Discutiamo del Quasimodo proposto agli Esami di Stato… Oltre e
vicini all’analisi del testo
di Pierfranco
Bruni
La gazza, il suo riso, gli aranci. Non penetro
l’analisi del testo e tanto meno mi immergo in un commento. È altro il mio
percorso. Agli Esami di Stato c’è, comunque, Salvatore Quasimodo. Non è la prima
volta. I proponenti di questa "proposta" quasimodiana non credo che brillino per
originalità. Ma non può che farmi piacere e soprattutto mi fa piacere sapendo
che si tratta di una poesia che risale al grappolo che va dal 1936 al 1942.
ovvero la stagione del Quasimodo vero poeta.
Ed è tratta dal testo Ed è subito sera. Già nei primi cinque
versi ci sono abbastanza elementi metaforici e reali che potrebbero permettere
una interpretazione comparata del verso e dei versi. Siamo in una atmosfera di
fascino delle “origini” geopoetiche di Quasimodo.
Le immagini, perché è una poesia fatta di
immagini, sono il senso e l’orizzonte della sua terra, di quella Sicilia che
respira il profondo segno mediterraneo. Il mito e la magia della parola in
Salvatore Quasimodo hanno una rilevanza significativa. È appunto nel rapporto
mito-magia, che la poesia di Quasimodo in Ed è subito sera si fa tensione lirica e
gioco di immagini.
“Forse è un segno vero della
vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa”.
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa”.
Il danzare in un gioco fatto di cadenze e di voci
è un chiaro richiamo ad una visione etno-antropologica che ha una marcata anima
archetipale. Ma Quasimodo conosce molto bene l’immaginario dei salici e degli
aranti in un paesaggio dove i fanciulli sono l’infanzia nel tempo trascorso ma
che resta come elemento ancestrale.
In un discorso più
complesso si potrebbe dire che la
sua poesia attraversa diverse fasi. Il momento più alto è certamente la prima
fase: cioè quella fase che si conclude, appunto, con Ed è subito sera. Siamo con questo
lavoro al 1942. C’è all’interno di questa sua prima ricerca una grande
esplosione di motivi lirici e di temi conduttori.
È qui che si
avanza la richiesta religiosa e la ricerca di quel mito che fissa in Ulisse il
simbolo di un personaggio che è sempre al centro del viaggio.
Due momenti
essenziali per usare una metafora che non si vede a primo impatto ma insiste
nella sua provvisorietà del viandante che si cerca nella circolarità del viaggio
: a) la religiosità e la possibilità di un dialogo cristiano; b) il Sud nel
sentimento del viaggio e nel richiamo mitico delle origini. La “terra
impareggiabile” che incontreremo nel 1958 è già in questo intreccio di ricerche.
Così quelle poesie toccati che sono “Lamento per il Sud” e “Lettera alla
madre”.
La dimensione
cristiana (la chiesa è un luogo non della periferia dell’anima ma della
centralità del tempo del cuore) si incontra con la favola antica che è nel richiamo alle
origini.
“Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l'erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna !
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
o per la prima marea. Questa è l'ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri”
riaccese sopra l'erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna !
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
o per la prima marea. Questa è l'ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri”
Campeggia nel
tutto di questo verseggiare la pietà. Ovvero il senso della pietà. Altre
metafore incidono e insistono. Per esempio per un poeta mediterraneo sono punto
nevralgici: il fuoco, la luna, la memoria, il sonno, il pozzo, la marea, e l’ora
che cerca “remoti simulacri”.
Allora. Quella sera che vive nella pietà ha un “riciclaggio” chiaramente
foscoliano, ma Foscolo è greco. Le ombre vengono allontanate, nell’anima e nel
tempo del poeta dalla verde erba. E poi potrebbe avere senso, avrebbero detto
Pavese e Bodini, un fuoco che non abbia il coraggio di cercare la luna o una
luna che non abbia il destino di diventare fuoco. Insomma è il gioco incastrante
di una metafisica dell’anima che diventa metafisica della poesia. Ma il poeta
del Mediterraneo è fatto di marea, di sonno delle epoche che passano dentro
(come dice Corrado Alvaro) e soprattutto di tempo. Quel tempo però si lega
inesorabilmente alla metafora, ancora una volta, del pozzo. Thomas Mann, che
Quasimodo conosceva, contiene l’acqua della memoria che diventa rigenerazione e
rigenerante diventa il baso in quelle acque perché si riscopre l’infanzia e la
sua eredità.
In fondo il “naufragio mistico” tocca così momenti
significativi e importanti per la vita stessa del poeta.
