"Un sindacato nazionale nuovo ed antico"‏

 Progetto Nazionale/Ufficio Stampa


TUTTO DA CAPO
L'unione del "Lavoro" italiano

di Luigi Recupero

La sterilità del movimento sindacale italiano
Il sindacato, che per tanti decenni è stato una delle forze motrici dello sviluppo dei popoli e dell'economia ed ha contribuito a dare forma alle istituzioni, ormai da troppo tempo è diventato sterile ed in alcuni casi addirittura dannoso per l'economia e per la Nazione (soprattutto in riferimento all'azione di alcune organizzazioni).
È ormai di tutta evidenza che il nostro modello economico, di relazioni industriali ed istituzionali non regge più nella nuova situazione venutasi a creare con la crisi economica, un modello che già prima dell'attuale fase di difficoltà non consentiva all'Italia di crescere ma le permetteva solo di galleggiare e che in conseguenza della congiuntura economica sfavorevole non è stato in grado di evitare che l'Italia si impoverisse...ed oggi non è in grado di aiutarla a ripartire.
A fronte di tutto ciò il sindacalismo italiano cosa fà? Parla, discute, sbraita a volte manifesta ... ma non riesce ad incidere in alcun modo sulla realtà. Il movimento sindacale risulta essere sopraffatto dagli eventi ritrovandosi a svolgere solo il ruolo di "notaio" nel certificare la morte delle imprese italiane; si è arrabattato cercando di mettere pezze quà e là ed ha continuamente chiesto aiuti allo Stato i quali nella stragrande maggioranza dei casi hanno artificiosamente tenuto in vita aziende già decotte, senza contribuire alla creazione di alcun posto di lavoro.
Ovviamente questo stato di inefficacia del sindacato è stato accompagnato da altrettanta inefficacia anche nell'azione di tutti gli altri interlocutori rappresentativi (partiti, associazioni datoriali, etc.); in sostanza ogni soggetto ha cercato solo di svolgere diligentemente il proprio compito (ed in alcuni casi nemmeno questo), riproponendo schemi del passato ormai superati, senza riuscire ad incarnare lo spirito di cambiamento radicale ormai alla base del convincimento degli italiani e che rappresenta una necessità impellente per il Paese.
La sterilità del sindacato è quindi lo specchio di una società ormai ingessata, in cui tutti i corpi sociali tradizionali non sono più in grado di incidere sulla realtà concreta del Paese e quindi, nella loro forma attuale, non hanno la possibilità di essere strumento utile per avviare e gestire quel processo di ricostruzione completa di cui l'Italia ha una vitale necessità.
Il sindacato ha sempre avuto una missione importante nel corso della storia, una missione che si è evoluta nel tempo cercando di interpretare le nuove esigenze che le persone ed il mondo del lavoro hanno manifestato: il sindacato nacque per ottenere un miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori, con il marxismo assunse anche il ruolo di avanguardia per l'instaurazione della dittatura del proletariato, in epoca fascista fù la base sulla quale si sviluppò l'esperienza corporativa e nel dopoguerra divenne uno degli attori fondamentali della ricostruzione del Paese e per l'edificazione dello stato sociale. Ed oggi? Qual'è la grande mission paragonabile a quelle storiche appena descritte? Dal mio punto di vista nessuna. Allo stato attuale il movimento sindacale non è più in grado di influire sulla storia e sulla realtà concreta del Paese e dei cittadini, oggi non ha una grande mission ma svolge, in modo tra l'altro "zoppicante", una funzione burocratico-amministrativa di quart'ordine: non è niente più che un soggetto senza arte n'è parte, senza sentimenti, senza anima, senza un progetto che sia riconoscibile, plausibile ed auto-evidente agli occhi dei cittadini. Come dicevo, oggi il sindacato è un notaio o meglio un "ufficiale d'anagrafe" che attesta la morte delle aziende italiane, gestisce le crisi, eroga servizi; si è ridotto così perché non ha saputo o voluto leggere per tempo i fenomeni che si stavano sviluppando e le loro eventuali conseguenze ed oggi, a sfacelo ormai irrimediabilmente prodottosi, si ritrova ad essere incapace di cambiare per diventare elemento fondante della ricostruzione, si guarda attorno spaurito, a volte alza la voce per far sentire a se stesso ed agli altri che esiste ma non riesce più ad incidere sul mondo che lo circonda.
Un sindacato così abulico sarebbe comunque tollerabile se inserito in un sistema sano, comunque in grado di agire, evolversi e svilupparsi; in tale contesto le organizzazioni, seppure prive di forza, sarebbero quantomeno in grado di elaborare proposte che altri avrebbero poi l'energia ed il compito di valutare ed eventualmente attuare. Purtroppo il nostro sistema non è sano ma è irrimediabilmente "marcio", assolutamente privo di una guida che non solo sappia pensare ma anche agire con coraggio: il nostro Paese non può quindi più permettersi un sindacato sterile ma ha bisogno di un sindacato fecondo di idee e di azione, quindi abbastanza forte da poter incidere sulla realtà.

