LA FINE DELLA GUERRA FREDDA E LA LEZIONE CHE CI HA LASCIATO



Che America e Russia siano ancora i due pilastri della politica mondiale, come già aveva intuito Alexis de Tocqueville in tempi non sospetti, è certamente un paradigma ancora del tutto attuale, nonostante che le due leadership appaiono in un rapporto di forza ben diverso da quello che fu all'epoca della fine della guerra fredda. Ovvero: se Donald Trum riuscirà, se pur a stento, a resistere alla tempesta che lo sta minacciando proprio a causa dell'essere stato vittima dell'astuta regia dell'altra superpotenza, l'America avrà perso decisamente credibilità nel confronto in atto. Ma se, come pare, assisteremo, invece, alla defenestrazione del nuovo inquilino della Casa Bianca (e il gioco delle parti riprenderà le consuete abitudini), quanto avvenne tra America de Russia alla fine della Guerra Fredda potrebbe davvero ripetersi. Ma non è tanto quello che potrebbe avvenire in un prossimo futuro che ci interessa, ma la ricostruzione di un periodo storico che ha segnato il crollo dell'ordine di Yalta. I problemi di sopravvivenza dell'URSS, che un celebre intellettuale russo intuì lucidamente nel suo "Sopravviverà l'Unione Sovietica al 1984?", si aggravarono dopo l'introduzione dell'embargo decretato dal presidente americano Carter, all'indomani dell'invasione dell'AFGHANISTAN. Quel provvedimento causò danni quasi irreparabili all'edificio del socialismo reale, peraltro già traballante. Alle distillerie di vodka fu ordinato di tagliare la produzione per risparmiare gli stock di cereali, mentre le code davanti ai negozi e ai centri commerciali diventavano più lunghe. Evento quest'ultimo che fu il segnale decisivo di quello che una studiosa francese definì la "caduta finale" (e che in particolare allertò i servizi intelligence occidentali). Del resto, nulla di più deprimente era il fatto che più di due terzi delle fattorie collettive fossero in perdita. Le cose peggiorarono con la caduta dei prezzi mondiali di oro e diamanti. Gorbaciov chiese di varare riforme radicali, ma il corso degli avvenimenti confermava una tendenza tradizionale nella storia russa: un conflitto esterno porta inevitabilmente, a breve o alla lunga, al cambio di un regime. Così fu per quello zarista, dopo la guerra russo giapponese del 1904 (con la rivoluzione del 1905) e la prima guerra mondiale, con la conseguente scoppio della rivoluzione del febbraio e poi dell'ottobre del 1917. A tutti apparve chiaro che il bilancio nascondesse sistematicamente la realtà. Inoltre il 40% della produzione industriale era militare ed ignorava beni e servizi alla popolazione. Fu l'inizio della fine della Guerra Fredda, alla quale sarebbe seguito il venir meno della cortina di ferro, del Patto di Varsavia, dell'URSS, del comunismo, del mondo bipolare e di un ordine globale imperfetto, ma rassicurante. Molti saggi sono stati scritti per capire ciò che veramente successe negli anni tra il 1985 e il 1991, ma si ricorda che lo stesso Gorbaciov, parlando ai suoi ministri, nel 1986, ammise che l'economia sovietica "dipendeva eccessivamente dalle esportazioni di gas e di petrolio e che erano cronicamente deboli i progressi tecnologici e la produttività. Non sembra che la Russia del XXI secolo abbia fatto molti passi in avanti rispetto a quel passato, anche se ha ritrovato una leadership che può riportare il potere di Mosca a condizionare gli equilibri mondiali. Ciò che dovrebbe, però, far riflettere il Cremlino è che l'Occidente, nonostante una crisi inedita che lo segna da tempo, conserva ancora intatte le sue grandi capacità di risposta alle sfide globali.
Casalino Pierluigi