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Free Salemi- lettera di replica di Nino Ippolito a Rino Giacalone

Il 18 maggio sull’edizione di Trapani del quotidiano "La Sicilia" l’opinionista RinoGiacalonein un articolo sull’operazione «Salus Iniqua» ha chiamato in causa il responsabile dell’Ufficio per la Comunicazione del Comune di Salemi Nino Ippolito.

Rispetto al contenuto dlel’articolo Ippolito ha inviato al quotidiano "La Sicilia"una lettera di replica, ma è stata letteralmente censurata. Pertanto si allega alla presentela lettera nella speranza che se ne dia conto per completezza di informazione e nel rispetto del diritto di replica

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In riferimento al contenuto dell’articolo dell’opinionista Rino Giacalone dal titolo «E’ Pino manicomio che comanda», pubblicato a pagina 33 dell’edizione del quotidiano «La Sicilia» di oggi mercoledì 18 maggio 2011, e in cui vengo in maniera del tutto arbitraria tirato in ballo, chiedo, ai sensi della legge sulla stampa, la pubblicazione della seguente replica:

 

Non ho mai appellato Pino Giammarinaro con la parola«manicomio», sebbene il soprannome fosse noto a tutti. L’autore, non so se per sciatteria dovuta all’incapacità di verificare le notizie prima di pubblicarle oppure perchèin malafede (circostanza che non mi stupirebbe affatto, visto l’unilaterale astio che coltiva nei miei confronti, anche publicamente) attribuisce a me parole dette probabilmente dal mio interlocutore. Il solo «manicomio» di confusione è quello dell’autore che, altresì, con altrettanta sciatteria, mi attribuisce una telefonata con l’assessore Bivona, dal contenuto limpidissimo – come, del resto, tutte quelle che mi riguardano – che in realtà ho avuto con l’assessore Grillo.

Sono stato amico di Pino Giammarinaro. E lo sono stato con fierezza, pienamente consapevole delle vicissitudini giudiziarie che lo hanno riguardato. Le responsabilità penali sono personali. E, nonostante la furia forcaiola di certi antimafiosi di mestiere che vivono e si nutrono di sospetti, non si trasmette agli amici. Inoltre la pena nel nostro ordimanento, ha valore rieducativo, non contempla la morte civile di un individuo.

Da tempo, quella con Giammarinaro, è un’amicizia troncata. Per mia scelta. Ed è, come ha ricordato lo stesso Sgarbi, di dominio pubblico. Dei motivi (per principio, perchè le amicizie non si devono giustificare) non debbo darne conto a nessuno, nemmeno a quegli investigatori che si eccitano, con lo stesso spasmo che mostrano le iene di fronte al sangue, quando annunciano che «riecheggieranno le sirene» (così si legge sul profilo Facebook di un investigatore trapanese), men che meno a mediocri giornalisti, e mi riferisco all’imponente (fisicamente) Rino Giacalone, dal quale apprendo che io avrei preso e consegnato «ordini».Circostanza letteralmemnte inventata dal Giacalone perché da nessuna parte è scritta una simile cosa. E’ una sua chiosa da mestatore e suggestionatore. Essere «citati» in una indagine non può diventare, come fa il vigliacco Giacalone, il pretesto per alimentare sospetti o attribuire, arbitrariamente, comportamenti che non non ho mai avuto. Io sono stato ascoltato come «persona informata dei fatti».

In un rapporto di amicizia non si prendono o si danno ordini. Succede nei rapporti di subalternità, come quelli della disciplina militare, che Rino Giacalone, per ragioni non solo professionali, certamente conosce meglio di me.

Il solo ordine che conosco è quello cavalleresco di San Costantino, di cui ho fatto parte parte. Per contrappormi – vanamente - all’affollato e, ahinoi, non riconosciuto, «Ordine Asinino», dove albergano tanti, boriosi e ignoranti giornalisti che coltivano la ripicca e la ritorsione.

Io prendo ordini dalla mia conscienza. Per questo ciò che si è scritto su di me è una infamia da vigliacchi. E poco importa se a scriverlo sia stato un investigatore esaltato, prevenuto o infedele o, come temo, sia piuttosto il premeditato schizzo di fango ispirato da una opinione, una ipotesi, una suggestione.

Circa un anno fa, lo stesso Giacalone, giornalista antimafia «da tavolino», scrisse su di me una serie di fandonie alle quali, non dopo avergli ricordato le ricorrenti castronerie grammaticali e sintattiche di cui é notoriamente infarcita la sua scrittura (disponibile, a richiesta, a stilare l’impietoso cahier de doléances…), replicai chiedendo la pubblicazione di una rettifica nella quale sottolineavo, tra le altre cose, il suo giornalismo «a tesi» e, peggio ancora, l’assenza di riscontro preventivo alle cose pubblicate, così come il riconoscimento del diritto di replica ai soggetti chiamati in causa.

Lui, che rimprovera continuamente ai suoi supposti avversari di utilizzare la querela come strumento intimidatorio, mi denunciò. Il magistrato ha ritenuto pertinenti le mie considerazioni e comunque nell’alveo del «diritto di critica». Giacalone, probabilmente, avrà masticato amaro, anche perchè quelle mie considerazioni contenevano giudizi sulle sue qualità professionali.

Chiedo, come si dice in questi casi – l’onere della prova. Che non è una ipotesi, e nemmeno la ricostruzione fantasiosa e arbitraria di un investigatore che interpreta piuttosto che riportare i «fatti». L’onore della prova, dunque, per capire - qualunque ne sia l’origine – il perché di questa infamia. E così difendermi da questo fango gratuito. Aspettando che l’opinionista Giacalonemi dica chi ha detto o chi ha scritto che io avrei preso «ordini».

 

Nino Ippolito

Addetto Stampa di Vittorio Sgarbi     ninoippolito@tiscali.it

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