Un sindacato per la Ricostruzione Nazionale
Nonostante la situazione sopra descritta sia sconsolante, io ritengo che il sindacato, in particolare una organizzazione come la Unione Generale del Lavoro, sia l'unico soggetto in grado di trovare ancora la forza e di avere l'estrazione culturale ed ideale idonea a produrre le trasformazioni, prima al proprio interno e poi all'esterno, fondamentali per avviare una nuova fase, quella  che chiamerei di Ricostruzione Nazionale.
Considerato quanto appena affermato la tesi che verrà sviluppata in queste pagine è la seguente:
l'Italia non può più essere riformata ma va ricostruita dalle fondamenta; per fare ciòè necessario che il mondo del lavoro italiano (quindi i produttori di ricchezza) si unisca per riprendersi in mano il proprio Paese e modificare le attuali regole economiche ed istituzionali. Il sindacato può e deve essere il motore di questo nuovo percorso.
Che l'Italia sia ormai un Paese irriformabile ma vada ricostruito dalle fondamenta credo sia chiaro a chiunque: sono due decenni che agli italiani vengono chiesti sacrifici, a fronte di tali sacrifici l'Italia oggi si ritrova ad esser povera ed in ginocchio, senza crescita economica, con un sistema industriale in declino, investimenti interni ed esteri ai minimi storici, carenza di infrastrutture scolastiche, viabilistiche, sanitarie, assenza di un serio programma di ricerca ed innovazione, emigrazione all'estero delle migliori intelligenze nostrane... ed il debito pubblico è quasi raddoppiato rispetto alla fine della prima Repubblica. Insomma non vi sono i presupposti perchè lo Stato possa essere seriamente riformato, "il cancro ha fatto ormai troppe metastasi", l'unica speranza che abbiamo è rischiare il tutto per tutto e ricominciare da capo, da zero, abbattere le rovine di un sistema ormai già morto per poterne costruire così un altro.

Imprenditori e lavoratori: uniti si vince
Dunque la necessità di ricostruire il Paese e la sua economia partendo dal mondo del lavoro; ma come ottenere tali risultati ed attraverso quale strumento?
Il sindacato deve proporre un'azione di ricostruzione nazionale ma non può farlo da solo, rappresentando solo una componente del mondo del lavoro; il sindacato deve proporre un'alleanza a coloro che rappresentano l'altra metà della mela: gli imprenditori.
Il sindacato, in questo momento di particolare necessità del Paese, deve riuscire a svincolarsi dallo schema marxista ormai vuoto che prevede sempre e comunque un conflitto tra lavoratori ed imprenditori a causa di interessi opposti ed inconciliabili, il sindacato deve realizzare un nuovo equilibrio il quale abbia lo scopo di unire interessi che nella realtà non sono più divisi ma si sono trasformati in un interesse unico, il sindacato deve darsi una nuova mission: l'unione dei produttori di ricchezza, lavoratori ed imprenditori, per riprendersi in mano un Paese ormai distrutto, che scoraggia ed opprime chi lavora, e ricostruirlo una volta per tutte veramente fondato sul lavoro. Imprenditori e lavoratori stanno subendo le medesime angherie da questo Stato e sopportando le stesse sofferenze, si suicidano entrambe quando lo Stato li affama, entrambe cercano di competere con ogni mezzo sul mercato ed entrambe si trovano difronte ad una politica incapace di agire e produrre cambiamenti e ad uno Stato ormai nemico. Chi, se non coloro che stanno pagando di tasca propria l'attuale disastro economico, ha la possibilità ed il diritto di ribellarsi e di abbattere quel sistema che li stà stritolando per costruirne finalmente un altro? Chi, se non coloro sui quali si regge la produzione del benessere del Paese, può rendersi attore protagonista di una nuova era?
Il mondo del lavoro italiano, imprenditori e lavoratori, se smettesse di dilaniarsi al proprio interno con dispute sterili, inutili e fuorvianti e prendesse coscienza, oggi più che mai, di esser un corpo sociale unico, potrebbe porre in essere un'azione inarrestabile perchè avrebbe in mano tutti gli elementi necessari per abbattere questo sistema malato e ricostruirne un altro con nuove regole.
Se veramente vogliamo un'Italia fondata sul Lavoro è necessario che quest'ultimo si riprenda in mano il Paese per ricostruirlo a propria immagine e somiglianza, un Lavoro che smetta di dividere soggetti, lavoratori ed imprenditori, che oggi non possono fare altro che restare uniti perchè hanno lo stesso interesse, sopravvivere, lo stesso nemico, questo Stato, e la stessa gran voglia di cacciare chi li ha ridotti in questa situazione di bisogno per poter ricominciare a sperare, ad agire ed a ricostruirsi un futuro con le proprie mani.
Se vogliamo tirare fuori l'economia Italia dalle secche in cui si è arenata, imprenditori e lavoratori devono serrare i ranghi, evitare i costi del conflitto, recuperare al più presto la capacità di mettere credibilmente in comune tutte le informazioni di cui dispongono ed elaborare una visione condivisa in modo da potersi accordare su progetti coraggiosi ad ampio raggio: progetti fondati su una ripartizione concordata dei costi e dei benefici, oltre che su una solida affidabilità reciproca delle parti.
