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*da  Estense com  articolo completo

La cosa più irritante del caso Ruby

La cosa più irritante è che il caso in oggetto, che vede coinvolto il Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, porti un nome femminile.

Lo chiamano il caso Ruby, ma non lo è.

Appena allertati subito tutti i media e i massmediologi nostrani ne hanno approfittato per affibbiare all’eventuale disonore  del potere maschile, un nome di donna, come si fa per gli uragani.

Il peggio è che tutta la crisi politica attuale è popolata di volti e corpi femminili, piattaforma di una guerra di potere che invece è tutta maschile.

Certo è vero ci troviamo di fronte ad espedienti della proverbiale “furbizia femminile”, ma noi siamo propense a definirla disperazione inconsapevole, così come siamo molto attente a credere nelle libere scelte delle donne e ancor di più parlando di autodeterminazione, autonomia e così via, avvertite, consapevoli e informate come siamo di quanto lontana sia la donna oggi da ogni libertà effettiva in un contesto così ostinatamente avverso alla parità reale uomo-donna.

Mancando la parità, tanto quanto le pari opportunità, la autosufficienza economica, la dignità base facente capo ai diritti universali dell’umanità, sarà difficile attribuire responsabilità a coloro che, credendosi astute e in gamba, si prestano a far da prede, convinte d’essere predatrici.

Questo caso dovrà avere un nome maschile, poiché il potere è maschile, indiscutibilmente.

Questo è il caso del disonore maschile.

Questo è il caso che, se avesse il nome maschile di riferimento, porterebbe il marchio d’infamia sul monopolio del potere economico e politico maschile in Italia.

Né possiamo prendere in considerazione alcuna superficialità di azione e pensiero a nostro carico, avendo avviato e concluso fin dal 2007 una campagna per il riequilibrio della rappresentanza politica, e successivamente una iniziativa anch’essa nazionale in tutta Italia, lunga un anno, sulla violenza contro le donne, e ancora una serrata critica sulla rappresentazione e immagine femminile lesiva della dignità delle donne, denunciando i casi clamorosi, e la pericolosità della ricaduta sociale, come peraltro già evidenziato in apposita risoluzione europea del 2008.

Siamo altresì consapevoli e sempre denunciamo la stretta connessione che esiste fra disparità di presenza nei luoghi decisionali e di rappresentanza, cioè laddove si decide del destino di un popolo, donne e uomini in numero paritetico, e la scellerata ricaduta di violenza domestica troppo diffusa in Italia, i femminicidi in numero crescente, lo sfruttamento delle minorenni , e tutte le pratiche che attengono a un potere maschile armato e spietato contro le donne, non ultima questa nuova forma di violenza che non esitiamo a definire “violenza mediatica” che ci aggredisce quotidianamente dagli schermi tv .

Vorranno gli uomini che si sentono onestamente solidali con le compagne di vita e con le colleghe di lavoro, e che si sentono padri tanto quanto noi siamo madri, vorranno dichiarare a tutto campo che non sono e non vogliono essere complici di questi delitti di genere?

Se lo vorranno ci troveranno lì dove siamo sempre, a fare argine e dare prova del nostro coraggio e della nostra tenacia, nelle voci delle nostre organizzazioni, nelle azioni istituzionali, negli appelli alla corretta ragionevolezza, mai silenti ma silenziate sì, e tuttavia sempre presenti e impegnate.

Ci troveranno insieme nel sollecitare un giusto atto di dimissioni da parte dell’attuale Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, perché il rispetto istituzionale della dignità delle donne è la base strutturale di qualsiasi sana democrazia, e il fondamento di qualsiasi prospettiva futura per la nostra società tutta....