Spigoli&Culture - Magazine web: 200000 visite nel 2010 boom!

spigolature magazine.jpgBoom crescita di Spigoli&Culture nel 2010! Il magazine squIsitamente culturale on line a cura di Gian Luca Balestra (Sociologo), Massimo Gherardi (cinefilo), Antonella Chinaglia,(scrittrice) , di/da Ferrara, dopo ormai un lustro circa di attività taglia quest'anno le 200000 visite, quasi 20000 al mese. Lanciato, complessivamente, verso i 7 milioni di hit/anno (ora a 6.645.227).
Cifre di audience molto ragguardevoli a livelli ormai nazionali significativi. Tra letteratura, contemporanea ma anche "vintage", cinema, fantascienza, musica, una griglia nazionale oltre a rilanci dell'arte e la cultura ferrarese (nel 2010 da segnalare importanti interviste agli stessi Guido Barbujani, Roberto Pazzi e il sindaco ferrarese Tiziano Tagliani): un caleidoscopio di rubriche e sezioni molto ampio e rigorosamente professionale, con attenzione particolare anche alle avanguardie culturali. Il tutto coordinato dai succitati con una altrettanto vasta rete di collaboratori ferraresi e no.

 
Dall'ultimo download: WE WANT SEX  di Domenico Astuti
 

   Abbiamo visto We want sex (Made in Dagenham) regia di Nigel Cole.

      Il Regno Unito ha una lunga tradizione di cinema realistico sociale, sin dagli Anni Trenta. Non si può poi non segnalare negli Anni Cinquanta l’importante corrente cinematografica del Free Cinema Inglese, con registi del calibro di Lindsay Anderson (If), Tony Richardson (Gioventù, amore e rabbia), Karel Reisz (Sabato sera, domenica mattina), Joseph Losey (Il servo), John Schlesinger (Billy il bugiardo), Richard Lester (Non tutti ce l’hanno) e la scrittrice e regista italiana Lorenza Mazzetti (suo il documentario Together). Negli ultimi vent’anni il cinema del Regno Unito ci ha regalato tanti ritratti leggeri e potenti, allo stesso tempo, della classe operaia. Una classe operaia fuor di retorica, cosciente e mai veramente sconfitta, anche se non ideologizzata nel senso stretto del termine. Ritratti di personaggi concreti, belli, tosti, simpatici e imprescindibili – come diceva Bertold Brecht - ma anche dolenti, spappolati e distrutti dalle politiche prima dalla Lady di Ferro, Margaret Thatcher, poi da quel geniale Medioevo che viene chiamato Globalizzazione. Film splendidi come Riff Raff - meglio perderli che trovarli (1991) e Piovono pietre (1993) entrambi diretti da Ken Loach; o Grazie, signora Thatcher (1996) di Mark Herman; e tra i molti altri possiamo aggiungere anche film fuori schema come Full Monthy (1997) di Peter Cattaneo o Trainspotting (1996) di Danny Boyle.
      Giunge in questi giorni nelle sale italiane – dopo essere stato presentato al Festival di Cannes e proiettato fuori concorso al Festival Internazionale di Roma – We want sex (titolo originale: Made in Dagenham), tratto da una storia vera e che ha visto nel lontano 1968, 187 “brave ragazze” lottare e vincere per un diritto che ancora oggi in Italia e non solo qui non è ancora riconosciuto: la parità salariale tra uomini e donne. Un film che però non ha quasi nulla in comune con tutti i film precedenti anche citati, privo di reale trasgressione e di “rottura”, sembra quasi che una storia vera e dura sia stata lavata, stirata e colorata. Potremmo aggiungere, priva di reale critica sociale e di denuncia di una società votata al benessere e al piacere senza conservare la gioia e la coscienza. Il tono da commedia e il ritmo ironico rende tutto casuale, placido e bonario alla fin fine, sia nella descrizione dei rappresentanti sindacali “rammolliti” e senza coraggio (ma degne persone se pensiamo a gente come Bonanni e Angeletti), sia in quella dei leader della sinistra (in questo caso al governo) che risultano molli e privi di una idea di sinistra che sia una; sia nei dirigenti della fabbrica molto sorpresi da tutto e molto british; sia negli operai maschi che passano il tempo a lavorare, a bere birra e a inseguire sogni piccolo borghesi (tutto possibile, ma non nei termini mostrati). Sembra quasi che il regista si sia adoperato più ad una ricostruzione di quegli anni – visi, abiti, scenografie – che non al tempo sociale...
continua   Spigoli&Culture  

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