L'unione dei produttori di ricchezza a qualcuno potrà sembrare un'eresia ma già nella stragrande maggioranza delle micro, piccole e medie imprese italiane, che costituiscono la vera spina dorsale del tessuto produttivo del nostro Paese, essa rappresenta un fatto compiuto perchè lavoratori ed imprenditori lavorano fianco a fianco, seppure in ruoli diversi, e sono ben consci di "essere tutti sulla stessa barca".
In definitiva si propone che il sindacato si faccia portatore di uno stravolgimento nei rapporti tra capitale e lavoro, quindi tra chi produce ricchezza, per arrivare alla formazione di strutture nuove nella società civile per poi con queste produrre le trasformazioni politico-istituzionali di cui il Paese ha bisogno.
L'unione tra imprenditori e lavoratori dovrebbe avere una propria operatività in grado di superare l'attuale modello dei rapporti industriali rendendo immediatamente evidenti i benefici dell'unità confrontati con i disastri del contrasto perpetuo. In tale contesto particolare importanza assumerebbe l'abbandono degli attuali contratti collettivi, in gran parte oggi inidonei a regolare i rapporti in un momento di crisi come quello attuale, per approdare a nuove regolamentazioni in grado di produrre immediatamente benefici per tutti, in particolare salvaguardando l'esistenza delle aziende e dei posti di lavoro (oggi per nulla scontati).
Essendo ormai la UGL una delle confederazioni ritenute maggiormente rappresentative sarebbe necessario che l'organizzazione si rendesse disponibile alla stipula di nuovi CCNL innovativi senza la presenza di CGIL, CISL e UIL, a fronte di tale disponibilità sarebbe possibile radunare ed unire tutte quelle piccole e medie associazioni oggi esistenti o in via di formazione le quali non si riconoscono più in quelle tradizionali. La UGL e tale nuova associazione datoriale dovrebbero sottoscrivere una carta dei valori enunciando gli innovativi principi che le animano i quali potrebbero essere così riassunti:
  • i lavoratori e gli imprenditori hanno maggiori fattori che li uniscono rispetto a quelli che potrebbero dividerli, in base a ciò rifiutano l'idea di lotta di classe ed accettano il principio della collaborazione al fine di realizzare una concreta e stabile unione del mondo del lavoro quale strumento fondamentale per la ricostruzione economica, sociale ed istituzionale del Paese;
  • la nascita, lo sviluppo e la gestione di un'azienda rappresentano una sfida comune tra lavoratori ed imprenditori sulla base della quale impostare modalità innovative di relazioni industriali e contrattuali basati sulla condivisione da parte di entrambe gli attori del rischio di impresa, dei benefici economici relativi ai risultati conseguiti e delle responsabilità nella gestione aziendale;
  • le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori non devono avere solo un ruolo rivendicativo di diritti ma assumere anche una funzione che li trasformi in fattori di competitività per le aziende italiane nella sfida dell'economia mondiale al fine di porre in essere un'azione volta a creare nuovi posti di lavoro e non solo a difendere quelli attuali;
  • le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori considerano lo sviluppo dell'economia nazionale come una delle finalità della propria azione;
  • sulla base del principio dell'azienda quale sfida comune le organizzazioni  dei lavoratori e degli  imprenditori si impegnano a mettere a disposizione della controparte tutte le informazioni sull'azienda di cui dispongo al fine di garantire una effettiva partecipazione alla gestione ed ai risultati economici;
  • i lavoratori fanno proprio l'obiettivo di porre l'azienda nelle condizioni di erogare un prodotto/servizio competitivo per qualità e prezzo.

    Nel rispetto dei principi espressi nella carta dei valori le parti dovrebbero cominciare a stipulare contratti di carattere nazionale e di secondo livello (regionali, provinciali e aziendali) che siano fortemente innovativi e basati sui seguenti punti di riferimento:
  • stipula di contratti nazionali minimali nell'ottica di prevedere esclusivamente le retribuzioni minime ed i fattori essenziali di organizzazione del lavoro;
  • prevedere ampi margini di manovra per i contratti di secondo livello attraverso i quali impostare meccanismi di aumento delle retribuzioni sulla base della produttività aziendale, di gruppo e individuale, determinare inquadramenti professionali e disciplina dell'orario di lavoro innovativi;
  • garantire nei fatti la stabilità dell'occupazione coniugata ad una flessibilità nell'organizzazione del lavoro, regolando le modalità con le quali una maggiore flessibilità corrisponda ad una maggiore retribuzione;
  • partecipazione paritetica nella gestione delle nuove assunzioni.
    Contemporaneamente alla realizzazione dell'impalcatura contrattuale ivi descritta per sommi capi, le organizzazioni sindacali e datoriali dovrebbero creare una nuova associazione tra le stesse, quindi un'associazione unitaria, la quale abbia sia compiti pratici nel mondo del lavoro che di carattere latamente "politico" per propagandare i propri innovativi principi ispiratori relativi alla "unione del mondo del lavoro" in contrapposizione al sistema del contrasto perpetuo oggi in auge.
    Sempre in ambito politico questa nuova associazione dovrebbe avere il compito di rivendicare difronte alla politica, con tutta la forza che il proprio "spirito unitario" le conferirebbe, le modifiche al sistema istituzionale e d economico necessarie al rilancio dell'economia. Tale associazione, nello svolgimento della propria funzione politico-rivendicativa, potrebbe inoltre portare avanti anche alcune battaglie politiche specifiche come l'attuazione dell'art. 46 della Costituzione, proponendo una modalità di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende simile a quella realizzata nei fatti dal  nuovo sistema contrattuale ivi proposto.
