Pierluigi Casalino IL PARADOSSO DELLA RIVOLUZIONE

 


L’esperienza degli alti forni popolari, tentata da Mao Zedong in Cina alla fine degli anni 1950, concepita per il lavoro in comune di operai, tecnici e ingeneri, si rivelò un grande disastro. Qualche anno più tardi, con la rivoluzione culturale fu ancora peggio. Le guardie rosse, gruppi di adolescenti sottoposti a preventivo lavaggio del cervello, venivano incitati ad inquisire universitari, ingegneri, quadri del partito e dell’amministrazione pubblica, o, nella migliore delle ipotesi, ad avviarli al lavoro nei campi. Si trattò di una tale e grave ingiustizia da comportare, la totale catastrofe economica, sociale e culturale del Paese. La rivoluzione iraniana, analogamente, fu promossa da esaltati mollahs (religiosi), certamente versati nella conoscenza dell’Islam classico e in particolare in ogni dettaglio della vita reale o immaginaria di Alì, il quarto califfo, ma completamente ignoranti di conoscenze del mondo moderno. E la cosa peggiore era che nessuno di loro aveva mai, anche vagamente, sentito dire di un certo Rousseau e di contratto sociale o di un certo Montesquieu e della separazione dei poteri, se non per bollare questi insegnamenti come “teorie atee, invenzioni del Grande Satana, l’Occidente”. In entrambi i casi, il risultato finì per mettere alla frusta gli intellettuali, provocando l’emorragia dei cervelli e una deriva verso un maggior sottosviluppo.

 

Casalino Pierluigi, 16.03.2011.