C’è, dunque, nel
poeta (perché è impossibile commentare una sola poesia, in modo particolare per
un poeta come Quasimodo, dove insiste un progetto poetico e di estetica del
linguaggio) il naufragio aggrappato alla speranza religiosa. C’è un’ansia
mistica. E c’è il ritorno alla terra attraverso una dimensione magica che
coinvolge quel respiro ellenico e mediterraneo sempre vivo e presente in una
poesia che ha tocchi mitici. Il mito della poesia quasimodiana è nel ritrovare
nell’infanzia del tempo la propria infanzia e la propria storia.
Oreste Macrì
osserva : “La splendente Trinacria mediterranea ed ellenica, il fasto degli
alberi e dei fiumi, l’amore e l’eco dei recessi estivi, l’ingenuità delle carni
luminose, la verginità dei costumi mitici, il sapore d’eterno e di visibile, le
certezze solide e durature : la
memoria dell’infanzia, della famiglia, dei primi giorni; è soprattutto la parola
‘isola’ l’estrema suggestione che ricostruisce cantando il mito della purezza,
della esattezza del limite…L’infermità, la debolezza, il patimento, la
sofferenza, il dolore e la pietà cristiana sembrano l’altro polo, la regione
opposta, il continente amaro e terribile, il luogo dell’esilio e del rimorso
permenente” (Oreste Macrì, La poetica
della parola di Salvatore Quasimodo, Prefazione a Poesie , “Primi Piani2,
Milano, 1938).
I versi di “Ride la gazza, nera sugli aranci”
hanno un mistero rivelante ma anche segreto. Così come quando il pensiero è il
Sud.
“E tu vento del sud forte di zagare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d'orme di cavallo, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l'airone s'avanza verso l'acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci”.
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d'orme di cavallo, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l'airone s'avanza verso l'acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci”.
Motivi
essenziali nel cammino poetico di Quasimodo. Questo Sud che continua ad essere
attraversato dal “Lamento” porta con sé le zagare e la luna e i bambini non
smettono di scommettere il loro destino nel loro passato giocando, come recita
Sinisgalli, con le monete battute per terra. La terra custodisce gli echi dei
passi dei cavalli e le orme diventano segni indelebili, perché il mare resta
sempre quell’orizzonte infinito, ovvero la quarta parete raccontata da Cesare
Pavese. In questo Sud dove le madri ancora cercano i loro figli le nuvole che
come un simbolo escono dagli alberi e l’airone ha il respiro della libertà. Ma
non bisogna mai dimenticare che c’è sempre il fango impastato alle spine e
l’ironia della gazza, la gazza nera, osserva e ascolta dagli aranci il mutare
delle stagioni e il cangiare dei sentieri dell’anima.
Siamo quindi a quella poesia quasimodiana già
individuata e che porta nel suo cuore le precise caratteristiche già
evidenziate. In realtà siamo a quella stagione importante che raccoglie il senso
del tempo, la necessità della comunione nella parola, l’interpretazione del
segno mitico. Il recupero dell’infanzia o l’infanzia come “beato Eden” è il
centro propulsore di questo viaggio che è sostanzialmente un antico viaggio nel
cuore della parola e dell’uomo. Cose che si sfilacceranno con le poesie dal
1947 in
poi. Ciò in parte verrà motivato in alcuni suoi saggi dedicati appunto alla
poesia.
Una partecipazione che riporta voci
lontane e mai dimenticate. Il colloquio si intensifica. Si ritorna al tempo. Ma
è nel tempo che la morte e la vita trovano il loro viaggio. E così le voci e i
silenzi.
In Salvatore
Quasimodo, infatti, ci sono
elementi poetici eterogenei. E c’è una spaccatura, fra due modi di fare poesia.
O meglio la spaccatura e il limite della sua ricerca si avvertono quando viene a
mancare quella tensione mistica con la quale era nata la sua prima poesia e
subentra un rarefatto stimolo sociale.
Qui la poesia perde il suo fascino e anche il suo
mistero e diventa cronaca. E con essa si brucia l’ansia e quel desiderio di
infinito che si individua nel momento della contemplazione. La cronaca è perdita
della parola-tensione.
In Ed è
subito sera è tensione che si riconquista. E i versi di “Ride la gazza, nera
sugli aranci” è un testamento non solo poetico. Ma una dettatura esistenziale in
quella ricerca del sommerso e dell vicinanze – distanze che hanno fatto di
Quasimodo il cantore del vento che dalla sua Sicilia ha toccato l’intreccio dei
venti degli Orienti e degli Occidenti.
Infatti la gazza e gli aranci non sono una
rappresentazione. Sono piuttosto una metafora nella danza delle cadenze. Una
poesia che ha odori e radici. Una geografia che la gazza vive tra la terra delle
radici e la terra promessa.