    Dal punto di vista pratico a questa nuova associazione unitaria dovrebbe essere demandata tutta la gestione delle controversie eventualmente sorgenti tra i soci a tutti i livelli oltre che la gestione dei servizi nei confronti dei lavoratori e delle imprese.
    Al fine del funzionamento di questo sistema, in conseguenza dell'attuale sistema legislativo e di fatto vigente in Italia in tema di contratti collettivi e relazioni industriali, sarebbe assolutamente necessario che tutte le aziende che volessero utilizzare il sistema ivi descritto fossero soci dell'associazione datoriale stipulante.
    Sono ben conscio che il nostro attuale sistema istituzionale non preveda forme giuridiche come quella da me proposta nel campo delle relazioni industriali, ma in base alla libertà di associazione riconosciuta dall'ordinamento non potrebbe nemmeno impedirne la nascita ed il funzionamento; tale situazione, abbinata alla mancata valenza erga omnes dei contratti collettivi stipulati da sindacati ed associazioni imprenditoriali ed in particolare alla non obbligatorietà dell'utilizzo di questi contratti per l'azienda non associata ad una delle parti stipulanti, permetterebbe di avere uno spazio di azione il quale, per quanto da conquistarsi con il "coltello tra i denti", consentirebbe di creare un soggetto diverso dagli altri e considerato utile da imprenditori e lavoratori (cosa che spesso non avviene più nei confronti delle associazioni tradizionali) in quanto in grado di interpretare le reali necessità del mondo del lavoro.
    All'interno del quadro afferente alla gestione dei contratti sarebbe poi assolutamente necessario che questa unione tra lavoratori ed imprenditori fosse in grado di realizzare concretamente la partecipazione dei lavoratori alla gestione ed ai risultati economici dell'azienda, rendendo un questo modo "storica" la propria azione, senza precedenti gli obiettivi raggiunti e salda la propria struttura.
    Una volta costruita, avviata, cementata e radicata nei fatti questa unione del mondo del lavoro italiano, la conquista e la ricostruzione delle istituzioni sarebbe la logica e spontanea conseguenza.

    Pubblico impiego: dignità non elemosina
    In un progetto di "Ricostruzione Nazionale" che si realizzi attraverso l'unione dei produttori di ricchezza, quale ruolo dovrà essere giocato dai dipendenti pubblici? Quello di avanguardia.
    Il nemico di imprenditori e lavoratori del settore privato, lo Stato, è anche il datore di lavoro dei pubblici dipendenti e perciò questi ultimi, prima di tutti gli altri lavoratori, hanno imparato a conoscere i meccanismi con i quali questo Stato, direttamente o attraverso centri subordinati, coordinati o collegati allo stesso, è riuscito a togliere qualsiasi tipo di dignità a tutti quegli uomini e quelle donne che lavorano per esso.
    Le categorie afferenti al concetto di pubblico impiego sono moltissime ed ognuna con caratteristiche molto specifiche, ma senza voler entrare nei dettagli è possibile verificare un generale svilimento del ruolo del dipendente pubblico; tutta una serie di figure professionali fondamentali nello sviluppo di una nazione prospera, e che per tale motivo venivano storicamente considerate come importanti e per ciò stesso valorizzate, oggi non ricevono più alcun genere di considerazione, riconoscimento o stimolo,  anzi nella stragrande maggioranza dei casi il dipendente pubblico in quanto tale viene percepito a priori come un soggetto "ruba stipendio". Penso a categorie come quelle dei docenti o delle forze dell'ordine, assolutamente determinanti nella vita di un popolo, oggi trattate dallo Stato quasi come se rappresentassero un fastidio.
    Ebbene, la mia opinione è che questa situazione sia stata causata dalla pluridecennale tendenza del nostro Paese di considerare e valutare i pubblici dipendenti non sulla base del delicatissimo ruolo che sono chiamati a svolgere ma esclusivamente in relazione alla possibilità che essi offrono di risolvere un problema politico. Il ragionamento base è il seguente: nonostante il problema disoccupazione al sud Italia lo Stato non vuole o non è in grado di sviluppare economicamente quelle terre ed allora paga il silenzio delle popolazioni meridionali difronte a questa nostra incapacità assumendo chiunque sia possibile nel pubblico impiego, senza neppure interrogarsi sulla funzionalità della macchina pubblica ingolfata da persone che non servirebbero ed economicamente allo stremo. Indubbiamente un siffatto atteggiamento non può portare alla valorizzazione del personale della Pubblica Amministrazione, non possiamo pensare di pagare meglio i più meritevoli, non avremmo le risorse economiche per farlo, dovendo pagare migliaia di stipendi di persone in più oltre a quelle che sarebbero necessarie. Insomma lo Stato ha coperto per decenni la propria inefficienza ed incapacità di produrre sviluppo creando posti di lavoro fittizi, ed ha pagato questa sua miopia ritrovandosi oggi una macchina pubblica incapace di agire, colma di personale dove questo non servirebbe e carente invece dove ve ne sarebbe bisogno, avendo creato con il proprio atteggiamento una devastante "mentalità-tipo" del pubblico dipendente che si riassume in questo assioma: "che io lavori o non lavori, al mio datore di lavoro (lo Stato appunto) non interessa."
