Ferrara: 11 maggio 2011 Proiezione anteprima di Totentanz, nuovo mediometraggio di Eugenio Squarcia, tra fantascienza tecnologica e visionarietà alla Calvino. E.Squarcia, tra i rari talenti - pur assai giovane- del nuovo cinema sperimentale italiano.
Magazzini Generali
via Darsena, 57
Ferrara, Italy
via Darsena, 57
Ferrara, Italy
* Mercoledì 11 maggio 2011 | ore 21.30
ENG | Trailer of the 2011 independent film "TOTENTANZ", second installment (after "AMYGDALA", 2007) based on the book "The Invisible Cities" by Italo Calvino. Written, directed and produced by Eugenio Squarcia. Starring ALEX GEZZI, ALESSANDRA FABBRI, ROBERTO GUERRA, ELENA PAVONI. Original music by ESMA. Storyboards and sketches by PIERO TRABANELLI. Coreography by RUTH ZANELLA. Set photography by MATTEO FAROLFI. Produced by ESMA CREATIVE STUDIO. Metropolitan Dreamer Company.
Coming soon on http://www.studioesma.com
http://www.youtube.com/watch?v=Bveb48qVmbk TRAILER
D- Il tuo nuovo film, da indiscrezioni, un lavoro molto impegnativo e complesso, un poco alla Kubrick, un Cristallo bombardato per anni, il prezzo della perfezione?
Imperfezione, semmai. Per me di gran lunga più interessante.
Le strade in salita, se viste con lungimiranza, ripagano sempre lo sforzo di percorrerle. Lo Zen insegna molto, a tal proposito. Certo è che questo secondo capitolo della mia particolare trasposizione cinematografica integrale de "Le Città Invisibili" di Italo Calvino non è stato un parto facile. Una strada particolarmente in salita, un'avventura durata quattro anni, compagni di viaggio meravigliosi e unici, sessioni di ripresa in totale anarchia, un lungo lavoro di grafica e montaggio in solitaria.
Dopo l'immenso impegno dedicato al precedente capitolo, "AMYGDALA" (2007), sintesi della sezione "le città continue" del testo di Calvino, qui ci troviamo nel capitolo dedicato a "le città e i morti". Da cui il titolo, TOTENTANZ, ovvero "danza della morte", in lingua tedesca, già nome di una memorabile danza macabra per pianoforte e orchestra, composta da Franz Liszt nella prima metà del XIX secolo.
Le ispirazioni sono state tante, infinite, a partire dai testi narrati dai personaggi del film: il "Manifesto Mistico" di Salvadro Dalì, "Brave New World" (il mondo nuovo) di Aldous Huxley, "The Waste Land" (la terra desolata) di Thomas Stearns Eliot, "A Midsummer Night's Dream" (sogno di una notte di mezz'estate) di William Shakespeare e tanti altri frammenti sparsi qua e la. Per non parlare delle ispirazioni cinematografiche, primo tra tutti il maestro Terry Gilliam, ma anche Marc Caro e Jean-Pierre Jeunet, solo per citarne alcuni; creatori di immagini bucoliche e ridondanti, a cui ho cercato di ispirarmi, usando in larga parte l'ottica grandangolare, sovraffollando gli spazi di soprammobili, oggetti, elementi misteriosi e metafisici, luci e ombre, nel tentativo di descrivere un mondo fiabesco e polveroso, sconclusionato, denso di simboli e rimandi letterari, ma allo stesso tempo graffiante e graffiato, crudo, malinconico, disilluso. Immaginazione al potere, questo il mio motto per la realizzazione di TOTENTANZ. Proprio con questa impostazione ho cominciato a lavorare in pre-produzione sul concept del film assieme ad un grande artista, Piero Trabanelli, che ha realizzato una quantità di bellissimi disegni preparatori e storyboards, studi grafici che sono serviti da punto di partenza per la costruzione dei personaggi e delle ambientazioni. Un team ristretto di collaboratori. Pochi, ma grandi. Voglio citare Ruth Zanella, che ha creato la coreografia per la "danza della vita", sulle note di un non facile frammento de "L'uccello di fuoco" di Igor Stravinskij. E ovviamente il cast: Roberto Guerra, interprete di un ardito rivoluzionario tecnofobico, che, colto da furore mistico, inneggia alla vita dichiarando a gran voce "voi siete morti!"; Alex Gezzi, nei panni di un soprabito noir e underground in cerca del 'suono generatore' (o etere lapislazzulino) sui tasti di una macchina per scrivere senza carta; Alessandra Fabbri, meravigliosa donna meccanica, bambola o simulacro, di fattezze semiumane, alla disperata ricerca della vita, quella vera, prigioniera di un corpo che non ha sangue, né carne. E, per finire, Elena Pavoni, grande danzatrice, interprete della "vita" e della "morte", nelle loro rispettive apparizioni.
