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Marinetti e il fallimento della critica ideologica

Antonio Saccoccio


L'operazione anti-Marinetti, fallimento della critica militante


Il disegno volto ad oscurare una figura di primissimo piano come Filippo Tommaso Marinetti è stato perseguito dalla critica italiana con un’insistenza e una caparbietà irriducibili. Qualsiasi “Signor Nessuno”, aspirante poeta o romanziere, si è guadagnato parole bonarie dai nostri critici compiacenti, qualsiasi raccolta poetica di basso profilo ha ottenuto lodi e pagine antologizzate. Ma non era compito dei nostri critici valutare i pregi di costoro. Erano tutti tesi in uno sforzo sovrumano ad annientare il fondatore dell’unica avanguardia che abbia avuto il nostro paese. Se oggi ci ritroviamo un paese che ignora il futurismo e Marinetti, e, peggio ancora, li giudica negativamente, lo dobbiamo a questi critici militanti. Si è trattato di una vera e propria operazione squadristica contro Marinetti e contro il futurismo, che ha visto in prima linea i critici marxisti, spalleggiati all’occorrenza da liberali e cattolici. Per decenni nessuno (se non pochi valorosi) ha difeso Marinetti. E' importante sottolineare che i danni derivanti da questa ignoranza non restano nell’ambito della pura cultura artistico-letteraria, ma sconfinano in tutti i settori dell’agire umano. Se oggi l’Italia è sotto molti punti di vista un paese arretrato, è anche perché l’Italia ha rinnegato il futurismo.
Le forze propulsive azionate dal futurismo sono ancora attive in tutto il mondo, ma proprio qui in Italia si è sempre tentato di arginarle, perché non si è voluto e non si vuole ancora riconoscere a Marinetti il merito di aver creato un movimento d’avanguardia che ha influenzato, nel corso del secolo scorso, tutto il mondo sviluppato.
Sarà bene rileggere la seguente acuta pagina di Luigi Tallarico, che è un vero storico dell’arte, non uno dei tanti servi di partito.
“L’operazione anti-Marinetti ha come punto focale, da una parte, l’animosità politica di certi ben qualificati esponenti della cultura di sinistra, che sulla base dell’affermazione di Walter Benjamin (peraltro espressa nel 1936, cioè nel momento più cruciale della lotta degli antifascisti, ridotti a manutengoli dell’imperialismo moscovita), considerano il “doppio risvolto, idealizzante ed estetizzante” di Marinetti, che avrebbe, nientemeno, “trattenuto l’insieme del movimento in una zona superficiale e, in ultima analisi, negativa davanti ai più brucianti temi moderni, impedendogli di uscire dall’ipoteca reazionaria, di compiere cioè il passo dallo stato d’animo rivoltoso all’azione autenticamente rivoluzionaria” (Mario De Micheli); e – dall’altra – il convincimento che ad influenzare positivamente lo svolgimento del movimento marinettiano sia stata la fortunosa e limitata acquisizione al futurismo di alcuni grossi nomi nel campo delle arti figurative. È da osservare che quest’ultimo giudizio aveva ottenuto una certa considerazione, negli anni precedenti alla ultima guerra, quando, per intenderci, si parlava, sia pure mal volentieri, di un Boccioni, di un Balla, di un Sant’Elia o di un Prampolini, ma non si dava assolutamente credito, per esempio, al teatro marinettiano e agli esperimenti linguistici della poesia visiva. Senonchè, soltanto di recente, questo giudizio è stato rigettato dalla critica più avveduta, che ha definitivamente riconosciuto come, senza Marinetti, tutto il futurismo – anche nel campo “scontato” dell’arte – non sarebbe mai esistito. L’altro giudizio, alquanto di maniera, che viene invece formulato, ancora oggi, da alcuni ritardati e attardati antifascisti (è da rilevare che Lenin, Lunaciarsky e Gramsci avevano, al contrario, intravisto la portata “rivoluzionaria” del futurismo), è rimasto come un galleggianti senza freno, perché legato a distorti pregiudizi e a vecchi schemi, che il pensiero moderno, nonostante il nostalgico odierno “ritorno” in Italia di un marxismo e di un liberalismo, già superati da oltre mezzo secolo, ha svuotato di ogni contenuto politico e di ogni valore cogente"

Tutto molto chiaro. Assistiamo ancora oggi, e sono passati decenni dalle parole di Tallarico, a questi pregiudizi anti-futuristi, ormai bollati da quasi tutta la critica, ma ancora molto diffusi negli ambienti di quella che chiamo “media cultura” (che è poi “presunzione di cultura”, “cultura consumista”).
Per coloro che invece vogliono ben comprendere la natura del futurismo e del pensiero di Marinetti, ancora più illuminante è quanto Tallarico chiarisce poco dopo. Sono considerazioni di una disarmante chiarezza, considerazioni che, partendo dal rapporto arte-politica, arrivano ad affrontare quel rapporto tra arte e vita che è alla base del pensiero futurista.

“Prima di concludere, mi siano consentiti due ultimi rilievi, che certamente non piaceranno ai conformisti, ai politici e ai gazzettieri del regime, che hanno abituato l’opinione pubblica alla reticenza, se non alla distorsione vera e propria della verità: Primo, la scelta politica è nata in Marinetti contemporaneamente con la ricerca poetica (“non fa dell’arte se non chi fa della guerra”), contro i teorizzatori liberali delle presunte “autonomie” della teoresi e della prassi, nonché controgli attuali falsificatori di un Marinetti, “intrappolato” dal fascismo, per l’offerta di uno scranno accademico; Secondo, il futurismo e Marinetti non hanno mai considerato la politica “come l’unico mezzo ideoneo a trasformare la vita dell’uomo”, con ciò scongiurando la caduta dell’arte in quell’esplicito e dichiarato contingentismo di carattere politico e sociale, come abbiamo già detto, e che rappresenta oggi, a comunismo trionfante, uno degli aspetti più vacui dell’odierna caduta dei fenomeni estetici, nullificati fino alla operatività politica vera e propria. Al contrario, invece, l’arte, per il futurismo – come ha scritto Calendoli – “può trasformare la vita dell’uomo e renderla più piena, più felice: l’immagine, ove sussista come tale, è perennemente tesa alla trasformazione della realtà. E perciò l’arte non è oggetto, ma atto. Fin dalle prime manifestazioni il futurismo supera il concetto dell’arte come contemplazione e contiene i principi di un’arte che è comportamento, che è sfida, che è vita da vivere, che è gioco supremo, che è partecipazione, che è lotta, che è, infine, esplicitazione dinamica di un programma”.

Queste parole di Giovanni Calendoli dovrebbero restare scolpite nella mente di ognuno di noi. L’arte non come oggetto, ma come atto, azione, sfida continua, e ancora come “esplicitazione dinamica di un programma”.



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