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Antonella Pagnotta, Progetto Corpo e Corpi (Tirana, dicembre 2014)

Marcello Francolini

l progetto, che si è svolto dal 9 al 12 dicembre scorso ha consistito in un workshop all’Accademia di Belle Arti di Tirana e l’esposizione dell’opera Corpo e Corpi   presso la Zeta Gallery di Tirana.
Devo precisare che dovendo parlare dell’opera di Antonella Pagnotta non mi limiterò all’opera in se, riducendomi ad una visione materialistica dell’opera ma il compito che mi prefiggo è quello di ricostruire il senso ontologico che l’opera racchiude e con questo una certa idea del mondo che l’artista esprime. Credo di potermi imbattere in questo sentiero giacché seguo il lavoro di Antonella da lungo tempo ed insieme abbiamo sviluppato l’idea del CorpoComune.
Quest’arte è nel soggetto che la produce ma è anche nel mondo con il quale il soggetto interagisce costantemente, perciò al Corpo si aggiunge l’aggettivazione Comune: la realtà consiste in una struttura che coniuga esistenza, rappresentazione e relazione-con. Il CorpoComune non è genericamente un corpo e tanto meno un oggetto. Il corpo di A.P. cede la sua immunità donandosi alla comunità che se ne appropria non come mezzo ma come veicolo, potremmo dire come prototipo. Ciò è il tentativo di ri-qualificare la vita sociale, quello che anticamente era nominato come bios, non più però nella sua qualità di prodotto del potere, ma bensì attraverso il recupero della zoe: cioè il corpo nella sua dimensione comune, che non è altro al fine che il dono come atto originario di un ri-conoscimento simpatico (da intendersi anche nella sua accezione fisiologica).
Proprio il dono è stato alla base del Workshop che Antonella ha tenuto all’Accademia di Belle Arti di Tirana dal titolo Corpo e Corpi. Il dono si presenta sempre come contatto tra due parti: l’artista per sua parte ci mette il corpo, gli allievi ci mettono la creazione di un esperienza “comunitaria”. Su dei grossi teli di plastica trasparente il corpo dell’artista si è fatto traccia del corpo stesso e dell’emozione del corpo (assumendo così diverse posizioni) per diventare una sagoma che gli studenti di una classe del secondo anno hanno utilizzato (alcuni in due altri in tre o quattro) dando corpo al corpo e ambientandolo nel mondo (dei colori o delle geometrie o delle decorazioni). Ora quest’azione da parte della classe determina quasi una sorta di drammatizzazione dell’atto in cui ogni membro diventa comune all’altro nella assunzione del proprio ruolo di interprete attivo del dono.
Si passava poi all’intervento pittorico. L’artista ha cercato qui di stimolare “la comunità” a lavorare in modo istintuale, una sorta di improvvisazione pittorica. Ciò evidentemente può sacrificare una buona composizione nell’opera finita, perché frutto di un’istintività, ma proprio ciò permette l’appropriamento autentico di quel Corpo generando appunto Corpi. La performance finale si è svolta come una processione urbana in cui sfilavano i vari corpi di Antonella prodotti durante il periodo del workshop. Giunti nella strada della Zeta Gallery, dove la sera si sarebbe svolta l’inaugurazione del trittico Corpo e Corpi presentato dall’artista, tutte le sagome sono state installate per strada fino a salire sul terrazzo esterno della galleria.
Tre pannelli, ognuno dei quali origina delle figure che si presentano su più livelli stratigrafici, temporali e risolti con materiali diversi.
Il pannello di sinistra è la donna albanese su più livelli di legno; il pannello di destra è la donna italiana su più livelli di ferro; le due donne laterali a loro volta proiettano la propria ombra costruita con il materiale di appartenenza del proprio luogo e della propria terra: le rocce ramate delle Alpi Albanesi e i corpuscoli minerali della costa italiana. Dunque quest’ombra è l’elemento identificativo, ciò che differenzia e che posto ai lati dell’opera rappresenta il primo passo verso questo percorso che nel pannello centrale giungerà non solo all’incontro con l’altro, ma alla sua unione.
Nel pannello centrale è la comunione delle due donne, che avviene su più strati di vetro generando una trasparenza e una spazialità quasi in quattro dimensioni. Ora che cosa sono questi livelli attraverso cui l’impronta del volto si sposta se non il tempo. Non certo però un tempo cosmico, fisico, convenzionale ma un tempo umano. Questo passare del volto sui vari livelli è la formalizzazione di un ricordo a partire dalla memoria di un attimo in cui il corpo occupava un certo spazio in un determinato tempo. Essa si presenta come forma eternata, e come ogni forma di ricordo non è definita all’interno di una consequenzialità logica e per questo si presenta come un epifania sublimando lo stesso dono come prassi artistica. Lo spostamento dei due volti l’uno verso l’altro sembra un allegoria di quel possibile approdo verso uno spazio lontano, ancora da significare: l’altro da sé, l’altra donna, che è poi l’altra cultura. Ecco considerando l’oggi incerto proprio dal punto di vista dell’integrazione, ancor di più l’opera di Antonella Pagnotta si erge come possibile sentiero da percorrere verso l’altro, il di-verso da te.

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