Quattro personaggi, un appartamento senza finestre. Essi condividono lo stesso spazio vitale, senza sapere l'uno dell'altro, senza mai incontrarsi. L'impianto, qui, è dichiaratamente teatrale. E il discorso viaggia sul metafisico andante. Poi la città, Orissa, oscura e lontana. Città dei morti, sotterranea fossa comune, dove alcuni individui speciali (i nostri eroi) scoprono la possibilità di tornare alla vita, abbracciando la controversa idea di una reincarnazione spirituale, termine ultimo di un percorso di iniziazione che culmina nel sonno ri-generatore.
Orissa. Città notturna, immersa nell'intrico di tante religioni, avvolta nel canto dei muezzin, in netto contrasto con le poche immagini di una metropoli veloce e automatizzata, inconsapevolmente piegata sotto una dittatura artistica, governata da un "sovrintendente" illuminato, padre di un partito di chiare origini avanguardiste (nello specifico dadaiste e futuriste) che risponde al nome di KOON.
D- La tua fantascienza sembra orwelliana, ma forse rivela una sorta di geologia appunto d'altrove, molte sinapsi interfacciate, quasi nano-olografie esatto?
Molte, per l'appunto, sono le sinapsi interfacciate, molti i riferimenti, forse troppi, ma mai di obbligatoria lettura. Gli elementi, le citazioni, i frammenti sono tutti li, mescolati e amalgamati in un impasto finale zuccherato e aspro, aromatizzato di cannella e ibisco. Chiunque può farne la lettura che vuole, o semplicemente goderne l'emozione. Il rimando a George Orwell, al suo "1984", è sempre presente, forse in tutti i miei lavori, oramai innestatosi nel mio patrimonio genetico, probabilmente fin dalla mia stessa nascita, che, per l'appunto, è avvenuta nell'anno 1984. Un destino. E una necessità. Poiché le tematiche di Mr Orwell sono così attuali e così poco conosciute da generare in me un continuo desiderio di rivisitazione, ora in chiave sociale (AMYGDALA), ora in chiave metafisica (TOTENTANZ). Ma poi si va oltre e c'è ben altro. Una geologia d'altrove. Io la vedo così: l'arte narrativa dei fratelli Grimm innestata sull'impianto postmoderno della fantascienza di Philip K. Dick, o Ray Bradbury, o James Ballard, con il quale, peraltro, condivido l'interesse per quel magnifico e inquietante esperimento sociale chiamato "condominio".
D- Avanguardia pura o imminente una svolta più massmediatica, nel circuito del cinema "commerciale"?
No, lascio volentieri il cinema commerciale ai commercianti di cinema. Io mi tengo volentieri la nicchia di cui faccio parte, perché è li che io riesco a raccontare la storia che sento dentro. E poi, a dirla tutta, un progetto di questo tipo è impensabile nel circuito più ampio del cinema mainstream, soprattutto in Italia, dove il cinema è divenuto strumento di guadagno di imprenditori e manager senza cultura o prodotto professionale (e non) di giovani accademici che danno fondo alle loro capacità tecniche, senza per questo riuscire a raccontare o a trasmettere un messaggio. L'arte, senza contenuto, è solo forma. E la forma si squaglia al vento, non appena la temperatura sale e i neuroni entrano in fase di ebollizione. Certo, non raccontare alcunché è anch'essa una forma di racconto, del tutto figlia del nostro tempo. Non raccontare alcunché, però, richiede una certa arte, molto più sottile di quella che occorre per raccontare. Bisogna essere bravi. E molto. Pochi ne hanno le capacità e io non sono tra quelli. A me piace raccontare, essere, immaginare. C'è bisogno di contenuti in un mondo di forme vuote, per riesumare l'arte uccisa (spesso e volentieri) dagli "artisti". Soprattutto, per poter dare bisogna saper ricevere. Bisogna saper assorbire ogni possibile visione del mondo per poter poi trasmettere agli altri la nostra personale chiave di lettura del mondo stesso. Bisogna leggere, suonare, ascoltare, disegnare, imparare, sognare, approfondire, smisuratamente, in ogni istante. Bisogna, in fondo, vivere. Solo l'esperienza produce la capacità di inventare un nuovo personale modello per noi stessi, valido solo per noi e non per altri. Allora, e solo allora, siamo riusciti a fuggire dalle forme imposte, dai modelli preconfezionati, dall'illusione di avere una personalità. Da qui, il desiderio di raccontare. E il cinema, per questo, è un grande strumento.
Con queste premesse la nave salpa verso il terzo (e non ultimo) capitolo dedicato ai mondi descritti da Italo Calvino, questa volta indagando la sezione dedicata a "le città e gli occhi". La sceneggiatura è già abbozzata, le vele sono issate. Ora si aspetta il vento in poppa, o il soffio della Musa.
D- Tecnologia o meta-fisica (con la lineetta) il cuore pacemaker della tua cifra artistica?
Meta-fisica. Con lineetta o senza. Assolutamente. La tecnologia è solo un mezzo, utile per veicolare una stupefacente magia.
Roby Guerra