Ma la nostalgia è nel tempo che passa e raccoglie sensazioni e in questo caso ancora di più c’è l’amore. L’amore che naviga tra gli scoglie e le dune di un tempo tutto raccolto nel segreto di una storia. Si ascolta: “Ah, potessi sedere  ancora una volta là con te come allora, su un sasso, i piedi lambiti dall’acqua e il tuo viso trasparente volto verso la distesa azzurra! E chiamarti per nome, il tuo dolce nome di allora, Oona, con la freschezza e l’amore vergine di quei giorni!”.
      Ritorna costantemente l’immenso amore vissuto e raccontato. Si legge nelle parole l’amore e il tempo. E un Carlo Mazzantini diverso di altri libri e mi piace perché antepone, come già dicevo, alla storia la letteratura. ci sono pagine intense nelle quali affiora un lirismo assordante. Importante, significativo, robusto.
      Così: “Come era bella la mia principessa, lì contro il cielo, su quello sperone di roccia, il viso inondato dai raggi, i capelli mossi dalla brezza, quei suoi occhi blu che brillavano della luce della sua fiducia nel mondo, della sua giovinezza”.
      La tensione del raccontare si trasforma in forma estetica. La bellezza di questo amore è nella bellezza degli occhi blu di Oona. Il vento, il passato che bisogna farlo passare, le città, i libri (perché “un libro è una cosa magica! E’ una lampada di Aladino, che suscita fantasmi e volti, crea sortilegi…”), le città e l’attesa mentre “Lei ballava infaticabile alle note di quei ritmi gitani, avvolgendo tutti della sua gioia di vivere, della sua freschezza”. I suoni mediterranei ondeggiano nel passo cadenzato di Oona e tra le parole che si fanno suono. Un lento ballabile che si confonde nella vita che diventa sogno. E’ questo l’amore della “principessa della fiaba”.
      Carlo Mazzantini non può rinunciare a questi viaggi nel sentimento. Deve catturarli e deve sempre più spogliarli dei residui “bellici” che la sua scrittura e la sua esistenza si porta dentro. Ma ciò che resta è il sogno, il sogno magico che è dentro le pieghe di questo amore che qui si racconta. E la freschezza sta in queste parole: “Il suo viso, su cui gli anni cominciano a lasciare i loro segni, ha conservato l’antica bellezza e gli occhi la chiara luminosità di allora”.
      Hanno onorato gli dei. Questo amore ha onorato gli dei. Straordinaria è la citazione che chiude il romanzo. La metafora di Bauci e Filemone. Un romanzo che resta nei cuori e fa scattare il misterioso vento di altura che imprigiona la vita e la vita nel tempo.
      La principessa della fiaba non è solo un sogno – realtà. E’ una metafora che si racconta e racconta un amore tra i tasselli dell’età. Un diario cesellato sulla corda di una dolce nostalgia che si fa memoria e si va oltre. La bellezza di Oona non è un segreto.
      E’ dentro lo specchio di un mare che colora di blu gli occhi e fa vibrare i giorni di un’armonia completa. La metafora si chiude nel cerchio spezzato ma ricomposto dalla gioia di un amore che sa di esistere. Il dolore, la tragedia, il sangue dei precedenti testi di Mazzantini qui sono uno sfondo nel tempo che è passato nonostante il tempo che insiste tra gli intagli dei giorni. Ma Ognuno ha tanta storia è un libro d’amore ed ha il pregio di lasciarsi leggere come un racconto di una storia d’amore. Un antico amore nell’immaginario delle attese.
      Sono quelle attese che sono rimaste nel cielo delle nuvole a tendere le mani e ascoltare il sorriso. È quella storia che continua a vivere tra i baluginii delle stelle a raccontare il destino di un uomo o l’avventura di un uomo nel coraggio di non dimenticare idee e lealtà. Da questi presupposti è nata la sua letteratura e il senso di una scrittura che ha inciso un solco in una temperie indefinibile e in un quadro letterario dentro il quale certi autori e certi libri possono, certamente, servire da apri pista per una nuova interpretazione del tessuto storico letterario stesso. Mazzantini dunque con i Balilla di Salò. Berto con la sua guerra in Africa. Entrambi in Camicia nera. Una letteratura oltre la storia e anche oltre  l’ideologia. Una grande letteratura. Una grande scrittura.





    

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