Ferrara: caso Aldovrandi. Per la conferma della giusta condanna.

   

Un anno e mezzo di indagini e 32 udienze di processo vengono ripercorsi nella relazione della Prima sezione della Corte d’Appello di Bologna. È il secondo grado del processo Aldrovandi, che vede imputati i quattro agenti di polizia Enzo Pontani, Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto (l’unica assente in aula), condannati a 3 anni e 6 mesi per l’omicidio colposo del 18enne, morto il 25 settembre 2005 dopo una violenta colluttazione in via Ippodromo.

La prima parte delle centinaia di pagine lette in aula dai giudici (presidente Magagnoli, a latere Oliva e Ghedini) ricalcano le motivazioni della sentenza del giudice Caruso.

Un elenco che incardina la sequenza di colpe che avrebbero commesso i quattro agenti quella notte. E, secondo il giudice, anche successivamente. Da loro e dai loro colleghi che eseguirono le prime indagini. Si parte dal falso assunto che Federico stesse sbattendo la testa contro i pali (frutto di un equivoco del primo passaggio di informazioni tra centralinista e centrale). C’è poi la “preoccupazione degli agenti di trovare delle tracce riconducibili all’assunzione di stupefacenti (le droghe risultarono “assunte in proporzioni minimali con un effetto anestetizzante piuttosto che allucinogeno”). Lo scroto schiacciato perché il ragazzo sarebbe caduto a cavalcioni sulla porta dell’auto di ordinanza (che non venne sequestrata così come i due manganelli rotti). Il balzo “implausibile” sul cofano “di cui non si rinvengono tracce nel materiale della scientifica”.

Viene poi il comportamento dei poliziotti dopo la prima colluttazione, che non fecero “nessuna telefonata alla centrale che facesse pensare a una situazione eccezionale e imprevista”. E quindi la loro versione dei fatti: un “racconto approssimativo”, dalla “credibilità minata”. È inoltre “singolare” che il centralista di turno Luca Casoni (condannato nell’ambito dell’Aldrovandi bis sui presunti depistaggi) precipitatosi in via Ippodromo dalla centrale “interrogasse tutti tranne coloro che potevano fornire elementi utili alla ricostruzione, ossia i colleghi”. “Altrettanto inverosimile” è il fatto che “non c’è traccia dei numerosi pugni e calci descritti: i poliziotti non hanno riportato conseguenze fisiche”. E ancora: le “modestissime capacità offensive di cui la vittima era capace, secondo le testimonianze di chi lo conobbe, ridimensiona il racconto degli agenti”.

Rimangono per i giudice d’Appello due questioni principali senza risposta: “se Federico fosse da solo in via Ippodromo o se la sua agitazione si rivolgeva contro qualcuno e perché Federico dopo la prima colluttazione, pur lontano di una ventina di metri dai poliziotti, non abbia approfittato della via di fuga per scappare”.

Chi invece ha una sola domanda da fare è Lino Aldrovandi: “cosa aveva fatto Federico quella mattina per finire così? Gli hanno contato 54 lesioni sul corpo. I quattro individui sono stati condannati a 3 anni e mezzo, come uno che passa col rosso e investe il pedone. Loro sono passati col rosso per 54 volte, sopra uno che diceva “basta” e chiedeva aiuto”.

“Mi auguro che la condanna sia quantomeno confermata” CONTNUA ESTENSE COM

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