    Con una situazione di questo genere anche i dipendenti pubblici che hanno passione per il proprio lavoro e che hanno capacità, dopo anni di tentativi di "metterci del proprio" (quasi sempre in modo gratuito) vengono prima o poi "smontati dal sistema" finendo gli ultimi anni della propria carriera sfiduciati e depressi. Quanti esempi di questa situazione potrebbero essere fatti: i poliziotti che vengono mandati a giocarsi la vita da uno Stato che garantisce più i "ladri che le guardie", gli insegnanti che mettono l'anima nel trovare un modo sempre nuovo per trasmettere passione per la propria materia agli studenti e percepiscono lo stesso stipendio dei loro colleghi che passano le ore di lezione parlando al cellulare, i dipendenti pubblici di molti comuni che hanno personale pari alla metà di quello previsto nella propria pianta organica e devono svolgere le medesime attività di un altro Comune che pur avendo lo stesso numero di abitanti ha personale pari al quintuplo o al sestuplo; potremmo andare avanti per ore, ma forse è meglio fermarsi quì.
    Ed il sindacato come si è comportato difronte a questo indegno comportamento proposto dallo Stato? Lo ha supinamente ratificato, a volte addirittura esaltandolo come modello virtuoso. Devo affermare con chiarezza che il sindacato non può più accettare questo stato di cose perchè  è sbagliato, perchè è ingiusto, perchè il Paese non può più permetterselo.
    La UGL dovrebbe puntare su una riqualificazione vera del pubblico impiego in cui:
  • le assunzioni non siano considerate un ammortizzatore sociale ma una necessità per creare una macchina pubblica di eccellenza;
  • non vi sia un livellamento verso il basso dei pubblici dipendenti ma anzi vi sia un sistema che consenta a chi dimostra più passione, impegno e capacità di guadagnare di più a scapito di coloro che oggi "scaldano solo la sedia";
  • lo Stato si assuma la responsabilità di porre le condizioni per lo sviluppo economico delle aeree depresse al fine di sostituire posti di lavoro pubblici "non necessari" con posti di lavoro privati creati da nuovi investimenti.
    Su quest'ultimo punto voglio essere ancora più chiaro: lo Stato ha fatto l'errore di "addormentare" alcune aree del nostro Paese, blandendole con posti nel pubblico impiego rivelatisi inutili; questo stesso Stato dovrà pagare il proprio errore non togliendo risorse a questi territori ma riconvertendo il loro impiego per creare sviluppo invece che per irretire la gente.
    In particolare gli abitanti del sud Italia dovrebbero ribellarsi alla situazione in cui questo Stato li ha posti; difronte alla legittima e sacrosanta necessità di lavorare, vedersi proporre un posto pubblico che non avrebbe motivo di esistere equivale a rispondere ad un bisogno con un elemosina, e gli italiani, in questo caso sia del sud che del nord, non possono più accettare l'elemosina ma devono potersi costruire un presente ed un futuro con il sudore della propria fronte. Dunque: no all'elemosina, si al lavoro vero.

    Alternativa: il sogno della CISNAL, l'obiettivo della UGL
    Chi può proporre con efficacia una unione del mondo del lavoro italiano, un superamento anche formale del sistema basato sulla lotta di classe se non chi non ha mai creduto in quest'ultima?
    La UGL deve abbandonare la politica dell'inserimento, quella volta ad inserirsi in questo sistema malato per "diventare come gli altri", e tornare, come la CISNAL ci ha insegnato, alla politica dell'alternativa; la differenza rispetto al passato è che non dobbiamo costruire tanto un'alternativa a CGIL, CISL e UIL ma  un'alternativa all'attuale sistema dei rapporti industriali, dobbiamo realizzare un sistema sociale nuovo per prepararci ad edificare un sistema istituzionale nuovo.
    Nessuno più della UGL ha nel suo dna il concetto di unità, nessuno più di noi sá ed  ha sempre affermato che la visione vincente è quella organica e non quella particolarista, nessuno più di noi ha scolpite dentro di se queste realtà perchè ci sono state tramandate da chi ci ha preceduto. Il sogno del padre (la CISNAL) può essere realizzato dal figlio (UGL) se avremo l'ardire di credere in noi stessi e nella nostra capacità di leggere ed interpretate gli eventi.
    La grande campana della storia stà suonando a martello e stà interpellando noi, ci stà chiamando a raccolta per svolgere quel compito che solo noi possiamo svolgere: la ricostruzione nazionale italiana. Credo che i sessant'anni che abbiamo alle spalle ci abbiamo temprato per prepararci a questo momento, per consentirci di cogliere la grande opportunità che ci si presenta innanzi: ricostruire dalle fondamenta il nostro Paese.
