testo introduttivo di Patrizio Bianchi.
Alberto Orioli è un giornalista, o meglio è un giornalista di grande successo, vicedirettore del più importante giornale economico del paese, autore di libri apprezzati tra cui una lunga intervista al Presidente Ciampi. Orioli è certamente un professionista della parola e della carta stampata, ma è anche un artista che prende i ferri del mestiere e li stravolge, come se i limiti del mestiere non fossero più sufficienti a contenere tutto ciò che la persona deve dire. Ed allora le parole diventano segni e la pagina del giornale diviene materia per una ricerca in cui dalla piana monocromia seriosa del quotidiano esplodono colori e forme tridimensionali, che impressionano i sensi tanto quanto la razionalità propria della riflessione economica colpisce la mente.
La pagina di giornale diviene una sorta di base per voli di fantasia che sembrano dover essere trattenuti solo da lunghi chiodi, non a caso rivestiti di parole, quasi a richiamarci a non vedere le cose del quotidiano solo per quelle che sono, nella loro necessaria transitorietà, ma nella ricerca di quello che ci può essere sotto, e sotto sotto le pagine di giornale possono contenere esplosioni di colori e nuovi segni e nuovi materiali, che tuttavia sembrano poter durare molto di più di quelle serie pagine rosa, che tuttavia durano per loro natura solo lo spazio di un mattino - come camelie - per essere sostituite l'indomani da altre pagine, con altre notizie, altre parole, altri pensieri.
Una ricerca quella di Alberto Orioli, che trova buona collocazione alla Galleria del Carbone, dove si sono alternati artisti che pure hanno lasciato esplodere l'oggetto quotidiano per trasformarlo in una varietà di luoghi di scoperta dei significati profondi del nostro vivere. Ricordo la accattivante mostra degli orologi, dove banali orologi da cucina divenivano base per la ricerca di numerosi artisti sul significato stesso del tempo, mettendo in evidenza il paradosso di un oggetto che deve misurare il tempo che passa e che diviene invece il supporto di un pensiero artistico che invece fissa il tempo e quindi ne va oltre. O ricordo, fra le tante, la stimolante mostra di Massimo Cova, in cui il più deperibile degli oggetti, il panino dello scolaro incartocciato nella stagnola diviene un reperto archeologico proveniente da un passato immobile o aeroplanini di carta assumono al rango di bronzi epici.
La ricerca di Alberto Orioli mi sembra muoversi in questa direzione: essere ben dentro ad una vita di parole e di pagine scritte - e da protagonista - ma nel contempo mantenere a se stessi la libertà di volarne fuori - ed anche qui da protagonista, impossesandosi di nuove forme e di nuovi segni.
25 dicembre 2014 Patrizio Bianchi
Alberto Orioli è un giornalista, o meglio è un giornalista di grande successo, vicedirettore del più importante giornale economico del paese, autore di libri apprezzati tra cui una lunga intervista al Presidente Ciampi. Orioli è certamente un professionista della parola e della carta stampata, ma è anche un artista che prende i ferri del mestiere e li stravolge, come se i limiti del mestiere non fossero più sufficienti a contenere tutto ciò che la persona deve dire. Ed allora le parole diventano segni e la pagina del giornale diviene materia per una ricerca in cui dalla piana monocromia seriosa del quotidiano esplodono colori e forme tridimensionali, che impressionano i sensi tanto quanto la razionalità propria della riflessione economica colpisce la mente.
La pagina di giornale diviene una sorta di base per voli di fantasia che sembrano dover essere trattenuti solo da lunghi chiodi, non a caso rivestiti di parole, quasi a richiamarci a non vedere le cose del quotidiano solo per quelle che sono, nella loro necessaria transitorietà, ma nella ricerca di quello che ci può essere sotto, e sotto sotto le pagine di giornale possono contenere esplosioni di colori e nuovi segni e nuovi materiali, che tuttavia sembrano poter durare molto di più di quelle serie pagine rosa, che tuttavia durano per loro natura solo lo spazio di un mattino - come camelie - per essere sostituite l'indomani da altre pagine, con altre notizie, altre parole, altri pensieri.
Una ricerca quella di Alberto Orioli, che trova buona collocazione alla Galleria del Carbone, dove si sono alternati artisti che pure hanno lasciato esplodere l'oggetto quotidiano per trasformarlo in una varietà di luoghi di scoperta dei significati profondi del nostro vivere. Ricordo la accattivante mostra degli orologi, dove banali orologi da cucina divenivano base per la ricerca di numerosi artisti sul significato stesso del tempo, mettendo in evidenza il paradosso di un oggetto che deve misurare il tempo che passa e che diviene invece il supporto di un pensiero artistico che invece fissa il tempo e quindi ne va oltre. O ricordo, fra le tante, la stimolante mostra di Massimo Cova, in cui il più deperibile degli oggetti, il panino dello scolaro incartocciato nella stagnola diviene un reperto archeologico proveniente da un passato immobile o aeroplanini di carta assumono al rango di bronzi epici.
La ricerca di Alberto Orioli mi sembra muoversi in questa direzione: essere ben dentro ad una vita di parole e di pagine scritte - e da protagonista - ma nel contempo mantenere a se stessi la libertà di volarne fuori - ed anche qui da protagonista, impossesandosi di nuove forme e di nuovi segni.
25 dicembre 2014 Patrizio Bianchi
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