Riccardo Roversi I gatti turchini recensione di Emilio Diedo

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Riccardo Roversi

I gatti turchini

In copertina e all'interno illustrazioni di Louis Olivencia

Este Edition, Ferrara 2010, pp. 40, € 5,00



Tutti conoscono bene la favola della Fata turchina! Ebbene, nonostante Riccardo Roversi probabilmente non si sia direttamente ispirato ad essa (egli ne trae spunto piuttosto da Charles Brosses, come scrive a p. 11 nell'omonimo racconto I gatti turchini, terzo nell'ordine progressivo), purtuttavia il paragone d'una "Ferrara turchina" (in quanto i gatti caratterizzano una certa unicità di Ferrara) mi torna a pallino. E non è detto che comunque Charles Brosses, nel concepire i gatti turchini, non si sia servito di tale fabulistica ascendenza. Alla fin fine è Roversi stesso, sia pur indirettamente ed inconsciamente, ad ammetterne l'affinità: «Chissà, forse la gente cadde vittima di un sortilegio del famigerato mago Chiozzino, oppure se n'era andata sentendosi d'ingombro all'anelito dei muri e degli spazi, loro sì davvero magici», in ibidem.

La sostanza è che questo delizioso florilegio di sintetici racconti mette la magica veste di trasparentissimo tulle e nel contempo una maschera di baldanzosa allegoria che, se vi mancassero alcuni peculiari elementi della fiaba, è comunque Ferrara stessa, qui per com'è lustrata ed agghindata, che assurge a luogo mitico (mai o quasi mai nominata) immerso nel cosmo d'uno spazio-tempo irreale, che delle fiabe ne fa l'incipit ineliminabile.

E non si lascino perdere nemmeno i racconti finali, sicuramente più proiettati nell'individuo piuttosto che nell'orbita primaria della città. Anche in essi la trasparenza ironico-ridanciana, ialina, sfumata, dell'allegoria denota una minuziosa e studiata contemplazione d'una congerie d'elementi dall'odore e dal sapore millenario, pressoché immanente, impregnato ai muri ed alle mura d'una Ferrara che, nella sua Storia, non ha fatto altro che costruire leggenda da tramandare ai posteri.

Roversi, tramite I gatti turchini, suoi (e non più di Charles Brosses), più che narrare o dire, sottende. Aggiunge sottili concetti e velate verità alla geografia ed alla storia di Ferrara. E sia beninteso che la storia di Ferrara è anche, e soprattutto, quella attuale, costruita, più che sulle gesta, sulla presenza di comuni uomini del Duemila, magari viziati, disordinati, scarruffati, similmarionette.

Non sfuga al lettore, inoltre, l'aplomb topografico, ovverosia quella dimensione calata alle colorate miniature della monumentalità; nonché l'appena abbozzata epicità circa la Città Estense, che, a seconda delle circostanze, trasmuta in "Città Ariostesca", "Città Lucreziana", "Città Metafisica", "Città Onirica", "Città Freudiana"…

Non poteva mancare l'omaggio al più grande tra gli scrittori dell'epoca moderna, almeno per quanto concerne gli interpreti della letteratura ferrarese: Giorgio Bassani. A Lui Roversi offre l'esergo che funge da starter per la successiva compenetrazione a tutto tondo d'una Città-soubrette (nel significato moderno della parola), "patrimonio dell'umanità".

Ulteriore tocco di magia è la costante illustrazione dei racconti che, grazie alla brava e concreta mano di Louis Olivencia, un americano incarnato ormai anche lui a Ferrara, sa far rendere un libricino di quaranta pagine in un tomo di bellezza. Col suo tocco, egli, molto semplicemente, disegna icone che "raccontano i racconti".


Ferrara, gennaio 2011




Emilio Diedo

 – emiliodiedo@libero.it