    Ritengo esistano già tante forze nuove nel mondo economico e sociale che, seppure in forme ancora tradizionali e perciò perdenti, si stanno costituendo o si sono già costituite per rappresentare uno stato d'animo nuovo, delle esigenze nuove ormai ben chiare ed evidenti a tutti coloro che vivono fra la gente, nelle aziende e nei posti di lavoro; a tutte queste forze dico di smettere di orientare le proprie energie  per cercare di entrare nella stanza dei bottoni, per cercare di diventare grandi ed importanti come le associazioni storiche (sindacali e datoriali), quella è la strada sbagliata per diversi motivi:
  • tali associazioni storiche, per quanto grandi possiate diventare non vi considereranno mai loro pari;
  • se anche doveste riuscire ad entrare nella stanza dei bottoni vi accorgereste che ormai il sistema è in cortocircuito e non c'è più alcun bottone che possiate premere il quale possa portare ad un reale cambiamento del mondo del lavoro e del Paese nel suo complesso.

    Governo Renzi: l'ultimo lifting del vecchio sistema
    È possibile coniugare un progetto di ricostruzione nazionale con l'azione del Governo Renzi? Non è possibile e non è necessario.
    Il Governo Renzi, nascosto dietro roboanti annunci, non stà facendo altro che cercare di riformare l'attuale sistema per quel poco che è possibile, stà operando l'ultimo lifting del vecchio sistema. Che si tratti di lifting è fuor di dubbio perchè utilizzare le regole e gli strumenti della prima repubblica e contorniarsi da protagonisti del passato può solo dare l'apparenza di un sistema nuovo; Renzi in sostanza stà cercando di realizzare una "stiratina" al grinzoso e rugoso volto di un apparato statale ormai vecchio e morente che per quanto potrà sembrare più giovane in apparenza, all'interno rimarrà svuotato di ogni energia. Questo lifting non può che essere l'ultimo perchè le recenti elezioni europee hanno dimostrato che il maggiore partito italiano è già oggi costituito da coloro che in questo sistema non credono più (43% di persone che non hanno partecipato al voto); se l'operazione renziana di rivitalizzazione del cadavere dovesse fallire (come io penso accadrà) non ci saranno più esami di riparazione, nuovi salvatori o nuovi rivitalizzatori, questo sistema politico, istituzionale e sociale sarà irrimediabilmente defunto.
    Come dovrebbe porsi dunque la UGL nei confronti di Renzi? Ne a favore, ne contro ma a parte. Non dobbiamo essere interessati ad interloquire con Renzi perchè la sua idea di riformare l'irriformabile non ci interessa, noi vogliamo usare il nostro tempo per costruire qualcosa di nuovo partendo da quel sistema economico di cui siamo parte e per il quale i cambiamenti radicali si possono produrre senza chiedere nulla a questo Governo n'è ad altri che volessero ancora perdere tempo a somministrare cure ad un paziente già morto invece di dedicare se stessi al giovane neonato ancora in fasce che aspetta che qualcuno lo allevi per diventare grande e forte.
    Il nostro intendimento non può quindi essere quello di aspettare passivamente che Renzi fallisca, dobbiamo invece cominciare subito ad operare quelle trasformazioni socio economiche che non necessitano dell'intervento dello Stato al fine di cominciare a ricostruire il cuore del Paese per poter poi, in una seconda fase, ricostruire anche una realtà istituzionale ormai ossequiente all'irrevocabile fatto compiuto. Non abbiamo bisogno di grillismo sindacale, non abbiamo bisogno di controllare, vigilare, proporre; noi dobbiamo e vogliamo agire in tutti quei campi in cui non abbiamo bisogno di chiedere nulla ad uno Stato in cui non crediamo più, pronti a ricostruire le istituzioni nel momento in cui tutti i puntelli che Renzi stà fissando per ancorarsi e stirare questo vecchio volto cederanno sotto la pressione di una forza centripeta irresistibile, mostrando nuovamente la realtà per quella che è, rendendo evidente l'unica possibile ipotesi di cambiamento: la Ricostruzione Nazionale.
    L'idea di non chiedere allo Stato di operare il cambiamento di cui il Paese ha bisogno ma cominciare a produrlo nei fatti per poi, sulla base di questi fatti, ricostruire lo Stato stesso, è l'unica possibilità di miglioramento non utopica che può essere messa in campo; credere in altre ipotesi che prevedano una capacità di queste istituzioni di auto-rigenerarsi, seppure guidate da vecchi o nuovi personaggi, sarebbe un insulto alla nostra intelligenza perchè contraddirebbe ogni esperienza fatta in questi anni... ed il pensiero che i cittadini italiani possano essere così sprovveduti sarebbe insopportabile.

    Creare nuovo lavoro: non basta cambiare le regole, serve una nuova politica economica
    Solo dal sindacato può partire la necessaria azione rifondatrice delle Stato perchè solo questo può proporre un cambio completo della ricetta economica fino ad oggi proposta ed applicata.
    Ormai da decenni si dice di voler procedere sulla strada delle cosiddette liberalizzazioni (finanziarie, economiche, etc.) le quali sono invece state una delle cause della crisi (soprattutto quella finanziaria); nonostante tutto ciò oggi la teoria dominante, ripetuta e reinterpretata ad ogni piè sospinto, vorrebbe unire i concetti di privatizzazione e liberalizzazione e procedere in modo ancora più deciso sulle operazioni di privatizzazione vendendo quote anche nelle società pubbliche funzionanti (e generatrici di utili), utilizzando gli introiti derivanti da tali cessioni per ripianare i debiti dello Stato.
