ALFARABI E LA SCIENZA POLITICA. UN ASPETTO DA APPROFONDIRE CON RIFERIMENTO ALL'ISLAM DI OGGI

Nel LIBRO DELLA SCIENZA POLITICA di Alfarabi, filosofo arabo medievale, ancora del tutto da rileggere, troviamo, da una parte, che in Dio coincidono l'essere e il conoscere, mentre dall'altra, che Dio è intelligibile in quanto è intelligenza derivata è intelligibile proprio perché derivata da Dio. Anche Ibn Sina (l'Avicenna dei Latini), spesso fedele successore di Alfarabi, Dio è ad un tempo il conoscente, il conosciuto e la conoscenza. Queste, dunque, per Alfarabi sono anche le caratteristiche dell'imam perfetto reggitore della città virtuosa, se pur si affranchi in un certo senso dal potere strettamente religioso, senza pericolose commistioni tra secolare e trascendente. Tuttavia in un primo momento tale ultimissima circostanza sembrerebbe contraddetta, il che farebbe pensare che l'idea alfarabiana sia debitrice dell'influsso sciita-ismailita (ai giorni nostri si parlerebbe di concezioni repubblicane, vale a dire, nello specifico,di Repubblica Islamica dell'Iran) e non di quello sunnita, poiché l'imam apparirebbe come una teofania (la stessa ultrasunna moderna - vedi il caso wahhabita-saudita come estremo esempio di clericalismo islamico- inclinerebbe, ma anzi inclina, su un'identificazione potere religioso e politico-. Qualche studioso ha citato, in proposito, un testo di Avicenna, attribuendone, però, la paternità ad Alfarabi:"In tanto che (Dio) è manifesto, trae dalla sua essenza il tutto; di conseguenza la scienza che Egli ha del tutto viene dopo la sua essenza, e la scienza che Egli ha della sua essenza coincide con la sua stessa essenza. La scienza che Egli ha del tutto si moltiplica in una molteplicità che viene dopo la sua essenza e il tutto si unifica in rapporto all'essenza (di Dio) nella sua unicità. Egli è quindi la Realtà vera. E come potrebbe non esserlo, dato che è necessario, Lui che è nascosto? E come potrebbe non esserlo, ancora, dato che Lui appare in modo manifesto?. Secondo Alfarabi, pertanto, Dio è il Manifesto in quanto nascosto; ed il Nascosto in quanto è manifesto. Da ciò R. Arnaldez ha concluso che Alfarabi e Avicenna (Ibn Sina) fondano la loro concezione su un particolare versetto del Corano (LVII, 3), che appunto si esprime in questi termini. Se è vero che quello che gli Arabi considerano il "secondo maestro" dopo Aristotele, cioè Alfarabi, si presenta quasi interprete dell'utopia politica ispirata alla Repubblica di Platone. Il che fa pensare che, in fondo, sotto sotto, date le forti influenze sciite e comunque neoplatoniche, che caratterizzano la sciia e il pensiero iranico-islamico per i tradizionali trascorsi storici pre-islamici dell'Iran antico, che Alfarabi pensasse più ad una repubblica che ad un regno.
Casalino Pierluigi