David Bowie e il Futurist Rock (Compleanno del Duca Bianco)

Luigi Sgroj



LUIGI SGROI David Bowie e il futurist-rock*
L’itinerario poetico e musicale di David Bowie costituisce un caso abbastanza singolare nel
panorama della musica pop degli anni settanta.
Nato musicalmente sulla scia dei grandi beat e post-beat e prima ancora di Elvis, Bowie viene
presto affascinato non tanto da un nuovo modo di comporre musica, quanto da un nuovo modo di
concepire il compositore e l’artista stesso.
Già dai primi anni settanta è alle prese con un particolare modo di concepire l’artista che lo rende
simile ai cultori de : “l’art pour l’art” e che lo inserisce in un nuovo linguaggio espressivo che vede
l’artista e il suo essere opera d’arte in sé, della stessa importanza della sua produzione musicale
stessa.
In questo senso Bowie, da “Space oddity” in avanti si pone come un vero esempio di precursore dei
tempi; un precursore però , si badi bene, che non ha mai necessariamente trovato ispirazione
artistica nella corsa in avanti, corsa superficiale affetta da “modernismo” e fuga contro il tempo;
l’intuizione anticipatrice di Bowie ha riguardato anche il passato: con Bowie il passato è stato reso
attuale, “futurizzato”. Sono frequenti i momenti in cui è andato a ripercorrere o a “collezionare”
segni, mitemi musicali, suoni, che sembravano dimenticati.
Bowie, definito artista “camaleontico”, non ha solo definito e raccontato se stesso; Bowie ha
raccontato il suo tempo: il tempo che seguiva il ’68 con tutte le sue conseguenze incerte, i suoi
contrasti e le sue allucinazioni, il tempo dell’oblio dall’ impegno politico in senso stretto, quando ha
inaugurato la stagione “soul” nel ’75 con “Young americans”(che avrebbe aperto la strada al
celeberrimo “Saturday night fever”), il tempo decadentista e nichilista di “Low” in cui migliaia di
giovani, soprattutto della cosiddetta buona borghesia, si sono riconosciuti.
Bowie ha fatto e scritto di tutto ed è stato di tutti, ma è rimasto libero e in qualche modo lontano da
tutti. Amico, collaboratore, strumentista, autore di musiche per altri artisti, non si è mai arroccato su
modelli o mode precostituite. Bowie si è sempre rinnovato e per farlo ha sempre dovuto demolirsi.
Qui sta il suo futurismo: in quel non essere di nessuno, nemmeno di se stesso. Fino alla prossima
identificazione.
In quel voler maneggiare il mondo con quelle semplici note ora dolci, melodiose e nostalgiche, ora
aspre, corrosive, apocalittiche ha mostrato la migliore parte di sé e in questo è stato esempio per le
crescenti generazioni musicali che, come una nuova ondata, si riversavano sulla scena musicale.
Certo, bisogna dire che Bowie non ha mai voluto futuristicamente “cambiare il mondo” e certe
ispirazioni trasognate di una nuova società basata su presupposti irenici, ( quindi contrari al
Futurismo ) si sono fermate a pochissimi esempi come in “Cygnet committee”, o in età artistica
matura come dimostrano alcuni testi o alcune interviste.
Forse quella sua fisionomia androgina e vagamente nostalgica lo hanno reso perennemente in
contraddizione con sé stesso e quindi incapace di essere leader di gruppo, artista di massa.
Bowie resta ancora oggi un modello di artista difficilmente imitabile.
Il suo "testamento" vive e vivrà ancora nelle note e nel cuore di chi lo ha apprezzato e chissà che non
riusciremo, in un futuro non troppo lontano, a stupirci ancora di lui e del suo genio senza tempo.

*da AA.VV. La Grande Guerra futurista....  (La Carmelina edizioni eBook, 2014)

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