    Personalmente ritengo che il sindacato dovrebbe oggi porsi come baluardo di una politica economica totalmente opposta la quale abbia la sua giustificazione principale nella necessità di mantenere e/o dotarsi di strumenti per creare nuovo lavoro.
    Vendere le partecipazioni in società pubbliche strategiche, considerando tra l'altro il fatto che ciò rappresenterebbe solo una privatizzazione e non una liberalizzazione, priverebbe l'Italia degli ultimi strumenti che ancora possiede per incidere sulla politica economica ed industriale del Paese. Non avendo una banca centrale non siamo più in grado di operare una politica monetaria conveniente per la nostra economia, avendo ceduto all'Europa quote importanti della nostra sovranità in ambito commerciale siamo vincolati all'interno di regole che non ci consentono di valorizzare le nostre energie; se dovessimo ora privarci anche di ENI, Finmeccanica ed altre aziende fondamentali  perderemmo anche qualsiasi possibilità di impostare ed attuare azioni commerciali di ampio respiro sui mercati dell'energia e della manifattura. Insomma, lo Stato italiano stà rischiando di diventare, più di quanto già non sia, un involucro vuoto, privo di poteri, di possibilità di intervenire e di risolvere i problemi della propria gente.
    Non nego che vi siano delle fasi del ciclo economico in cui sia opportuno procedere ad operazioni di liberalizzazione ed anche di privatizzazione, ma tale opportunità si verifica in momenti di stabilità e di crescita, oggi invece, in una fase in cui è necessario per l'Italia riconvertire il proprio tessuto produttivo al fine di renderlo nuovamente competitivo abbiamo bisogno di tenere saldamente in mano quegli strumenti che possono aiutarci a realizzare tale trasformazione.
    La situazione nella quale si trova il Paese richiede quindi interventi radicali di politica economica per poter creare nuovi posti di lavoro e non solo piccole riforme o interventi che abbiano come obiettivi solo le regole del mondo del lavoro. A fronte di ciò i punti fondamentali sui quali l'azione propulsiva di lavoratori ed imprenditori uniti dovrebbe  basarsi vengono di seguito esaminati.
  1. Apertura di nuovi sbocchi commerciali per i prodotti italiani: ovviare una penetrazione commerciale organizzata soprattutto nei mercati emergenti ed in particolare nel medio-oriente e nel continente africano. Se non si creano nuovi mercati è impossibile creare nuovo lavoro. Imprenditori e lavoratori devono tutelare se stessi non cercando di mantenere in vita attività non più competitive ma devono chiedere a gran voce la identificazione di nuove prospettive le quali non devono essere vagheggiate ma necessitano invece di essere definite nello specifico e prevedere una guida sicura ed un supporto tecnico per l'attività degli operatori.
  2. Individuazione di zone economiche speciali:individuazione di zone economiche speciali dotate di una legislazione differente da quella in vigore nel resto del Paese al fine di attrarre investimenti e organizzare joint-ventures tra società italiane e straniere. Tali zone dovrebbero essere scelte in modo strategico a nord ed a sud del Paese valorizzando all'interno di una unica visione nazionale la diversa propensione economica dei territori: produzione di beni e servizi al nord, propensione commerciale e posizionamento geografico proteso verso i mercati di destinazione dei prodotti al sud. Lavoratori ed imprenditori dovrebbero porre in essere una forte campagna mediatica di carattere propositivo per chiedere l'istituzione di zone economiche speciali sfidando, se necessario, anche l'eventuale parere negativo dell'Europa.
  3. Contrastare la vendita di società pubbliche strategiche: lavoratori ed imprenditori dovrebbero manifestare con tutte le proprie forze affinchè i propositi di dismissioni ad oggi annunciati non si concretizzino in modo da poter mantenere strumenti idonei ad effettuare azioni di penetrazione economica ad ampio respiro.
  4. Nuovo piano energetico nazionale: richiedere con forza l'elaborazione di un nuovo piano energetico nazionale che porti ad investire sulle rinnovabili, diminuisca la dipendenza italiana dall'estero e porti ad un forte calo del prezzo dell'energia a beneficio di famiglie ed imprese. A tal fine sarebbe necessario battersi per l'uscita dei comuni dal mercato dell'energia in quanto soggetti per dimensioni e questioni organizzative inidonei alla gestione di tale mercato fondamentale per garantirsi un futuro ed un minimo di sovranità nazionale. All'uscita dei comuni dovrebbe però corrispondere l'ingresso di una società pubblica di carattere nazionale al fine di costituire un soggetto in campo energetico sempre più forte ed in grado di giocare un ruolo a livello internazionale. Anche la proposta appena descritta verrebbe avversata dall'Europa, dall'antitrust e dalle regole sul libero mercato, regole però non in grado di gestire un mercato dell'energia come quello attuale nel quale esistono grandi player internazionali, formalmente od informalmente controllati dagli Stati, i quali non hanno alcun interesse nel libero mercato dell'energia ma che anzi utilizzano quest'ultimo per aumentare il proprio peso economico e politico a danno di altri. Lavoratori ed imprenditori dovrebbero affermare fortemente il principio secondo il quale non si può sacrificare le persone e le nazioni sull'altare del libero mercato in settori che sono fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo di un popolo.
