Mario Grossi
In Italia, compagni, c’era un solo socialista capace di guidare il popolo alla rivoluzione: Mussolini. Ebbene, voi lo avete perduto e non siete capaci di ricuperarlo!
Lenin
Predappio è una cittadina della Romagna a tutti nota per aver dato i natali a Benito Mussolini che vide la luce in località Dovia un piccolo agglomerato di case di contadini, mezzadri e artigiani.
E Mussolini per i romagnoli è sempre stato Muslèn nella storpiatura dialettale di quelle parti. Per molti fu da subito Muss-Len un termine che fondeva insieme i nomi di Mussolini e Lenin.
Bisogna partire da questa storpiatura dialettale se ci s’interessa al cosiddetto “Fascismo di sinistra”.
Non è cosa nuova che la storiografia degli ultimi decenni ha posto la sua attenzione su questa corrente di pensiero tutt’altro che marginale.
A partire da Renzo De Felice, nel corso degli anni, si sono susseguiti studi che hanno scandagliato questo filone del movimento e poi del Regime che, come un fiume carsico, ha solcato tutte le vicende del Ventennio, inabissandosi talvolta, per poi riemergere quasi dal nulla vitale più che mai, per poi scomparire, ma solo alla vista più superficiale, di nuovo.
Storici come Emilio Gentile, Giuseppe Parlato, Pietro Neglie, Paolo Buchignani hanno affrontato il tema.
In particolare, ricordo con affetto Fratelli in camicia nera di Pietro Neglie perché, con il piccolo circolo culturale Ezra Pound, in una manifestazione organizzata con l’aiuto di Giuseppe Parlato per ricordare Renzo De Felice, presentammo alcune tesi di laurea di suoi allievi. Tra questi appunto Pietro Neglie che aveva da poco pubblicato Fratelli in camicia nera che sviluppava in saggio la sua tesi di laurea.
Che qualcuno voglia cimentarsi nuovamente con questi temi, assai dibattuti, potrebbe dunque sembrare ridondante e scontato.
Per questo, è con qualche perplessità, tra il dubbio e la curiosità, che mi sono messo a leggere, in formato pdf, visto che sta per uscire in questi giorni, Compagno Duce di Ivan Buttignon per i tipi di Hobby&Work.
Con animo da lettore, che vince sempre le sue ritrosie iniziali, mi sono dunque immerso nella lettura, per me doppiamente difficile.
Da un lato perché non ho nessuna abitudine alla lettura digitale e la mancanza di contatto fisico con le pagine dell’oggetto libro è per me frustrante.
Dall’altro perché sapevo che, a meno di qualche rivelazione clamorosa, non avrei trovato notizie e fatti che già non conoscessi.
Il risultato è stato che la lettura delle 250 pagine del testo si è esaurita nel giro di tre giorni (di tre notti in realtà) e la rilettura nell’arco della settimana successiva.
Rilettura che mi ha confermato che le tre notti insonni sono state assai bene spese.
Un primo incontestabile pregio del libro è quello di riproporre una lettura del fascismo di sinistra che, se noto agli addetti ai lavori o alle persone di parte (come io sono), non è affatto di dominio pubblico.
Ma questo è un piccolo pregio veramente di fronte alla qualità che il lettore scopre, pagina dopo pagina, in un racconto che si snoda supportato da una scrittura limpida e d’immediato impatto.
Pregio questo non secondo al primo se pensiamo quanta fatica fanno taluni storici nel trasferire su carta la loro criptica sapienza, spesso intralciata da una prosa faticosa, farcita da tecnicismi e da una lingua gergale oscura che spesso mette in fuga i lettori meno pazienti.
Il saggio abbraccia un percorso temporale che va da prima della marcia su Roma fino ai nostri giorni. Rievoca e mette in fila gli uomini e le idee che costituiscono il nucleo assai eterogeneo di pensiero che sta alla base del “Fascismo di sinistra”.
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