*REPUBBLICAGENOVA**
Massimo Minella “1914 L’esposizione
internazionale di Genova - Il futuro nella storia” ( Deferrari editore).
Ecco una sintesi della prefazione al volume scritta da Federico
Rampini, editorialista e corrispondente da New York di Repubblica.
È
con stupore, ammirazione, e un pizzico di vergogna, che mi sono tuffato
nella lettura di questo libro. La vergogna nasce dal fatto che io, nato
a Genova, discendente da generazioni di genovesi, ignoravo quasi tutto
di questa magnifica pagina di storia della mia città. Non solo ero
ignaro dei dettagli sull’Esposizione del 1914, ma divorando questa
narrazione mi sono reso conto di quanto poco io sapessi in generale sul
dinamismo di Genova all’inizio del secolo scorso.
Le memorie dei
miei familiari mi avevano lasciato ben impresso il boom del secondo
dopoguerra. Le letture di storia e alcune grandi esposizioni mi avevano
istruito sull’Età dell’Oro prolungatasi dal Quattrocento al Seicento.
Ora
capisco che il primo Novecento a Genova fu prodigiosamente
interessante, e ben venga questo centenario ad accendere la nostra
attenzione.
Leggendo la ricostruzione di Massimo Minella a un
certo momento ho avuto una sorta di spaesamento spazio-temporale. Ho
ri-vissuto l’atmosfera che percepivo alla vigilia dell’Expo di Shanghai
nel 2009.
Sul finire dei miei cinque anni di vita in Cina,
assistetti al grandioso cantiere di quella esposizione, immediatamente
successiva alle Olimpiadi di Pechino. L’alternarsi di quei due eventi
aveva un senso preciso. Con i Giochi la Cina si “presentava” al mondo e
usava l’evento anche per ridefinire la sua identità nazionale, con delle
ardite operazioni di cucitura tra il lontano passato imperiale e
l’attuale sistema capital-comunista (nel frattempo mandava l’esercito a
reprimere la rivolta tibetana, ma questa è un’altra storia…).
L’Expo
di Shanghai ebbe una funzione complementare e diversa. Da un lato fu
l’orgogliosa affermazione che la Repubblica Popolare cinese stava
progettando una transizione: da fabbrica manifatturiera del pianeta,
verso un modello economico più avanzato, pronto a sfidare l’America
anche nella gara della modernità.
D’altro lato, confermando che
le Esposizioni possono avere una funzione didattica anche nell’era
contemporanea, Shanghai venne usata per presentare “il resto del mondo
ai cinesi”: ovvero a quelle centinaia di milioni di abitanti delle
provincie e delle campagne, che visitando i padiglioni americano o
italiano ebbero un’esperienza educativa, di apprendimento, di apertura
verso nuovi orizzonti.
Questa rievocazione di Minella mi
affascina anche per le analogie che scopro tra la Genova di un secolo fa
e la Cina di oggi. Degli anni che ho vissuto a Pechino o esplorando
altre potenze emergenti dall’Oriente al Sudamerica, mi rimane impresso
un elemento psicologico, di atmosfera: in quei luoghi si respira
un’energia umana, un ottimismo diffuso, l’incrollabile fiducia che “il
futuro ci appartiene, lo stiamo costruendo, e sarà certamente migliore
del nostro passato”.
Ogni volta che torno in quei paesi,
nonostante che ci siano stati innumerevoli incidenti di percorso nei
rispettivi boom, tensioni sociali, turbolenze e proteste, ritrovo ancora
quello spirito positivo. E consiglio ai giovani italiani di inserire
nei loro percorsi formativi almeno un pezzo di vita in quei Nuovi Mondi:
per capire dove e come si sta plasmando il futuro dell’umanità, e anche
per farsi contagiare da quella voglia di fare.
Queste pagine
sulla Genova del 1914 sono un tuffo in un passato in cui, come scrive
Minella, le Esposizioni universali erano la Rete di oggi, erano i
“motori di ricerca” che in poco tempo consentivano di fare il punto
sulle nuove conoscenze, gli sviluppi della scienza e della tecnica, i
cantieri dell’innovazione, le sfide da affrontare. Cent’anni fa, dunque,
Genova era uno di quei laboratori dove si progettava il futuro. Era una
delle Silicon Valley all’avanguardia nello sfornare idee visionarie.
Era una Shanghai del primo Novecento perché sprigionava ottimismo,
energia umana, spirito positivo. Un’immersione in questa rievocazione
storica potrebbe far bene ai genovesi di oggi: per riesumare lo spirito
dei nonni e dei bisnonni, l’atmosfera di un tempo in cui univano le
energie per “fare le cose”, non per bloccarle.
Naturalmente non
si può ignorare cosa stava per accadere nel mondo, in quel 1914. La
Grande Guerra, oltre all’orrenda carneficina, allo strazio umano e alle
distruzioni, sferrò un colpo tremendo all’idea positiva del progresso...
Di
recente il museo Guggenheim di New York ha ospitato una grande mostra
sul futurismo italiano. E’ impressionante vedere in quella corrente
artistica la fusione di alcuni momenti alti della cultura occidentale
del primo Novecento (l’eredità del positivismo, il modernismo, la
fiducia razionale nella scienza e nella tecnica), perfettamente capaci
di coesistere con delle degenerazioni raccapriccianti (l’esaltazione
della guerra come “igiene purificatrice dei popoli”, una violenta
misoginia, la larvata
esaltazione del superuomo) che serviranno da brodo di coltura del
fascismo. C’erano allora i germi di un tecno-totalitarismo, che qualche
volta riecheggiano in versioni nuove nell’odierna Rete. Davvero, tutto
ciò che accadeva in quel 1914 merita la nostra massima attenzione.
***A PARTE la solita retorica ideologica non aggiornata sulla falsa equazione Futurismo Fascismo/totalitarismo del Rampini, mai il comunismo e magari il radioso avvenire di Stalin, pure anch'esso ci pare figlio della Grande Guerra, ecc., prefazione e libro soprattutto assai interessanti. nota di AsinoRosso