  5. Abbassamento delle tasse sul lavoro: battersi per l'abbassamento della tassazione sul lavoro al fine di valorizzare le risorse impiegate per creare occupazione.
  6. Privatizzazione gestione beni culturali/Detassazione investimenti in cultura: privatizzazione della gestione dei beni culturali, mantenendo la proprietà ben salda in mano pubblica, a favore di cooperative di giovani preparati in campo archeologico, storico, artistico, turistico e commerciale. Non sono gli impiegati pubblici i soggetti idonei a valorizzare seriamente i beni culturali di un territorio, questi ultimi rappresentano infatti l'anima del territorio stesso ed è necessario che a proporre tale anima ai visitatori siano dei giovani innamorati della propria terra e delle sue bellezze. La promozione turistica non può essere semplicemente interpretata come un lavoro ma deve essere considerata una missione. Accanto alla riforma appena descritta sarebbe necessario chiedere con forza un provvedimento normativo che favorisca gli investimenti privati sul patrimonio artistico e culturale. Se il privato spenderà per mantenere o ristrutturare un immobile, una libreria, un archivio, etc. la spesa dovrà essere considerata di pubblica utilità e non sottoposta a prelievo fiscale. Allo stesso modo non dovrà concorrere a formare il reddito imponibile tutto quello che il privato elargirà a pubbliche amministrazione o ad apposite fondazioni per salvaguardare i beni culturali. Tutte queste agevolazioni dovranno però essere legate al fatto che i fondi messi a disposizioni dai privati siano utilizzati per azioni che portino, prima o dopo, ad uno sviluppo turistico del bene. Con l'attuazione di queste proposte potremmo mettere al servizio del patrimonio culturale italiano tanti giovani che non vedono l'ora di spendersi per la propria terra, oltre che le risorse necessarie per concretizzare i progetti ... e forse, prendendo veramente coscienza di quanto abbiamo saputo essere grandi nella storia dell'umanità, ritrovare l'orgoglio necessario per non essere solo conservatori delle vestigia di una defunta gloria ma per tornare ad essere ciò che fummo.
  7. Conversione ecologica: tagliare implacabilmente quel "nodo di Gordio" che intreccia il mantenimento della produzione industriale all'impossibilità di tutelare la salute avviando la cosiddetta conversione ecologica. È necessario porsi come obiettivo la sostenibilità delle attività economiche e produttive non come fonte di vincoli ma di infinite e concrete possibilità per ricreare lavoro, reddito e benessere. In particolare i fattori principali per la conversione ecologica dovranno essere i seguenti: -sviluppare pratiche di consumi condivisi; -"riterritorializzare" le produzioni ed i mercati puntando su una economia a Km zero; -ricollocare le tante persone disoccupate in attività inerenti la conversione ecologica; -recuperare gli antichi saperi legati al territorio per porli alla base di una nuova economia.
    Ultima chiamata: appello agli audaci.
    La Ricostruzione Nazionale di cui abbiamo parlato in queste pagine non vedrà mai la luce se coloro che oggi soffrono, coloro che sono senza lavoro, giovani e meno giovani, ex imprenditori, ex dipendenti o coloro che una occupazione non l'hanno mai avuta, non decideranno di farsi avanti. A tutte queste persone mi rivolgo esortandole ad entrare nella nostra squadra, noi non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo essere il solito sindacato che rappresenta i privilegi di pochi ma vogliamo dare a tutti un progetto con il quale provare a ricostruire la speranza in un futuro che oggi ci viene negato. Non propongo soluzioni miracolose, non ho la bacchetta magica, propongo una battaglia attraverso la quale potere finalmente tornare ad essere artefici del proprio destino, tramite la quale smettere di delegare le scelte ad altri cominciando ad agire in prima persona. La nuova UGL offrirà una opportunità a tutti coloro che non credono più nel Paese che hanno davanti agli occhi, a tutti coloro che vorrebbero "ribaltare il tavolo" ma non sanno come fare, una opportunità costituita da un progetto con obiettivi e strategia molto chiari; ai cittadini ora la scelta tra il continuare ad imprecare davanti alla televisione e nei bar contro questo Paese indegno, o cominciare a combattere con noi per ricostruirlo.
    Abbiamo bisogno di persone che salgano a bordo della nave e non che la salutino dal molo mentre prende il largo, in attesa che ritorni piena di ricchezze da distribuire.
    Non è più il momento di delegare ma di lottare, non contro gli imprenditori ma con gli imprenditori, non per qualche astratto valore morale ma per noi è le nostre famiglie, non per riformare ma per ricostruire l'Italia, la sua economia, il suo orgoglio, il suo spirito e le nostre speranze.
    Qualcuno leggendo queste pagine potrà ritenere che per un Italia in cui è assodato che non cambi mai nulla il progetto di Ricostruzione Nazionale sia troppo audace; a questi soggetti voglio rispondere che piuttosto che farmi immobilizzare dalla paura preferisco vivere di audacia... anzi vorrei rispondere che oggi, in questa Italia in ginocchio, per sopravvivere non c'è alternativa all'audacia.
    Luigi Recupero