Nel ricordare il contributo e il sacrificio di tutte le donne e gli uomini nella liberazione dell’Italia dal nazifascismo e nella costruzione della Repubblica democratica, desideriamo come Federazione Giovanile dei Comunisti Italiani di Ferrara ricordare brevemente cos’ha sostanzialmente rappresentato il fascismo in Italia, come ha avuto origine e qual è stato il contributo dei comunisti italiani al suo rovesciamento.
Partendo dai Quaderni che Gramsci scrisse proprio nelle carceri del regime, vediamo come il fascismo italiano, in quanto fenomeno restaurativo, viene presentato come una risposta necessaria per contenere l’urto di spostamenti rivoluzionari, quali quelli conseguenti alla rivoluzione sovietica del 1917, e per mantenere al potere le classi già egemoni. Il sistema fascista rappresenta, infatti, la mediazione tra la borghesia produttiva, gli interessi speculativi del capitale finanziario e la tutela delle rendite “feudali”. In sintesi, la struttura dello Stato fascista rimane plutocratica, essenzialmente intrecciata col grande capitale finanziario e col vecchio potere tradizionale: il dominio capitalista non solo non è intaccato ma anzi si consolida.
Come spiega Togliatti, il fascismo nasce innanzitutto come “attacco violento armato contro le organizzazioni di classe e i diritti politici dei lavoratori”. Nel 1919 esso inizia a svilupparsi nelle città, tra alcuni elementi della piccola borghesia. Al contrario, nelle campagne (soprattutto in Emilia) inizia a svilupparsi all’incirca dal 1920 sotto forma di squadrismo armato come reazione alle lotte contadine e contro il movimento socialista. Questo avviene soprattutto grazie al sostegno economico degli agrari, dei grandi proprietari terrieri e degli industriali intimoriti dall’avanzata del movimento operaio e contadino. Il fascismo fin da subito si presenta dunque come movimento reazionario al servizio dei poteri economici costituiti.
Il fascismo, nato come arma della borghesia per arginare il comunismo, diviene arma di distruzione della democrazia stessa. Le leggi eccezionali del ’26 dimostrano come non fu solo la classe operaia a essere colpita, ma la maggior parte della popolazione e dei movimenti politici. Negli anni, dunque, l’unità delle forze antifasciste diventa sempre più urgente. Nello specifico, i comunisti italiani nel ’24 propongono un patto d’azione ai socialisti riformisti e ai socialisti massimalisti, il quale però purtroppo non va a buon fine. L’unità tra comunisti e socialisti si realizza invece nel ‘34 e nel ‘37. Dal ‘41 è il PCI, insieme al Partito d’Azione, a creare i primi comitati di liberazione nazionale. Dall’1 maggio ‘42 iniziano gli scioperi, le proteste, le interruzioni di lavoro: i comunisti sono sempre in prima linea in queste lotte. Come dieci, vent’anni prima furono gli ultimi a cedere alla repressione di stato, ora sono i primi a riorganizzare la lotta di massa contro ciò che rimane del regime.
I dati parlano chiaro: tra le brigate partigiane, le Garibaldi sono 75 (contro 98 di GeL, 255 delle brigate autonome, e 70 delle Matteotti), i garibaldini rappresentano più del 60% dei partigiani totali, i loro caduti e feriti più la metà del totale degli stessi. 4471 sono invece i condannati dal Tribunale speciale fascista, per un totale di 28115 anni di carcere, dei quali ben 23000 scontati da comunisti. Senza dimenticare, infine, l’impressionante prezzo pagato dai sovietici alla lotta contro il nazifascismo: 20 milioni di morti (dei quali 16000 ad Auschwitz) e 40 milioni tra feriti e mutilati.
Federazione Giovanile Comunisti Italiani Ferrara
http://www.estense.com/essenza-del-fascismo-e-contributo-dei-comunisti-alla-resistenza-0139927.html